Tre operatori del “Sacro Cuore” sono stati in Ucraina, nella regione di Ivano Frankivs’k, per un progetto di cooperazione sanitaria finanziato dal Ministero degli Esteri italiano. Obiettivo del progetto è accompagnare l’apertura di due centri di riabilitazione nel Paese martoriato dalla guerra. Ecco il racconto di ciò che hanno trovato…

Realizzare due nuovi centri riabilitativi nella regione di Ivano Frankivs’k, in Ucraina, promuovendo la formazione del personale locale e fornendo una consulenza per l’acquisto degli ausili necessari. E’ questo l’ambizioso obiettivo del progetto “Health care for safety and rehabilitation” finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, che vede come capofila l’associazione Missione Calcutta di Bergamo in collaborazione con Focsiv e come partner tecnico l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.

Nell’ambito di questa iniziativa lo scorso 2 luglio si sono recati in Ucraina la dottoressa Elena Rossato e Massimo Mengalli, rispettivamente direttore e coordinatore della Riabilitazione a Negrar, e il dottor Claudio Bianconi, responsabile per i progetti internazionali del Sacro Cuore. I tre hanno visitato le strutture dove sorgeranno i nuovi reparti di riabilitazione, ossia la clinica diocesana “St. Luke” di Ivano Frankivs’k e l’ospedale pubblico di Yasynia, nella vicina regione della Transcarpazia, dove si trovano molti sfollati fuggiti dalle zone del fronte in cui imperversa la guerra con la Russia.

Il viaggio è servito per incontrare il personale locale e i partner di progetto, per vedere gli spazi e valutare quali siano le apparecchiature da acquistare per i nuovi reparti. Si è parlato di revisione dei percorsi formativi in riabilitazione per il personale tecnico e medico anche in un incontro con il rettore dell’università di Ivano- Frankiv’s e con la titolare della locale cattedra di Medicina Fisica e Riabilitazione.

La trasferta a Ivano Frankivs’k rientra fra le azioni svolte dal Sacro Cuore nel farsi carico della supervisione del processo di apertura dei due reparti di riabilitazione e della formazione online e in presenza di medici e fisioterapisti. Già nel mese di giugno era arrivato a Negrar un primo gruppo di quattro medici dalla St. Luke Clinic per svolgere un periodo di conoscenza e formazione. Poi a luglio sono arrivati 4 fisioterapisti ucraini che hanno svolto un tirocinio presso il reparto di Medicina Fisica e Riabilitazione del “Sacro Cuore”, cui si aggiungeranno altri 4 fisioterapisti e 2 medici a settembre. Ulteriori due fisioterapisti e due medici arriveranno invece a novembre.

L’apertura dei due nuovi reparti di riabilitazione è prevista per il prossimo ottobre alla clinica St. Luke e a febbraio del prossimo anno all’ospedale di Yasynia. Una volta avviati i reparti ci sarà un’altra visita da parte del personale di Negrar per completare il lavoro di supervisione e tutoraggio.

 

Nei giorni scorsi abbiamo incontrato la dottoressa Rossato, il dottor Bianconi e il coordinatore Mengalli e abbiamo posto loro alcune domande sull’esperienza vissuta in Ucraina all’inizio di luglio…

Che realtà avete trovato negli ospedali visitati?

Dallo scoppio della guerra, nel 2022, l’attività della riabilitazione si è quasi del tutto orientata sul trattamento e il recupero dei soldati feriti al fronte. Di conseguenza è molto difficile accedere alla riabilitazione per i tanti pazienti affetti da altre patologie, ad esempio neurologiche. Senza dimenticare che già prima c’erano delle difficoltà oggettive in questo campo.

Quali difficoltà?

Da quanto abbiamo potuto vedere e conoscere, la riabilitazione in passato era una disciplina poco considerata in ambito medico qui in Ucraina. Solo da pochi anni esistono percorsi specifici per la formazione di fisioterapisti e fisiatri. In precedenza ad occuparsi della riabilitazione era il medico specialista per la patologia del paziente, ad esempio l’ortopedico per chi aveva patologie ortopediche o il neurologo per chi aveva patologie neurologiche ma non esistevano delle vere prese in carico della disabilità.

Quali sono le sfide di questo progetto?

La prima sfida è quella di promuovere un cambiamento culturale nel modo di guardare alla riabilitazione. Non si tratta solo di somministrare esercizi a un paziente malato, ma di pianificare percorsi di reinserimento e di ritorno ad una qualità di vita che sia la migliore possibile. E in questo processo il paziente deve essere parte attiva del recupero, così come i suoi familiari. Sono aspetti che in Italia diamo per assodati, ma che nel contesto ucraino vanno consolidati. Tra l’altro questo approccio si riflette anche nell’organizzazione negli ambienti e nella scelta degli ausili.

E per quanto riguarda i feriti di guerra?

Questa è sicuramente l’emergenza del momento che assorbe moltissime energie al personale sanitario. Si possono osservare traumi di ogni natura compresi gravi traumi psicologici a cui bisogna far fronte se si vuole ottenere una riabilitazione efficace. Tra le principali problematiche fisiche vi sono le amputazioni che possono interessare più arti e per le quali va pensato anche un percorso di protesizzazione efficace per tornare ad avere una buona qualità di vita.

Nella vita quotidiana si percepisce che il Paese è in guerra?

La zona di Ivano Frankivs’k è lontana dal fronte, tuttavia si percepisce chiaramente che il Paese è in guerra. Mentre eravamo là per ben due volte è suonato l’allarme aereo, anche se poi per fortuna non sono cadute bombe. Appena si esce dalla città ci sono molti check point dove soprattutto la popolazione ucraina viene continuamente controllata. La corrente elettrica va e viene e spesso alla sera il buio è totale. La gente va avanti lo stesso e cerca di vivere normalmente anche se non ci sono prospettive concrete di ripartenza.

Cosa vi ha colpito di più?

Le lunghe file di foto dei caduti al fronte. A Ivano Frankivs’k c’è un’intera via con questi grandi manifesti, ma in ogni paese e villaggio si trovano piazze e luoghi dedicati alla memoria dei giovani soldati morti.