È conosciuta come gestosi, ma il termine medico è preeclampsia ed è una delle cause di morte per parto, anche nei Paesi sviluppati. Questo venerdì un congresso internazionale sul tema organizzato dall’Ostetricia del Sacro Cuore

Si svolgerà venerdì 16 settembre nella sala convegni della Gran Guardia la terza edizione del congresso internazionale sulla preeclampsia, popolarmente conosciuta come gestosi, cioè la pressione alta con danno renale in gravidanza. Una patologia ancora potenzialmente mortale sia per la mamma che per il bambino. Nei Paesi poveri è causa di 49 decessi ogni 100mila parti, mentre, secondo l’Oms nelle regioni più sviluppate la percentuale scende a 8-17 morti. Dati più confortanti in Italia, dove muoiono 3 donne ogni 100mila parti.

Il meeting, che vede la presenza dei maggiori esperti nazionali e mondiali sul tema, è organizzato dalla Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, e vede il patrocinio del ministero della Salute e della Società nazionale ed internazionale per lo studio dell’ipertensione in gravidanza. Durante la giornata verrà fatto il punto sullo stato dell’arte della ricerca, sulle metodologie diagnostiche e sul trattamento clinico della malattia.

“La preeclampsia ha una prevalenza del 2-3% sul totale delle gravidanze. Tra le gestanti con una storia personale e familiare di ipertensione o affette da sindrome metabolica la percentuale sale fino al 5-12%”, spiega il dottor Marco Scioscia, che presiede il congresso assieme al dottor Ceccaroni e al presidente onorario Christopher W. Redman, ordinario dell’Università di Oxford e uno dei massimi luminari sulla patologia.

Sulle cause della patologia sta indagando ancora la ricerca medica, mentre l’unica prevenzione resta la diagnosi precoce. “Di solito si manifesta dopo la ventesima settimana di gestazione, fino a un mese dopo il parto – spiega ancora Scioscia -. Il campanello d’allarme è la pressione alta, con valori cioè superiori o uguali a 140 mm/Hg per la massima e 90 mm/Hg per la minima. Diventa preeclampsia quando è associata a perdita di proteine nelle urine (proteinuria). In questi casi la paziente viene sottoposta a terapia farmacologica antipertensiva e a stretto monitoraggio, anche per intercettare segnali di sofferenza da parte del bambino, come una minore crescita o addirittura un azzeramento della stessa. Quando accade e il bimbo può vivere al di fuori del grembo materno, si induce il parto o si procede con il cesareo”.

Indipendentemente dalla terapia, la preeclampsia può evolvere in eclampsia, un evento imprevedibile che si manifesta nella donna con convulsioni e perdita di coscienza che generalmente si associano a danni cerebrali di tipo emorragico potenzialmente mortali. Uno studio italiano del 2013, che ha preso in considerazione 100.868 donne provenienti da 61 punti nascita, tra cui quello di Negrar, ha rilevato 33 casi di eclampsia con un incidenza di 3,27 ogni 10mila parti. “Una percentuale non trascurabile – conclude Scioscia -. Nei Paesi sviluppati possiamo salvare un numero maggiore di donne grazie alle terapie intensive presenti capillarmente sul territorio, diverso è il discorso purtroppo per i Paesi in via di sviluppo”.