Lunedì 20 maggio, alla presenza dell’assessore regionale alla Sanità e il Sociale, Manuela Lanzarin, è stato inaugurato l’Ospedale di Comunità dell’IRCCS di Negrar. Ventiquattro posti letto rivolti a pazienti che superata la fase acuta della malattia non possono rientrare momentaneamente a domicilio. Attivo dal 13 marzo, ha ricoverato già 50 pazienti, provenienti dai reparti per acuti degli ospedali dell’Ulss 9, dal territorio e dal pronto soccorso.

L’assessore Manuela Lanzarin

Con il taglio del nastro da parte dell’Assessore regionale alla Sanità e Servizi Sociali, Manuela Lanzarin, questa mattina (lunedì 20 maggio) è stato ufficialmente inaugurato l’Ospedale di Comunità dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

Erano presenti anche il prefetto di Verona, Demetrio Martino,  il direttore generale e sanitario dell’Ulss 9, rispettivamente Patrizia Benini e Denise Signorelli, il comandante provinciale dei Carabinieri, Francesco Novi, quello della Guardia di Finanza, Italo Savarese, la dottoressa Anna Maria Fiorillo, in rappresentanza del Questore, e il sindaco di Negrar, Roberto Grison. La benedizione è stata impartita dal Superiore generale dell’Opera Don Calabria, padre Massimiliano Parrella. Il card. Claudio Gugerotti, Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, ha inviato un messaggio di saluto non potendo essere presente in quanto convocato per un incontro da Papa Francesco.

“L’Ospedale di Comunità dell’IRCCS di Negrar rientra appieno nella programmazione regionale che prevende una vasta rete di strutture intermedie tra ospedale e territorio”, ha affermato l’assessore Lanzarin.  “Questa struttura ha alcune peculiarità importanti: fa parte della Cittadella della Carità, nella cui area gravitano l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico per le Malattie infettive e tropicali) e i Centri Servizi per anziani non autosufficienti (Casa Nogarè, Casa Perez e Casa Clero) e Stati Vegetativi Permanenti. In più la vicinanza all’ospedale agevola, là dove è necessario, l’accesso alla specialistica diagnostica e terapeutica e rende immediata la gestione dell’urgenza. Condivido in pieno, infine, la scelta per la quale la presenza dei familiari durante la giornata non è sottoposta a orari. Un chiaro segnale di umanità e di vicinanza anche alle famiglie”.

Il Prefetto Dmetrio Martino

Una peculiarità dell’OdC dell’IRCCS di Negrar che ha ricevuto parole di apprezzamento anche dal Prefetto Martino, il quale ha rilevato che “oggi ci troviamo qui a festeggiare l’apertura concreta e la disponibilità di nuovo presidio sanitario. Ma per arrivare qui c’è stato negli anni un grande lavoro di sistema e di buona amministrazione che vanno assolutamente sottolineati”.

L’Ospedale di Comunità si trova al terzo piano di Casa Nogarè, una delle tre strutture residenziali extra-ospedaliere della Cittadella della Carità, ed è dotato di 24 posti letto, distribuiti in 12 stanze. La realizzazione è stata sostenuta interamente dall’IRCCS di Negrar.

Dal 13 marzo, l’OdC ospita, come da normativa, pazienti clinicamente stabili dopo una fase acuta della patologia, ma non idonei al rientro a domicilio oppure pazienti cronici che a causa del riacutizzarsi della malattia non possono, momentaneamente, essere seguiti a casa. In generale sono soggetti che necessitano di cure mediche a bassa intensità e soprattutto di assistenza infermieristica continuativa, anche notturna. L’obiettivo è il ripristino dell’autonomia del paziente, finalizzata al rientro nella propria abitazione. La degenza a carico del Servizio Sanitario Nazionale (quindi gratuita per il cittadino) è prevista per un massimo di 30 giorni, prorogabile con un contributo economico del paziente. Dal punto di vista organizzativo, l’OdC è una risposta alle cosiddette dimissioni difficili, che altrimenti troverebbero come alternativa la permanenza nei reparti per acuti, a causa della complessa valutazione per l’inserimento nelle lungodegenze, dei tempi tecnici dell’attivazione dell’assistenza domiciliare o più semplicemente per i tempi necessari all’adeguamento dell’abitazione.

Come per tutti gli altri sei Ospedali di Comunità del Veronese, l’accesso dei pazienti è governato dalla COT (Centrale Operativa Territoriale) dell’Ulss 9 che vaglia l’idoneità delle richieste provenienti dai reparti per acuti degli ospedali della provincia o dai medici di medicina generale e anche dai Pronto Soccorso.

Il direttore generale dell’Ulss 9, Patrizia Benini

Attivare da parte della Regione un ospedale di comunità all’interno di un ospedale convenzionato significa di fatto dare evidenza a quella che dovrebbe essere la normale sinergia tra sistema pubblico e convenzionato di valore, qual è il Sacro Cuore Don Calabria, grazie alla quale il cittadino può trovare risposta”, ha sottolineato il direttore generale dell’Ulss 9, Patrizia Benini.

Il Presidente, fr. Gedovar Nazzari

“Oggi questa Cittadella si arricchisce di una nuova struttura. L’organizzazione che la caratterizza e la finalità per cui è stata realizzata rispondono all’idea di sanità così come la concepiva San Giovanni Calabria”, ha esordito il presidente, fr. Gedovar Nazzari. “Per il nostro Santo Fondatore la sanità ha ragione d’essere perché è al servizio della persona, perché si prende cura del malato, facendosi carico soprattutto delle situazioni di particolare bisogno”.

L’Amministratore Delegato, Claudio Cracco

L’Ospedale di Comunità è previsto dalle schede ospedaliere dell’ultimo Piano sanitario regionale del 2019 (DGR 614). Quindi la sua realizzazione non è frutto dell’emergenza pandemica né dei fondi messi a disposizione dal PNRR. Bensì dalla lungimiranza della Regione Veneto: la prima normativa regionale che ha definito i requisiti di autorizzazione e accreditamento per gli ospedali di comunità risale al 2012”, ha sottolineato l’Amministratore Delegato, Claudio Cracco.La volontà regionale di rafforzare la rete delle cure intermedie, coinvolgendo anche la sanità privata accreditata, ha incontrato piena corrispondenza con il progetto che caratterizza da sempre la Cittadella della Carità, quello di creare all’interno della stessa un percorso di presa in carico del paziente in ogni fase della malattia”.

L’équipe dell’OdC è composta da medici – tra cui il responsabile clinico, dottor Luca Scala – da personale infermieristico e da operatori socio sanitari (oss). Il Piano assistenziale individuale (PAI) redatto per ogni paziente prevede, se necessario, anche un programma di riabilitazione con un fisioterapista dedicato dell’Unità Operativa di Riabilitazione Ortopedica che si trova sullo stesso piano dell’Ospedale di Comunità. Figura peculiare dell’Ospedale di Comunità è il case manager, un infermiere che ha il compito di seguire e nel caso di implementare o rivedere, in collaborazione con l’équipe medica e infermieristica, il PAI di ciascun paziente, mantenendo i rapporti con la famiglia in vista del rientro a casa.

Il dottor Luca Scala e la dottoressa Cristina Grillo

“Finora abbiamo accolto circa 50 pazienti provenienti sia dall’area medica sia da quella chirurgica degli ospedali dell’Ulss 9, ma abbiamo avuto anche accessi dal territorio tramite i medici di medicina generale e dal Pronto Soccorso”, spiega il dottor Scala. “Sono in genere anziani pluripatologici che necessitano di un riequilibrio del loro piano terapeutico farmacologico. L’approccio medico è di presa in carico a 360°, fondamentale per il raggiungimento dell’autonomia possibile del paziente e del suo ritorno a casa”.

L’assistenza infermieristica è garantita h24, mentre i medici sono presenti  dalle 8 alle 20. Dopo, in caso di necessità, interviene la guardia medica interna in collaborazione con la guardia medica territoriale. “Un tratto distintivo del nostro Ospedale di Comunità è la possibilità della presenza di un familiare durante tutta la giornata senza limiti di orario”, spiega il coordinatore infermieristico, Antonio Zattarin. “Sappiamo quanto sia importante la vicinanza di un proprio caro nel percorso di guarigione. Ma abbiamo voluto la presenza dei familiari anche in una logica formativa, in quanto affiancando gli operatori hanno l’opportunità di acquisire le modalità di assistenza del loro congiunto una volta tornato a casa”