Il 28 luglio ricorre la Giornata mondiale delle epatiti virali, che, solo per quanto riguarda la B e la C, colpiscono nel mondo rispettivamente 300 e 55 milioni di persone. Tuttavia grazie ai vaccini e ai farmaci, l’OMS conta di ridurre entro il 2030 del 90% i nuovi casi di infezioni proprio da HBV e HCV. Preoccupa, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, la Delta, ma l’introduzione di un nuovo farmaco fa ben sperare i pazienti con malattia compensata.
L’ultimo successo contro la numerosa famiglia delle epatiti riguarda la C, la patologia dovuta al virus HCV, che fino a pochi anni fa era la principale causa di cirrosi scompensate e di epatocarcinoma (tumore al fegato). Infatti solo in Italia sono circa 260mila le persone guarite dall’epatite C grazie a farmaci innovativi e lo screening, attivato per esempio dalla Regione Veneto (i dati), ha relegato i nuovi casi di positività a categorie fragili come i tossicodipendenti e i detenuti.
Per le altre forme di epatiti – la A, di origine alimentare, e la B, trasmissibile tramite sangue e derivati e rapporti sessuali non protetti – da anni sono disponibili vaccini e farmaci. Mentre è da pochi mesi rimborsabile in Italia il bulevirtide, le cui sperimentazioni per la messa in commercio hanno dimostrato l’efficacia nell’arginare la progressione dell’epatite Delta, la meno conosciuta ma la più aggressiva delle forme di epatopatia di origine virale.
Gli obiettivi OMS per il 2030
Alla vigilia della Giornata mondiale delle epatiti, che ricorre il 28 luglio, c’è quindi più che una luce in fondo al tunnel. Tanto che l’Organizzazione mondiale della Sanità si è posta come obiettivi per il 2030 la riduzione del 90% delle nuove infezioni di epatiti B e C e del 65% dei decessi per le conseguenze delle epatiti virali, cioè la cirrosi, lo scompenso epatico e l’epatocarcinoma; garantire una diagnosi alla quasi totalità delle persone colpite dall’HBV e dall’HBC e raggiungere l’80% delle persone a cui è indicato il trattamento Nei Paesi più industrializzati, l’obiettivo è vicino, il problema resta invece drammatico in quelli in via di sviluppo, dove la malattia è sotto-diagnosticata e manca un’adeguata profilassi vaccinale. L’esempio è proprio l’epatite Delta, che in Italia interessa 10-15 mila pazienti.
L’epatite virale Delta
“Sono in grandissima parte migranti provenienti dall’Est Europa ma soprattutto dall’Africa, che si presentano in ospedale con cirrosi molto avanzate e epatocarcinoma, nonostante la giovane età. In una percentuale variabile tra il 5 e il 15% dei casi di infezione da epatite B, è presente positività sia ad HBV che ad HDV, responsabili rispettivamente dell’epatite B e dell’epatite Delta”, spiega la dottoressa Sara Boninsegna, epatologa dell’Unità Operativa Complessa di Gastroenterologia e Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus.
Non c’è Delta senza B
“Questo perché l’agente infettivo HDV appartiene ai cosiddetti virus satelliti o subvirioni: è quindi un virus difettivo, che necessita per replicarsi dell’HBV. Pertanto là dove l’epatite B è maggiormente diffusa (Paesi dell’Est e Africa) è più presente anche l’epatite Delta, la quale funziona come una sorta di acceleratore verso complicanze come la cirrosi e l’epatocarcinoma. Soprattutto quando la doppia infezione viene contratta per via verticale, da madre a figlio e tende a cronicizzare in modo subdolo”, sottolinea la dottoressa.
La scarsa diffusione in Italia grazie al vaccino contro l’HBV
Tra gli italiani il quadro è differente. “Grazie alla profilassi vaccinale contro l’HBV introdotta in Italia nel 1991 per tutti i nuovi nati (e retroattivamente ai nati dal 1979), oggi le nuove infezioni riguardano persone non vaccinate, quasi esclusivamente tossicodipendenti o soggetti che praticano attività sessuale non protetta – prosegue -. Mentre grazie all’estremo controllo sui donatori e sulle sacche la trasmissione tramite sangue e derivati è quasi inesistente. Con poche infezioni da HBV, di conseguenza anche l’epatite Delta è poco diffusa”.
Un farmaco innovativo per curare la Delta
Per l’epatite B, da anni, oltre al vaccino, sono disponibili farmaci antivirali, da assumere per tutta la vita, che bloccano la replicazione del virus ed evitano che le forme croniche (il 5-10% sul totale dei casi) favoriscano la cirrosi, lo scompenso epatico e tumore al fegato.
“Adesso abbiamo a disposizione anche una terapia innovativa per l’epatite delta, il bulevirtide, che agisce sul recettore NTCP, responsabile dell’ingresso nella cellula epatica del virus. I pazienti con infezione cronica da HDV, se paragonati a pazienti con monoinfezione da HBV, presentano una più rapida progressione in cirrosi, un aumento significativo del rischio di sviluppare epatocarcinoma, scompenso epatico, di incorrere in trapianto di fegato e di mortalità. Il farmaco è tuttavia indicato per i pazienti adulti positivi a HDV-RNA plasmatico (o sierico) con malattia compensata. Purtroppo spesso la diagnosi dell’epatite Delta viene effettuata quando è già in corso una cirrosi scompensata o è presente il tumore del fegato avanzato anche senza un quadro di cirrosi sottostante, ma rappresenta una grande possibilità terapeutica finalmente disponibile per i pazienti con malattia in compenso”, conclude la dottoressa Boninsegna.