Sul sito ww.sacrocuore ((bottone IRCCS Ricerca Clinica) è consultabile  il report dell’attività di ricerca per il triennio 2020-2023 dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali. Intervista al direttore scientifico professor Zeno Bisoffi, che illustra i progetti principali di ricerca principali

Centosessantuno pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali per altrettanti progetti di ricerca: sono i numeri, seppur parziali, che quantificano l’attività scientifica per il triennio 2020-2022 dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali. I contenuti dei lavori sono consultabili in un report di oltre 180 pagine, realizzato in inglese e pubblicato sul sito www.sacrocuore.it (bottone IRCCS Ricerca Clinica). Una versione più snella in italiano, fruibile anche per i non addetti ai lavori, è in fase di realizzazione.

Il carattere triennale del report risponde alla programmazione degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico stabilita dal Ministero della Salute. Con il 2023 è iniziato il terzo programma triennale di ricerca dell’IRCCS di Negrar, il cui riconoscimento è stato decretato nel maggio del 2018, mentre la riconferma dei requisiti richiesti, prevista per legge, è del luglio 2021. E’ in corso l’iter per la seconda riconferma.

Prof. Zeno Bisoffi
Prof. Pier Carlo Muzzio

Attualmente l’IRCCS comprende 38 ricercatori, di cui il 53% donne e oltre la metà under 40.  Il Full Time Equivalent (FTE) è di 18,65. “Questo significa che l’attività complessiva di ricerca è equivalente a quella di 19 ricercatori, se fossero tutti impiegati a tempo pieno nei progetti. Ma poiché quasi nessuno è full time, essendo ovviamente impegnati anche nella diagnostica e nella clinica, ognuno riserva una percentuale variabile del suo lavoro all’attività di ricerca. La “produttività” media dei nostri ricercatori è stata molto alta se confrontata con altri IRCCS”, spiega il professor Zeno Bisoffi, direttore scientifico dell’IRCCS dal 2022, dopo aver raccolto il testimone del professor Pier Carlo Muzzio “senza il cui apporto non esisterebbe l’IRCCS”.

La ricerca dell’IRCCS di Negrar è sostenuta prevalentemente da finanziamenti pubblici provenienti in particolare dal Ministero della salute, ma anche dalla Commissione europea e da altri enti, e ultimamente anche dai fondi del PNRR. “Una parte cospicua arriva però direttamente dalle persone comuni, con donazioni e soprattutto destinando il loro 5×1000. Sono pazienti, i loro familiari e altre persone che sono venute a conoscenza nel tempo del nostro ospedale. E il fatto che questi contributi abbiano avuto un rilevante aumento in pochi anni è davvero significativo”, sottolinea il direttore scientifico.

Professor Bisoffi, quale attività di ricerca è stata fatta in questo triennio?

L’attività di ricerca 2020-2022 ha riguardato due linee principali. La prima concerne la salute globale e le malattie trasmissibili, legate alla mobilità umana. La seconda, invece, ha come focus le cosiddette malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases o NTD). Entrambe fanno parte della nostra ‘ragione sociale’.

In che senso?

Il Centro per le Malattie Tropicali, dal quale ha origine l’attuale dipartimento, si è sempre occupato di patologie collegate ai viaggi e alle migrazioni. L’interesse quasi esclusivo per le malattie originarie del Sud del mondo si è poi allargato a quelle infettive in generale, ma sempre con un occhio attento alla salute globale e ai movimenti umani. La seconda linea è il nostro ‘biglietto da visita’ tanto che dal 2014 siamo Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette.

Ogni linea di ricerca prevede alcuni macro-progetti, i quali a loro volta comprendono svariati micro-progetti. Facciamo qualche esempio?

Dott. Carlo Pomari
Guerriero Massimo
Prof. Massimo Guerriero

Il triennio comprende i terribili anni della pandemia da Covid-19, quindi era inevitabile che molte ricerche riguardassero il SARS-CoV2, studiato da tutti i punti di vista: diagnostico, terapeutico, immunologico. Ma anche epidemiologico, come lo studio “Città di Verona”, che ha analizzato l’andamento dei contagi nel comune scaligero in tutte le fasi della pandemia, dando preziose indicazioni alle autorità competenti. Ringrazio per questo il dottor Carlo Pomari (responsabile del Servizio di Pneumologia ndr) e il professor Massimo Guerriero (biostatistico ed epidemiologo, ndr) che hanno ideato il progetto e coordinato la sua attuazione pratica.

Sul fronte terapeutico su cosa si è orientata la ricerca?

Un macro-progetto della linea 1 era la valutazione dei farmaci per il trattamento del Covid-19. Tra questi ricordo il trial clinico sull’impiego dell’ivermectina nelle prime fasi della malattia, studio coordinato dal nostro IRCCS in collaborazione con l’Istituto Mario Negri. Sul farmaco, che noi tropicalisti impieghiamo da decenni per patologie come la strongiloidosi e alcune filariosi, c’era molta aspettativa, sulla base di studi in vitro. La nostra ricerca ha rilevato che con dosaggi alti la carica virale tendeva a diminuire, ma non in percentuali statisticamente significative. Apparentemente potrebbe sembrare uno studio ‘fallimentare’, ma nella ricerca i risultati negativi sono altrettanto importanti di quelli positivi. Infatti adesso sappiamo, anche grazie a altri studi, che l’ivermectina non è un trattamento indicato per il Covid. Abbiamo anche mostrato che perfino a dosi molto elevate non comporta effetti collaterali gravi, un’informazione preziosa per l’uso di questo farmaco per altre patologie.

Un trial, invece, che ha avuto ricadute molto positive è quello su un altro farmaco, l’anakinra

Dr. Andrea Angheben

Lo studio ha dimostrato che la somministrazione del principio attivo in una precisa fase dell’infezione riduce la percentuale di casi gravi e la durata di ospedalizzazione. Il trial internazionale italo-greco “Save More”, vedeva come principale investigatore il professore Evangelos J. Giamarellos-Bourboulis, dell’Università Nazionale e Capodistriana di Atene, il quale ha più volte sottolineato l’importanza e qualità della partecipazione allo studio dei colleghi del nostro reparto di Malattie Infettive e Tropicali, coordinati dal dottor Andrea Angheben. Nonostante lo tsunami che si era abbattuto sugli ospedali, hanno trovato il tempo di partecipare attivamente al trial reclutando uno dei gruppi più numerosi tra quelli dei centri italiani.

Ci sono stati studi anche sul vaccino?

Sì, studi significativi, ad esempio sulla diversa risposta immunitaria al vaccino tra coloro che non erano mai stati colpiti da Covid e coloro, invece, che avevano già avuto l’infezione. Questo è stato possibile anche grazie all’efficienza organizzativa di cui non posso non ringraziare la Direzione, il Servizio infermieristico, ma anche la straordinaria partecipazione della grande maggioranza dei dipendenti del nostro ospedale, che ci ha permesso di creare una delle poche coorti di studio sul vaccino seguite nel tempo. La ricerca, da cui sono già scaturite varie pubblicazioni, è infatti tuttora in corso.

Tra i temi più dibattuti durante la pandemia vi è stato quello sull’efficacia della mascherina, come protezione dal contagio.

Dr.esse Chiara Piubelli e Dora Buonfrate

Lo studio sulla valutazione della carica virale nei pazienti ricoverati tra fine febbraio e maggio 2020 ha suggerito indirettamente che misure quali l’uso generalizzato delle mascherine potevano essere state efficaci non solo nel ridurre il numero dei casi di malattia, ma anche la sua gravità in chi comunque si contagiava. Infatti in quell’arco di tempo si è osservato che progressivamente diminuiva la carica virale nei pazienti ospedalizzati e, parallelamente, anche la proporzione di casi gravi. Lo studio, coordinato dalla dottoresse Dora Buonfrate e Chiara Piubelli prima della pubblicazione era stato presentato in un congresso internazionale e aveva sollevato tanto interesse, che il Washington Post lo ha citato in un articolo.

Oltre al Covid, di quali altre malattie si è occupata la linea di ricerca 1?

Prof. Federico Gobbi
Dr. Concetta Castilletti

E’ stato pubblicato un lavoro, coordinato dal professor Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali sul primo cluster di casi autoctoni di dengue  che si è verificato in Italia, precisamente nel Vicentino, nell’agosto del 2020. Un focolaio che si è sviluppato in una regione, il Veneto, che da oltre dieci anni promuove un programma di sorveglianza di cui Negrar è responsabile scientifico, sulle febbri estive, grazie al quale il cluster è stato controllato. Inoltre la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile del Laboratorio di Virologia e altri virus emergenti, ha pubblicato con altri autori un lavoro in cui dimostrava che il cosiddetto “vaiolo delle scimmie” (monkeypox) può essere trasmesso anche dalle persone infette, ma asintomatiche. In analogia con il Covid.

Parliamo di malattie tropicali neglette

Dr. Framcesca Tamarozzi

Una di queste è la strongiloidosi, sulla quale abbiamo raggiunto risultati davvero importanti, perché anche grazie al nostro contributo una patologia che era definita “the most neglected of the neglected tropical diseases” è ora oggetto del lavoro di un Comitato dell’OMS che ha il compito di stabilire, presumibilmente entro il 2024, le linee guida per il controllo dell’infezione a livello globale. Coordinatrice del Comitato, assieme a un collega inglese, è la dottoressa Dora Buonfrate che, unitamente alla dottoressa Francesca Tamarozzi, dirige il Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cruciali sono stati i nostri studi che hanno dimostrato tra l’altro che le persone infette non sono “solo” dai 30 ai 100 milioni in tutto il mondo, bensì circa 600 milioni. Un dato importante visto che, nei casi di deficit immunitario, la strongiloidosi porta anche al decesso.

Un’altra malattia negletta di cui ci occupiamo è la schistosomiasi, tema di un progetto di ricerca, coordinato dal professor Gobbi, che coinvolge il network europeo per le malattie tropicali TropNet e anche la rete mondiale GeoSentinel.

In Occidente, dove non sono autoctone, ha senso indagare sulle malattie tropicali, per lo più neglette?

Le ragioni per farlo sono tante. Prima di tutto etiche: il fatto che alcune malattie non ci riguardino da vicino (ma la strongiloidosi, per esempio, è anche autoctona) non è un buon motivo per non occuparcene. La schistosomiasi è presente in percentuale molto alta nei migranti provenienti da alcuni paesi africani. Le persone con l’infezione, nella maggior parte dei casi, non sanno di averla, con possibili complicazioni gravi a carico del fegato, dei reni e della vescica. Se accettiamo che anche i migranti, in base ai valori della nostra Costituzione, abbianio il diritto di essere raggiunti dal Servizio Sanitario Nazionale, allora ha senso occuparci di queste malattie. Inoltre anche la dengue, per fare un altro esempio, è una patologia tropicale, ma ci interessa da vicino perché da noi è da molti anni stabilmente presente la zanzara tigre, potenziale vettore. Infine nessuno poi può dire che il Covid 19 non sia una malattia legata alla mobilità umana…

Potrebbe avere senso occuparsi di queste malattie anche per un solo calcolo economico… Spesso è una ragione più convincente dell’etica, purtroppo.

A tale proposito mi viene in mente che diversi anni fa i francesi avevano calcolato quanti trapianti di rene si sarebbero potuti evitare con lo screening e il trattamento precoce della schistosomiasi urinaria. E quindi quanti euro si sarebbero risparmiati. Tanti.

Uno dei temi caldi, e lo sarà sempre di più, è quello dell’antibiotico-resistenza.

Come Centro non abbiamo una tradizione sul monitoraggio della resistenza agli antibiotici e sulla cosiddetta stewardship antimicrobica, ma la stiamo sviluppando negli ultimi anni. Un impulso lo dà la partecipazione al progetto europeo Reverse”, coordinato per l’Italia dalla professoressa Evelina Tacconelli, ordinario di Malattie Infettive all’Università di Verona, che ha voluto coinvolgerci. E’ un progetto che ha lo scopo e l’ambizione di migliorare la gestione degli antibiotici in tutto l’ospedale. Inoltre, più recentemente, il Ministero della Salute ha approvato un nuovo progetto sulla stessa tematica, che sarà coordinato dall’Istituto Spallanzani, cui parteciperemo insieme all’Istituto Superiore di Sanità e ad altri quattro IRCCS: il Policlinico Gemelli di Roma, il Policlinico di Milano, l’Istituto Mediterraneo per i Trapianti di Palermo e l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.