
Sabato 29 marzo l’IRCCS di Negrar ospiterà un workshop con il dottor Ray Owen, , uno dei massimi esperti dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Psicologia cognitivo-comportamentale di terza generazione. Tema: l’ACT nel contest della patologia fisica cronica.

Sarà il dottor Ray Owen, uno dei massimi esperti dell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), la Psicologia cognitivo-comportamentale di terza generazione, a guidare il workshop esperienziale che si terrà sabato 29 marzo all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria (per informazioni e iscrizioni, riservate a psicologi e psicoterapeuti, clicca qui), organizzato dalla Psicologia Clinica dell’ospedale di Negrar, di cui è responsabile il dottor Giuseppe Deledda, presidente eletto di ACT Italia.
Psicologo clinico e della salute, con oltre 30 anni di esperienza nel contesto oncologico e sanitario in generale, il dottor Owen è autore di due libri di auto-aiuto che nel mondo anglosassone hanno riscosso un ampio successo: Facing the Storm (2023) e Living with the Enemy (2024), entrambi selezionati per il premio “BMA Popular Medicine Book of the year”.
“Il tema della giornata riguarda l’applicazione della terapia ACT nel contesto della patologia fisica cronica, che oggi, con lo sviluppo di cure sempre più efficaci, può comprendere anche la malattia oncologica”, spiega il dottor Deledda. “La patologia cronica è spesso un fattore di stress significativo con impatti emotivi e psicologici molto complessi – prosegue -. Può accadere che la persona venga assorbita completamente dalla malattia, limitando il suo orizzonte interiore e perdendo di vista i suoi valori, ciò che nella sua vita, prima della malattia, era importante. Questo perché la paura e l’angoscia prendono il sopravvento, diventano totalizzanti”.
La terapia ACT non ha come obiettivo l’eliminazione della patologia e della sofferenza che ne consegue, ma aiuta a sviluppare la capacità di accettazione delle esperienze difficili in linea con i propri valori, favorendo un cambiamento nei comportamenti e nel benessere psicologico, anche in presenza della malattia.
“Il punto di partenza è il riconoscimento delle proprie paure – sottolinea il dottor Deledda – Spesso si indossa una maschera per non far trasparire il proprio stato d’animo, ma questo non fa altro che alimentare l’angoscia e quindi la solitudine. Ci si nasconde da se stessi, anche perché la narrazione vuole che di fronte alla malattia dobbiamo essere tutti dei combattenti. Pensiamo al linguaggio ‘bellico’ preso in prestito quando si parla delle patologie tumorali: lotta contro il cancro, combattere il cancro, la guerra al cancro… I pazienti in questa logica diventano dei guerrieri e chi non ce la fa è ‘stato sconfitto’. Questo non aiuta ad accogliere le proprie angosce, a dare ad esse un nome”. Un passaggio fondamentale, quella di prendersi cura delle proprie paure, “per ritornare a fare di ciò che ha valore per noi, la bussola della nostra vita. Viceversa, in una sorta di circolo virtuoso, solo il recupero di questi valori ci aiuta ad ‘accarezzare’ le nostre angosce. Vivere pienamente, nonostante la malattia, è un obiettivo possibile”, conclude il dottor Deledda.