Il giorno dopo l’approvazione delle leggi razziali don Giovanni Calabria si recò in visita dal Rabbino Capo di Verona per esprimere tutto il proprio dolore per l’ingiustizia subita dal popolo ebraico. E anche durante la guerra non fece mai mancare il suo sostegno agli amici ebrei, alcuni dei quali trovarono rifugio nelle case dell’Opera. Ne parliamo in occasione della giornata della Memoria della Shoah

«Solo la carità, la vera carità che tutti abbraccia perché tutti figli di Dio, può salvare la povera umanità, che si trova sull’orlo della rovina. Oggi con l’approvazione del mio Padre spirituale, mi sono portato dal Rabbino di Verona, per dire tutto il mio dolore, per la prova che subisce il popolo ebreo. Vi era la sua signora, che gradì molto il pensiero».

A scrivere queste parole è don Giovanni Calabria sul suo diario in data 18 novembre 1938. Il giorno prima, 17 novembre, era entrato in vigore il Regio Decreto n. 1728 contenente provvedimenti per la difesa della razza italiana. In altre parole, le leggi razziali contro gli ebrei. Don Calabria non aveva perso tempo e si era recato immediatamente dal Rabbino Capo di Verona, dott. Ermanno Friedenthal, per esprimergli tutta la propria solidarietà. E non lo aveva fatto di nascosto, lui che era solito agire con umiltà e nel nascondimento. Invece leggiamo nelle cronache che si era recato dal Rabbino su una carrozza trainata da cavalli, un mezzo che al tempo sicuramente non passava inosservato, a testimoniare la sua volontà di compiere un gesto simbolico.

In occasione della giornata della memoria della Shoah, che ricorre il 27 gennaio, la figura del santo sacerdote veronese merita senz’altro di essere ricordata per le azioni concrete che fece a sostegno degli amici ebrei in quei tempi difficili. Fin da bambino don Calabria aveva frequentato ed apprezzato persone di religione ebraica e questo legame si era rafforzato nel tempo anche quando, dopo aver fondato l’Opera dei Buoni Fanciulli, egli era stato tra i pionieri del dialogo ecumenico e interreligioso.

Neanche durante la guerra don Calabria fece mancare la sua vicinanza al popolo ebraico. Molto significativa, in tal senso, è la vicenda della dottoressa ebrea Mafalda Pavia. La signora era figlia di Caliman Clemente Pavia, un ufficiale medico che era stato diretto superiore, oltre che amico, del giovane Calabria durante il servizio di leva all’ospedale militare di Verona. Alla fine del 1943 la dottoressa Pavia, al tempo un’affermata pediatra, si recò a San Zeno in Monte da don Calabria per chiedere aiuto. Alcuni giorni prima, infatti, era stato diramato un ordine di Polizia che prevedeva di avviare tutti gli ebrei residenti sul territorio nazionale verso appositi campi di concentramento. Don Calabria la accolse nel suo studio e si attivò immediatamente.

La dottoressa Pavia (prima a sinistra) insieme alla nota scrittrice Liliana Tedeschi all’inizio degli anni Sessanta

Pochi giorni dopo la dottoressa entrò come “Suor Beatrice” nella Casa delle Povere Serve della Divina Provvidenza di Roncà, nell’est veronese. Rimase là al sicuro fino al termine del conflitto. Da questa vicenda nacque una profonda amicizia tra i due protagonisti, tanto che la testimonianza della dottoressa Pavia fu molto importante nel cammino che portò alla canonizzazione di don Calabria.

Ma la Pavia non fu l’unica ebrea accolta da don Calabria nelle sue case durante il conflitto. Sempre a Roncà, ad esempio, entrarono i fratelli Enzo ed Enrico Basevi, che durante la loro permanenza nell’Istituto per evitare persecuzioni da parte dei fascisti saranno promossi, per l’occasione, “Aspiranti alla vita religiosa laicale» e assumeranno il cognome di Pizzighella. Altri furono salvati, a Verona e in altre città dove l’Opera era presente, come a Roma.

 

L’attestato consegnato dalle Comunità Israelitiche Italiane all’Istituto Don Calabria nel 1955

Il legame con il popolo ebraico non venne mai meno neanche dopo la fine della guerra, tant’è vero che ai funerali di don Calabria, il 7 dicembre 1954, partecipò anche il rabbino di Verona, dottor Weiss Levi, a nome di tutta la comunità ebraica scaligera. E l’anno dopo, nel decennale della Liberazione, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane volle dare una pergamena all’Istituto, con la dedica: “Gli Ebrei d’Italia riconoscenti”.

 

* Per approfondire: L. Piovan e M.P. Pelloso, “Shalom Beatrice”, Lettere di una “medichessa” ebrea a un Santo”, Editrice Ave, 2000

** Nella foto di copertina: don Calabria insieme ai Novizi di Roncà nel 1944 (tra loro anche due fratelli ebrei che erano stati accolti per sfuggire alle persecuzioni dei nazifascisti)