La virologa Castilletti: "I virus? Affascinanti sconosciuti"

Dal 1° gennaio la dottoressa Castilletti è in forza al Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar con la responsabilità di gestire il neonato laboratorio di virologia. Proviene dall’Istituto Spallanzani di Roma ed era nella squadra che a fine gennaio del 2020 ha isolato e sequenziato il virus: fino a quel momento i centri al mondo che ci erano riusciti si contavano sulle dita della mano.

Il nome di Concetta Castilletti rimarrà inesorabilmente legato al virus SARS-CoV-2. La biologa siciliana, con specializzazione in microbiologia e virologia e dottorato in immunobiologia dei virus, faceva parte della grande squadra dell’Istituto Spallanzani, che a fine gennaio del 2020 ha isolato e sequenziato il virus: fino a quel momento i centri al mondo che ci erano riusciti si contavano sulle dita della mano.

Dr.ssa Maria Capobianchi

Dr. Antonino Di Caro

Dal 1° gennaio la dottoressa Castilletti è in forza al Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar con la responsabilità di gestire il neonato laboratorio di virologia. Insieme a lei, sempre dallo ‘Spallanzani’, sono arrivati, come consulenti, la dottoressa Maria Capobianchi (che a Roma era direttore del Laboratorio di Virologia) e il dottor Antonino Di Caro (già direttore del Laboratorio di Microbiologia dello stesso Istituto).

Tutti e tre (e il resto team artefice dell’isolamento) sono stati insigniti dal presidente Mattarella del Cavalierato al merito della Repubblica, “un grandissimo onore e un’enorme emozione – sottolinea Castilletti –. Gli stessi che ho provato quando mi hanno conferito il premio Carlo Urbani, dedicato al medico italiano che per primo ha identificato e classificato la SARS, prima di rimanerne vittima nel 2003. Una persona eccezionale, oltre che un grande medico”.

DA CATANIA ALLO SPALLANZANI DI ROMA

La storia professionale della dottoressa Castilletti va tuttavia ben oltre al Coronavirus ed è costellata, come lei stessa sottolinea, da ‘grandi maestri’. Originaria di Ragusa, ha frequentato Scienze biologiche all’Università di Catania, dove “ho avuto come docente il professor Angelo Castro, che mi ha trasmesso la sua grande passione per la virologia”. Poi il trasferimento all’Università La Sapienza. “Una decisione dettata dal cuore (a Roma ho ‘messo su famiglia’), ma durante la specializzazione in Virologia e Microbiologia ho incontrato altri due grandi maestri, il professor Ferdinando Dianzani, uno dei maggiori esperti di AIDS, e il mio mentore, Maria Capobianchi. E’ stata lei a volermi allo ‘Spallanzani’, per occuparmi dei virus emergenti”.

SUL CAMPO A STUDIARE IL VIRUS EBOLA

In particolare nel Laboratorio di livello 4 (il più alto per quanto riguarda la biosicurezza), di cui era la responsabile operativa, ha studiato Ebola e le altre febbri emorragiche. E non solo in Laboratorio. “Sono stata in Nigeria nei primi mesi del 2014, per la febbre di Lassa, in Guinea nel 2014 e successivamente in Sierra Leone nel 2015 per l’epidemia di Ebola; in Sudan nel 2018 e in Congo nel 2019 per l’epidemia di Chikungunya.

AL SACRO CUORE RESPONSABILE DEL LABORATORIO DI VIROLOGIA

Dopo 14 anni allo ‘Spallanzani’, con la direzione scientifica del dottor Giuseppe Ippolito, un’altra figura importante della sua vita professionale, l’approdo al ‘Sacro Cuore Don Calabria’. “Ho trovato molto stimolante professionalmente la possibilità di avviare un laboratorio di virologia e di lavorare con un gruppo così giovane e pieno di iniziative”, sottolinea. “L’obbiettivo è quello di mettere a punto e di sviluppare la diagnostica virologica con particolare attenzione ai virus emergenti, di implementare gli isolamenti e i sequenziamenti”.

I VIRUS SONO AFFASCINANTI SCONOSCIUTI

Ma cosa spinge a dedicare la propria vita ai virus? “I virus sono affascinanti sconosciuti – risponde la dottoressa Castilletti -. Non li vedi, ma sono presenti. Sanno interagire con le cellule e si servono dei meccanismi sofisticati di quest’ultime per piegarle al loro volere al fine di sopravvivere, da buoni parassiti. Esiste questa teoria, per cui il virus non avrebbe come obiettivo l’uccisione dell’ospite, perché significherebbe la morte di se stesso. Una teoria che però non è sempre legge. Vi è un virus (il virus della malattia emorragica del coniglio, MEV) che per la trasmissione ha bisogno di un vettore, che punge prevalentemente l’animale morto. Quindi in questo caso il parassita ha interesse ad uccidere il suo ospite favorendo la sopravvivenza del vettore e quindi la trasmissione del virus”.

VERSO UN PAN-VACCINO

I virus non evolvono sempre verso una virulenza inferiore. Sembrerebbe però che la teoria calzi a pennello per il Coronavirus… “Sembrerebbe – sottolinea la virologa -. Ci sono tutti i segnali per una convivenza relativamente pacifica con il virus. La variante Omicron, ma anche la Delta, si sono dimostrate più contagiose, ma meno ‘cattive’ rispetto al virus originario di Wuhan. Tuttavia del SARS-CoV-2 sappiamo ancora poco e le mutazioni sono imprevedibili per definizione. I vaccini stanno dimostrando tutta la loro efficacia – conclude – Ora la ricerca deve spingere verso un vaccino pan-coronavirus, un vaccino cioè che protegga attraverso quella parte dell’RNA dei coronavirus che muta meno frequentemente, affinché possiamo pensare a dei richiami, se necessari, a cadenza non così ravvicinata come i primi due. Non è un’impresa facile, ma anche per gli attuali vaccini sembrava impossibile averli in così breve tempo e che, soprattutto, funzionassero. Invece la scienza ancora una volta ci ha stupito”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

 


L'Apostolato degli Infermi e l'amore di don Calabria per gli ammalati

Un segno concreto dell’amore di don Calabria per gli ammalati è l’Apostolato degli Infermi, movimento voluto dal santo per accompagnare i sofferenti con la preghiera e la vicinanza spirituale. In occasione della trentesima Giornata Mondiale del Malato, che si celebra domani 11 febbraio, parliamo di questa realtà che ancora oggi conta su 6000 iscritti e ha sede presso la Cittadella della Carità

«È una grande famiglia quella dell’Apostolato Infermi, non solo perché numerosa ma anche e soprattutto perché costituisce una forza potente nella Chiesa di Cristo. Infatti il sacrificio, quando è benedetto dal Signore ed è unito con la preghiera e con lo spirito di carità, è l’energia più preziosa che il cristiano possa mettere a disposizione di Dio e della Chiesa». (S.G. Calabria)

L’Apostolato degli Infermi è un movimento fondato in Olanda nel 1925, nella diocesi di Harleem. Don Giovanni Calabria lesse di tale iniziativa sull’Osservatore Romano e decise di aprire una filiale italiana, cosa che avvenne ufficialmente il 24 maggio 1930. In occasione della XXX Giornata Mondiale del Malato, che si celebra domani 11 febbraio in concomitanza con il ricordo della prima apparizione della Madonna a Lourdes, parliamo di questa realtà che era così cara per il santo sacerdote veronese e che tuttora ha la sua sede presso la Cittadella della Carità di Negrar.

Vedi Messaggio del Papa per la XXX Giornata Mondiale del Malato

Obiettivo dell’Apostolato degli Infermi è l’accompagnamento degli ammalati, degli anziani e dei loro cari attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Ma nelle intenzioni del fondatore c’è anche un altro aspetto essenziale: sono gli infermi stessi ad essere considerati come “apostoli” perchè offrendo la loro sofferenza a Dio attraverso la preghiera possono salvare il mondo proprio come ha fatto Gesù sulla croce.

Ecco come il primo segretario del movimento, don Albano Bussinello, spiegava le tre regole stabilite per coloro che nei primi tempi volevano iscriversi al movimento: “1) Accettare dalla mano di Dio le sofferenze della malattia; 2) Sopportarle con spirito cristiano, in unione alle pene che nostro Signore Gesù Cristo soffrì sulla Croce; 3) Offrirle a Dio per la venuta del suo Regno… questa è un’opera veramente Cristiana perché il fratello malato sente di non essere inutile, comprende che puó fare più lui, immobile in un letto, che non altri nella loro vita attiva e febbrile, e che i suoi dolori, sofferti in unione ai dolori di Gesù Cristo sulla Croce, sono quelli che alla fine salvano il mondo” (Bussinello, 1935).

Tra le attività promosse dal movimento c’era proprio la giornata del malato, che veniva celebrata annualmente fin dagli inizi con una speciale S. Messa dedicata. Inoltre agli appartenenti al movimento veniva consegnato un certificato con una preghiera da recitare ogni giorno e un distintivo benedetto che li aiutava a ricordare l’impegno e l’invito a santificare la propria sofferenza. Infine i malati erano raggiunti con un messaggio mensile di riflessione e incoraggiamento.

Oggi gli iscritti al movimento dell’Apostolato degli Infermi sono circa 6.000 e provengono da varie parti d’Italia. Strumento concreto del loro accompagnamento spirituale è l’omonima rivista bimestrale fondata dallo stesso don Calabria e attualmente diretta da don Tiziano Tosi, cappellano dell’ospedale. “La rivista è un mezzo molto utile per mantenere il collegamento con tante persone sofferenti che in questo modo possono ricevere un messaggio di speranza e coltivare la loro vita spirituale che non deve essere trascurata a causa della malattia”, dice don Tosi.

La rivista viene inviata a chiunque ne faccia richiesta, in forma gratuita perchè l’Apostolato si sostiene confidando nella Provvidenza e nelle eventuali offerte dei benefattori. Alcune centinaia di copie sono distribuite all’interno della Cittadella della Carità, nelle cappelle degli ospedali e nelle sale d’attesa dove c’è maggior passaggio di persone. Inoltre viene portata a chi ne faccia richiesta dai ministri straordinari della comunione quando vanno nei vari reparti. “Nella rivista si trovano i messaggi del Papa, riflessioni sulla spiritualità di don Calabria, esperienze di vita missionaria e intenzioni di preghiera che ogni lettore può fare proprie”, continua don Tosi.

Per iscriversi o per maggiori informazioni si può contattare don Tosi al seguente indirizzo: tiziano.tosi@sacrocuore.it oppure la redazione della rivista all’indirizzo comunicazione@doncalabria.org.


Tolto un grosso tumore salvando lo stomaco, grazie alla collaborazione in sala tra chirurgia ed endoscopia

Si chiama LECS, un metodica chirurgica mini-invasiva impiegata per la prima volta in Veneto su un paziente affetto da un grosso tumore allo stomaco. La cooperazione in sala dei chirurghi con gli endoscopisti ha permesso la rimozione della massa, senza prelevare una ampia parte dello stomaco, che avrebbe comportato un lungo recupero post operatorio e l’alterazione della funzione fisiologica della digestione.

La grandezza del tumore avrebbe indicato l’asportazione non solo della massa di 6 centimetri, ma anche di una ampia parte dello stomaco, un intervento che comporta un lungo recupero post operatorio e l’alterazione della funzione fisiologica della digestione.

Invece grazie a una nuova tecnica di chirurgia mininvasiva utilizzata per la prima volta in Veneto, i chirurghi dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar affiancati dagli endoscopisti hanno potuto rimuovere solamente la neoplasia, “salvando” lo stomaco. Il paziente, dopo una settimana di degenza (con la chirurgia tradizionale sono almeno due), ha lasciato l’ospedale alimentandosi normalmente.

Il paziente trattato presentava un tumore di grosse dimensioni del tipo GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor) cioè una neoplasia, abbastanza rara, dell’apparato digerente che può originare dalle cellule della parete muscolare dell’esofago, dello stomaco, dell’intestino fino al canale anale.

“Nel nostro caso il tumore era localizzato nell’antro gastrico, cioè nella parte dello stomaco al confine con il piloro. Da accurati esami è emerso che la neoplasia presentava tutte le caratteristiche per la rimozione tramite la nuova metodica chiamata LECS (Laparoscopic-Endoscopic Cooperative Surgery), un intervento che richiede la stretta collaborazione tra gli endoscopisti e i chirurghi nella stessa seduta operatoria”, spiega il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia e dell’Endoscopia Digestiva.

Ad occuparsi dell’incisione del bordo della lesione per via endoscopica è stato lo stesso dottor Bocus, che successivamente ha aperto una breccia nella parete gastrica. Attraverso di essa i chirurghi Irene Gentile e Claudio Zardini, della Chirurgia generale diretta dal dottor Giacomo Ruffo, hanno rimosso completamente la lesione per via video-laparoscopica e suturato la parete gastrica.

L’intervento è stato possibile grazie alla competenza maturata negli anni nel campo della chirurgia laparoscopica e dell’endoscopia”, sottolinea il dottor Bocus. “Nel primo ambito Negrar rappresenta da tempo un centro di riferimento nazionale, sia per la chirurgia generale che per quella ginecologica. Per quanto riguarda l’endoscopia siamo in grado di effettuare esami ultra-specialistici come l’Ecografia Endoscopica Gastrica (circa 300 all’anno) che consente di determinare lo stadio del tumore, fondamentale per procedere con LECS. La presenza infatti di infiltrazioni della parete o dei linfonodi non consentirebbe l’esportazione della sola neoplasia, ma richiederebbe la rimozione anche del tessuto sano”.

L’Endoscopia Digestiva da metodica diagnostica è divenuta negli ultimi anni una metodica interventistico-operativa con approccio mini-invasivo. “Basti pensare alle nuove possibilità terapeutiche per il trattamento dei tumori sia in fase iniziale (come nei tumori superficiali mediante resezione mucosale-EMR e submucosale-ESD), sia in fase di palliazione definitiva con il posizionamento di stent per la ricanalizzazione o la creazione di by-pass EUS-guidati nelle fasi tardive delle malattie neoplastiche”, conclude il dottor Bocus.

L’Endoscopia digestiva di Negrar è dal 2018 Centro accreditato SIED (Società Italiana di Endoscopia Digestiva) e nel 2018 Centro per la Scuola di Formazione Residenziale  di II livello sempre delle SIED.

Nella foto da sinistra: il dottor Paolo Bocus, il dottor Claudio Zardini e la dottoressa Irene Gentile

 


Giornata mondiale contro il cancro: non è più "il brutto male", anche grazie alla radioterapia

Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro.  Se oggi questa patologia non è più quel brutto male il cui nome non veniva nemmeno pronunciato lo dobbiamo alla diagnosi precoce, alla ricerca e all’evoluzione straordinaria delle terapie. Tra queste la radioterapia che da sola o in associazione alla chirurgia e alle terapie medico-farmacologiche contribuisce alla guarigione di un numero crescente di pazienti

Il prof. Alongi con la sua équipe

Il 4 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, promossa dall’UICC (Union for International Cancer Control) e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affinché la lotta contro il cancro continui ad essere una priorità nell’agenda mondiale della salute e dello sviluppo. Abbattendo soprattutto le disparità di opportunità di cura che esistono tra Paesi o all’interno degli stessi.

Grazie alla diagnosi precoce e all’evoluzione straordinaria delle terapie, la patologia tumorale non è più quel “brutto male” (come veniva chiamata) implacabile. E’ infatti costantemente in crescita il numero dei pazienti che possono definirsi guariti. E per coloro ancora impegnati nel percorso terapeutico, la qualità di vita è enormemente migliorata.

Le modalità terapeutiche in oncologia si sono affinate nel tempo, con una chirurgia sempre meno invasiva, con farmaci sempre più ‘intelligenti’, e con una radioterapia sempre più avanzata, moderna e precisa.

Nello specifico, la radioterapia, nell’armamentario terapeutico in oncologia, è una modalità di cura importantissima: fino al 60% dei pazienti affetti da malattia tumorale viene trattato con radiazioni ionizzanti.

Questa metodica nel corso degli ultimi decenni si è fortemente sviluppata, sul fronte di un’ottima tollerabilità da parte dei pazienti e di una elevatissima precisione, tanto da sostituirsi spesso all’intervento chirurgico.

La radioterapia rappresenta oggi l’espressione più alta del connubio tra l’evoluzione tecnologico-ingegneristica delle apparecchiature in campo medico e l’elevatissima professionalità dei radioterapisti oncologi, che ogni giorno a fianco di chirurghi, di oncologi medici, e specialisti nella diagnostica valutano, in un contesto multidisciplinare, la modalità di cura più appropriata di ogni paziente oncologico.

La radioterapia viene impiegata da sola con lo scopo di eradicare la malattia tumorale, per esempio nel tumore della laringe, del polmone, della prostata, in fase ancora localizzata.

Ma può essere usata efficacemente insieme alla terapia medico-farmacologica nella cura della malattia localmente avanzata come nel caso dei tumori del distretto cervico-facciale, ginecologico o gastro intestinale.

Infine trova sempre più impiego anche in caso di malattia metastatica, non necessariamente con una finalità esclusivamente palliativo-sintomatica, ma anche in casi selezionati (detti oligo-metastatici), con l’obiettivo di coadiuvare i farmaci o ritardare l’attivazione di nuove linee mediche più tossiche, a favore di un trattamento locale mirato sulle singole sedi di malattia metastatica.

Forte dei risultati ottenuti, le cure radioterapiche entrano di diritto nei successi che l’oncologia ha ottenuto nella lotta contro il cancro ed è necessario un impegno da parte di tutti perché metodiche come queste, all’avanguardia, siano accessibili a tutti i pazienti, come sollecita questa Giornata mondiale. Nella radioterapia tanta strada è stata fatta e all’orizzonte ci sono prospettive di ulteriori miglioramenti.

Filippo Alongi
Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Professore associato di Radioterapia all’Università di Brescia

INFORMAZIONI SUL CANCER CARE CENTER DEL “SACRO CUORE DON CALABRIA” clicca qui

 

 


Studio su Verona: il 93% dei cittadini è oggi protetto dal virus Sars- CoV2

Conclusa la seconda fase dello studio epidemiologico Covid-19 “Comune di Verona 2020” realizzato dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar: Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni è oggi protetto dal virus Sars-CoV-2.  I ricercatori: “Verona è pronta per la ripartenza, ma senza abbassare la guardia: la percentuale dei vulnerabili può ancora mettere in crisi gli ospedali. Omicron 7 volte più contagiosa”

Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni risultava a fine gennaio 2022 protetto contro il SARS-CoV-2, perché venuto in contatto con il virus (32,3%) o perché vaccinato (91,9%). La variante Omicron conferma anche a Verona la sua altissima contagiosità: in due mesi (dicembre 2021-gennaio 2022) l’incremento dei casi di infezione è stato 7 volte superiore rispetto ai 18 mesi precedenti. Seppur in un contesto di relativa tranquillità, il numero dei cittadini non protetti, che potrebbe incidere anche sulle ospedalizzazioni, richiede di non abbassare la guardia.

Questo il quadro principale emerso dalla seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020”, iniziato nella primavera di due anni fa, in piena prima ondata pandemica da Covid-19. La seconda fase aveva lo scopo di stimare, su campione rappresentativo della popolazione veronese con almeno 10 anni di età (235.000) la prevalenza (cioè il numero dei casi rispetto alla popolazione) e l’incidenza (cioè i nuovi casi da aprile-maggio 2020 a novembre 2021) di infezione attiva. Si tratta dello stesso campione statistico della prima parte della ricerca (1.515 cittadini) analizzato 18 mesi dopo. Poiché nei mesi di dicembre 2021 e gennaio 2022 la situazione epidemiologica ha subito un brusco cambiamento a causa della variante Omicron, lo studio si è protratto oltre l’arco temporale fissato originariamente (vedi video della presentazione in fondo a questo articolo).

I dati emersi della ricerca – che garantisce un margine di errore nelle stime pari al massimo del 2%   –  si differenziano dai bollettini quotidiani relativi ai positivi e ai vaccinati perché l’esame sierologico per la valutazione della presenza degli anticorpi specifici ha permesso di individuare la percentuale anche di coloro che non sapevano di aver contratto il virus, in quanto asintomatici o con lievi sintomi simil influenzali.

La ricerca è stata condotta dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e ha visto la collaborazione delle maggiori istituzioni amministrative, scientifiche e sanitarie di Verona: il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9.

Si tratta di uno dei pochi esempi a livello internazionale di indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo: il protocollo dello studio è stato pubblicato su British Medical Journal Open, mentre i risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Emerging Infection Diseases.

RACCOLTA DEI DATI E ANALISI

Il campione originario di 1.515 cittadini con età superiore ai 10 anni è stato contattato telefonicamente e invitato a recarsi da lunedì 22 a domenica 28 novembre 2021 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 per sottoporsi a un prelievo di sangue al fine del dosaggio degli anticorpi anti-Covid19, al tampone molecolare naso-faringeo e alla valutazione dei parametri respiratori tramite spirometria (questi ultimi dati sono ancora in fase di elaborazione).

All’invito hanno risposto 897 veronesi su 1.515 (59,2%). I campioni biologici raccolti dai sanitari dell’IRCCS di Negrar – guidati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia e coordinatore dello studio –  sono stati analizzati dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal professor Zeno Bisoffi.

Il prelievo ematico di 80 soggetti (scelti dai 1.515 secondo criteri stabiliti sulla base della data della vaccinazione o di una pregressa infezione da SARS-CoV-2) è stato inviato al laboratorio dell’Università di Anversa (Belgio) per analizzare numerosi aspetti della immunità cellulare. I dati di questa ricerca, che rientra nello studio internazionale ORCHESTRA, guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice delle Malattie Infettive e Tropicali dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, non sono ancora disponibili.

La seconda fase dello studio ha avuto una ripresa ad inizio anno, dovuta all’avvento della variante Omicron. Dal 17 gennaio per una settimana sono stati richiamati telefonicamente i 1.515 veronesi (il campione originario) per intervistarli su eventuali cambiamenti della loro situazione clinica relativamente al Covid19. Hanno risposto in 1.193 (78,7%).

I DATI

  • A fine gennaio 2022 risulta parzialmente protetta dal virus SARS-CoV-2 il 93% della popolazione con almeno 10 anni perché vaccinato (91,9%) o perché venuti a contatto con il virus (32,3%). L’avverbio “parzialmente” è necessario perché come è noto, anche a causa delle varianti, sono possibili reinfezioni e perché il vaccino protegge dalla malattia grave e non dall’infezione.
  • La prima fase dello studio (maggio 2020) ha rilevato una prevalenza di positività del 5,2%. A 18 mesi di distanza (novembre 2021) la prevalenza è risultata del 14,4%, con un’incidenza del 9,2%. A gennaio 2022, dopo due mesi caratterizzati dalla variante Omicron, la percentuale di casi nella popolazione è schizzata al 21,3% con un’incidenza del 6,9% rispetto a novembre 2021. Questo significa che vi è stato negli ultimi due mesi un incremento 7 volte superiore della diffusione del virus rispetto ai 18 mesi precedenti.
  • Complessivamente dall’inizio dello studio il 23,5% dei veronesi interpellati – circa 1 su 4 – ha dichiarato di aver contratto il SARS-CoV-2.
  • Ma l’evidenza dei test sierologici mostra che l’8,8% dei veronesi risulta essere venuto in contattato con il virus, senza saperlo o perché asintomatico o per non aver riconosciuto lievi sintomi dovuti all’infezione da SARS-CoV-2.
  • Da maggio 2020 a gennaio 2022 la letalità è stata dello 0,7%: 11 decessi per Sars-Cov2 relativamente al campione indagato.
  • Ospedalizzazioni: da maggio 2020 a gennaio 2022 i casi di ospedalizzazione per Covid19 (almeno una notte in ospedale) sono stati il 3,5%.
  • Le reinfezioni ammontano allo 0,25%.
Dr. Carlo Pomari

“Innanzitutto è d’obbligo un grande ringraziamento ai veronesi che si sono resi disponibili in modo totalmente gratuito per questo studio, dimostrando un grande senso civico, in un momento difficile per tutti”, afferma il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia  dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e coordinatore dello studio. “Grazie ai tamponi abbiamo potuto scattare un’istantanea del momento, ma con l’esame sierologico sul sangue oggi possediamo un quadro completo, comprendente anche gli asintomatici non sottoposti a test, che rappresenta uno strumento formidabile a disposizione delle istituzioni amministrative e sanitarie per le decisioni future. La luce c’è in fondo al tunnel e ci stiamo avvicinando, ma manteniamo per ora la mascherina e il distanziamento soprattutto in luoghi chiusi. E naturalmente vacciniamoci anche con la terza dose, se non lo abbiamo già fatto”.

Prof. Zeno Bisoffi

“I dati di Verona sono eloquenti, ci dicono che ci stiamo avviando verso quella che io chiamo una “semi immunità di gregge”, interviene il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Infatti, sommando i vaccinati con almeno due dosi e chi ha avuto il COVID, la grande maggioranza della popolazione veronese è protetta, ma questa protezione è parziale. Più efficace contro la malattia, meno efficace contro il rischio di infezione. Inoltre la durata della protezione è limitata nel tempo. Ci aspettano mesi più sereni, probabilmente la prossima stagione invernale vedrà una minor circolazione del virus e la pressione sui nostri ospedali sarà inferiore. Per consolidare questo risultato, però, la condizione indispensabile è raggiungere e mantenere nel tempo una copertura vaccinale molto elevata. Altrimenti nuove ondate saranno inevitabili”.

Pro. Massimo Guerriero

“Gli studi epidemiologici su un campione statisticamente significativo hanno proprio questa particolarità: l’indagine su un ristretto numero di persone consente di estendere i risultati su un’intera popolazione. In Italia ricerche Covid-19 di questo genere sono davvero poche”, sottolinea il professor Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo e co-coordinatore dello studio. “Sicuramente la ‘sorpresa’ più grande è stato il tasso di crescita delle infezioni dovute a Omicron: tanto che le stime iniziali prevedevano un picco a Verona della quarta ondata tra il 25 e il 31 dicembre 2021, mentre si è manifestato ben oltre (a metà gennaio). Questa ricerca ci consente di essere ottimisti per il futuro, ma con cautela – conclude il prof. Guerriero -. Il tasso di ospedalizzazione rilevato (3,5%), applicato alla percentuale dei cittadini non protetti, potrebbe portare a un numero importante di ospedalizzazioni. Naturalmente si tratta di una stima prospettica condizionata dall’incremento o meno del numero delle vaccinazioni. L’unico modo per smentirla è che chi non si è vaccinato lo faccia, subito!”.

Dott. Mario Piccinini

“Questo studio, a cui come ospedale abbiamo creduto fin dall’inizio, unisce due aspetti che rappresentano il “Sacro Cuore Don Calabria”, ha aggiunto Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale di Negrar. “Questa è una delle ricerche che facciamo i cui risultati si trasformano in applicazioni cliniche immediatamente a vantaggio della salute dei pazienti o, come in questo caso, dei cittadini. Tale genere di ricerca è propria degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, di cui facciamo parte dal 2018. Il secondo aspetto, invece, appartiene alla storia centenaria dell’Ospedale di Negrar: un storia iniziata proprio 100 anni fa (nel 1922), radicata nel territorio e a servizio del territorio, in collaborazione con le istituzioni amministrative e sanitarie. Siamo un ospedale a gestione privata, ma la nostra funzione è pubblica. Un esempio è il nostro ruolo in questa pandemia che ci ha visto in prima linea fin dall’inizio nell’ambito della ricerca (49 studi Covid-19 approvati), dell’assistenza (1.100 ricoveri) e della diagnostica: solo nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi di cui oltre l’80% con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale). Infine, attualmente l’ospedale è centro vaccinale per la popolazione adulta e i minori dai 12 ai 17 anni”

COMITATO SCIENTIFICO DELLO STUDIO

Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.

Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona

Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona

Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona

Evelina Tacconelli, direttore della Sezione Malattie Infettive dell’Università di Verona

Nella foto da sinistra: Claudio Micheletto, Massimo Guerriero, Zeno Bisoffi, Albino Poli, Federica Sboarina (sindaco di Verona), Roberto Giacobazzi (prorettore vicario dell’Università di Verona), Mario Piccinini (amministratore delegato IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria) e Carlo Pomari


Malattie tropicali neglette: un problema di salute globale

Il 30 gennaio è la Giornata mondiale delle Malattie Tropicali Neglette (NTD), un gruppo di patologie “dimenticate” dalle agende politiche e dalla ricerca scientifica, nonostante ne sia affetto più di un miliardo di persone, collocate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il DIpartimento di Malattie Infettive e Tropicali dal 2014 è centro collaboratore dell’OMS per queste patologie e in particolare per la  strongiloidosi.

Si stima che oltre un miliardo di persone nel mondo ne sia afflitto e che siano causa di gravissime disabilità e di più di mezzo milione di morti all’anno. Tuttavia sono in gran parte sconosciute dall’opinione pubblica (ma anche dalla comunità medica e scientifica) e per lungo tempo trascurate dall’agenda politica mondiale e dalla ricerca. Si tratta delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases, NTD), di cui domenica 30 gennaio si celebra la giornata internazionale e per le quali il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è centro collaboratore (dal 2014) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le NTD sono patologie, secondo la definizione dell’OMS, “sebbene diverse dal punto di vista nosologico (possono infatti essere di origine virale, batterica, parassitaria…ndr), formano un gruppo unico in quanto tutte sono fortemente associate alla povertà, proliferano in ambienti con scarse risorse, specialmente in aree tropicali, tendono a coesistere e la maggior parte di esse sono malattie antiche che affliggono l’umanità da secoli”. L’OMS ne elenca venti. Alcune sono conosciute anche in Italia perché rievocano tempi passati (come la lebbra) oppure perché presenti (come il virus Dengue o la malattia di Chagas).

In questo elenco è stata inserita anche la strongiloidosi, grazie al contributo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar che negli ultimi dieci anni ha diagnosticato diverse centinaia di casi (la più alta casistica in Italia ed una delle principali in Europa). Si stima che nel mondo siano intorno ai 600 milioni le persone infette e uno studio del 2006 ha dimostrato che nella parte settentrionale del nostro Paese sono migliaia i soggetti ammalati. Sono in n gran parte di anziani, che si sono infettati, magari in gioventù o da bambini, camminando in campagna a piedi scalzi, o toccando con le mani terriccio contaminato da feci umane. Il sintomi possono essere banali (come un intenso prurito), ma in caso di immunodepressione la parassitosi può svilupparsi nella forma nota come disseminata, quasi sempre mortale. Fondamentale quindi la diagnosi precoce, da proporre prima di tutto a soggetti sintomatici o con aumento dei globuli bianchi eosinofili nel sangue.

Oltre che per la strongiloidosi, il Dipartimento è un centro di riferimento per tutte le malattie tropicali neglette a cui afferiscono sia i migranti presenti sul territorio sia i viaggiatori internazionali. Il centro infatti presenta metodiche diagnostiche specifiche e percorsi clinici di assistenza, frutto di anni di gestione di queste malattie, che non trovano facilmente un percorso adeguato in altre sedi. La ricerca, invece ha anche carattere operativo sul campo, con progetti internazionali.

Il Word Day NTD ha lo scopo di diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’importanza di combattere queste malattie dimenticate che contribuiscono in modo determinante a frenare lo sviluppo dei Paesi più poveri e che potrebbero, a causa della mobilità delle persone, del cambiamento climatico e degli spostamenti di vettori di malattie diffondersi anche in quelli Occidentali.

La roadmap dell’OMS 2021-2030 prevede tra i vari obiettivi la riduzione del 90% il numero di persone che necessitano di interventi contro le NTD, di diminuire del 75% gli anni di vita persi per disabilità (DALYs) causate dalle stesse NTD e che ne vengano eradicate almeno due nel mondo (dracunculiasi e framboesia). E’ inutile sottolineare che ciascuno dei punti della roadmap richiede una forte volontà politica e un adeguato impegno del mondo scientifico.

 

 


antibiotici

Gli antibiotici non curano il Covid, perché è un virus e non un batterio

antibiotici

Nelle farmacie non si trovano alcuni tipi di antibiotici. La causa è ancora una volta la prescrizione e l’uso inappropriato di questi farmaci, probabilmente per cura del Covid. Assumere antibiotici per curare un virus, qual è il Sars Cov2, è inutile e potenzialmente dannoso per il soggetto. Oltre ad essere la prima causa dell’antibiotico-resistenza, che ha già provocato in Italia e in Europa migliaia di morti

Il mantra era lo stesso in epoca pre-Covid: assumere antibiotici per combattere l’influenza è inutile e pure dannoso. Il Covid non ha cambiato nulla, né il mantra né la cattiva abitudine di fare un uso improprio di una classe di farmaci preziosissimi che hanno cambiato il destino dell’umanità, debellando infezioni mortali. Batteriche e non virali. E sia l’influenza che il SARS-CoV 2, causa del Covid, sono virus non batteri.

Eppure è notizia di questi giorni che nelle farmacie italiane manca l’azitromicina, un antibiotico ad ampio spettro, impiegato per curare le infezioni batteriche delle vie respiratorie inferiori e superiori, quelle della cute o odontostomatologiche, e le infezioni del tratto uro-genitale. La carenza, come ha precisato l’Agenzia Italiana del Farmaco, “non deriva da esportazioni o altre anomalie distributive, ma dalla prescrizione del farmaco al di fuori delle indicazioni previste”, come per esempio per la cura del Covid. Quando, precisa l’AIFA, “l’azitromicina, e nessun antibiotico in generale è approvato, né tantomeno raccomandato per il trattamento del Covid-19”.

Gli antibiotici, infatti, entrano in campo nel percorso terapeutico di una persona affetta da nuovo Coronavirus quando all’infezione virale (per la quale questi farmaci non servono) si aggiunge anche una coinfezione batterica, dovuta a immunodepressione, spesso causata dai farmaci necessari per contrastare l’abnorme e anomala reazione del sistema immunitario, vero grande problema della malattia da SARS-Cov2.

L’uso improprio degli antibiotici ha delle serie conseguenze. Innanzitutto un farmaco che non serve è nella migliore delle ipotesi inutile, quindi priva di una grande arma terapeutica chi ne ha veramente bisogno. Infine è la causa principale della cosiddetta antibiotico-resistenza, cioè lo sviluppo di microrganismi, causa potenziale di infezioni, resistenti agli antibiotici. Fenomeno, quest’ultimo, che viene indicato come uno dei massimi problemi di sanità pubblica oggi, in quanto il rischio, nemmeno così remoto, è di ritornare a prima del 1928 quando Alexander Fleming scoprì la penicillina: impotenti di fronte alle infezioni. E di infezione si muore.

Le indagini realizzate stimano infatti che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si siano verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi e 874.541 DALYs (Disability Adjusted Life years-numero di anni persi a causa della malattia). E secondo i dati forniti dalla sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità (Ar-Iss) in Italia si sarebbe verificato 1/3 di tutti i decessi (10mila morti) correlati alla resistenza degli antibiotici.

Ma che cos’è l’antibiotico-resistenza? E’ la resistenza dei microorganismi a un antibiotico. Questa è causata da un normale processo evolutivo del batterio (si afferma la mutazione che permette al microrganismo di sopravvivere) accentuata da vari fattori, tra cui l’uso inappropriato ed eccessivo dei farmaci che dovrebbero debellarli. In altre parole più antibiotici vengono usati più batteri sviluppano resistenze.

Pertanto la prevenzione dell’antibiotico-resistenza richiede sì progetti a livello globale (prevenzione diffusa delle infezioni, in particolare quelle ospedaliere, uso appropriato anche in campo veterinario, incremento della ricerca farmaceutica…), ma anche la collaborazione di ciascuno di noi (medici compresi che li prescrivono) nell’assumere correttamente questi farmaci.

Ecco come

  1. Gli antibiotici curano le infezioni batteriche e non virali. Pertanto sono inutili per combattere, per esempio l’influenza e il raffreddore e ancora di più il Covid
  2. Devono essere assunti solo su prescrizione medica. Quindi l’antibiotico avanzato dall’infezione precedente deve essere lasciato nel cassetto, sempre che il medico non lo indichi come cura.
  3. Devono essere assunti secondo la posologia indicata dal medico, rispettando anche l’intervallo temporale da una dose all’altra, in quanto è necessario mantenere una concentrazione stabile di farmaco nel sangue. Pena l’inefficacia della cura.
  4. Mai sospendere la cura prima del termine stabilito, sempre che non lo indichi il medico, perché se la malattia non è stata totalmente debellata i sintomi ricompiano con la necessità di un nuovo ciclo di cura.

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca
Responsabile della stewardship antibiotica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Centro tamponi via San Marco 121, Verona

L'IRCCS di Negrar apre un centro tamponi Covid 19 a Verona

Centro tamponi via San Marco 121, Verona

Da lunedi 24 gennaio sarà attivo a Verona un nuovo Centro tamponi Covid-19 del “Sacro Cuore Don Calabria” che si affianca a quello di Negrar. La prenotazione su “myprenota” è solo su prescrizione medica

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria apre un punto tamponi Covid 19 A VERONA su richiesta dell’ULSS 9.

Da lunedì 24 gennaio in via San Marco 121 (presso l’area del Centro Polifunzionale Don Calabria) sarà infatti operativo, dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 13 e il sabato dalle 8 alle 12, il Servizio drive in.

Saranno effettuati, con accettazione in loco, sia i tamponi antigenici rapidi che molecolari, presentando l’impegnativa del medico.

La prenotazione con prescrizione medica deve essere effettuata sul portale “myprenota” dell’ULSS 9.

 Quello di via San Marco, si affianca al centro tamponi presso il parcheggio multipiano di via Salgari a Negrar con antigenici rapidi e molecolari anche con prescrizione (prenotazioni: www.sacrocuore.it bottone “prenota senza coda”).

 Nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi (molecolari e antigenici rapidi) di cui 40.298 (oltre l’80%) con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale).


Sanità calabriana nel mondo: conclusi i lavori all'ospedale di Manila

Nel 2021 sono stati rinnovati gli spazi e i servizi della “Bro. Francisco Perez” Clinic di Manila, struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria nelle Filippine che fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli ospedali di Luanda e Marituba. Tra le novità anche un servizio clinico di assistenza al parto.

Il Centro “Bro. Francisco Perez”

E’ un intervento di ammodernamento molto importante quello da poco concluso nella struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria a Manila, nelle Filippine. La “Bro. Francisco Perez” Clinic, questo il nome del piccolo ospedale fondato nel 2006, è stata rinnovata durante il 2021 negli ambienti e nei servizi con l’obiettivo di rispondere ai crescenti bisogni di un bacino di utenza di 200.000 persone nell’area periferica di Tay Tay (vedi sito: https://www.calabrians.org/clinic).
Il centro è diretto dal religioso dell’Opera don Ronald Eborde e fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli altri due ospedali dei Poveri Servi della Divina Provvidenza in terra di missione, ovvero il “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola) e il “Divina Provvidenza di Marituba” (Brasile). La struttura filippina si rivolge principalmente a persone molto povere che non avrebbero accesso ad altre possibilità di diagnosi e cura. Le prestazioni fornite sono ambulatoriali e includono visite mediche e dentistiche, radiografie, ecografie, esami di laboratorio, la profilassi per la cura della tubercolosi e un dispensario farmaceutico per una media di circa 20.000 pazienti all’anno.

I lavori

Grazie ai lavori completati nel 2021 e inugurati l’8 ottobre, festa di don Calabria, la “Bro. Perez” potrà ampliare i propri campi di attività. In particolare sono questi gli interventi portati a termine:

– La creazione di un servizio clinico di monitoraggio della gravidanza e di assistenza al parto in un’area dedicata
– La ristrutturazione completa dell’area poliambulatoriale, con un ampliamento e la ricollocazione di alcuni servizi in maniera più funzionale (visite mediche, servizio dentistico, servizio di farmacia, servizio di radiologia ed ecografia).
– La creazione di un distinto servizio diagnostico di laboratorio per esami richiesti dalla normativa locale per lo svolgimento dell’attività lavorativa, un adempimento a livello nazionale previsto dalla medicina del lavoro.
Il potenziamento delle capacità diagnostiche del laboratorio analisi, che andrà a rappresentare il laboratorio di riferimento anche per le piccole strutture ambulatoriali presenti in questa vasta area, che ne sono prive.
– Un’azione formativa mirata, che negli ultimi mesi ha riguardato il “modello di assistenza sanitaria secondo la vita e le opere di San Giovanni Calabria”; un programma formativo che è frutto di un Master in gestione clinica in ambito infermieristico, conseguito dalla Povera Serva Suor Maria Josè Marinho, che all’interno del Centro gestisce da sette anni l’attività infermieristica.

Gli interventi sono stati condotti con il sostegno dell’UMMI, che ha partecipato anche ai precedenti progetti di ristrutturazione del 2006 e del 2017. Altri enti partner sono stati la Caritas Antoniana di Padova e l’Opera San Francesco di Milano.
Ora il piano di sviluppo del centro sanitario, elaborato in rete con il sistema calabriano di sanità, prevede la creazione di servizi di degenza in ambito pediatrico, infettivologico ed internistico per offrire alla popolazione – in contrasto alle patologie emergenti – una nuova risposta, con servizi e caratteristiche al momento assenti nell’intera area di riferimento.


Vaccino Covid-19: perché è fortemente consigliato in gravidanza

La vaccinazione anti-Covid 19 è fortemente raccomandata anche in gravidanza in quanto protegge sia la donna sia il nascituro. La posizione del Federazione SIGO e il documento dell’Istituto Superiore della Sanità.

La cronaca ha riportato diversi casi di donne in gravidanza gravemente colpite da Covid-19, tanto da essere ricoverate in terapia intensiva con gravi rischi per la sopravvivenza loro e quella del feto. Nella quasi totalità dei casi è emerso che queste donne non si erano sottoposte alla vaccinazione contro il virus SARS CoV-2 in quanto dissuase dalla famiglia o, in alcuni casi, anche dal loro medico.

Nel maggio del 2021, la Federazione SIGO –  che comprende la SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), l’AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologici Ospedalieri Italiani), l’AGUI (Associazione Ginecologici Universitari Italiani) e l’AGITE (Associazione Ginecologici Italiani) ha pubblicato un documento (clicca qui) in cui affermava, su evidenze scientifiche, che “la vaccinazione è uno strumento centrale per proteggere le donne e di conseguenza i neonati” e che “negli Stati Uniti circa 90.000 donne in gravidanza sono state vaccinate, principalmente con i vaccini Pfizer e Moderna, senza che sia stato sollevato alcun problema di sicurezza”.

Una forte raccomandazione alla vaccinazione, quindi, che acquista ancora maggiore importanza nella fase pandemica attuale in cui la variante Omicron caratterizzata da un’alta contagiosità è prevalente.

Per quanto riguarda i tempi della vaccinazione un documento dell’Istituto Superiore della Sanità afferma che la profilassi vaccinale è raccomandata anche nel secondo e nel terzo mese di gravidanza. Naturalmente la decisione deve essere sempre valutata insieme al medico. (clicca qui)