L’approccio multidisciplinare consente di costruire per il paziente affetto da tumore alla prostata un percorso terapeutico personalizzato: in un convegno a Negrar si farà il punto sulle cure della neoplasia più diffusa tra il sesso maschile

Un uomo su nove nel corso della sua vita si ammala di tumore alla prostata. Questo fa sì che la neoplasia prostatica sia il tumore più diffuso tra il sesso maschile con 37mila nuove diagnosi previste nel 2019. Tuttavia è anche uno dei tumori che ha un indice di sopravvivenza più alto: dopo 5 e 10 anni anni è pari rispettivamente al 92% e al 90%. Un risultato ottenuto grazie alla diagnosi precoce e al progresso delle terapie mediche, chirurgiche e radioterapiche.

Trattamenti che entrano in gioco – da soli o in combinazione – a seconda dell’estensione anatomica e dell’aggressività della neoplasia. A cui si aggiungono altri fattori prognostici quali l’età e la presenza di altre malattie che possono diminuire l’aspettativa di vita in maniera superiore al carcinoma prostatico stesso. Per questo è fondamentale che il paziente venga preso in carico da un team multidisciplinare che valuti attentamente il suo caso e prescriva un trattamento personalizzato.

Al team multidisciplinare nel carcinoma alla prostata è dedicato il secondo convegno nazionale che si terrà venerdì 6 e sabato 7 dicembre nella sala convegni dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Il simposio scientifico – patrocinato da AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e da AIRO (Associazione Italiana di Radioterapia e Oncologia Clinica) – è coordinato da tre primari di Negrar: la dottoressa Stefania Gori, dell’Oncologia Medica, dal professor Filippo Alongi, della Radioterapia Oncologica Avanzata, e dal dottor Stefano Cavalleri, dell’Urologia. Il convegno vede la presenza di oncologi, urologi, radioterapisti, anatomo-patologi e altri specialisti interessati al tumore alla prostata (endocrinologi, andrologi, internisti, cardiologi..) provenienti dalla maggiori strutture ospedaliere italiane (vedi programma).

Il “Sacro Cuore Don Calabria” è un centro di riferimento per il tumore alla prostata con 263 casi solo chirurgici nel 2018. Il paziente viene preso in carico dalla diagnosi, al trattamento fino alla riabilitazione, potendo usufruire di alte professionalità e di tecnologie di ultima generazione come il robot chirurgico Da Vinci Xi e l’acceleratore lineare “Unity“. Inoltre la radiologia esegue la biopsia prostatica in sede di Risonanza Magnetica e presso il Servizio di Terapia Radiometabolica vengono effettuati trattamenti con il radiofarmaco Xofigo per la cura delle metastasi ossee da carcinoma prostatico.

Oggi possediamo molte armi terapeutiche per combattere il tumore prostatico e la ricerca è sempre in evoluzione su questo ambito – spiega la dottoressa Gori -. Rimane fondamentale tuttavia costruire un percorso terapeutico personalizzato per ogni paziente e collaborare all’interno del team multidisciplinare anche con l’endocrinologo e il cardiologo. Infatti in una sessione del congresso, intitolata “Prendersi cura del paziente”, interverranno due endocrinologi-andrologi che affronteranno il tema dell’impotenza nel paziente con carcinoma alla prostata, mentre un cardiologo parlerà della cardiotossicità come effetto della terapia ormonale.La sessione sarà moderata da Edoardo Fiorini, presidente dell’associazione dei pazienti PaLiNUro”.

 

Dottoressa Gori, oltre alla terapia medica, chirurgica e radioterapica, si parla anche di ‘sorveglianza attiva’. In cosa consiste e per quali pazienti è indicata?

La diagnosi precoce di un tumore in fase iniziale può significare per le neoplasie a rischio basso/molto basso (cioè limitate alla prostata, ben differenziate, con un minimo volume tumorale e a bassi valori di PSA) e in uomini con aspettativa di vita superiore a 10 anni, scegliere tra la chirurgia, la radioterapia o la sorveglianza attiva. Con questo termine s’intende il monitoraggio del decorso della patologia per intervenire nel caso di progressione tumorale. Di solito si prevede la valutazione del PSA ogni 3-6 mesi, l’esplorazione rettale ogni 6-12 mesi ed eventualmente il ricorso a biopsie addizionali. L’obiettivo degli oncologi, ma anche dei chirurghi urologi e dei radioterapisti è quello di procrastinare il trattamento chirurgico o radioterapico per evitare gli effetti collaterali conseguenti. Naturalmente la scelta della sorveglianza attiva va comunque ampiamente condivisa con il paziente che dovrà essere informato sui rischi e sui benefici”.

 

Nella malattia metastatica, quali terapie abbiamo a disposizione?

Oltre all’ormonoterapia, cioè la soppressione della produzione degli ormoni androgeni, che rappresenta il trattamento di prima scelta consentendo solitamente di ottenere un controllo della malattia per un tempo compreso tra i 18 e i 24 mesi, oggi sono disponibili la chemioterapia e l’ormonoterapia alternativa. Non dimenticando nel caso delle metastasi ossee, i farmaci che inibiscono l’eccessivo riassorbimento osseo e il conseguente danno scheletrico (con dolore e fratture patologiche) la radioterapia e la terapia radiometabolica”.

 

Dal 2015 il Servizio di Medicina Nucleare dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Matteo Salgarello, effettua trattamenti con il radiofarmaco Xofigo. Questo radiofarmaco oltre ad avere un’azione sulla sintomatologia dolorosa, ha dimostrato di aumentare la sopravvivenza dei pazienti trattati e di avere un ottimo profilo di tollerabilità rispetto ai trattamenti radiometabolici del passato.

 

Dottor Cavalleri, l’intervento di prostatectomia è ancora visto con molto timore da parte dei pazienti per le eventuali sequele temporanee o permanenti (incontinenza urinarie e disfunzione erettile). Ci sono delle novità in proposito?

“La prostatectomia radicale è un intervento che prevede l’asportazione della prostata, dei tessuti vicini e dei linfonodi regionali al fine di prevenire eventuali recidive, pertanto il rischio di un interessamento dei nervi dell’apparato uro-genitale non è inconsistente. In un centro ad alto volume come il nostro grazie all’elevato expertise dei chirurghi urologi e all’utilizzo del Robot Da Vinci la chirurgia della prostata è solo mini-invasiva. Tale metodica, quando è possibile praticarla, aumenta la possibilità di preservare una normale funzione urinaria e sessuale dopo l’intervento. L’importante è che dopo l’intervento eseguire un trattamento di fisioterapia per la riabilitazione del pavimento pelvico”.

 

Professor Alongi, la radioterapia ha un ruolo chiave nella cura dei tumore alla prostataSicuramente, anche grazie all’avvento di apparecchiature che consentono di irradiare con alte dosi ed estrema precisione il tumore risparmiando i tessuti sani.

Questo si traduce per il paziente in maggiore efficacia e minori effetti collaterali. Un esempio di questi macchinari è “Unity”, l’acceleratore lineare integrato con la Risonanza Magnetica ad alto campo (1,5 tesla), che nell’Europa del Sud (vedi articolo) dispone solo l’ospedale di Negrar. In pazienti con tumore localizzato alla prostata, la radioterapia oggi rappresenta un’alternativa non invasiva all’intervento chirurgico radicale. Inoltre a radioterapia ha un ruolo importante anche in altri stadi della malattia tumorale a scopo adiuvante, cioè dopo l’intervento chirurgico, e anche in presenza di metastasi, per controllare sia i sintomi sia la malattia insieme ai farmaci. In particolare in questo ambito, come avviene per casi selezionati di singole o poche metastasi nelle sedi linfonodali o ossee, la radioterapia ablativa stereotassica può contribuire ad aumentare la sopravvivenza”.