A seconda della posizione del tumore sulla ghiandola pancreatica cambiano, oltre ai sintomi, anche l’approccio chirurgico. Ce ne parla la dottoressa Letizia Boninsegna, chirurgo del pancreas

 

L’adenocarcinoma duttale del pancreas è la forma più diffusa di carcinoma pancreatico, tanto che viene identificato come il tumore maligno del pancreas per eccellenza. Si stima che circa l’85% dei casi di neoplasia del pancreas in Italia (oltre 13mila nel 2018) riguarda proprio questo tipo di tumore. Colpisce con più frequenza nella fascia di età dai 50 agli 80 anni.

 

L’adenocarcinoma duttale del pancreas è una patologia molto aggressiva, relativamente alla quale, però, negli ultimi anni si sono fatti passi avanti sia in campo chirurgico sia in quello medico. Resta però tanta strada da fare, soprattutto nell’ambito delle conoscenze molecolari di questa forma tumorale che permetterebbero, una volta acquisite, la realizzazione di farmaci ‘su misura’ per ogni variazione genetica del tumore.

 

“La prognosi di sopravvivenza è ancora inferiore ai 5 anni, anche perché nella maggioranza dei casi la diagnosi avviene quando sono già presenti i sintomi e quindi il tumore è già a uno stadio avanzato”, afferma la dottoressa Letizia Boninsegna, chirurgo del pancreas. La Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo, in cui la dottoressa Boninsegna lavora, fa parte del gruppo multidisciplinare del pancreas dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria che comprende anche l’Oncologia, la Diagnostica per immagini, l’Endoscopia digestiva, l’Anatomia Patologica, la Medicina Nucleare, la Diabetologia e la Gastroenterologia. Questo consente una presa in carico nella stessa struttura del paziente affetto da tumore del pancreas a 360°, dalla diagnosi alla terapia.

 

Il pancreas è una ghiandola di forma allungata. La parte più voluminosa, vicina al duodeno, viene definita testa. Segue una parte centrale (corpo) e una finale (coda) attaccata alla milza. A seconda della posizione del tumore cambiano, oltre ai sintomi, anche l’approccio chirurgico. “Se il tumore è posizionato nella testa si procede con la duodenocefalopancreosectomia più linfoadenectomia (DCP). Se invece è compreso nel corpo-coda, viene effettuata la splenopancreasectomia”, riprende al dottoressa Boninsegna.

 

Qual è la differenza tra questi due interventi?

Per motivi di radicalità oncologica nella DCP si asporta, insieme alla testa del pancreas, anche il duodeno, l’ultimo tratto della via biliare, che è compresa in questa porzione di ghiandola, e tutti i linfonodi dell’area. Nel caso di adenocarcinoma duttale del corpo-coda, l’intervento comporta l’asportazione di questa zona insieme, per radicalità oncologica, alla milza.

 

Questo tipo di neoplasia è sempre operabile?

Solo alcuni anni fa, la risposta sarebbe stata negativa. Oggi grazie alla chemioterapia neoadiuvante (cioè prima dell’intervento) possiamo intervenire anche su tumori definiti borderline.

 

In cosa consistono?

Sono tumori per cui l’accertamento diagnostico effettuato tramite Tac o Risonanza Magnetica rilevano una posizione tale da lambire i vasi sanguigni importanti o altri organi vitali. Fino a poco tempo fa si procedeva chirurgicamente, ma senza la possibilità di eradicare completamente la neoplasia, col rischio di lasciare ‘in pancia’ un residuo macroscopico di malattia. Questo determinava, nonostante la chemioterapia post-intervento, una prognosi di pochi mesi. Attualmente, invece, disponiamo di chemioterapici che, riducendo la massa tumorale, creano un piano di distanza tra le strutture vascolari o l’organo confinante e il cancro tale da consentire un’asportazione radicale del nodulo.

 

Ci sono altri casi per cui è indicata la chemioterapia neoadiuvante?

Sì, quando il cancro è operabile, ma il marcatore tumorale CA19-9 è alto, indice di un’elevata attività moltiplicativa delle cellule tumorali. Intervenire in questi casi comporta un alto rischio di ripresa di malattia quasi immediato. Pertanto si procede con i farmaci chemioterapici, in modo da effettuare l’intervento a tumore ‘dormiente’.

 

L’intervento si avvale di tecniche tradizionali oppure viene effettuato in laparoscopia o con la robotica?

L’intervento può essere effettuato anche in laparoscopia e/o in robotica, ma in presenza di carcinomi importanti la sicurezza e la radicalità oncologica è data ancora oggi dalla chirurgia aperta. Uno studio internazionale ha messo a confronto la DCP in robotica e quella tramite chirurgia aperta, ma è stato interrotto per le grosse complicanze causate dalla prima metodica.

La DCP ma anche splenopancreasectomia sono interventi complessi, quali conseguenze hanno sulla qualità di vita del paziente?

Se il decorso post operatorio ha avuto un andamento regolare, il paziente riprende progressivamente e in breve tempo la sua quotidianità con una buona qualità di vita. A condizione, però, che conduca uno stile di vita sano dal punto di vista alimentare e dell’attività fisica. Questo fa sì che il paziente non debba ricorrere necessariamente alla somministrazione di insulina, se non era diabetico prima dell’intervento.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it