Malattie tropicali neglette: un problema di salute globale
Il 30 gennaio è la Giornata mondiale delle Malattie Tropicali Neglette (NTD), un gruppo di patologie “dimenticate” dalle agende politiche e dalla ricerca scientifica, nonostante ne sia affetto più di un miliardo di persone, collocate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il DIpartimento di Malattie Infettive e Tropicali dal 2014 è centro collaboratore dell’OMS per queste patologie e in particolare per la strongiloidosi.
Si stima che oltre un miliardo di persone nel mondo ne sia afflitto e che siano causa di gravissime disabilità e di più di mezzo milione di morti all’anno. Tuttavia sono in gran parte sconosciute dall’opinione pubblica (ma anche dalla comunità medica e scientifica) e per lungo tempo trascurate dall’agenda politica mondiale e dalla ricerca. Si tratta delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases, NTD), di cui domenica 30 gennaio si celebra la giornata internazionale e per le quali il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è centro collaboratore (dal 2014) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le NTD sono patologie, secondo la definizione dell’OMS, “sebbene diverse dal punto di vista nosologico (possono infatti essere di origine virale, batterica, parassitaria…ndr), formano un gruppo unico in quanto tutte sono fortemente associate alla povertà, proliferano in ambienti con scarse risorse, specialmente in aree tropicali, tendono a coesistere e la maggior parte di esse sono malattie antiche che affliggono l’umanità da secoli”. L’OMS ne elenca venti. Alcune sono conosciute anche in Italia perché rievocano tempi passati (come la lebbra) oppure perché presenti (come il virus Dengue o la malattia di Chagas).
In questo elenco è stata inserita anche la strongiloidosi, grazie al contributo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar che negli ultimi dieci anni ha diagnosticato diverse centinaia di casi (la più alta casistica in Italia ed una delle principali in Europa). Si stima che nel mondo siano intorno ai 600 milioni le persone infette e uno studio del 2006 ha dimostrato che nella parte settentrionale del nostro Paese sono migliaia i soggetti ammalati. Sono in n gran parte di anziani, che si sono infettati, magari in gioventù o da bambini, camminando in campagna a piedi scalzi, o toccando con le mani terriccio contaminato da feci umane. Il sintomi possono essere banali (come un intenso prurito), ma in caso di immunodepressione la parassitosi può svilupparsi nella forma nota come disseminata, quasi sempre mortale. Fondamentale quindi la diagnosi precoce, da proporre prima di tutto a soggetti sintomatici o con aumento dei globuli bianchi eosinofili nel sangue.
Oltre che per la strongiloidosi, il Dipartimento è un centro di riferimento per tutte le malattie tropicali neglette a cui afferiscono sia i migranti presenti sul territorio sia i viaggiatori internazionali. Il centro infatti presenta metodiche diagnostiche specifiche e percorsi clinici di assistenza, frutto di anni di gestione di queste malattie, che non trovano facilmente un percorso adeguato in altre sedi. La ricerca, invece ha anche carattere operativo sul campo, con progetti internazionali.
Il Word Day NTD ha lo scopo di diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’importanza di combattere queste malattie dimenticate che contribuiscono in modo determinante a frenare lo sviluppo dei Paesi più poveri e che potrebbero, a causa della mobilità delle persone, del cambiamento climatico e degli spostamenti di vettori di malattie diffondersi anche in quelli Occidentali.
La roadmap dell’OMS 2021-2030 prevede tra i vari obiettivi la riduzione del 90% il numero di persone che necessitano di interventi contro le NTD, di diminuire del 75% gli anni di vita persi per disabilità (DALYs) causate dalle stesse NTD e che ne vengano eradicate almeno due nel mondo (dracunculiasi e framboesia). E’ inutile sottolineare che ciascuno dei punti della roadmap richiede una forte volontà politica e un adeguato impegno del mondo scientifico.
Gli antibiotici non curano il Covid, perché è un virus e non un batterio
Nelle farmacie non si trovano alcuni tipi di antibiotici. La causa è ancora una volta la prescrizione e l’uso inappropriato di questi farmaci, probabilmente per cura del Covid. Assumere antibiotici per curare un virus, qual è il Sars Cov2, è inutile e potenzialmente dannoso per il soggetto. Oltre ad essere la prima causa dell’antibiotico-resistenza, che ha già provocato in Italia e in Europa migliaia di morti
Il mantra era lo stesso in epoca pre-Covid: assumere antibiotici per combattere l’influenza è inutile e pure dannoso. Il Covid non ha cambiato nulla, né il mantra né la cattiva abitudine di fare un uso improprio di una classe di farmaci preziosissimi che hanno cambiato il destino dell’umanità, debellando infezioni mortali. Batteriche e non virali. E sia l’influenza che il SARS-CoV 2, causa del Covid, sono virus non batteri.
Eppure è notizia di questi giorni che nelle farmacie italiane manca l’azitromicina, un antibiotico ad ampio spettro, impiegato per curare le infezioni batteriche delle vie respiratorie inferiori e superiori, quelle della cute o odontostomatologiche, e le infezioni del tratto uro-genitale. La carenza, come ha precisato l’Agenzia Italiana del Farmaco, “non deriva da esportazioni o altre anomalie distributive, ma dalla prescrizione del farmaco al di fuori delle indicazioni previste”, come per esempio per la cura del Covid. Quando, precisa l’AIFA, “l’azitromicina, e nessun antibiotico in generale è approvato, né tantomeno raccomandato per il trattamento del Covid-19”.
Gli antibiotici, infatti, entrano in campo nel percorso terapeutico di una persona affetta da nuovo Coronavirus quando all’infezione virale (per la quale questi farmaci non servono) si aggiunge anche una coinfezione batterica, dovuta a immunodepressione, spesso causata dai farmaci necessari per contrastare l’abnorme e anomala reazione del sistema immunitario, vero grande problema della malattia da SARS-Cov2.
L’uso improprio degli antibiotici ha delle serie conseguenze. Innanzitutto un farmaco che non serve è nella migliore delle ipotesi inutile, quindi priva di una grande arma terapeutica chi ne ha veramente bisogno. Infine è la causa principale della cosiddetta antibiotico-resistenza, cioè lo sviluppo di microrganismi, causa potenziale di infezioni, resistenti agli antibiotici. Fenomeno, quest’ultimo, che viene indicato come uno dei massimi problemi di sanità pubblica oggi, in quanto il rischio, nemmeno così remoto, è di ritornare a prima del 1928 quando Alexander Fleming scoprì la penicillina: impotenti di fronte alle infezioni. E di infezione si muore.
Le indagini realizzate stimano infatti che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si siano verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi e 874.541 DALYs (Disability Adjusted Life years-numero di anni persi a causa della malattia). E secondo i dati forniti dalla sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità (Ar-Iss) in Italia si sarebbe verificato 1/3 di tutti i decessi (10mila morti) correlati alla resistenza degli antibiotici.
Ma che cos’è l’antibiotico-resistenza? E’ la resistenza dei microorganismi a un antibiotico. Questa è causata da un normale processo evolutivo del batterio (si afferma la mutazione che permette al microrganismo di sopravvivere) accentuata da vari fattori, tra cui l’uso inappropriato ed eccessivo dei farmaci che dovrebbero debellarli. In altre parole più antibiotici vengono usati più batteri sviluppano resistenze.
Pertanto la prevenzione dell’antibiotico-resistenza richiede sì progetti a livello globale (prevenzione diffusa delle infezioni, in particolare quelle ospedaliere, uso appropriato anche in campo veterinario, incremento della ricerca farmaceutica…), ma anche la collaborazione di ciascuno di noi (medici compresi che li prescrivono) nell’assumere correttamente questi farmaci.
Ecco come
- Gli antibiotici curano le infezioni batteriche e non virali. Pertanto sono inutili per combattere, per esempio l’influenza e il raffreddore e ancora di più il Covid
- Devono essere assunti solo su prescrizione medica. Quindi l’antibiotico avanzato dall’infezione precedente deve essere lasciato nel cassetto, sempre che il medico non lo indichi come cura.
- Devono essere assunti secondo la posologia indicata dal medico, rispettando anche l’intervallo temporale da una dose all’altra, in quanto è necessario mantenere una concentrazione stabile di farmaco nel sangue. Pena l’inefficacia della cura.
- Mai sospendere la cura prima del termine stabilito, sempre che non lo indichi il medico, perché se la malattia non è stata totalmente debellata i sintomi ricompiano con la necessità di un nuovo ciclo di cura.
Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca
Responsabile della stewardship antibiotica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
L'IRCCS di Negrar apre un centro tamponi Covid 19 a Verona
Da lunedi 24 gennaio sarà attivo a Verona un nuovo Centro tamponi Covid-19 del “Sacro Cuore Don Calabria” che si affianca a quello di Negrar. La prenotazione su “myprenota” è solo su prescrizione medica
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria apre un punto tamponi Covid 19 A VERONA su richiesta dell’ULSS 9.
Da lunedì 24 gennaio in via San Marco 121 (presso l’area del Centro Polifunzionale Don Calabria) sarà infatti operativo, dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 13 e il sabato dalle 8 alle 12, il Servizio drive in.
Saranno effettuati, con accettazione in loco, sia i tamponi antigenici rapidi che molecolari, presentando l’impegnativa del medico.
La prenotazione con prescrizione medica deve essere effettuata sul portale “myprenota” dell’ULSS 9.
Quello di via San Marco, si affianca al centro tamponi presso il parcheggio multipiano di via Salgari a Negrar con antigenici rapidi e molecolari anche con prescrizione (prenotazioni: www.sacrocuore.it bottone “prenota senza coda”).
Nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi (molecolari e antigenici rapidi) di cui 40.298 (oltre l’80%) con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale).
Sanità calabriana nel mondo: conclusi i lavori all'ospedale di Manila
Nel 2021 sono stati rinnovati gli spazi e i servizi della “Bro. Francisco Perez” Clinic di Manila, struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria nelle Filippine che fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli ospedali di Luanda e Marituba. Tra le novità anche un servizio clinico di assistenza al parto.
Il Centro “Bro. Francisco Perez”
E’ un intervento di ammodernamento molto importante quello da poco concluso nella struttura sanitaria dell’Opera Don Calabria a Manila, nelle Filippine. La “Bro. Francisco Perez” Clinic, questo il nome del piccolo ospedale fondato nel 2006, è stata rinnovata durante il 2021 negli ambienti e nei servizi con l’obiettivo di rispondere ai crescenti bisogni di un bacino di utenza di 200.000 persone nell’area periferica di Tay Tay (vedi sito: https://www.calabrians.org/clinic).
Il centro è diretto dal religioso dell’Opera don Ronald Eborde e fa parte del sistema calabriano di sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli altri due ospedali dei Poveri Servi della Divina Provvidenza in terra di missione, ovvero il “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola) e il “Divina Provvidenza di Marituba” (Brasile). La struttura filippina si rivolge principalmente a persone molto povere che non avrebbero accesso ad altre possibilità di diagnosi e cura. Le prestazioni fornite sono ambulatoriali e includono visite mediche e dentistiche, radiografie, ecografie, esami di laboratorio, la profilassi per la cura della tubercolosi e un dispensario farmaceutico per una media di circa 20.000 pazienti all’anno.
I lavori
Grazie ai lavori completati nel 2021 e inugurati l’8 ottobre, festa di don Calabria, la “Bro. Perez” potrà ampliare i propri campi di attività. In particolare sono questi gli interventi portati a termine:
– La creazione di un servizio clinico di monitoraggio della gravidanza e di assistenza al parto in un’area dedicata
– La ristrutturazione completa dell’area poliambulatoriale, con un ampliamento e la ricollocazione di alcuni servizi in maniera più funzionale (visite mediche, servizio dentistico, servizio di farmacia, servizio di radiologia ed ecografia).
– La creazione di un distinto servizio diagnostico di laboratorio per esami richiesti dalla normativa locale per lo svolgimento dell’attività lavorativa, un adempimento a livello nazionale previsto dalla medicina del lavoro.
– Il potenziamento delle capacità diagnostiche del laboratorio analisi, che andrà a rappresentare il laboratorio di riferimento anche per le piccole strutture ambulatoriali presenti in questa vasta area, che ne sono prive.
– Un’azione formativa mirata, che negli ultimi mesi ha riguardato il “modello di assistenza sanitaria secondo la vita e le opere di San Giovanni Calabria”; un programma formativo che è frutto di un Master in gestione clinica in ambito infermieristico, conseguito dalla Povera Serva Suor Maria Josè Marinho, che all’interno del Centro gestisce da sette anni l’attività infermieristica.
Gli interventi sono stati condotti con il sostegno dell’UMMI, che ha partecipato anche ai precedenti progetti di ristrutturazione del 2006 e del 2017. Altri enti partner sono stati la Caritas Antoniana di Padova e l’Opera San Francesco di Milano.
Ora il piano di sviluppo del centro sanitario, elaborato in rete con il sistema calabriano di sanità, prevede la creazione di servizi di degenza in ambito pediatrico, infettivologico ed internistico per offrire alla popolazione – in contrasto alle patologie emergenti – una nuova risposta, con servizi e caratteristiche al momento assenti nell’intera area di riferimento.
Vaccino Covid-19: perché è fortemente consigliato in gravidanza
La vaccinazione anti-Covid 19 è fortemente raccomandata anche in gravidanza in quanto protegge sia la donna sia il nascituro. La posizione del Federazione SIGO e il documento dell’Istituto Superiore della Sanità.
La cronaca ha riportato diversi casi di donne in gravidanza gravemente colpite da Covid-19, tanto da essere ricoverate in terapia intensiva con gravi rischi per la sopravvivenza loro e quella del feto. Nella quasi totalità dei casi è emerso che queste donne non si erano sottoposte alla vaccinazione contro il virus SARS CoV-2 in quanto dissuase dalla famiglia o, in alcuni casi, anche dal loro medico.
Nel maggio del 2021, la Federazione SIGO – che comprende la SIGO (Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia), l’AOGOI (Associazione Ostetrici Ginecologici Ospedalieri Italiani), l’AGUI (Associazione Ginecologici Universitari Italiani) e l’AGITE (Associazione Ginecologici Italiani) ha pubblicato un documento (clicca qui) in cui affermava, su evidenze scientifiche, che “la vaccinazione è uno strumento centrale per proteggere le donne e di conseguenza i neonati” e che “negli Stati Uniti circa 90.000 donne in gravidanza sono state vaccinate, principalmente con i vaccini Pfizer e Moderna, senza che sia stato sollevato alcun problema di sicurezza”.
Una forte raccomandazione alla vaccinazione, quindi, che acquista ancora maggiore importanza nella fase pandemica attuale in cui la variante Omicron caratterizzata da un’alta contagiosità è prevalente.
Per quanto riguarda i tempi della vaccinazione un documento dell’Istituto Superiore della Sanità afferma che la profilassi vaccinale è raccomandata anche nel secondo e nel terzo mese di gravidanza. Naturalmente la decisione deve essere sempre valutata insieme al medico. (clicca qui)
Covid 19, nuove norme sulla quarantena e sull'isolamento
Il nuovo decreto legge in vigore dallo scorso 31 dicembre cambia in maniera sostanziale le norme che regolano la quarantena e l’isolamento. La vaccinazione completa con la dose booster consente una vita sociale e lavorativa (indossando la mascherina FFP2) anche a seguito di un contatto stretto con un positivo. Sette e non dieci i giorni di isolamento in caso di positività.
Riportiamo di seguito le nuove norme sulla quarantena e sull’isolamento fiduciario causa Covid 19 previste dal decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 229 ed entrate in vigore il 31 dicembre 2021.
IN CASO DI CONTATTO STRETTO* CON SOGGETTO CONFERMATO POSITIVO AL COVID-19
Il decreto prevede che la quarantena preventiva NON si applichi
- alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale “primario” (senza “terza dose” o “booster) da 120 giorni o meno;
- alle persone che sono guarite dal COVID-19 da 120 giorni o meno;
- alle persone che hanno ricevuto la dose di richiamo del vaccino (cosiddetta “terza dose” o “booster”).
A tutte queste categorie di persone si applica una AUTO-SORVEGLIANZA (auto-monitoraggio quotidiano dei sintomi: febbre, raffreddore, tosse…) con OBBLIGO DI INDOSSARE LA MASCHERINA FFP2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al soggetto positivo al COVID-19 (quindi l’undicesimo giorno dall’ultimo contatto). È prevista l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare per la rilevazione dell’antigene Sars-Cov-2 alla prima comparsa dei sintomi e, se ancora presenti al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto. .
Il decreto prevede che la quarantena preventiva si applichi nel seguente modo
- 5 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti asintomatici che abbiamo completato il ciclo vaccinale primario (senza “terza dose” o “booster) da più di 120 giorni e che abbiano comunque un green pass rafforzato valido. Al quinto giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
- 10 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti non vaccinati o che non abbiano completato il ciclo vaccinale primario o che abbiano completato il ciclo vaccinale primario da meno di 14 giorni. Al decimo giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
IN CASO DI POSITIVITA’ AL COVID 19
Il decreto prevede che l’isolamento venga applicato nel seguente modo:
- 7 giorni: per i soggetti contagiati che abbiano precedentemente ricevuto la dose booster o che abbiano completato il ciclo vaccinale da meno di 120 giorni o che siano aguariti da meno di 120 giorni. L’isolamento termina al 7 giorno purché siano sempre stati asintomatici o risultino asintomatici da almeno 3 giorni e alla condizione che, al termine di tale periodo, risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
- 10 giorni per i soggetti contagiati non vaccinati, vaccinati con un ciclo primario incompleto, vaccinati con ciclo primario completo da meno di 14 giorni o vaccinati con ciclo vaccinale completo da più di 120 giorni. A conclusione del periodo deve essere eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
* definizione di “contatto stretto”
- una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19
- una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano)
- una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
- una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti
- una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei
- un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
- una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.
Gli operatori sanitari, sulla base di valutazioni individuali del rischio, possono ritenere che alcune persone, a prescindere dalla durata e dal setting in cui è avvenuto il contatto, abbiano avuto un’esposizione ad alto rischio.
(fonte Ministero della salute: clicca qui)
Dolore cronico e psicoterapia: il modello ACT è il più efficace
il National Institute for Clinical Excellence (NICE) “premia” il modello di psicoterapia applicato da sempre dal servizio di Pasicologia clinica per la gestione del dolore cronico oncologico, emicranico o causato dall’endometriosi
Il modello ACT – Acceptance and Commitment Therapy – è la psicoterapia più efficace per la gestione del dolore cronico. A dirlo è il National Institute for Clinical Excellence (NICE), l’agenzia indipendente britannica il cui mandato è quello di fornire, su evidenze scientifiche, linee guida agli operatori sanitari al fine del raggiungimento dei migliori standard possibili nella cura dei pazienti. Una grande soddisfazione per il Servizio di Psicologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Giuseppe Deledda, che da sempre applica il modello ACT nella presa in carico dei pazienti affetti da dolore cronico.
“Si tratta di una prestigiosa conferma della bontà del nostro approccio terapeutico al dolore cronico come per esempio il dolore oncologico, quello emicranico o causato dall’endometriosi, solo per citare la tipologia dei pazienti che segue il nostro Servizio – spiega il dottor Deledda -. Le linee guida di NICE si basano su trial clinici, che hanno dimostrato quanto il modello ACT agisca positivamente, non tanto sul dolore ‘puro’, quello causato dalla patologia, quanto su quello ‘sporco’”.
Un termine usato quest’ultimo per indicare la sofferenza psicologica che viene ad innestarsi quando la sofferenza fisica condiziona la qualità di vita. “Il paziente affetto da dolore cronico in genere soffre di depressione, ansia, disturbi del sonno, rabbia che amplificano inevitabilmente il dolore fisico, abbassando la soglia di sopportazione – riprende lo psicologo – ACT agisce su questi aspetti portando il paziente ad abbandonare quelle strategie di evitamento che l’essere umano mette in atto istintivamente di fronte a qualcosa che non sa come controllare, ma che esse stesse sono fonti di sofferenza. Un esempio? Evito di frequentare le persone perché a causa del dolore io sono un peso. Questo non fa altro che aumentare il mio senso di solitudine, di non essere amato, esacerbando anche la sofferenza fisica. Ma spesso sono i nostri pensieri che ci attribuiscono il ruolo di ‘peso’ non la realtà dei fatti”.
Come indica l’acronimo ACT, la terapia vuole portare all’accettazione, una parola difficile da affermare di fronte a una persona che soffre. “Accettazione non significa rassegnazione o fatalismo, ma consapevolezza del nostro presente che comprende il dolore ma non deve essere visto attraverso di esso. Aiutare il paziente a muoversi verso ciò che è importante, verso ciò che ha valore per la persona stessa nonostante il dolore, è ciò che si prefigge questo modello di psicoterapia”.
Un modello che secondo le line guida NICE aiuta anche il paziente a una maggiore adesione terapeutica e aumenta l’efficacia del farmaco. “La depressione o la rabbia innestano anche un senso di sfiducia nei confronti della terapia che si sta seguendo: ‘Il dolore rimane quindi a cosa serve?’. La psicoterapia agendo sul dolore sporco, agisce sulla percezione del dolore primario e aumenta la consapevolezza sulla necessità di aderire correttamente alla terapia. Se i farmaci vengono assunti correttamente, aumentano la loro efficacia”, afferma il dottor Deledda.
“La malattia, come il dolore, possono rappresentare momenti in cui sperimentiamo emozioni indesiderate, pensieri inquietanti, vissuti d’impotenza e di perdita delle autonomie, per cui non è sempre facile vivere e muoversi coerentemente con i propri valori – riprede il psicologo -. Il percorso terapeutico si ripropone di rimanere in una posizione d’ascolto e di accoglienza della sofferenza, per poi ricercare un nuovo repertorio di azioni, psicologiche e fisiche, coerenti con i valori identificati. La terapia si snoda, quindi, attraverso un percorso che si sviluppa mediante i sei processi del modello ACT (accettazione dell’esperienza, defusione, contatto con il momento presente, senso di continuità con il sé, contatto con i propri valori e azione impegnata), applicati nel contesto del dolore cronico.
Lo sport paralimpico ritorna in ospedale con il tiro con l'arco
Ritornano presso il Dipartimento di Riabilitazione le iniziative dedicate allo sport con il Comitato Italiano Paralimpico, una collaborazione nata nel 2018. Si è iniziato con il tiro con l’arco, ma seguiranno altre discipline sportive. Perché lo sport è parte integrante del processo riabilitativo e un’occasione di reinserimento nella vita sociale
Luigi in gioventù ha giocato a calcio ed era un appassionato di nuoto. Mai si sarebbe immaginato che a 68 anni avrebbe provato anche il tiro con l’arco e per lo più mentre si trovava ricoverato in ospedale. Invece è accaduto e non per un regalo di Natale, ma grazie alle ripresa dell’attività sportivo-riabilitativa all’interno del Dipartimento di Riabilitazione in convenzione con il Cip, il Comitato italiano paralimpico, interrotta a causa della pandemia.
La giornata “sportiva” si è svolta poco prima di Natale negli spazi del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, dove ogni giorno i pazienti, degenti e non, con lesioni midollari o cerebrali, dovute a traumi oppure a patologie, svolgono attività riabilitativa. Sei di loro hanno aderito all’iniziativa con l’istruttrice Carla Pravato degli “Arcieri Sanbonifacesi”, Società sportiva di tiro con l’arco della provincia di Verona. Carla è istruttore di secondo livello, iscritta all’albo, con specializzazione per il settore giovanile e paralimpico. “Le modalità di insegnamento sono le stesse sia per un normodotato sia per un disabile. Anche la posizione è la stessa. La sola differenza è che nel secondo caso utilizziamo degli ausili per adattare il gesto alla condizione della persona”, sottolinea Pravato. “Il tiro con l’arco è una disciplina sportiva considerata riabilitativa per il reinserimento non solo nel mondo dello sport ma anche in quello sociale. Questo in ospedale è un primo approccio, una volta dimesso il paziente può continuare l’attività presso una delle tante società sportive esistenti”.
La convenzione tra il Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS di Negrar e il Cip è stata stipulata nel 2018. “Grazie ad essa istruttori del Comitato si affiancano ai terapisti nel far sperimentare nella fase ospedaliera lo scenario dello sport adattato alla loro disabilità”, afferma la dottoressa Rossato. “Inoltre, dove è necessario, il Cip fornisce anche la strumentazione necessaria per la pratica sportiva scelta. Lo sport diventa così elemento del processo riabilitativo sia dal punto di vista motorio che relazionale”.
Il connubio sport e riabilitazione ha una lunga tradizione a Negrar, anche prima della convenzione con il Cip, tanto che l’ospedale è stato in molti casi una fucina di campioni. Per fare solo alcuni nomi: Federico Falco (campione mondiale di tennis tavolo), Michela Brunelli (campione europeo di tennis tavolo e medaglia di bronzo alle ultime paralimpiadi), Sofia Forneris (nazionale di tiro con l’arco), Federico Crosara (nazionale di tennistavolo), Stefano Pasini (handbike)… e tanti altri, che, nonostante le lesioni che li hanno resi paraplegici o tetraplegici, sono riusciti ad affermarsi nello sport.
“Abbiamo iniziato con il tiro con l’arco, ma è nostra intenzione è proseguire con altri sport quando avremo individuato gli ambienti idonei” sottolinea Giovanni Brunelli, fisioterapista del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa. “Il tiro con l’arco è ideale per esercitare il controllo del tronco, rafforzare gli arti superiori e la capacità oculo-motoria rispetto al gesto atletico. Tra i nostri pazienti ci sono molte persone giovani: per loro lo sport significa ritorno alla vita, l’opportunità di esprimersi fisicamente andando oltre i loro presunti limiti”.
2021: video-diario di un anno intenso e ricco di emozioni al "Sacro Cuore"
In questo video abbiamo raccolto le immagini e gli eventi che hanno segnato questo 2021 per l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Un anno intenso, ancora pesantemente segnato dalla pandemia, nel quale i nostri operatori sono stati nuovamente in prima linea nella lotta al virus ma anche nella cura di tanti pazienti affetti dalle altre patologie che di certo non sono sparite al cospetto del Covid. Questo piccolo video-diario vuole essere un ringraziamento per il lavoro fatto e un’occasione per fare a tutti i nostri lettori i migliori auguri di un sereno 2022, ricordando che il nuovo anno sarà doppiamente speciale perchè celebreremo il centenario del “Sacro Cuore”.
* Foto di copertina: Udali
Da una storia centenaria i nostri migliori auguri di Buon Natale e di un Sereno Anno Nuovo
Nel 1922 saranno esattamente 100 anni dalla nascita dell’ospedale “Sacro Cuore”. Nell’augurare Buon Natale e un Sereno Anno Nuovo vogliamo ripercorrere insieme a voi questa storia centenaria e straordinaria, tramite le immagini delle tappe più significative
È un anno speciale quello che l’Ospedale di Negrar si sta preparando a vivere. Era infatti il 1922 quando nacque la Casa del Sacro Cuore, la prima cellula dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Era un piccolo ricovero dedicato agli anziani del paese, voluto dal parroco don Angelo Sempreboni e in cui don Giovanni Calabria vide qualcosa “destinata a diventare grande”.