West Nile: infezioni in linea con le estati precedenti, non è in atto un'emergenza di salute pubblica

Il West Nile è un virus, trasmesso dalle zanzare, presente nel nostro Paese dal 2008, quindi può definirsi endemico. In Italia si stanno registrando alcuni decessi, ma i numeri in linea con le estati precedenti. Purtroppo non abbiamo a disposizione né un farmaco specifico né un vaccino. E’ importante quindi proteggersi dalle punture di zanzare e ridurne il numero con le periodiche disinfestazioni. Ecco tutto ciò che si deve sapere sul virus.

La cronaca registra casi di febbre West Nile, tra cui anche alcuni decessi. Federico Gobbi, direttore scientifico dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, dove dirige anche il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali. E’ professore associato all’Università di Brescia:

Prof. Federico Gobbi

“I numeri delle infezioni registrate sono in linea con gli anni passati. Nulla a che vedere con quanto è accaduto per esempio nel 2022, quando in Veneto ci furono 531 casi diagnosticati: 150 pazienti avevano sviluppato la forma neuro invasiva e sono stati 22 i decessi. In base alle proiezioni questa estate non raggiungeremo mai le cifre di tre anni fa. Quindi non è in atto nessuna emergenza di salute pubblca. Non siamo di fronte al Covid, che a differenza del West Nile era trasmissibile da uomo a uomo per via aerea.  Ci vuole comunque consapevolezza che il West Nile è un virus presente nel nostro Paese dal 2008, che non esistono farmaci né vaccini e che l’unica via è la prevenzione, in questo caso la protezione dalle punture di zanzare”.

L’origine e la natura del virus West Nile

West Nile Disease (WND) o malattia del Nilo Occidentale è causata da un virus a RNA appartenente al genere Flavivirus. Il West Nile Virus (WNV) prende il nome dal distretto dell’Uganda (West Nile) dove nel 1937 è stato isolato per la prima volta il patogeno nel sangue di una donna colpita da febbre. Si è poi diffuso in Africa, Medio Oriente, Nord America, Asia Occidentale ed Europa, dove è stato segnalato a partire dal 1958. In Italia è endemico. I primi casi si sono registrati nel 2008 sul territorio della Pianura Padana.

Trasmissione solo attraverso la puntura di zanzara

Il WNV non si trasmette da uomo a uomo, né per via aerea né per contatto. Il virus sopravvive in natura grazie a un ciclo primario di trasmissione: zanzara-uccello-zanzara. Le zanzare Culex di specie modestus e pipiens si infettano pungendo uccelli migratori (serbatoio del virus), trasmettendo a loro volta il virus ad altri uccelli. Tuttavia le stesse zanzare sono in grado di infettare ospiti accidentali come il cavallo e l’uomo, ma né negli equini né negli esseri umani il WNV raggiunge nel sangue una concentrazione sufficientemente elevata da infettare altre le zanzare. La ragione per cui il WNV è diventato endemico in Italia è dovuta alla presenza sul territorio della Culex pipiens, la zanzara che punge dal tramonto fino alle prime luci dell’alba, e al passaggio di uccelli migratori.

Trasfusioni di sangue: donatori controllati e sacche di sangue testate

L’unica via di trasmissione da uomo a uomo sono le trasfusioni di sangue. Ma in Italia i Centri trasfusionali eseguono di routine su ogni sacca il test NAT per escludere la presenza del virus e i donatori sono controllati.

L’infezione: 1 persona su 150 sviluppa la forma grave

La West Nile Disease è caratterizzata da 2-14 giorni di incubazione. Su 150 persone infettate 120 non presentano sintomi e 30 sviluppano una sindrome simil-influenzale: febbre, mal di testa, mal di gola, dolori muscolari e alle articolazioni, congiuntivite, rash cutanei (tronco, estremità e testa), ingrossamento dei linfonodi, nausea, dolori addominali… Solo una persona su 150 va incontro alla forma neuro-invasiva: meningite, encefalite e paralisi flaccida acuta. Nel 15% dei casi la forma meningitica porta al decesso.

Persone più a rischio

I soggetti più a rischio per la forma più grave sono gli anziani, gli immunodepressi, i pazienti cronici o pluripatologici in quanto il loro sistema immunitario è indebolito fisiologicamente dall’età o per causa di malattia.

Diagnosi: serve un test di laboratorio

Una febbre simile all’influenza deve sempre destare sospetti in piena estate. A causa di sintomi aspecifici, l’infezione è difficile da diagnosticare con un solo esame obiettivo del medico. Per arrivare alla diagnosi è necessario fare un test specifico di laboratorio disponibile in ospedale.

Quando preoccuparsi

Una febbre in estate deve sempre destare sospetto in assenza di sintomi come raffreddore o mal di gola. Sarebbe quindi opportuno sottoporsi al test di laboratorio per individuare l’origine di un’evetuale infezione. Se invece inseime alla febbre, sorgono sintomi neurologici come forte mal di testa. rigidità nucale, nausea, vomito, fastidio alla luce… è necessario rivolgersi d’urgenza in ospedale.

Terapia: non esiste un farmaco anti-virale per l’infezione da West Nile

Per la WND non esiste una terapia specifica, ma solo farmaci per alleviare i sintomi (antipiretici e antinfiammatori). Nei casi più gravi è necessario il ricovero in ospedale, dove si procede alla somministrazione di fluidi intravenosi e a respirazione assistita.

Prevenzione: protezione dalle punture di zanzare

Non esiste un vaccino contro il West Nile VirusIl metodo più efficace di prevenzione è la protezione dalle punture di zanzare usando, in particolare dopo il tramonto, repellenti cutanei, zanzariere alle finestre e diffusori di insetticidi ad uso domestico. E’ fondamentale, inoltre, la collaborazione di tutti affinché non vengano a crearsi ambienti favorevoli al deposito delle uova e allo sviluppo delle larve di zanzare come i serbatoi di acqua stagnante (anche un semplice sottovaso) che devono essere eliminati o trattati con larvicidi

Nel 2010 la Regione Veneto ha istituito un progetto pilota per la sorveglianza delle arbovirosi (malattie trasmesse dalle zanzare) il cui responsabile scientifico è l’IRCSS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e a cui collaborano l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie e l’Istituto di Microbiologia e Virologia di Padova. Per le patologie di importazione (Zika, Dengue e Chikungunya) al fine di evitare che diventino endemiche, esso prevede la segnalazione del caso di infezione entro le 12 ore dal sospetto diagnostico al Servizio Igiene Sanità Pubblica del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda Ulss competente per il territorio che può attivarsi, attraverso i Comuni, per la disinfezione della zona limitrofa all’abitazione del paziente o nel luogo dove si è probabilmente infettato.

Per il West Nile Virus la disinfezione deve avvenire periodicamente soprattutto nelle aree in cui le trappole dell’Istituto Zooprofilattico hanno raccolto zanzare infette o dove il virus è stato isolato nei cavalli.


Progetto di pet therapy per gli ospiti dell'area socio-sanitaria della Cittadella della Carità

Le cagnoline Mapi e Darma dell’associazione “Le impronte di Zara” hanno trascorso alcune ore con gli anziani di Casa Perez e con i degenti della speciale Unità “Stati Vegetativi”. Dopo l’estate gli animali faranno visita a tutti gli ospiti delle strutture socio-sanitarie adiacenti all’IRCCS di Negrar. L’interazione con l’animale è in grado di stimolare la sfera delle emozioni, attraverso la vista e le sensazioni tattili delle carezze anche per pazienti che hanno un basso grado di responsività. Stimola inoltre i ricordi del legame affettivo con un animale di famiglia.

Mapi è un deliziosa Jack Russel Terrier di 10 anni, ma l’età è solo un numero per questa instancabile ‘cacciatrice’ di palline. A lanciarle, grazie a una sorta di scivolo di cartone e l’aiuto degli operatori, è Fabiano, un ospite della speciale Unità di Accoglienza Permanente “Stati Vegetativi” e a bassa responsività della Cittadella della Carità di Negrar.

Per Fabiano è la sua prima seduta di pet therapy con “Impronte di Zara”, l’associazione, con sede a Marzana, che si occupa di interventi assistiti con gli animali rivolti a bambini, anziani e disabili.  Con lui altri ospiti della stessa Unità di Accoglienza, i quali durante una mattinata hanno goduto della presenza di Mapi e poi anche di Darma, una femmina di lagotto romagnolo diventata da poco mamma di otto cuccioli. Questo è solo il secondo degli incontri previsti di un progetto di pet therapy che continuerà anche dopo l’estate. Il primo ha visto protagonisti con i cani gli ospiti di Casa Perez (struttura adiacente all’Ospedale di Negrar dedicata a persone anziane non autosufficienti), che non hanno nascosto il loro entusiasmo per i nuovi amici a quattro zampe

“L’idea è nata dal gruppo delle educatrici dell’area socio-sanitaria stimolate dal racconto dei familiari degli ospiti che più volte hanno riferito sul forte legame tra il loro congiunto e il cane di casa”, spiega la dottoressa Martina Brigo, dirigente dei Servizi dell’Area socio-sanitaria della Cittadella della Carità. “L’ideale sarebbe l’accesso degli animali da compagnia degli ospiti all’interno della struttura, ma questo, per varie ragioni, non è possibile. Abbiamo pensato che la presenza di cani addestrati per la pet therapy fosse il giusto compromesso”.  “Sono molto felice di questa iniziativa: è un momento di gioia per i pazienti come mio figlio – afferma Luigi, papà di Fabiano -. Anche noi avevamo un cane, Pepe, che consideravamo come uno di famiglia e a cui Fabiano era molto affezionato. Quando Pepe è venuto a mancare è stato molto doloroso, tanto che non abbiamo voluto prendere un altro animale”.

“L’effetto benefico del rapporto unico che si viene ad instaurare tra una persona e un cane oramai è consolidato anche da numerosi studi scientifici”, afferma Matteo Favaretto, educatore cinofilo delle “Impronte di Zara”, associazione legata alla Comunità di recupero San Patrignano, dove Matteo si è formato professionalmente. “L’interazione è in grado di stimolare la sfera delle emozioni, attraverso la vista e le sensazioni tattili delle carezze anche per pazienti che hanno un basso grado di responsività – prosegue -. Stimola inoltre i ricordi del legame affettivo con un animale di famiglia.

Il nome dell’associazione, con cui “collaborano” quattro cani, è dedicato a Zara, un labrador color miele scomparso pochi anni fa, lasciando un’impronta nel cuore di coloro che lo hanno conosciuto e hanno potuto godere del suo amore incondizionato. Come hanno lasciato un’impronta Mapi e Darma nel cuore degli ospiti della Cittadella della Carità.


Affidata all'IRCCS di Negrar la bandiera dell'OECI: sarà presente al meeting di Verona di Alleanza Contro il Cancro

Anche il “Sacro Cuore Don Calabria” era prensente alle Giornate Oncologiche dell’OECI ad Atene. Il Direttivo della più importante rete europea dei Centri Oncologici ha consegnato all’IRCCS di Negrar la bandiera dell’OECI perché sia presente al Meeting Annuale di Alleanza Contro il Cancro che si terrà a Verona dal 18 al 20 settembre.

Molti i temi affontati sotto l’acropoli ateneise. Tra questi le terapie domiciliari rivolte ai pazienti oncologici e il ruolo dell’intelligenza artificiale nelle diagnosi e nella cura delle neoplasie.

Un’ideale staffetta collega Atene con Verona. Le Olimpiadi non c’entrano, anche se si tratta sempre di una bandiera. Quella di OECI, la più importante rete europea degli Istituti oncologici. A margine degli “Oncology Days”, che si sono tenuti ad Atene lo scorso giugno, il Direttivo dell’Organizzazione ha consegnato il vessillo all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria con il compito di ‘issarlo’ al meeting annuale di Alleanza contro il Cancro in programma dal 18 al 20 settembre a Verona, organizzato dall’Ospedale di Negrar (clicca per il programma). Inoltre sarà dovere del “Sacro Cuore Don Calabria” riconsegnare la bandiera ad OECI in occasione delle “Giornate Oncologiche” 2026 che avranno luogo a Varsavia.

“Da parte di OECI è stato un gesto significativo verso il nostro Ospedale e sottolinea la rilevanza dell’appuntamento scientifico del prossimo settembre a cui parteciperanno i più importanti Istituti oncologici italiani, molti dei quali sono affiliati alla rete europea”, afferma il dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Con lui ad Atene anche la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento Oncologico, e il dottor Matteo Verzè, medico della direzione sanitaria.

Da sinistra: Alfredo Budillon (Tesoriere OECI), Matteo Verzé, Claudio Lombardo (General Manager OECI), Stefania Gori, Giovanni Apolone (Presidente OECI) e Fabrizio Nicolis

Ad OECI (Organisation of European Cancer Institutes) aderiscono 200 centri oncologici, la gran parte europei, “ma cresce il numero degli Istituti di altri Continenti che chiedono di farne parte e quindi di allinearsi alle modalità qualitative e organizzative richieste dall’Organizzazione”, sottolinea il dottor Nicolis. “OECI, nata come rete europea, sta travalicando sempre più l’Europa, ‘esportando’ le sue linee guida sulla migliore assistenza del paziente oncologico in Sudamerica, ma anche Cina e Vietnam”.

Durante il congresso internazionale di Atene, sono stati toccati diversi temi sulla lotta contro il cancro. “In particolare si è parlato di terapie domiciliari rivolte al paziente oncologico cronico – sottolinea la dottoressa Gori – La cura del paziente presso la propria casa e nell’ambito del proprio ambiente è una realtà già presente nelle organizzazioni sanitarie del nord Europa, anche grazie all’avvento di trattamenti antitumorali che possono essere gestiti anche fuori dall’ospedale”. 

L’esperienza in Svezia rileva tra i pazienti trattati a domicilio minori complicazioni, ricoveri in ospedale meno frequenti, con una durata molto breve quando si rendono necessari. Tutto questo ha ricadute positive sulla qualità di vita del paziente e dei suoi familiari e anche, economicamente, sul sistema sanitario sebbene la gestione domiciliare dei pazienti comporti costi rilevanti.

Riorganizzare l’assistenza oncologica, riservando l’ospedale alla fase acuta della malattia, è fondamentale e in Italia ci si sta avviando attraverso il rafforzamento della sanità territoriale – riprende la dottoressa Gori – Grazie ai progressi della ricerca, il numero degli italiani che vivono con una diagnosi di tumore è destinato ad aumentare e si stima che nel 2030 raggiungerà i 4 milioni, cioè il 7% della popolazione. E’ quindi ipotizzabile un aumento della domanda da parte dei pazienti di supporto medico, infermieristico e psicologico direttamente a domicilio, migliorando così la loro qualità di vita e riducendo contemporaneamente la pressione sugli ospedali”.

Tra i temi affrontati ad Atene anche il ruolo dell’intelligenza artificiale nel trattamento dei tumori. “Ciò che è emerso è l’urgenza della condivisione dei dati da parte dei Centri oncologici – afferma il dottor Nicolis –. I dispositivi diagnostici (TC, RM, acceleratori lineari) dotati di AI sono sicuramente un valido supporto per il medico, ma l’intelligenza artificiale può imprimere un miglioramento significativo nella gestione del paziente solo avvalendosi di dati quantitativamente e qualitativamente rilevanti. Solo così l’elaborazione di un tale data base effettuata dall’intelligenza artificiale potrà garantire diagnosi più precise e in tempi più brevi, trattamenti appropriati e mirati, e  un uso sostenibile delle risorse”.


Endometriosi: Alice racconta del sogno di diventare mamma realizzato grazie alla ricerca

In questo video, Alice racconta la sua lotta contro l’endometriosi severa e come, grazie all’intervento dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, abbia realizzato il suo sogno di diventare mamma. Al suo fianco, la dott.ssa Anna Stepniewska, medico del Dipartimento di Ginecologia e Ostetricia diretto dal dottor Marcello Ceccaroni, spiega come grazie alla ricerca oggi la chirurgia possa non solo incidere sul benessere della donna colpita da endometriosi, ma possa favorire una gravidanza nonostante la malattia.

Dai primi sintomi, alla difficoltà di respirare a causa del gonfiore, fino all’intervento e alla gioia di tenere tra le braccia la sua piccola Sofia, Alice racconta come un centro qualificato, dove la ricerca si affianca alla clinica, sia stato fondamentale per superare le complicanze e coronare il suo sogno.

Per scoprire di più su come sostenere la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria: https://5xmille.sacrocuore.it/

 


Intervento all'IRCCS di Negrar per un bimbo di Gaza: tolta dall'occhio destro una grossa scheggia dovuta all'esplosione di un ordigno

La dottoressa Grazia Pertile ha rimosso la grossa scheggia e ricostruita l’integrità anatomica dell’occhio. Il bimbo di 7 anni proviene dall’Azienda ospedaliera di Padova dove è stato curato da fratture e ustioni a una gamba provocate da un ordigno lo scorso 15 aprile nel campo profughi di Khan Yunis, a sud della Striscia di Gaza. Se l’evoluzione sarà favorevole per un parziale recupero della capacità visiva dell’occhio, il bambino dovrà affrontare altri interventi

La dottoressa Grazia Pertile e il dottor Paolo Bonetti

È stato molto lungo, quasi sette ore, e delicato l’intervento chirurgico che ha coinvolto il piccolo Abdelrahman, il bambino palestinese di 7 anni, trasferito il 1° luglio dall’Ospedale di Padova all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar per essere sottoposto ad un complesso intervento all’occhio destro, gravemente danneggiato dall’esplosione di un ordigno il 15 aprile a Gaza.

L’équipe guidata dalla dottoressa Grazia Pertile, direttore di Oculistica, assieme alla dottoressa Elisa Bottega, il 2 luglio ha rimosso una grossa scheggia e ha ricostruito l’integrità anatomica dell’occhio (vedi servizio del TG1 in fondo a questo articolo).

“È stato un intervento molto complesso – spiega la dottoressa Pertile –. La scheggia occupava circa un terzo del volume dell’occhio e aveva provocato un’intensa reazione cicatriziale, anche a causa del tempo trascorso dal trauma, più di due mesi. Normalmente, in questi casi si interviene entro 24 ore per rimuovere il corpo estraneo e suturare la ferita. Inoltre, entro poche settimane è fondamentale riattaccare la retina nel caso si sia staccata. In questa situazione, alla gravità del trauma si è aggiunto il danno dovuto al ritardo nell’intervento. Nonostante tutto, siamo riusciti a riattaccare la retina, che si presentava accartocciata, e a ripristinare la struttura anatomica dell’occhio”.

Abdelrahman è stato già dimesso dal reparto di Pediatria, diretto dal dottor Paolo Bonetti, ed è ritornato a Padova. Il decorso post-operatorio sarà attentamente monitorato. Se l’evoluzione sarà favorevole per un parziale recupero della capacità visiva dell’occhio, il bambino dovrà affrontare altri interventi per trattare le cicatrici che si formeranno nei prossimi mesi e raggiungere la completa stabilizzazione della retina.

Abderahman è arrivato in Italia lo scorso 12 giugno nell’ambito di una missione umanitaria sostenuta da diverse organizzazioni ed è stato preso in carico dal sistema sanitario veneto insieme ad altri tre bambini palestinesi. I piccoli pazienti, accompagnati dai loro familiari, sono stati accolti presso l’Azienda Ospedaliera di Verona e di Padova.

Nella città del Santo Abdelrahman ha ricevuto le prime cure per le fratture e le ustioni riportate a una gamba. Accanto a lui ci sono la mamma, Amna, e la sorellina Batool, di 5 anni. Sono ciò che rimane della famiglia originaria di Rafah: l’esplosione in piena notte ha ucciso il papà, il fratellino di un anno e mezzo e uno zio, che vivevano con loro nella stessa tenda nel campo profughi di Khan Yunis, a sud della Striscia di Gaza. Nella città patavina a prendersi cura di loro oltre ai sanitari, l’Associazione “Padova abbraccia i bambini”, che ha seguito anche la fase del ricovero a Negrar.

Un plauso ai medici dell’IRCCS di Negrar è arrivato anche dal Presidente della Camera Lorenzo Fontana (clicca qui) e dal Presidente della Regione Veneto, Luca Zaia (clicca qui)


Festa Sacro Cuore: nuova TC, tecnologia rivoluzionaria per la diagnosi delle malattie cardio-vascolari

Inaugurata in occasione della Festa patronale del Sacro Cuore, la nuova TC Naeotom Alpha.Pro, uno dei modelli più avanzati di tomografo dotato di tecnologia “photon counting”. Grazie alla produzione di immagini ad altissima risoluzione e l’utilizzo efficiente delle radiazioni, trova impiego nella diagnostica cardio-vascolare ma anche di tante altre patologie, tra cui quelle oncologiche. Foto e video dell’evento

 

 

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria adotta la più avanzata e recente evoluzione tecnologica applicata alla Tomografia Computerizzata – TC o conosciuta più comunemente come TAC – le cui caratteristiche rivoluzioneranno lo studio diagnostico, in particolare del sistema cardiovascolare, ma anche di altri distretti corporei.

In occasione della festa patronale del Sacro Cuore di Gesù, venerdì 26 giugno all’ospedale di Negrar si è svolta la benedizione inaugurale della nuova TC Naeotom Alpha.Pro, uno dei modelli più avanzati di tomografo dotato di tecnologia “photon counting”: letteralmente a “conta fotonica”.

 

Mons. Domenico Pompili, Vescovo di Verona

Prima del “taglio del nastro”, il vescovo di Verona, mons. Domenico Pompili, ha presieduto la Messa nei giardini interni dell’ospedale. A concelebrarla anche il Casante dell’Opera Don Calabria, don Massimiliano Parrella. Erano presenti oltre a tutta la direzione dell’Ospedale con il presidente fr. Gedovar Nazzari, la vicepresidente della Regione Veneto, Elisa De Berti, il Prefetto di Verona, Demetrio Martino, il sindaco di Negrar, Fausto Rossignoli la direttrice generale e quella sanitaria dell’Ulss 9, rispettivamente Patrizia Benini e Denise Signorelli.

Elisa De Berti

“L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è una struttura di eccellenza non solo regionale – ha detto la vicepresidente De Berti Girando un po’ tutta l’Italia per gli impegni istituzionali ho incontrato molte persone che mi hanno riferito di essersi rivolte all’Ospedale di Negrar, definendolo una garanzia. Tuttavia – ha sottolineato – ciascuno di noi riguardo all’esperienza in ospedale alla fine ricorda il rapporto che ha avuto con le persone che ha incontrato: dal medico, all’infermiere agli addetti alla cura dell’ambiente. L’innovazione tecnologica può esserci se dietro c’è un’eccellenza umana del personale, che qui ha radici lontane, nel suo Fondatore, S. Giovanni Calabria”.

Dr. Giovanni Foti

La photon counting è una tecnologia in grado di superare la gran parte dei limiti storici della TC nello studio radiologico del cuore, tanto che anche nei casi più complessi può essere una valida alternativa alla coronarografia diagnostica, procedura invasiva e non priva di rischi”, ha spiegato il dottor Giovanni Foti, direttore della Diagnostica per immagini dell’IRCCS di Negrar. “Avvantaggiandosi di una risoluzione spaziale in media 3-4 volte superiore ai più comuni tomografi e di un efficiente utilizzo delle radiazioni, può essere impiegata anche per la diagnosi accurata di numerose patologie, dalle malattie neuro-vascolari, a quelle osteoarticolari, polmonari ed oncologiche”.

Dr. Carmine Cicciò

Il vero punto di svolta della tecnologia photon counting, rispetto alle TC precedenti, è nel funzionamento del detettore, il pannello che raccoglie i raggi X attenuati dal passaggio attraverso il corpo del paziente. Tale dispositivo è a “conta fotonica”, esso infatti non si limita a contare i fotoni (particella elementare dei raggi X) che arrivano al detettore, ma ne misura anche ogni singola energia). Questo in presenza di un’elevata risoluzione temporale (produce immagini ogni 66 millisecondi) e con un’esposizione a basse dosi di radiazioni.

“Tali caratteristiche ci permettono di ottenere da una parte immagini che rilevano anche il più piccolo dettaglio, fino a 100 micron (Ultra High Definition). E dall’altra, l’eliminazione degli artefatti, cioè quegli elementi che spesso compromettono la qualità diagnostica delle immagini dei vasi coronarici fornite dalle TC di precedente generazione”, ha illustrato il dottor Carmelo Cicciò, medico radiologo esperto in radiologia cardio-vascolare.

“Con la TC photon counting, invece, disponendo di immagini ad altissima definizione e ‘pulite’ da artefatti, possiamo raccogliere informazioni sulla composizione della placca aterosclerotica, che ne determina la stabilità, e quantificare con maggiore accuratezza il grado di restringimento del vaso, le cosiddette stenosi. Questo anche in pazienti con “alto rischio” di patologia coronarica o con patologia coronarica complessa già nota o già trattata con angioplastica – sottolinea il dottor Cicciò -. Sono tutte informazioni, di cui prima non potevamo disporre in maniera così accurata, importanti per orientare il cardiologo a una gestione personalizzata del paziente, limitando la coronarografia, procedura invasiva e non priva di rischi, ai casi in cui la stenosi necessita di essere trattata, avviando gli altri a una terapia farmacologica”.

Claudio Cracco

“L’innovazione tecnologica è da sempre una direttrice strategica dell’IRCCS di Negrar” ha detto l’amministratore delegato Claudio Cracco. “Il fine ultimo del nostro operato quotidiano è prendersi cura del paziente assicurando le migliori opzioni diagnostiche e terapeutiche. La nuova TC rientra in questa visione. Questa tecnologia di ultima generazione consentirà un percorso diagnostico per il paziente più sicuro e personalizzato e permetterà un approccio più sostenibile e appropriato, essendo una valida alternativa a una indagine invasiva come la coronarografia diagnostica”.

Patrizia Benini

“E’ importante valorizzare questa dinamicità, che sicuramente il privato ha e mette in campo, all’interno di una collaborazione strutturale e strutturata con il servizio pubblico”, ha commentato Patrizia Benini, direttrice generale dell’Ulss 9. “Credo che oggi sia questo il vero messaggio: continuare su questa strada dove pubblico e privato sono all’interno di una rete, grazie alla quale, con possibilità e capacità diverse, ciascuno può differenziare l’offerta e avere un ruolo paritario per offrire un servizio all’utenza. Qui non è una gara, ma è una collaborazione per dare il meglio a chi si rivolge a noi”.


Al dottor Guglielmetti il sigillo della Città di Trento: "Lo dedico ai pazienti dello studio sulla tubercolosi resistente ai farmaci"

Dopo essere stato citato dal Time tra le 100 persone più influenti del mondo in ambito sanitario, il dottor Lorenzo Guglielmetti, responsabile della UOS Tubercolosi e Micobatteri, è stato insignito dell’antico sigillo della Città di Trento, sua città natale. “Questo riconoscimento è dedicato in particolare ai quasi 4000 pazienti che hanno accettato di partecipare al progetto endTB, permettendo di identificare un nuovo trattamento più breve e meglio tollerato per la tubercolosi multiresistente.”

“Per aver saputo conciliare l’attività scientifica e l’impegno umanitario e per aver messo a servizio delle aree marginali del mondo la più avanzata ricerca medica”. Con questa motivazione il dottor Lorenzo Guglielmetti, responsabile dell’Unità Operativa Semplice Tubercolosi e Micobatteri del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS d Negrar, è stato insignito dell’antico sigillo della Città di Trento, l’Aquila ardente di San Venceslao, assegnato ai cittadini originari del capoluogo alpino che si sono distinti nel mondo in vari ambiti.

Guglielmetti è stato inserito recentemente dal Time tra le più influenti persone al mondo nell’ambito sanitario, grazie allo studio sulla Tubercolosi resistente ai farmaci, pubblicato quest’anno sul New England Journal of Medicine.  Insieme a lui il sindaco Franco Ianeselli ha premiato con la più alta onorificenza comunale, assegnata in occasione delle celebrazioni dedicate a San Vigilio, patrono di Trento, anche il botanico Franco Pedrotti.

Nato a Trento 42 anni fa, Guglielmetti, dopo la laurea e la specializzazione in malattie infettive all’Università di Verona, è partito nel 2014 per Parigi, dove ha conseguito alla Sorbona il master e il dottorato in Epidemiologia e Salute globale, per poi iniziare a lavorare per Medici Senza Frontiere. Un’attività sul campo, in vari Paesi dove la tubercolosi fa più vittime. Nel 2017 è diventato responsabile del progetto di ricerca clinica endTB, insieme alle Ong Partners in Health (USA) e la Interactive Research and Development (Pakistan), conducendo per 8 anni un lavoro enorme in sette Paesi dal Kazakistan al Perù con l’obiettivo di migliorare il trattamento della tubercolosi resistente ai farmaci.

Quasi scomparsa nei Paesi sviluppati, la tubercolosi continua a mietere vittime nel resto del mondo: basti pensare che ogni anno i morti raggiungono la tragica cifra di un milione e 400 mila, che ogni tre minuti muore un bambino”, ha detto il sindaco Ianeselli conferendo l’onorificenza all’infettivologo. È uno scandalo intollerabile… il nostro mondo si adatta benissimo alla sofferenza dei bambini, sacrificati troppo spesso a una real politik impegnata a soppesare e valutare le buone ragioni di Erode, a tagliare i fondi per la ricerca e per i progetti umanitari. Per questo la storia del dottor Guglielmetti ci dà speranza: non ci colpisce solo il fatto che il suo nome sia stato inserito da Time tra le cento persone più influenti in ambito sanitario. Ci colpisce la sua scelta di lavorare per un’Organizzazione non governativa, di fare ricerca in campi difficili e poco remunerativi, di dedicarsi a una malattia povera, che miete vittime considerate residuali e che condanna a morte persone la cui vita viene ritenuta meno importante delle nostre…”.

“Sono molto orgoglioso di aver ricevuto questo prestigioso riconoscimento – ha commentato il dottor Guglielmetti – Esso  sottolinea l’importanza della ricerca indipendente su patologie che hanno un impatto rilevante sulla salute globale ma sono dimenticate da investitori e aziende farmaceutiche. Questo riconoscimento è dedicato in particolare ai quasi 4000 pazienti che hanno accettato di partecipare al progetto endTB, permettendo di identificare un nuovo trattamento più breve e meglio tollerato per la tubercolosi multiresistente.”


TARE: sfere radioattive per curare localmente il tumore del fegato

Tra i trattamenti loco-regionali, il più innovativo è la TARE (Radioembolizzazione Trans-Arteriosa) che viene effettuata in poche strutture in Italia. Tra queste l’Unità Operativa Semplice di Epatologia Interventistica dell’IRCCS di Negrar, di cui è responsabile la dottoressa Sara Boninsegna. La UOS, che fa parte della Gastroenterologia ed Endoscopia, diretta dal dottor Paolo Bocus, ogni anno tratta con questa procedura una ventina di pazienti. La TARE è una forma di radioterapia interna mirata, in cui le radiazioni vengono rilasciate direttamente nella zona tumorale tramite i vasi sanguigni che la riforniscono.

L’epatocarcinoma, o carcinoma epatocellulare-HCC, è il tumore primitivo più comune del fegato di cui in Italia si registrano 13mila nuovi casi all’anno. La prognosi varia a seconda dello stadio in cui viene diagnosticato e attualmente sono disponibili diverse possibilità terapeutiche: la resezione chirurgica, i trattamenti loco-regionali (termoablazione, TACE e TARE) e infine il trapianto di fegato.

Tra i trattamenti loco-regionali, il più innovativo è la TARE (Radioembolizzazione Trans-Arteriosa) che viene effettuata in poche strutture in Italia. Tra queste l’Unità Operativa Semplice di Epatologia Interventistica dell’IRCCS di Negrar, di cui è responsabile la dottoressa Sara Boninsegna. La UOS, che fa parte della Gastroenterologia ed Endoscopia, diretta dal dottor Paolo Bocus, ogni anno tratta con questa procedura una ventina di pazienti.

Dottoressa Boninsegna, in cosa consiste la TARE?
Sara Boninsegna, gastroenterologa IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr.ssa Sara Boninsegna

La Radioembolizzazione Trans-Arteriosa, o TARE, è un trattamento medico per il cancro al fegato che utilizza microsfere radioattive (contenenti ittrio-90) con lo scopo di distruggere le cellule tumorali. Le microsfere, somministrate per via interarteriosa, raggiungono la zona tumorale, dove liberano radiazioni beta, che provocano la necrosi delle cellule tumorali, provocandone la morte. In pratica, si tratta di una forma di radioterapia interna mirata, in cui le radiazioni vengono rilasciate direttamente nella zona tumorale tramite i vasi sanguigni che la riforniscono. La parte sana del fegato viene solo minimamente coinvolta, per consentire di funzionare regolarmente.

Quando è indicato intervenire con la TARE?

La TARE è indicata principalmente per il trattamento di tumori del fegato, sia primari (come l’epatocarcinoma ed il colangiocarcinoma) che secondari (metastasi di altre neoplasie, come quella al colon-retto), quando la resezione chirurgica o altre metodiche loco-regionali sono controindicate. Oppure quando la chemioterapia non è attuabile.

Può essere usata in concomitanza con altre terapie?

La TARE non esclude altri tipi di terapie, come per esempio l’immunoterapia. Anzi, portando il tumore alla regressione, può far rientrare il paziente nei criteri per procedere con la resezione chirurgica o addirittura con il trapianto. Pertanto è molto importante definire un percorso di cura multidisciplinare in cui i diversi specialisti possano offrire differenti opzioni terapeutiche, a fini curativi o palliativi, per ottenere la migliore risposta sul tumore. In proposito all’IRCCS di Negrar opera un gruppo oncologico multidisciplinare – formato da gastroenterologi, oncologi, anatomopatologi, radiologi interventisti, medici nucleari, fisici nucleari e chirurghi – con l’obiettivo di offrire al paziente il migliore trattamento possibile in quella determinata fase della malattia.

Come avviene il trattamento?

La TARE prevede due fasi. La prima è preparatoria con lo scopo di individuare il punto esatto dove devono essere collocate le sfere radioattive. Dopo due settimane, il paziente ritorna in ospedale per l’infusione delle microsfere tramite catetere per via intrarteriosa. Poiché le microsfere addizionate con Ittrio 90 giungono a Negrar dal Canada, dove il radioisotopo viene prodotto da una centrale atomica, la dose importata deve tener conto del decadimento delle radiazioni emesse dal radiofarmaco che intercorre dal momento della produzione fino a quello della somministrazione. Il ricovero dopo il trattamento (due-tre giorni) non richiede isolamento, perché il radiofarmaco emana radiazioni che hanno una penetrazione tessutale di 2,5 millimetri, quindi non escono dal corpo del paziente stesso.

Comporta effetti collaterali?

In genere può presentarsi la febbre nei giorni successivi al trattamento, sintomo gestibile con farmaci. In casi rari, possono verificarsi complicanze più gravi, come l’infiammazione del fegato, ma sono generalmente rare.


Malattia di Crohn: il racconto di Emma e l'importanza della ricerca

In questo video, Emma racconta la sua vita con la malattia di Crohn. Al suo fianco, la dottoressa Angela Variola, responsabile del Centro Malattie Retto-Intestinali. Emma è stata sottoposta a un intervento all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, dovuto alle complicanze della sua patologia non diagnosticata in tempo, ma non è guarita dalla malattia di Crohn. Tuttavia grazie alla terapia con farmaci biotecnologici, oggi sta bene e conduce una vita normale. “Grazie a questi farmaci – afferma la dottoressa Variola nel video – oggi circa la metà dei pazienti in trattamento sono in remissione”. L’obiettivo, attraverso la ricerca, è di portare questa percentuale di pazienti in remissione al 100%, prevenendo le complicanze che possono portare a interventi anche molto invasivi. Con la speranza concreta, sempre attraverso la ricerca, di scoprire in futuro terapie che portino alla guarigione definitiva dalle patologie infiammatorie croniche dell’intestino, quali appunto la malattia di Crohn e la colite ulcerosa.

Per scoprire di più su come sostenere la ricerca dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria: https://5xmille.sacrocuore.it/

 


La Famiglia Calabriana si riunisce in assemblea a Roma

Dall’1 al 7 giugno 38 religiosi, religiose e laici dell’Opera Don Calabria sono riuniti al Collegino di Primavalle (Roma) per l’assemblea di metà sessennio. L’incontro serve per verificare il cammino fatto a tre anni di distanza dal Capitolo Generale e definire il percorso del prossimo triennio che coinvolgerà tutte le Case e le attività calabriane, tra cui la Cittadella della Carità di Negrar.

Si sta svolgendo in questi giorni a Roma l’assemblea di metà sessennio della Famiglia Calabriana, di cui fa parte anche la Cittadella della Carità di Negrar. L’incontro, che si svolge presso il Collegino di Primavalle, è cominciato domenica e proseguirà fino a sabato 7 giugno, con l’obiettivo di fare il punto sul cammino percorso dall’Opera Don Calabria nei tre anni trascorsi dall’ultimo Capitolo Generale (Maguzzano, 2022). Sono 38 i partecipanti tra religiosi, religiose e laici provenienti da tutti i territori nei quali è presente la Famiglia Calabriana nel mondo.  Tra loro anche fratel Gedovar Nazzari e don Miguel Tofful, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

I Paesi dove è presente l'Opera Don Calabria

L’assemblea è iniziata domenica 1 giugno con la benedizione delle 15 bandiere dei Paesi dove è presente l’Opera, effettuata dal Casante don Massimiliano Parrella insieme alla Madre Generale delle Povere Serve della Divina Provvidenza, Sor. Lucia Bressan. A seguire, dopo una giornata di ritiro spirituale e una toccante mattinata dedicata alla condivisione delle attività, dei colori e dei sapori di ogni territorio, nel pomeriggio di martedì è iniziato il lavoro di riflessione sul documento intitolato “Ego dixi”, nel quale sono raccolti gli obiettivi del Capitolo Generale e i dati delle verifiche effettuate nelle varie Case e comunità calabriane. La riflessione e il confronto proseguiranno fino a giovedì 5 giugno, mentre il venerdì è previsto per i partecipanti il pellegrinaggio giubilare con il passaggio della Porta Santa.