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L’infezione che colpisce il cuore è una patologia grave e dalle complicanze anche mortali. Al “Sacro Cuore” un convegno sulla presa in carico multispecialistica del paziente

Sarà analizzato anche un particolare caso clinico al convegno “Endocardite: una sfida per il medico di famiglia e per lo specialista”, che si terrà sabato 20 gennaio all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, promosso dalla Cardiologia, diretta dal professor Enrico Barbieri, e dal Centro per le Malattie Tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi (programma in allegato)

Il “cold case” è quello del musicista austriaco Gustav Mahler, morto a Vienna nel 1911 a causa proprio della patologia infettiva che colpisce il cuore. Dalla morte del compositore e direttore d’orchestra è trascorso oltre un secolo, ma l’endocardite rimane una malattia insidiosa, grave e con un elevato numero di complicanze anche mortali.

“L’endocardite rappresenta tuttora un importante problema clinico e chirurgico, la cui gestione non è ancora risolta né standardizzata – spiega il professor Barbieri -. La strategia migliore di assistenza del paziente è quella multidisciplinare. Per questo abbiamo voluto la presenza all’incontro di relatori provenienti da diverse aree mediche: infettivologi, cardiologi, cardiochirurghi, microbiologi, medici nucleari e internisti provenienti dal nostro ospedale, ma anche dall’Università di Verona e di Brescia”.

Cos’è l’endocardite

L’endocardite è un’infezione a livello delle valvole del cuore (endocardite valvolare) o che, più raramente, colpisce l’endocardio (endocardite murale) cioè la sottile membrana che riveste tutte le cavità del muscolo cardiaco. Ha un’incidenza annuale di 3-8 casi ogni 100mila abitanti.

Popolazione a rischio

Le persone più a rischio di sviluppare la malattia sono i portatori di un’anomalia congenita della valvola aortica (valvola bicuspide ad esempio) o di prolasso valvolare mitralico. “Queste tipologie di alterazioni valvolari – afferma la dottoressa Laura Lanzoni della Cardiologia di Negrar – creano un flusso sanguigno turbolento che va a ‘stressare’ l’endocardio valvolare rendendolo più suscettibile ad aggressioni batteriche. Ma può ammalarsi anche chi ha subito interventi di sostituzione di valvole cardiache o per cardiopatie congenite, i soggetti immunodepressi e tossicodipendenti”. Non da ultimi i portatori di device.

“L’impianto di pacemaker sempre più sofisticati che comportano l’inserimento dentro al cuore di più elettrodi e l’uso crescente di impianto percutaneo di protesi valvolari – interviene il professor Barbieri – possono comportare un maggior rischio di infezione, in quanto sono possibile soggetto di aggressione dei batteri” .

Sintomi

La gravità della malattia è determinato anche dal ritardo con cui viene effettuata spesso la diagnosi“La febbre e l’astenia, che sono i sintomi con aspecifici cui si manifesta sovente all’inizio la patologia – spiega l’infettivologo Andrea Angheben del Centro di Malattie tropicali di Negrar – non vengono ricondotti subito all’infezione, ma in genere solo dopo tentativi non risolutivi di terapia antibiotica e quindi il ricorso a una serie di esami specialistici. Dall’insediamento della vegetazione batterica alla diagnosi possono passare anche alcune settimane, tempo sufficiente per determinare un danno valvolare che spesso richiede, dopo la cura antibiotica, l’intervento del cardiochirurgo”.

Diagnosi

Il primo step diagnostico è l’ecocardiogramma trans-toracico, seguito, nella gran parte dei casi, da quello trans-esofageo, che viene eseguito, a differenza del primo, solo in ospedale. “Tramite l’esame ecocardiografico – spiega ancora la dottoressa Lanzoni – l’endocardite si manifesta con una massa oscillate (la vegetazione batterica) a livello delle valvole cardiache o con un ascesso, cioè una cavità con materiale purulento, a livello della valvola aortica”.

Al ruolo prioritario dell’ecocardiografia si è affiancata di recente la diagnostica nucleare (PET/CT) che offre immagini a volte dirimenti nella individuazione di ascessi, pseudoaneurismi e fistole, soprattutto in pazienti portatori di protesi valvolari, oltre che nell’identificazione di embolizzazioni ed ascessi extracardiaci.

Terapia

“La terapia antibiotica può durare dalle quattro alle oltre otto settimane – afferma il dottor Angheben -. Richiede spesso l’associazione di più farmaci somministrati in endovena il che comporta un rischio importanti effetti collaterali da monitorare. Per questo il paziente deve rimanere in ospedale spesso per tutta (o gran parte) della durata della terapia. Purtroppo non sempre gli antibiotici riescono a debellare l’infezione. A volte è necessario un intervento chirurgico per rimuovere il materiale infetto”

elena.zuppini@sacrocuore.i