L’IRCCS di Negrar è uno degli autori di uno studio che dopo molti anni traccia una mappatura della Toxoplasmosi in Italia. Dalla ricerca emerge che una percentuale di italiani testati erano positivi a ceppi non autoctoni in Italia – e più pericolosi –  del protozoo responsabile dell’infezione. Si tratta di viaggiatori che nei Paesi a rischio hanno consumato carne cruda o non ben cotta. La Toxoplasmosi si configura quindi non solo una patologia di genere nel periodo della gravidanza, ma anche di interesse da parte della medicina dei viaggi.

La Toxoplasmosi viene generalmente associata alla donna in gravidanza e alla dieta priva di alimenti crudi che per nove mesi la futura mamma deve assumere per non incorrere nell’infezione molto pericolosa per il feto. In realtà la Toxoplasmosi entra di diritto tra le “patologie del viaggiatore” che richiedono formazione per chi parte e attenzione nei confronti di chi torna. A dirlo è lo studio Toxoplasma gondii Serotypes in Italian and Foreign Populations: A Cross-Sectional Study Using a Homemade ELISA Test, condotto dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, insieme all’Ateneo della città lombarda e pubblicato sulla rivista scientifica Microorganisms.

Si tratta della prima indagine epidemiologica, seppur parziale, che dopo molti anni viene effettuata in Italia sulla Toxoplasmosi e che ha rilevato tra i soggetti a rischio i viaggiatori uomini tornati da zone dove è prevalente la forma più grave di infezione. Proprio per la caratteristica dello studio, che ha fatto emergere quanto la Toxoplasmosi non sia solo una patologia femminile associata alla gravidanza, l’Istituto Superiore della Sanità ha voluto inserire un estratto dell’indagine nella Newsletter di gennaio dedicata alla Medicina di genere con il titolo Distribuzione epidemiologica dei sierotipi di T. gondii nella popolazione italiana e straniera residente in Italia: differenza di genere.

I diversi ceppi del Toxoplasma gondii

Ma che cos’è la Toxoplasmosi? Si tratta di un’infezione provocata dal protozoo Toxoplasma gondii (T. gondii), che può essere trasmesso all’uomo tramite animali come il gatto o il topo, ma soprattutto ingerendo carne cruda o verdura venuta in contatto con feci feline infette e non lavata adeguatamente. Di T. gondii esistono diversi ceppi. In Europa (quindi in Italia) e nel Nord America è endemico il ceppo II che dà origine prevalentemente ad un’infezione asintomatica oppure a sintomi aspecifici come febbre associata a gonfiore dei linfonodi, malessere, stanchezza, mal di testa, mal di gola, senso di “ossa rotte” che si risolvono da soli senza intervento farmacologico. Più raramente l’infezione acuta può causare disturbi oculari come offuscamento della vista e dolore agli occhi, causati da una corioretinite che richiede diverse settimane di trattamento antiparassitario e cortisonico.

L’infezione da ceppo II: se contratta in gravidanza è pericolosa per il feto

Ma se l’infezione viene acquisita in gravidanza può provocare conseguenze molto gravi sulla maturazione del feto fino l’aborto spontaneo o la morte in utero. Per questo tra gli esami previsti per la gestante è compreso mensilmente anche il test della toxoplasmosi e la donna è invitata a non assumere alimenti crudi per tutta la gestazione se l’esame sierologico non rileva una precedente infezione. Infatti chi contrae la toxoplasmosi è protetto per tutto l’arco della vita.

I ceppi più virulenti e patogeni sono autoctoni in Brasile, Messico e Africa

In Brasile, Messico e Africa a prevalere sono invece i ceppi I e III, che presentano caratteristiche di elevata virulenza e bassi/medi livelli di patogenicità. A questi, soprattutto in Sud America, si associano i ceppi ricombinanti-misti (che cioè presentano caratteristiche sia del ceppo I sia del III) responsabili di gravi forme di manifestazione acuta polmonare e oculare. La retinite focale necrotizzante da toxoplasmosi è un fenomeno molto diffuso in Brasile, soprattutto tra i bambini ai quali causa dolore oculare, offuscamento della vista e cecità

Ma con i viaggi i protozoi non restano nei Paesi d’origine

Dr.ssa Sara Caldrer

“Tuttavia in un’epoca di viaggi, di lavoro o ludici, non possiamo limitare i ceppi più patogeni solo ad alcuni Paesi”, afferma la dottoressa Sara Caldrer, biologa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar e una delle autrici dello studio. “A confermarcelo è proprio la ricerca che abbiamo condotto con l’obiettivo di valutare la distribuzione epidemiologica dei ceppi di T. gondii in Italia nei pazienti che si sono rivolti ai Centri di Negrar e di Pavia, testando in totale 188 soggetti di cui 95 stranieri”.

Oltre il 18,5% degli italiani testati positivi ai ceppi non autoctoni

Come era prevedibile, il ceppo II è risultato essere il più diffuso nella popolazione italiana mentre il ceppo I e III si è dimostrato prevalente nel gruppo degli stranieri, soprattutto tra gli africani e sudamericani. “Sorprendentemente nel 14,5% degli italiani analizzati sono stati riscontrati i ceppi I-III e nel 4% dei casi un ceppo ricombinante misto. Inoltre, una grande differenza è risultata evidente stratificando la popolazione italiana rispetto al genere. Infatti, una quota rilevante di maschi italiani è risultata positiva per il ceppo I-III (22,2%) e per ceppi ricombinanti misti R/M (6,7%). Questi ceppi non autoctoni risultano invece essere meno frequenti nella popolazione femminile, che è stata arruolata nello studio per lo più durante lo screening per la toxoplasmosi in gravidanza”, sottolinea la biologa.

I soggetti più a rischio: i maschi viaggiatori

Cosa quindi possiamo dedurre? “Questi risultati supportano l’ipotesi che i maschi italiani potrebbero aver contratto l’infezione viaggiando in un zone in cui circola un ceppo diverso da quello autoctono italiano, ingerendo alimenti crudi contaminati. E’ un dato importante – sottolinea – perché innanzitutto la toxoplasmosi da malattia del genere femminile si configura come una patologia di interesse della ‘medicina dei viaggi’.

Quindi chi si sottopone a una consulenza medica prima di partire per un viaggio in Paesi a rischio deve essere educato e formato non solo ad astenersi da liquidi, se non in bottiglia, ma anche da cibi crudi o non ben cotti. In particolare le gravide sieronegative alla toxoplasmosi dovrebbero evitare di viaggiare nei Paesi dove sono evidenti scarse condizione igienico sanitarie o dove le forme gravi di toxoplasmosi sono prevalenti (ad esempio Brasile). “In secondo luogo – prosegue – di fronte a un viaggiatore da poco tornato in Italia con sindrome febbrile associata a ingrossamento dei linfonodi del collo, nella diagnosi differenziata deve essere contemplata anche la toxoplasmosi, soprattutto se compaiono anche sintomi visivi”.

In quest’ultimo caso, una valutazione oculistica tempestiva e l’eventuale somministrazione di pirimetamina, sulfadiazina e cortisone consente di abbattere il rischio di danni oculari permanenti e di ricorrenza della malattia. “Il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar ha seguito insieme al reparto di Oculistica della dottoressa Grazia Pertile numerosi pazienti affetti da toxoplasmosi oculare acuta o riattivazione, confermando l’importanza della collaborazione multidisciplinare nella gestione delle gravi malattie infettive”, sottolinea Caldrer.

Uno studio epidemiologico sulla presenza dei ceppi di T. gondii in Italia

I dati rilevati dalla ricerca pubblicata su Microorganisms hanno dato vita a uno studio multicentrico coordinato dall’Università di Pavia a cui partecipano l’IRCCS di Negrar e le Unità Operative e Complesse di Microbiologia e Virologia dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza e di Bari e il Dipartimento di Ricerca traslazionale dell’Università di Pisa. Lo scopo è quello di ampliare l’indagine epidemiologica a tutto il territorio nazionale, al fine di avere una mappatura più completa possibile dei ceppi di Toxoplasma gondii circolanti in Italia ed effettuare un’adeguata correlazione con le manifestazioni cliniche.