L’esame senologico (mammografia ed ecografia) eseguito periodicamente rileva tumori mammari non palpabili per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%, grazie anche a una chirurgia che coniuga la radicalità dell’intervento oncologico con un ottimo risultato estetico. Si parla infatti di chirurgia oncoplastica

“Più il tumore è piccolo più la diagnosi è favorevole e più è alta la possibilità di effettuare un intervento chirurgico conservativo. Per questo è fondamentale effettuare periodicamente gli esami strumentali”, raccomanda il dottor Alberto Massocco, direttore della Chirurgia senologica, “Mammografia e ecografia sono in grado di rilevare tumori non palpabili, per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%”.

Dottor Massocco, cosa s’intende per intervento conservativo?

Gli interventi conservativi sono circa il 65-70% del totale e prevedono l’escissione del nodulo tumorale e del tessuto sano circostante,senza deturpare l’aspetto della mammella. Oggi lo possiamo fare in maniera ottimale grazie alla chirurgia oncoplastica, che, abbinando tecniche chirurgiche oncologiche a quelle plastiche, permette al chirurgo senologo di effettuare interventi salvavita (e per il tumore al seno l’intervento lo è sempre) con un risultato esteticamente qualitativo. Questo è possibile quando l’asportazione chirurgica è compatibile con il volume della mammella”.

Quindi, la mastectomia non sempre è sinonimo di gravità della diagnosi

Assolutamente no. La mastectomia è indicata anche in presenza di un nodulo non aggressivo, ma di dimensioni tali da non permettere un risultato esteticamente gradevole rispetto al volume del seno. Oppure quando sono presenti nella stessa mammella più noduli nati contemporaneamente.

Quando il tumore è molto piccolo l’intervento è risolutivo?

L’intervento conservativo prevede sempre la radioterapia. Per i carcinomi duttali in sito (le cellule tumorali si sviluppano all’interno dei dotti ma rimangono “in situ” cioè non si estendono al di fuori del dotto nel tessuto circostante o in altre parti del corpo, ndr) non è indicata la combinazione della terapia radioterapica con quella farmacologica, contrariamente a quanto avviene per i tumori infiltranti,

L’intervento chirurgico prevede, nei casi indicati, la linfoadenectomia, cioè l’asportazione dei linfonodi ascellari, che comporta sequele pesanti per la donna come linfedema e/o limitata mobilità del braccio…

Grazie alla tecnica del linfonodo sentinella, oggi noi possiamo sapere in tempo reale se è necessaria o meno la linfoadenectomia per quei tumori infiltranti che non presentano linfonodi ascellari con malattia alla diagnosi. In sede di intervento viene asportato il linfonodo più vicino al nodulo tumorale (“sentinella”) e analizzato. Solo se positivo si procede allo “svuotamento” ascellare. Tuttavia questo tipo di metodica potrebbe essere superata da novità rilevanti.

Quali?

La Chirurgia senologica di Negrar ha partecipato a uno studio clinico multicentrico italiano SINODAR ONE che potrebbe cambiare definitivamente l’intervento di chirurgia oncologica della mammella. Lo studio prende in considerazione i tumori infiltranti che negli esami pre-intervento non hanno presentato interessamento linfonodale ma con linfonodo sentinella positivo. L’obiettivo è dimostrare se senza linfoadenectomia si ottengono gli stessi tassi di guarigione che si avrebbero con l’asportazione dei linfonodi. In altri Paesi studi simili hanno dato esito positivo. Per SINODAR ONE l’arruolamento delle pazienti è stato completato. Ora attendiamo – con fiducia –  la conclusione del follow up.

Uno studio ancora in corso e che ci vede come uno dei centri aderenti è il NEONOD 2. La ricerca clinica prende in considerazione le donne che dopo una chemioterapia neoadiuvante (prima dell’intervento) per un tumore con linfonodi ascellari metastatici, hanno ottenuto la guarigione degli stessi. In questo caso quando alla biopsia del linfonodo sentinella si individua un micrometastasi (tra 0,2 e 2 mm), le pazienti che hanno aderito allo studio non vengono sottoposte a linfoadenectomia ascellare. L’obiettivo è dimostrare che queste donne guariscono nel tempo allo stesso modo di coloro che invece effettuano l’intervento.

La mastectomia bilaterale è una delle due opzioni proposte alla donna portatrice sana o malata di mutazioni genetiche, soprattutto a carico dei geni BRCA1 e BRACA2 che comportano un alto rischio oncologico. L’altra è la sorveglianza con esami strumentali ogni 6 mesi. La mastectomia riduce a zero il rischio di tumore?

No. Lo riduce al 90%, in quanto la struttura morfologica della mammella non consente di asportare tutta la ghiandola. E’ necessario che la donna continui a tenersi controllata anche dopo l’intervento, ma l’asportazione bilaterale abbassa drasticamente il rischio di malattia con evidenti ricadute sul benessere della donna.

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