Il 24 ottobre è la giornata mondiale della poliomielite. Una tremenda malattia che entro pochi anni potrebbe essere eradicata dal pianeta. Ma non bisogna abbassare la guardia anche alla luce della ricomparsa del virus, nella forma derivante dai vaccini, in Paesi dove la polio era scomparsa da decenni. Ne abbiamo parlato con la virologa Concetta Castilletti

IL TRAGUARDO DI UN MONDO LIBERO DALLA POLIOMIELITE

La completa eliminazione del virus della poliomielite è ormai sempre più a portata di mano dopo i grandi progressi degli ultimi anni. Basti pensare che dal 1988 a oggi, cioè da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato il programma GPEI (Global Polio Eradication Initiative), i casi di questa tremenda malattia sull’uomo sono diminuiti del 99,9%. Dei tre ceppi selvaggi di poliovirus, due sono stati dichiarati eradicati (il tipo 2 nel 2015 e il tipo 3 nel 2019), mentre il tipo 1 provoca ancora qualche decina di casi ogni anno. Nel 2020 anche l’Africa è stata dichiarata libera dalla polio “selvaggia” dopo che per quattro anni non si sono verificati casi dovuti al virus circolante in natura (tuttavia nel 2022 si è verificato un caso in Malawi, a testimonianza del fatto che l’attenzione va tenuta molto alta). Se si giungesse alla completa eradicazione, quello della polio sarebbe il secondo virus nella storia a subire questo destino, dopo il vaiolo nel 1980.

IL PROBLEMA DEI CONTAGI DERIVANTI DA VACCINO

Eppure, nonostante un quadro generale favorevole, non mancano i motivi di allarme e la giornata mondiale della poliomielite, che ricorre il 24 ottobre, è l’occasione per riflettere su nuovi scenari di lotta alla malattia. In particolare sono due le grandi sfide indicate dal programma strategico GPEI 2022-2026. Anzitutto resta da eliminare definitivamente il virus selvaggio di tipo 1 dagli ultimi due Paesi dove è ancora endemico, vale a dire Pakistan e Afghanistan. In secondo luogo c’è da affrontare la questione dei casi di contaminazione da poliovirus derivante da vaccino, una situazione che in mesi recenti ha suscitato grande attenzione anche in Paesi come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti dove la malattia era scomparsa da decenni.

I vaccini usati per i poliovirus sono di due tipi – spiega Concetta Castilletti, virologa dell’IRCCS Sacro Cuore Don CalabriaIl vaccino di Salk usa il virus inattivato e viene somministrato con iniezione intramuscolare, mentre il vaccino di Sabin è composto da virus vivo attenuato e la somministrazione è per via orale. Il Sabin è raccomandato dall’OMS perché più efficace, oltre ad essere di facile somministrazione e assai poco costoso. Il vaccino a virus inattivato viene invece usato nei Paesi dove il virus è stato eradicato e dove è presente una solida immunità di gregge, come accade in Italia”.

Perché dunque si parla di poliomielite derivante da vaccino? “Il virus attenuato usato per il vaccino Sabin ha perso tutta la sua virulenza ed è quasi del tutto innocuo – puntualizza Castilletti – tuttavia può ancora replicare e quindi per un breve periodo la persona vaccinata è in grado di tramettere l’infezione e di rilasciare il virus nell’ambiente con il rischio di contagiare una persona mai vaccinata”. A livello planetario i casi di polio derivante da vaccino sono stati circa 400 nel 2022, in gran parte nei Paesi di Africa e Asia dove le condizioni sanitarie sono precarie. Ma tra essi c’è anche la vicenda che ha fatto particolare clamore di un paziente non vaccinato rimasto paralizzato alla gamba dopo aver contratto il virus derivato da vaccino a New York, a testimonianza che neppure i Paesi più sviluppati sono esenti da rischi, bisogna però ricordare che la copertura vaccinale negli Stati Uniti è più bassa che in Europa.

Un altro aspetto della questione è la contaminazione ambientale. Trattandosi di un virus a RNA appartenente al genere enterovirus, molto resistente nell’ambiente, esso si replica nell’intestino e successivamente viene evacuato con i fluidi corporei, finendo quindi nelle acque reflue. Per questo nei mesi scorsi è successo ad esempio di trovare tracce di contaminazione da poliovirus nelle fognature di Londra.

TRE PAROLE CHIAVE PER ARRIVARE ALLA VITTORIA FINALE

La situazione non ci deve allarmare tuttavia non bisogna abbassare la guardia – prosegue la virologa dell’IRCCS di Negrar – Sono i vaccini che ci hanno permesso di eliminare quasi del tutto la poliomielite e sono i vaccini che continuano a proteggerci dai poliovirus selvaggi ma anche dalle infezioni derivanti da vaccino. Quindi è fondamentale proseguire con i programmi di vaccinazione sia nelle zone endemiche sia in quelle da cui il virus è ufficialmente sparito, come in Italia dove l’ultimo caso di poliomielite autoctona risale agli anni Ottanta”.

Oltre a “vaccinare”, la seconda parola chiave è “sorvegliare”. Ad esempio in Italia è attivo un piano di sorveglianza delle paralisi flaccide acute (PFA), che mira a cogliere con prontezza i casi di virus con un tropismo per il sistema nervoso, come il poliovirus, per porre in atto misure di contenimento/vaccinazione. Anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è parte attiva di questo piano. Inoltre dal 2005, in accordo con le linee guida dell’OMS, l’Istituto Superiore di Sanità ha approntato un sistema di Sorveglianza della Circolazione dei Poliovirus nell’ambiente mediante il monitoraggio delle acque reflue in ingresso ai depuratori.

C’è infine una terza parola chiave nella lotta al virus, che è “ricerca”. “Nell’ambito della sorveglianza è importante procedere alla tipizzazione degli enterovirus rilevati nei pazienti e nell’ambiente. La ragione sta nel fatto che gli enterovirus sono virus molto diffusi che ricombinano facilmente e quindi bisogna individuare tempestivamente eventuali mutazioni in senso più aggressivo”, conclude Castilletti.