Quando un paziente deve fare i conti con un’improvvisa disabilità, la riabilitazione può aiutarlo a guardare con più fiducia alla nuova vita che lo aspetta. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Elena Rossato, direttore del Servizio di Riabilitazione, in occasione della Giornata Internazionale per i diritti delle persone con disabilità, istituita dall’Onu nel 1981 e celebrata ogni anno il 3 dicembre.

La disabilità acquisita in seguito a malattia o incidente non è una mancanza da colmare o un limite da rimuovere per tornare come prima, ma piuttosto una condizione nella quale, attraverso la partecipazione del paziente e dei suoi cari, è possibile esplorare un nuovo modo di inserirsi nella quotidianità.

È un messaggio costruttivo e di speranza quello che arriva dal Servizio di Medicina fisica e riabilitativa del “Sacro Cuore”, in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità, che si celebra il 3 dicembre. Il Servizio, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, fa parte dell’Area Riabilitativa che comprende anche il reparto di Riabilitazione Intensiva – Unità gravi cerebrolesioni e Unità Spinale, la Lungodegenza riabilitativa e la Riabilitazione ortopedica. Si tratta di un punto di riferimento a livello nazionale con una particolare attenzione alla riabilitazione dei pazienti affetti da lesione midollare e da esiti di ictus (233 i ricoveri nella riabilitazione intensiva e 578 nel reparto di recupero e rieducazione funzionale e lungodegenza nel 2021).

Il Servizio di Medicina fisica e riabilitativa è l’unità che eroga prestazioni riabilitative all’interno dell’ospedale, assistendo i pazienti ricoverati e seguendone altri a livello ambulatoriale. Tra i pazienti trattati, molti sono coloro che si trovano ad affrontare per la prima volta una condizione di disabilità grave a causa di un incidente che ha lesionato il midollo spinale o per una condizione patologica improvvisa.

Elena Rossato, fisiatra IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
La dottoressa Elena Rossato

“Il principio cardine quando ci prendiamo cura di una persona paraplegica o emiplegica è capire che, al di là dell’aspetto strettamente fisico e funzionale, questa persona dovrà affrontare cambiamenti oggettivi nella sua vita quotidiana, nelle sue occupazioni e nella sua socialità – spiega Elena Rossato – per questo il nostro compito è sicuramente quello di aiutare il paziente a recuperare alcune abilità attraverso gli esercizi in palestra, le terapie e il supporto psicologico; ma la vera sfida è aiutarlo a ‘vedersi’ nella nuova situazione, fargli sperimentare una quotidianità nella quale per lui è ancora possibile fare tante cose che faceva prima, o anche diverse, a patto di sviluppare strategie adeguate”.

Partendo da questo approccio, già da anni il Servizio di Medicina fisica e riabilitativa propone ai pazienti, accanto a una riabilitazione d’eccellenza, un intenso programma di attività che guardano alla nuova vita che li aspetta fuori dall’ospedale. Ad esempio si è visto che una delle paure che generano più ansia in queste persone è l’impossibilità di tornare a guidare la macchina. Per questo si è deciso di organizzare uscite periodiche nelle quali si dà la possibilità, a chi è in grado, di fare prove di guida su una macchina adattata. Questo ha un effetto positivo perché permette ai pazienti di guardare in modo più sereno al proprio rientro a casa.

Ma sono tante altre le iniziative che vanno in questa direzione. È ormai consolidata una collaborazione con il Comitato Italiano Paralimpico (CIP) per la pratica di alcuni sport individuali e di squadra. Durante l’anno accade quindi che istruttori specializzati vengano in ospedale per far provare a un gruppo di pazienti sport quali la scherma paralimpica e il tiro con l’arco. Inoltre c’è una convenzione con il Comune di Negrar per l’utilizzo della palestra delle vicine scuole medie al fine di praticare sport di squadra come il basket, il rugby in carrozzina e le bocce.

“La pratica di uno sport ha un valore riabilitativo in sé, ma allo stesso tempo permette al paziente di conoscere una realtà che, se lo vorrà, potrà proseguire anche dopo la dimissione con beneficio sul fisico e sulla socialità”, prosegue la dottoressa Rossato. Una duplice valenza che riguarda anche il nuoto, praticato presso un’apposita piscina del Centro Don Calabria di Verona.

Altre attività sono le uscite terapeutiche per far approcciare la persona con l’ambiente esterno all’ospedale, provando esperienze magari già vissute prima della disabilità ma che ora avvengono in un contesto del tutto nuovo. Rientrano in tale ambito le uscite sulla neve, al parco, in malga e simili. Purtroppo durante il Covid questa attività è stata sospesa, ma l’obiettivo è di riprenderla al più presto.

Sempre nell’ottica dell’educazione alla quotidianità ci sono i pranzi in taverna, con i pazienti che talvolta sono coinvolti nella preparazione di un pasto speciale e poi mangiano insieme in un ambiente che si trova nel perimetro della Cittadella della Carità ma fuori dall’ospedale. Anche in questo caso, al di là del pur importante lavoro manuale, l’idea di fondo è aiutare il paziente a sfruttare le proprie abilità residue per fare quello che si faceva prima o anche per intraprendere qualcosa di nuovo. E’ il caso, per esempio, di alcuni pazienti che scoprono di avere una passione per l’arte partecipando al laboratorio di arteterapia che fa parte sempre della proposta riabilitativa del “Sacro Cuore” (vedi articolo sul laboratorio).

“Tutto questo è possibile grazie alla professionalità e alla disponibilità del nostro personale, senza dimenticare il fondamentale supporto dei familiari e delle associazioni che si occupano di queste tipologie di disabilità– conclude Elena Rossato – E’ grazie al lavoro in rete che diventa possibile promuovere un modo diverso di guardare la disabilità, ponendosi con la riabilitazione non solo l’obiettivo di aiutare le persone a recuperare il più possibile le capacità fisiche, ma anche a creare percorsi utili per l’inizio di una nuova vita, dove accanto a limitazioni e difficoltà ci possono essere nuove possibilità di autonomia e, perché no, felicità”.