Ci sono molti profughi, ma anche minori stranieri e semplici immigrati tra le persone che ogni anno vengono accompagnate nel loro percorso di cura dall’Ufficio aiuti umanitari sanitari dell’ospedale di Negrar

C’è Khalid, un giovane di 30 anni proveniente dal Gambia, con lo status di rifugiato, che quando è arrivato all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria aveva letteralmente i capelli bianchi per la fame. Poi c’è Marius, piccolo ragazzino residente nell’Est europeo, alla disperata ricerca di una terapia per l’osteosarcoma che gli è stato da poco diagnosticato. E Lia, la bambina giunta a Negrar dall’Africa per delle cure ortopediche, alla quale dopo gli esami di routine è stato identificato il virus dell’Aids. Oppure Costantin, l’operaio rumeno che a Ferragosto ha attraversato la Valpolicella in bici con la figlioletta appena nata adagiata in una scatola di cartone sul portapacchi, perché la piccola stava male e aveva bisogno di un aiuto.

I nomi sono tutti di fantasia, ma le storie sono vere. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. È l’elenco delle oltre mille persone che ogni anno vengono assistite al Sacro Cuore Don Calabria anche se non sono coperte dal Sistema sanitario nazionale. Sono soprattutto immigrati che vivono in condizioni di estrema povertà. In genere si trovano al di fuori del sistema perché sono in attesa dello status di rifugiati, oppure perché non hanno seguito l’iter burocratico in modo corretto o in alcuni casi hanno bisogno di cure prima che il percorso di regolarizzazione sia completato.

Per assistere queste persone, nel 2005 l’ospedale negrarese ha attivato l’Ufficio aiuti umanitari sanitari, raccogliendo l’eredità del lavoro di accoglienza avviato da fratel Matteo Ponteggia, religioso calabriano all’epoca vicepresidente del nosocomio e scomparso prematuramente.

Da quando l’ufficio si è strutturato, le richieste di aiuto sono andate sempre aumentando, con una vera e propria impennata a partire dalla primavera 2014 in concomitanza con l’emergenza profughi. Lo scorso anno le persone assistite sono state 1.058, mentre nei primi otto mesi del 2015 il numero è salito a 1.100, con una grande prevalenza di rifugiati e richiedenti asilo. Spesso queste persone sono indirizzate verso il Sacro Cuore Don Calabraia per la presenza del Centro di Malattie tropicali che può dare una consulenza qualificata anche su eventuali patologie specifiche della loro terra d’origine.

Le prime richieste di aiuto sanitario relative ai profughi sono arrivate nell’aprile 2014, con la mediazione del Cesaim (Centro per la Salute degli immigrati, ndr) – spiega Alessandra Bisin, responsabile operativa dell’Ufficio aiuti umanitari del Sacro Cuore Don Calabria -. Abbiamo iniziato con il far fronte alle cure delle persone apparentemente più bisognose, per poi impostare nel tempo un percorso di screening sanitario completo, comprendente le analisi del sangue, quelle delle feci e delle urine e la radiografia al torace. In questo modo ci siamo resi conto di chi aveva bisogno di ulteriori cure e ci siamo dati da fare per accompagnare queste persone nel loro percorso sanitario“.

Compito dell’ufficio è dunque di favorire un lavoro di rete all’interno dell’ospedale, coinvolgendo i vari reparti e organizzando le cose in modo che non siano penalizzati gli altri cittadini che hanno diritto a ricevere le prestazioni. Ma c’è anche un’altra faccia della medaglia, ovvero il dialogo con le istituzioni chiamate a farsi carico dei profughi: dalle comunità di accoglienza alla Questura, dal Comune alla Prefettura, dai distretti sanitari alle organizzazioni caritative.

Un altro campo di intervento riguarda i minori stranieri non accompagnati. Nel corso del 2014 sono state fornite 469 prestazioni sanitarie rivolte a questi ragazzi che in genere sono ospiti delle comunità di accoglienza dell’Opera Don Calabria. In altri casi l’Ufficio aiuti umanitari porta avanti progetti specifici rivolti a bambini stranieri che hanno bisogno di cure particolari, ma non possono permettersele perché poveri o perché nel loro Paese non sono disponibili trattamenti adeguati. Una parte degli aiuti, infine, riguarda persone italiane costrette a venire a Negrar da altre regioni d’Italia per ricevere cure non disponibili nel loro luogo d’origine. Come nel caso di Rosa, una ragazza proveniente dal Sud Italia affetta da una malattia rara e costretta ogni anno a lunga permanenza al Sacro Cuore Don Calabria.

In tutte le richieste di aiuto che arrivano c’è una sofferenza di fondo e c’è una domanda di sostegno anche spirituale – dice don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale e responsabile degli “aiuti umanitari”, che lo scorso anno ha raccolto il testimone dal suo confratello don Ivo Pasa che aveva seguito l’ufficio per quasi dieci anni -. Sono convinto che questa attività sia una delle più belle espressioni della nostra missione di aiuto ai più bisognosi. Una missione che, in linea con quanto voleva il nostro fondatore, mette al centro la persona nella sua globalità“.

La persona al centro, dunque. Come Khalid, che dopo un mese di ricovero ha di nuovo i capelli neri. O come Marius, che sta ancora combattendo contro l’osteosarcoma, ma è meno solo di prima. Anche perché Rosa, la ragazza italiana affetta da una malattia rara, un giorno ha chiesto che le procurassero un rosario ed ora continua a pregare per lui.

matteo.cavejari@sacrocuore.it