Sono arrivate in Italia le prime dosi di vaccino contro il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”: ecco per chi è indicata la somministrazione. Facciamo il punto su un virus i cui casi osservati al di fuori dell’Africa prima di questa epidemia sono sempre stati ricondotti ad una esposizione ad animali infetti avvenuta in uno dei Paesi africani dove il virus è endemico fra alcune specie infette
Lo scorso 5 agosto sono arrivate in Italia le prime dosi del vaccino contro il cosiddetto vaiolo delle scimmie (Monkeypox) a seguito della prima quota di donazione da parte della Commissione Europea. Le dosi sono state distribuite per ora alle regioni che hanno registrato il maggior numero dei casi (Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto). Complessivamente i soggetti colpiti in tutto il Paese sono 545 (dati aggiornati al 5 agosto 2022)
Come recita la circolare del Ministero della Sanità, “al momento, la modalità di contagio e la velocità di diffusione, così come l’efficacia delle misure non farmacologiche fanno escludere la necessità di una campagna vaccinale di massa”. Pertanto “tenuto conto dell’attuale scenario epidemiologico e della limitata disponibilità di dosi” sono state individuate delle categorie a rischio a cui sottoporre alla vaccinazione. E sono:
- Personale di laboratorio con possibile esposizione diretta a orthopoxvirus (il virus del vaiolo)
- Persone gay, transgender, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini con comportamenti ad alto rischio
Vademecum del vaiolo delle scimmie: risposte alle più comuni domande.
Cos’è il vaiolo delle scimmie?
Il virus che causa il vaiolo delle scimmie, il cosiddetto Monkeypox, è un orthopoxvirus appartenente alla famiglia dei poxvirus, ed è molto simile al virus del vaiolo, che dalla fine degli anni ‘70 non esiste più in natura perché questa malattia è stata completamente eradicata.
Conosciamo il virus Monkeypox dal 1957, quando fu osservata la prima scimmia infetta, ma la prima infezione riconosciuta nell’uomo risale al 1970. Nonostante il nome, il virus non è tipico delle scimmie, ma ha il suo habitat naturale fra gli animali silvestri, specie roditori, che abitano ambienti boschivi africani. Il virus può infettare l’uomo, se questo viene in stretto contatto con animali infetti, ma ha scarsa propensione a trasmettersi da uomo a uomo.
In alcuni Paesi africani (Nigeria, Repubblica Democratica del Congo) sono riportati centinaia di casi umani all’anno, tutti riconducibili a contatti con animali infetti.
Prima di questa epidemia che ha coinvolto anche l’Europa, i casi osservati al di fuori dell’Africa sono sempre stati ricondotti ad una esposizione ad animali infetti avvenuta in uno dei Paesi africani dove il virus è endemico fra gli animali selvatici.
Cosa ha determinato la diffusione interumana caratteristica dell’epidemia in corso?
La catena di infezioni che stiamo osservando in Europa e nel resto del mondo (25mila casi al 3 agosto 2022) si distacca totalmente dall’epidemiologia dell’infezione finora osservata. Infatti siamo di fronte per la prima volta ad una trasmissione interumana sostenuta. È possibile che il caso 0, tutt’ora sconosciuto, abbia acquisito l’infezione secondo i canoni classici, cioè tramite il contatto con un animale infetto in Africa, ma poi ha verosimilmente contagiato un altro essere umano, innescando la catena dei contagi fuori dai Paesi dove il vaiolo delle scimmie è endemico.
Finora sono state identificate almeno 2-3 circostanze alle quali si possono ricondurre la maggior parte dei casi osservati, in particolare due rave party alle Canarie e in Belgio, ed una spa in Madrid. Sono tutti eventi che hanno visto una folta partecipazione internazionale di persone giovani; ad esempio, l’evento delle Canarie ha richiamato circa 80.000 partecipanti.
Il vaiolo delle scimmie è stato dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale: è allarme?
No. L’OMS ha voluto puntare l’attenzione, sollecitando la sorveglianza nei Paesi dove non è già presente, su un virus che finora si era manifestato fuori dalle aree endemiche solo con casi sporadici e di importazione
Come si trasmette il Monkeypox?
Il Monkeypox non si trasmette facilmente da uomo a uomo, occorrono contatti stretti, come l’esposizione a lesioni, a fluidi infetti, a oggetti e biancheria contaminata, a aerosol respiratorio nelle fasi prodromiche. Fra i contatti stretti a più alto rischio vi sono, naturalmente, i rapporti sessuali con persone infette.
Quali sono i sintomi?
Il sintomo più caratteristico è costituito da lesioni cutanee. Queste nell’arco di tempo di due-quattro settimane evolvono in pustole, sviluppano la crosta che infine cade. In genere le lesioni sono accompagnate da febbre, malessere generale, dolori muscolari e linfonodi ingrossati.
Finora la maggior parte dei casi ha avuto sintomi lievi con un decorso benigno. Tuttavia, il vaiolo delle scimmie può causare una malattia più grave nelle persone fragili o con compromissione immunitaria.
Poiché la presentazione clinica del “vaiolo delle scimmie” è simile quella di altre infezioni è fondamentale distinguerla dall’eruzione cutanea con cui si manifestano, per esempio, l’herpes simplex, la varicella zoster e l’impetigine batterica.
Come avviene la diagnosi di laboratorio?
E’ necessario un test di biologia molecolare (PCR real time) che ha lo scopo di individuare il genoma del virus sul campione organico prelevato (in genere la secrezione delle pustole). Il passo successivo è il sequenziamento degli acidi nucleici del genoma, per determinare se si tratta di “vaiolo delle scimmie” o di un’altra specie di Orthopoxvirus. Il sequenziamento permette di stabilirne anche il ceppo: quello originario dell’Africa Occidentale e quello Congo. I casi europei appartengono tutti al primo ceppo che dà forme non gravi per l’uomo.
Quali sono le regole da osservare per chi risulta contagiato?
Occorre innanzitutto avvisare il medico curante, che provvederà ad instradare il paziente verso la diagnosi e, se necessario, al ricovero in strutture dedicate alle malattie infettive. In caso di condizioni discrete, il paziente deve rispettare l’isolamento a casa propria, fino alla scomparsa dei sintomi, evitare contatti ravvicinati con altre persone e soprattutto con persone fragili. I soggetti che sospettano di aver contratto questa infezione non devono donare sangue, cellule, tessuti, organi, latte materno o sperma. I contatti stretti devono misurare la febbre due volte al giorno per intercettare i sintomi precoci, e stare sotto stretta sorveglianza.
Il vaccino: cosa disponiamo?
Fra gli anni ‘60 e ‘70 una campagna vaccinale estremamente capillare, insieme ad uno sforzo globale per raggiungere i più remoti siti anche nei Paesi non sviluppati, l’isolamento dei contatti e la somministrazione del vaccino ad anello intorno ai casi identificati, ha consentito di raggiungere l’unica eradicazione di agente virale finora ottenuta, quella del vaiolo.
Il vaccino utilizzato era composto dal virus del vaiolo bovino (Vaccinia virus) vivo. Dopo i risultati straordinari ottenuti, il vaccino non è stato più utilizzato se non in casi molto particolari, perché i rischi connessi con l’inoculazione de Vaccinia virus vivo non erano più ripagati dai benefici delle infezioni evitate. La vaccinazione antivaiolosa è stata abolita in Italia nel 1981.
Oggi sono disponibili due vaccini contro il vaiolo, con un profilo di sicurezza molto migliorato. In particolare è arrivato in Italia il vaccino denominato Jynneos (anche noto come Imvamune oppure Imvanex). Esso si basa su un virus attenuato, incapace di replicarsi, ma in grado di innescare una efficace risposta immune contro gli Orthopoxvirus. L’approvazione originaria del Jynneos contro il vaiolo, è stata recentemente estesa in Europa anche per il vaiolo delle scimmie, con procedura di urgenza.
Esistono terapie farmacologiche?
Abbiamo a disposizione alcuni farmaci come il Cidofovir, e altri di nuova generazione, quali Brincidofovir e Tecovirimat (Quest’ultimo è stato approvato in Europa a gennaio 2022.
Le generazioni che sono state sottoposte al vaccino contro il vaiolo, sono protette anche da Monkeypox?
La protezione conferita da infezione o vaccinazione con Orthopoxvirus è generalmente crossreattiva, protegge quindi anche dalle infezioni provocate da virus della stessa famiglia. A scoprirlo alla fine del 1700 fu Edward Jenner, osservando che i mungitori colpiti dal vaiolo delle mucche non si ammalavano del virus umano. La prima profilassi della storia contro un agente patogeno venne chiamata vaccino proprio perché conteneva Orthopoxvirus bovino
L’organizzazione Mondiale della Sanità stima che il vecchio vaccino contro il vaiolo conferisca una protezione dell’85% contro monkeypox, quindi possiamo assumere che la popolazione over 50, che ha ricevuto il vaccino nell’infanzia, e che rappresenta circa il 40% della nostra popolazione, sia protetta.
(Ha collaborato la dottoressa Maria Rosa Capobianchi, consulente per la ricerca dell’IRCCS di Negrar)