Storie che curano, è il titolo del Laboratorio di Medicina narrativa promosso dal Servizio di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e rivolto ai cittadini (31 maggio e 7 e 14 giugno) e agli operatori sanitari con crediti ECM (9, 16 e 23 giugno). Il Laboratorio sarà tenuto dalla reumatologa Cinzia Scambi, da Elena Pigozzi, giornalista e scrittrice, e da Carla Galvani, fisioterapista e counselor in ambito sanitario.
Storie che curano, è il titolo del Laboratorio di Medicina narrativa promosso dal Servizio di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e rivolto ai cittadini (31 maggio e 7 e 14 giugno) e agli operatori sanitari con crediti ECM (9, 16 e 23 giugno). Il Laboratorio sarà tenuto dalla reumatologa Cinzia Scambi, da Elena Pigozzi, giornalista e scrittrice, e da Carla Galvani, fisioterapista e counselor in ambito sanitario. Il corso teorico-pratico è articolato in tre incontri in presenza di 3 ore ciascuno, durante i quali si proporranno esperienze narrative, attraverso lezioni teoriche frontali, esecuzione diretta di tecniche o pratiche, rielaborazione e confronto delle esperienze. Per informazioni e iscrizioni scarica il programma (link).
Ma che cos’è la medicina narrativa? A rispondere sono Luciano Vettore e Giacomo Delvecchio, entrambi medici, autori del libro Dottori, domani: “La medicina narrativa è un approccio che arricchisce l’atto medico grazie ai racconti dei pazienti, dei medici, degli infermieri e di quanti operano nel ‘pianeta salute’, grazie alla loro capacità di raccontare gli aspetti della salute e della malattia nelle loro variegate rappresentazioni emotive oltre che tecniche e scientifiche”.
Fanno parte del filone di medicina narrativa i racconti letterari e cinematografici sui pazienti e sui medici, sulla salute e sulla malattia. E ovviamente i racconti scritti da medici e da pazienti, molti dei quali possiamo già trovare in libreria.
Perché sia i pazienti che i medici sono narratori. Ma se i benefici della narrazione sono quasi intuibili per i primi (una sorta di catarsi durante la quale raccontare oltre il proprio stato fisico anche quello emotivo), per i secondi un po’ meno. Soprattutto da parte dei medici più convinti che “la verità sia figlia unica dell’obiettività e della razionalità”.
Medici che avrebbero un moto di orrore di fronte alla consuetudine di molti colleghi di scrivere diari della propria attività professionale. Invece trascurano il fatto “che raccontare con stile narrativo l’esperienza che si sta vivendo – soprattutto raccontarla per iscritto, perché l’obbligo di scrivere le nostre idee dà loro una forma definita e così le chiarisce anche a noi stessi – costituisce un forte stimolo alla riflessione critica sul proprio operato professionale e ne migliora la performance”
Inoltre, sempre secondo Vettore e Delvecchio, “l’apertura del medico alla medicina narrativa può migliorare le sue capacità di cura: infatti, i racconti del paziente, anche quando apparentemente divaganti rispetto alla malattia, possono fornire invece preziosi elementi di comprensione, utili all’interpretazione fisiopatologica dei segni e dei sintomi, all’attribuzione etiopatogenetica dei disturbi, all’indirizzo diagnostico e alla scelta terapeutica”.
Ma perché accada questo il paziente che racconta deve trovare il medico che lo ascolta. Non a caso il corso che si tiene all’ospedale di Negrar è finalizzato a potenziare la capacità di ascolto ed empatia, di comprendere le storie di malattia e di riflettere sui vissuti di tutti. Un esercizio prezioso per ognuno di noi, non solo per i sanitari e i pazienti.