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l professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica, parla del ruolo del patologo nella presa in carico di pazienti con Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI), ruolo che è al Centro della prima edizione di “Focus On IBD 2017”

Sono 200mila le persone in Italia affette da morbo di Crohn e da colite ulcerosa, le due forme di Infiammatory Bowel Disease (IBD) – in italiano MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) – che richiedono per la loro complessità la presa in carico del paziente fin dalla diagnosi da parte di un team di specialisti. Un approccio che caratterizza le più importanti realtà cliniche dedicate a queste patologie, tra cui il Centro dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che segue circa 1.500 pazienti con 80 nuovi casi all’anno.

A Negrar ogni settimana gastroenterologi, radiologi, patologi, endoscopisti, chirurghi digestivi e, quando è necessario, oncologi si siedono attorno a un tavolo per discutere in modo collegiale la situazione di ogni paziente.

Un po’ quello che avverrà venerdì 20 ottobre all’Hotel Leon D’Oro di Verona nell’ambito del “Focus On IBD – 2017”, organizzato dal Centro MICI del “Sacro Cuore Don Calabria”, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle (in allegato il programma). Specialisti provenienti da varie realtà internazionali e nazionali faranno il punto sulle strategie di diagnosi e di gestione dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino.

 

“Vorremmo che questo diventasse un appuntamento annuale – afferma il professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica di Negrar e uno dei responsabili scentifici dell’evento (nella foto) -. Quest’anno abbiamo voluto che al centro del simposio ci fosse la figura del patologo. Questo grazie alla presenza del professor Robert Riddell, di Toronto, il più illustre patologo a livello internazionale per il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Il professore Riddell terrà due lezioni magistrali: la prima sul ruolo del patologo nella diagnosi delle IBD. La seconda verterà su displasia e cancro nelle IBD”.

 

Professor Zamboni, perché è importante il ruolo del patologo per quanto riguarda le MICI?

“La diagnosi precisa di queste patologie è fondamentale per avviare il paziente a un corretto percorso terapeutico. Non sempre è possibile stabilire con certezza se si tratta di morbo di Crohn o di colite ulcerosa, perché le due malattie possono presentare delle caratteristiche trasversali. L’approccio multidisciplinare fin dal momento della diagnosi con il contributo professionale di tutti gli specialisti riduce il numero dei casi “indeterminati”. Per contenere al minimo questi casi di difficile interpretazione, il “Sacro Cuore Don Calabria” partecipa ad un progetto interaziendale di controllo di qualità con i patologi delle Anatomie Patologiche di Trento e Bolzano. I colleghi dei rispettivi ospedali saranno tra i relatori del Congresso”.

 

Il patologo interviene solo in fase di diagnosi?

“No. Il suo contributo è fondamentale anche per verificare se il paziente risponde ai farmaci e sulle conseguenze a lungo termine della malattia, in quanto questi pazienti hanno una maggiore predisposizione a sviluppare il cancro al colon”.

 

A cosa è dovuta questa maggiore predisposizione?

“Ad oggi non si conoscono le cause delle MICI, ma è stato provato che sono una reazione abnorme del sistema immunitario a un ‘nemico’ per ora sconosciuto. Reazione che provoca un’infiammazione a livello del colon. Si tratta di malattie croniche, che possono insorgere in età pediatrica o giovanile. Pertanto un’infiammazione prolungata per 10-15 anni obbliga la mucosa a un’anomala proliferazione cellulare, aumentando il rischio di formazione di cellule neoplastiche”.

 

E’ possibile prevenire il cancro al colon di questi pazienti?

“Sì. Prima di tutto somministrando la terapia appropriata. I farmaci biologici, da alcuni anni in commercio, migliorano in modo decisivo la qualità di vita dei pazienti, in quanto controllano i sintomi: diarrea, sanguinamento nell’evacuazione e occlusione intestinale. Ma non solo: riducendo l’infiammazione, diminuiscono il rischio di insorgenza di cancro. Tuttavia questo non basta per prevenire la neoplasia. E’ necessario sottoporre il paziente a periodici esami endoscopici con biopsie mirate, per capire se è iniziata la trasformazione neoplastica dell’epitelio colico. Il campanello d’allarme è dato dalla presenza di displasia – lesione neoplastica allo stadio iniziale identificabile con l’esame istologico – che fanno passare la condizione del paziente dalla semplice predisposizione alla concreta possibilità di sviluppare il carcinoma del colon”.

 

Una volta diagnosticata la displasia come si procede?

“Proprio il professor Riddell ha sviluppato la classificazione della displasia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, distinguendola in alto grado e basso grado. A partire da questo momento, il ruolo dell’equipe multidisciplinare consiste nell’identificare la terapia più opportuna. Storicamente un paziente con displasia di alto grado, o con displasia di basso grado in più settori del colon, veniva sottoposto a colectomia totale. Attualmente, grazie alle nuove tecniche di endoscopia interventistica di cui dispone il Servizio di Endoscopia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Paolo Bocus, qualora la lesione sia identificata macroscopicamente e giudicata localmente resecabile, il paziente può avvalersi di una resezione endoscopica ed evitare l’asportazione dell’intero colon”.

 

Senza colon il paziente è costretto a vivere per sempre con la colostomia?

“No, solo per tre mesi. L’intervento avviene in due fasi: una fase demolitiva e una fase ricostruttiva, dopo circa 90 giorni, per consentire al paziente di non avere problemi di incontinenza. Grazie all’abilità e all’esperienza dei chirurghi diretti dal dottor Giacomo Ruffo, a Negrar le due fasi avvengono in laparoscopia, il che significa una ripresa più rapida del paziente e meno giorni di ospedalizzazione”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it