Sfere radioattive somministrate direttamente nella lesione provocano la necrosi del tumore: al “Sacro Cuore” è stata creata un’équipe multidisciplinare per una procedura complessa, che necessita di dotazioni tecnologiche sofisticate di Medicina Nucleare

Tra i trattamenti loco-regionali per il tumore al fegato, la metodica più recente è la TARE (Trans-Arterial Radio-Embolization o radioembolizzazione epatica). Si tratta di una radioterapia intraepatica attuata attraverso la somministrazione direttamente nella lesione tumorale di microsfere insolubili di vetro addizionate con il radioisotopo Ittrio 90. Le microsfere emanano radiazioni Beta che provocano la necrosi delle cellule neoplastiche e quindi la distruzione del tumore.

 

Al “Sacro Cuore” un’équipe specializzata

La TARE è un procedura molto complessa, anche nella fase di preparazione, attuata solo in pochi centri italiani che dispongono di apparecchiature sofisticate di Medicina Nucleare (PET, Scintigrafia con TC e Scintigrafia Total Body) e di sale di Emodinamica autorizzate ad ospitare procedure con radiofarmaci. Richiede inoltre un’équipe multispecialistica che al “Sacro Cuore Don Calabria” è formata dal gastroenterologo-epatologo Alberto Masotto, dall’oncologo Alessandro Inno, dagli angiodinamisti Giuseppe Taddei e Eugenio Oliboni, dai medici nucleari Matteo Salgarello e Joniada Doraku, dai fisici medici Fabrizia Severi e Stefano Pasetto e, per i tumori neuroendocrini, dal chirurgo Letizia Boninsegna. Finora sono stati sottoposti a TARE, una trentina di pazienti, cinque dei quali affetti da metastasi originate da tumori neuroendocrini.

 

Per quali pazienti è indicataLa TARE

La TARE è indicata soprattutto nei casi selezionati, in base a linee guida internazionali, di tumore primitivo epatico (epatocarcinoma), in pazienti con trombosi portale (per cui non è possibile procedere con la chemioembolizzazione-TACE) o in pazienti sottoposti ad altri trattamenti loco-regionali dai quali non si sono avuti risultati positivi. Prima dell’introduzione della TARE, l’unica terapia possibile per questi pazienti era quella farmacologica con Sorafenib, la cui efficacia, in termini di sopravvivenza media è minore rispetto a quella registrata grazie alla TARE. Inoltre la TARE può essere utilizzata per i Colangiocarcinomi, tumori epatici che originano dalle cellule biliari, non operabili, e per le metastasi epatiche vascolarizzate non responsive alla chemioterapia e non operabili. Per quanto riguarda i tumori neuroendocrini, non tutti i pazienti possono accedere alla TARE, ma solo coloro che presentano metastasi epatiche ipervascolarizzate di dimensioni medio-grandi e possono avere beneficio da un trattamento localizzato sul fegato.

 

La TARE si attua in due fasi

Prima fase: la “mappatura”

Il paziente viene sottoposto all’interno delle sale di Emodinamica ad angiografia epatica, un procedimento intrarterioso, con accesso dall’arteria femorale e da questa al fegato tramite l’arteria epatica. Grazie a un microcatetare viene iniettato un mezzo di contrasto che ha lo scopo soprattutto di mettere in evidenza eventuali shunt epato-gastrici o epato-polmonari, cioè vasi che portano sangue dal fegato allo stomaco o dal fegato ai polmoni. In caso di presenza di shunt epato-gastrici, i vasi devono essere chiusi tramite delle spirali, per impedire che il radiofarmaco giunga allo stomaco provocando un’ulcera gastrica emorragica. In caso di shunt polmonari, invece, è fondamentale che il trattamento con TARE rimanga al di sotto di un determinato dosaggio di radiazioni per non provocare una polmonite attinica. L’esame con cui viene verificata la chiusura degli shunt intestinali o la presenza di quelli polmonari è la Scintigrafia Total Body con TC tramite l’infusione di Tecnezio 99. Eseguito questo esame, dalla Medicina Nucleare il paziente ritorna in Emodinamica dove viene “fotografata” l’esatta posizione del catetere, che sarà rispettata al momento dell’infusione del radiofarmaco. Il paziente viene poi dimesso e richiamato in ospedale dopo due settimane. Nel frattempo viene calcolata la dose del radiofarmaco. Poiché le microsfere addizionate con Ittrio 90 giungono a Negrar dal Canada, dove il radioisotopo viene prodotto da una centrale atomica, la dose importata deve tener conto del decadimento delle radiazione emesse dal radiofarmaco che intercorre dal momento della produzione fino a quello della somministrazione,

 


Seconda fase: infusione del radiofarmaco

L’infusione delle microsfere direttamente nelle lesione tumorale avviene sempre, tramite catetere, per via intrarteriosa. Effettuata la procedura di infusione, dalla sala di Emodinamica il paziente viene portato poi in Medicina Nucleare per essere sottoposto a PET al fine di verificare se il radiofarmaco ha raggiunto in modo corretto l’area tumorale. Il ricovero dopo il trattamento (due-tre giorni) non richiede isolamento, perché il radiofarmaco emana radiazioni che hanno una penetrazione tessutale di 2,5 millimetri, quindi non escono dal corpo del paziente stesso.

 

Effetti collaterali

La TARE non comporta particolari effetti collaterali, se non una sindrome di astenia che perdura per alcuni giorni ed è sopportata facilmente dal paziente.

Nella foto: da sinistra la dottoressa Joniada Doraku (medico nucleare), il dottor Stefano Pasetto (fisico medico), il dottor Alberto Masotto (epatologo), la dottoressa Letizia Boninsegna (chirurgo), il dottor Matteo Salgarello (medico nucleare), il dottor Giuseppe Taddei (angiodinamista), la dottoressa Fabrizia Severi (fisico medico) e il dottor Maurizio Corso (coordinatore del Servizio di Emodinamica)