Il 28 settembre si celebra la giornata mondiale della rabbia, una malattia “negletta” che ogni anno uccide quasi 60mila persone nel mondo. In Italia non è più presente da anni, tuttavia chi viaggia in zone dove il virus è endemico deve prestare attenzione e rivolgersi all’ambulatorio di medicina dei viaggi per una valutazione dei rischi ed eventualmente per sottoporsi alla vaccinazione

LA GIORNATA MONDIALE

La rabbia è una malattia “negletta” che ogni anno uccide circa 60mila persone nel mondo, di cui quasi la metà sono bambini, con i casi che sono quasi interamente concentrati nel Sud-est asiatico, in Africa e nell’America centro-meridionale. Si tratta di una zoonosi che si trasmette attraverso il morso di un animale infetto, soprattutto cani, scimmie e pipistrelli. Una volta che si manifestano i sintomi è mortale nel 99,9% dei casi, tuttavia si tratta di una patologia prevenibile grazie all’esistenza di un vaccino sicuro ed efficacie, al contrario di tante altre malattie tropicali dimenticate.

È proprio per sensibilizzare e promuovere la lotta contro questa malattia che il 28 settembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale della rabbia, promossa fin dal 2007 dalla Global Alliance for Rabies Control (GARC). Una data non casuale, visto che coincide con l’anniversario della morte di Louis Pasteur, scopritore del primo vaccino contro la rabbia. Quest’anno la giornata è dedicata al tema “One health, zero Deaths” (una sola salute, zero morti), a sottolineare l’obiettivo fissato dall’ONU di eliminare le morti per rabbia entro il 2030.

LA RABBIA IN ITALIA
Federico Gobbi, infettivologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dottor Federico Gobbi

In Italia, così come nella grande maggioranza dei Paesi europei, la situazione è ampiamente sotto controllo. “Da molti anni non ci sono casi sull’uomo, ma non ci sono nemmeno casi di rabbia silvestre, cioè sugli animali selvatici che potenzialmente la possono trasmettere all’uomo” dice il dottor Federico Gobbi, direttore del Reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, che è centro collaboratore dell’OMS per le malattie tropicali dimenticate, quali appunto la rabbia (vedi articolo). Qualche caso sporadico di rabbia silvestre si è riscontrato negli ultimi anni solo nelle zone di confine con la Slovenia e l’Austria. “In ogni caso è bene non abbassare la guardia e, al di là della rabbia, se si viene morsi è opportuno lavare e disinfettare accuratamente la ferita, mettendo in conto magari un richiamo del vaccino antitetanico o una terapia antibiotica a seconda del tipo di morso, perché la saliva degli animali contiene molti batteri”, prosegue Gobbi.

RABBIA E VIAGGI, UN RISCHIO DA NON SOTTOVALUTARE

Più complesso è il discorso quando si affronta la questione “rabbia” per coloro che si recano in viaggio nelle zone endemiche. A tal proposito è sempre opportuno fare una valutazione presso un ambulatorio di medicina dei viaggi, presente da tanti anni anche presso l’IRCCS di Negrar (vedi pagina ambulatorio). In base al tipo di viaggio e al livello di rischio si prospettano due possibilità. “Per chi compie viaggi frequenti e si trova a contatto diretto con animali si può pensare di fare due dosi di vaccino pre-esposizione – sottolinea il dr. Gobbi – dopodichè qualora la persona già vaccinata fosse morsa durante il viaggio dovrebbe sottoporsi ad ulteriore vaccinazione post-esposizione”.

Se invece il viaggio è a basso rischio il medico può valutare che non è necessario il vaccino pre-esposizione. In questo caso, qualora una persona fosse morsa durante il viaggio, è fondamentale fare una profilassi che prevede l’iniezione tempestiva di immunoglobuline nella sede della ferita, seguita poi dalla vaccinazione secondo una precisa tempistica. Il problema è che non sempre le immunoglobuline sono disponibili nei Paesi poveri.

COSA FARE IN CASO DI MORSO DURANTE UN VIAGGIO

Il morso di un animale in una zona a rischio non va mai sottovalutato e se sul luogo non è disponibile la profilassi antirabbica post-esposizione bisogna che il viaggiatore rientri quanto prima nel proprio Paese di origine per sottoporsi alle cure del caso”, è l’appello del dottor Gobbi. Il motivo è evidente: “La profilassi funziona solo se viene fatta prima della comparsa dei sintomi. Viceversa una volta che la malattia si manifesta arrivando al sistema nervoso centrale è ormai troppo tardi. Purtroppo è accaduto ancora, seppure sia raro, che un turista morso da un animale infetto sia deceduto dopo aver sviluppato i sintomi al ritorno dal viaggio”.

I sintomi della rabbia sono all’inizio simili a quelli di un’influenza con stanchezza, febbre e mal di testa. Poi man mano che il virus aggredisce il sistema nervoso centrale si manifestano segni sempre più specifici, quali allucinazioni, insonnia, salivazione esagerata, ipersensibilità alla luce, idrofobia. La velocità della malattia dipende molto dalla ferita iniziale. Se si tratta di una piccola ferita in una zona periferica del corpo, l’avanzamento verso il cervello sarà più lento. Al contrario se la ferita è profonda e in zone vicine alla testa il tempo a disposizione sarà molto meno.

EDUCAZIONE E PREVENZIONE

L’esistenza del vaccino e di una profilassi efficacie permette di guardare alla lotta contro la rabbia con un certo ottimismo, tanto che l’ONU si è posta l’obiettivo di azzerare entro pochi anni i decessi. E’ tuttavia indispensabile agire con più forza sul fronte della prevenzione e dell’educazione della popolazione nei Paesi a rischio, favorendo ad esempio i programmi di vaccinazione sugli animali selvatici e domestici nelle aree endemiche, nonché sensibilizzando le persone anche nelle zone più povere a sottoporsi alla profilassi in caso di morsi o contatti a rischio.