Radioterapia per il tumore al seno: efficace senza importanti effetti collaterali
La Radioterapia Oncologica si colloca ormai da anni tra le armi terapeutiche più importanti per combattere il tumore al seno insieme alla chirurgia e alle cure con i farmaci. Grazie all’avanzamento tecnologico e della conoscenza biologica dei tumori oggi le radiazioni ionizzanti sono in grado di curare il tumore anche nelle fasi avanzate senza importanti effetti collaterali. Come per esempio a a danno del cuore. Ce lo spiega come nel video Filippo Alongi, direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata e professore associato all’Università di Brescia
1922-2022: il Sacro Cuore celebra l'anno del Centenario
1922-2022. L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria entra nell’anno del Centenario. Era infatti il 1° novembre 1922, quando ebbe luogo la benedizione inaugurale dell’ospizio denominato Casa del Sacro Cuore. Un’opera voluta da don Angelo Sempreboni, parroco di Negrar, che contemporaneamente iniziò l’edificazione di uno stabile destinato a ospedale per gli abitanti del paese
“Il parroco acquistava l’immobile dalla Cassa Rurale in data 12 marzo 1920 con l’intento di aprirvi un ricovero, ma lo stabile non potè essere utilizzato come ospizio se non a partire dal 1° novembre 1922, quando ebbe luogo la benedizione inaugurale con l’ingresso dei primi quattro anziani: l’ospizio venne denominato Casa del Sacro Cuore…”. (M. Gecchele, Storia dell’Opera don Calabria II/3, Edizioni CCSC, Verona-2013, pag. 71).
Il parroco in questione era don Angelo Sempreboni, l’immobile si trovava dietro la chiesa parrocchiale di Negrar (nei pressi dell’attuale Pronto Soccorso) e quella benedizione fu l’inizio della storia centenaria dell’ospedale Sacro Cuore, continuata successivamente nelle mani di San Giovanni Calabria a partire dal 1933.
Negli anni in cui don Sempreboni mise la prima pietra di un sogno, l’assistenza sanitaria era un lusso. Il Comune sosteneva economicamente le cure di base del medico condotto e i ricoveri in ospedale dei più poveri. Per gli altri – piccoli proprietari terrieri e mezzadri di cui era costituita in buona parte la popolazione di 4mila anime di Negrar all’inizio del ‘900 – avere un malato in casa significava nelle migliore delle ipotesi un enorme salasso economico, su cui influiva pesantemente anche la lontananza del paese dalla struttura ospedaliera più vicina, quella di Verona.
Per questo fin dal suo insediamento alla guida della parrocchia di Negrar, il prete originario di Fumane decise di realizzare un piccolo ricovero per anziani e una struttura ospedaliera. Quindi contemporaneamente all’acquisizione della Casa del Sacro Cuore (“una casa colonica, detta Villa Serena, con annesso terreno… di proprietà dei fratelli Rizzi di Verona”), iniziò l’edificazione di uno stabile di fronte al ricovero.
Ma mentre la casa per anziani già nel 1926 contava 30 ospiti (“vecchi e impotenti al lavoro”) – grazie anche allo straordinario impegno di assistenza delle Piccole Suore della Sacra Famiglia arrivate in parrocchia già nel 1918 – il piccolo ospedale una volta terminato nel 1931 non venne aperto per mancanza di autorizzazione.
Le domande di riconoscimento civile vennero ripetutamente respinte, tanto che don Sempreboni, morto il 4 luglio del 1932, non riuscì a vedere avviato il suo progetto. Le autorità negavano l’autorizzazione non per problemi tecnici di qualche genere, ma perché la struttura era gestita da don Angelo, inviso ai maggiorenti fascisti locali, che per il suo impegno sociale lo consideravano un acerrimo nemico antifascista. Don Angelo era consapevole di tanta ostilità, tanto che, pur di avviare l’ospedale per la sua gente, maturò la convinzione di cedere la gestione della Casa Sacro Cuore a un Istituto religioso, in primis a quello delle Piccole Suore della Sacra Famiglia. Ma suor Maria Domenica Mantovani declinò l’offerta. In una lettere del 1931, in cui chiedeva ancora una volta la disponibilità alla religiosa, il parroco riferisce un interessamento da parte dell’Istituto Fatebene-fratelli.
Prima di morire il fondatore della Casa del Sacro Cuore ricevette la visita di don Calabria, che ricorda così quel momento: “Fin dall’inizio ho sempre sentito che la Provvidenza aveva dei grandi disegni da svolgere a Negrar. Disegni che forse voleva esprimermi il benemerito don Angelo Sempreboni, la sera prima della sua morte, quando, non riuscendo più a parlare, gesticolava per potermi dire qualcosa…” (M. Gecchele, Storia dell’Opera don Calabria II/3, Edizioni CCSC, Verona-2013. Prefazione a cura di fratel Mario Bonora).
Il 12 dicembre del 1933 il Consiglio di amministrazione della Società Buoni Fanciulli riteneva “opportuno l’acquisto dell’immobile” della Casa del Sacro Cuore per “i fini sociali” della stessa società.
A cura dell’Ufficio Stampa
IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Nella foto di copertina: la benedizione di don Giovanni Calabria ai malati e alle Sorelle che prestano servizio nel ricovero (vicino a lui il suo vicario e futuro successore, don Luigi Pedrollo. In ginocchio fratel Attilio Riccardi, religioso e medico dell’UMMI).
Ottobre rosa: la diagnosi precoce consente un intervento chirurgico conservativo
L’esame senologico (mammografia ed ecografia) eseguito periodicamente rileva tumori mammari non palpabili per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%, grazie anche a una chirurgia che coniuga la radicalità dell’intervento oncologico con un ottimo risultato estetico. Si parla infatti di chirurgia oncoplastica
“Più il tumore è piccolo più la diagnosi è favorevole e più è alta la possibilità di effettuare un intervento chirurgico conservativo. Per questo è fondamentale effettuare periodicamente gli esami strumentali”, raccomanda il dottor Alberto Massocco, direttore della Chirurgia senologica, “Mammografia e ecografia sono in grado di rilevare tumori non palpabili, per i quali la sopravvivenza a 5 anni è del 98%”.
Dottor Massocco, cosa s’intende per intervento conservativo?
Gli interventi conservativi sono circa il 65-70% del totale e prevedono l’escissione del nodulo tumorale e del tessuto sano circostante,senza deturpare l’aspetto della mammella. Oggi lo possiamo fare in maniera ottimale grazie alla chirurgia oncoplastica, che, abbinando tecniche chirurgiche oncologiche a quelle plastiche, permette al chirurgo senologo di effettuare interventi salvavita (e per il tumore al seno l’intervento lo è sempre) con un risultato esteticamente qualitativo. Questo è possibile quando l’asportazione chirurgica è compatibile con il volume della mammella”.
Quindi, la mastectomia non sempre è sinonimo di gravità della diagnosi
Assolutamente no. La mastectomia è indicata anche in presenza di un nodulo non aggressivo, ma di dimensioni tali da non permettere un risultato esteticamente gradevole rispetto al volume del seno. Oppure quando sono presenti nella stessa mammella più noduli nati contemporaneamente.
Quando il tumore è molto piccolo l’intervento è risolutivo?
L’intervento conservativo prevede sempre la radioterapia. Per i carcinomi duttali in sito (le cellule tumorali si sviluppano all’interno dei dotti ma rimangono “in situ” cioè non si estendono al di fuori del dotto nel tessuto circostante o in altre parti del corpo, ndr) non è indicata la combinazione della terapia radioterapica con quella farmacologica, contrariamente a quanto avviene per i tumori infiltranti,
L’intervento chirurgico prevede, nei casi indicati, la linfoadenectomia, cioè l’asportazione dei linfonodi ascellari, che comporta sequele pesanti per la donna come linfedema e/o limitata mobilità del braccio…
Grazie alla tecnica del linfonodo sentinella, oggi noi possiamo sapere in tempo reale se è necessaria o meno la linfoadenectomia per quei tumori infiltranti che non presentano linfonodi ascellari con malattia alla diagnosi. In sede di intervento viene asportato il linfonodo più vicino al nodulo tumorale (“sentinella”) e analizzato. Solo se positivo si procede allo “svuotamento” ascellare. Tuttavia questo tipo di metodica potrebbe essere superata da novità rilevanti.
Quali?
La Chirurgia senologica di Negrar ha partecipato a uno studio clinico multicentrico italiano SINODAR ONE che potrebbe cambiare definitivamente l’intervento di chirurgia oncologica della mammella. Lo studio prende in considerazione i tumori infiltranti che negli esami pre-intervento non hanno presentato interessamento linfonodale ma con linfonodo sentinella positivo. L’obiettivo è dimostrare se senza linfoadenectomia si ottengono gli stessi tassi di guarigione che si avrebbero con l’asportazione dei linfonodi. In altri Paesi studi simili hanno dato esito positivo. Per SINODAR ONE l’arruolamento delle pazienti è stato completato. Ora attendiamo – con fiducia – la conclusione del follow up.
Uno studio ancora in corso e che ci vede come uno dei centri aderenti è il NEONOD 2. La ricerca clinica prende in considerazione le donne che dopo una chemioterapia neoadiuvante (prima dell’intervento) per un tumore con linfonodi ascellari metastatici, hanno ottenuto la guarigione degli stessi. In questo caso quando alla biopsia del linfonodo sentinella si individua un micrometastasi (tra 0,2 e 2 mm), le pazienti che hanno aderito allo studio non vengono sottoposte a linfoadenectomia ascellare. L’obiettivo è dimostrare che queste donne guariscono nel tempo allo stesso modo di coloro che invece effettuano l’intervento.
La mastectomia bilaterale è una delle due opzioni proposte alla donna portatrice sana o malata di mutazioni genetiche, soprattutto a carico dei geni BRCA1 e BRACA2 che comportano un alto rischio oncologico. L’altra è la sorveglianza con esami strumentali ogni 6 mesi. La mastectomia riduce a zero il rischio di tumore?
No. Lo riduce al 90%, in quanto la struttura morfologica della mammella non consente di asportare tutta la ghiandola. E’ necessario che la donna continui a tenersi controllata anche dopo l’intervento, ma l’asportazione bilaterale abbassa drasticamente il rischio di malattia con evidenti ricadute sul benessere della donna.
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Ottobre rosa: il ruolo della genetica oncologica nella prevenzione
Una diagnosi in giovane età e/o la presenza in famiglia, tra parenti stretti, di casi di tumore mammario è un allert da non sottovalutare. L’identificazione di una predisposizione genetica è molto importante perché permette di avviare un programma di sorveglianza e di prevenzione dedicato per i soggetti identificati come ad alto rischio oncologico e di rassicurare i familiari non portatori, che ritrovano il rischio della popolazione generale
Lo sviluppo delle conoscenze sulle caratteristiche biologiche di ogni forma tumorale – si parla infatti di tumori al plurale anche se interessano lo stesso organo – ha fatto sì che la genetica oncologica assuma un ruolo importante anche nella prevenzione di alcune neoplasie maligne, comprese quelle della mammella.
LE FORME GENETICHE DI TUMORE MAMMARIO
Le forme ereditarie o genetiche di tumore della mammella femminile rappresentano, in termini percentuali, una piccola fetta (circa il 5-10%) delle diagnosi totali, che in Italia nel 2020 sono state circa 55 mila.
Esse sono legate alla presenza di una variante patogenetica, o mutazione, costituzionale in alcuni geni di predisposizione, che può essere trasmessa attraverso le generazioni. I geni principali, implicati in circa il 20% delle forme ereditarie, sono i geni BRCA1 e BRCA2, noti al grande pubblico come i “geni Jolie”, dal nome dell’attrice americana Angiolina Jolie, che si è sottoposta a chirurgia profilattica mammaria e ginecologica in quanto portatrice di mutazione in uno di questi geni come la mamma, la nonna e la zia scomparse precocemente a causa della malattia tumorale. Un altro 5% delle forme ereditarie di tumore al seno è legato a mutazioni in altri geni (PALB2, PTEN, STK11, CDH1, TP53, ATM, CHEK2), mentre in più della metà delle situazioni in cui si suppone che ci sia una base genetica non è ad oggi possibile identificare mutazioni in geni predisponenti.
COSA SIGNIFICA PREDISPOSIZIONE GENETICA
“La predisposizione genetica a una neoplasia non significa la certezza di ammalarsi di tumore, ma avere un rischio significativamente superiore di svilupparlo rispetto alle persone di pari età”, sottolinea la dottoressa Valeria Viassolo, genetista del “Sacro Cuore Don Calabria”. “L’identificazione di una predisposizione diventa molto importante perché permette di avviare un programma di sorveglianza e di prevenzione dedicato per i soggetti identificati come ad alto rischio oncologico e di rassicurare i familiari non portatori, che ritrovano il rischio della popolazione generale”.
SORVEGLIANZA E PREVENZIONE
Per quanto riguarda il tumore mammario, il programma di sorveglianza prevede l’esecuzione annuale dell’esame senologico completo (esame clinico, mammografia ed ecografia mammaria) e della risonanza magnetica delle mammelle, alternati ogni sei mesi. Dal punto di vista preventivo, la chirurgia profilattica mammaria (mastectomia bilaterale) “viene discussa come opzione per le donne ad alto rischio, in base alle linee guida internazionali”, precisa Viassolo
LA GENETICA ONCOLOGICA
“La genetica oncologica è una branca della genetica medica ed è rivolta ad individui con una storia personale e/o familiare di tumore maligno e/o di lesioni di natura benigna suggestiva della potenziale presenza di una sindrome ereditaria di predisposizione a sviluppare una neoplasia”, spiega ancora Viassolo. “Pertanto molto spesso questa branca si occupa di individui sani. Nell’ultimo anno e mezzo si sono rivolte all’ambulatorio di genetica oncologica del “Sacro Cuore” circa 480 persone appartenenti a 400 famiglie. Nel 30% si trattava di individui sani, familiari di persone affette da tumore. Il 60% delle famiglie ha intrapreso il percorso di visita genetica per storia personale o familiare di tumore della mammella e/o dell’ovaio.
FAMILIARITÀ ED EREDITARITÀ
Esiste una sostanziale differenza nella scala di rischio tra i fattori familiarità ed ereditarietà.
“Quando nello stesso ramo familiare si osservano più diagnosi di tumori di stessa localizzazione, ma le persone colpite non sono parenti stretti (per esempio cugini, nonni…) e le età alla diagnosi sono comparabili a quelle osservate nel contesto della popolazione generale, si parla allora di verosimili forme di “aggregazione familiare”, che rappresentano circa 15%-20% di tutte le diagnosi di tumori della mammella – afferma la dottoressa Viassolo -. Alla base di queste situazioni di solito vi è una combinazione di cancerogeni ambientali, come stili di vita non salutari o esposizione ad agenti tossici e di varianti genetiche associate a rischi solo lievemente aumentati. Entrambi questi fattori possono essere condivisi da più membri di una stessa famiglia. Se da un lato la familiarità è una ragione in più per sottoporsi regolarmente a controlli periodici, in particolare agli screening dove previsti (mammella, colon e cervice uterina) raramente per questi casi è indicata una consulenza genetica”.
Diverso è il discorso per le forme ereditarie o genetiche, che sono riconducibili appunto a una mutazione in indeterminati geni. “Le linee guida individuano alcuni criteri personali e/o familiari in presenza dei quali è indicata la visita genetica – spiega ancora la dottoressa Viassolo – Innanzitutto la giovane età alla diagnosi di tumore della mammella (per il carcinoma mammario inferiore ai 36 anni), la presenza in una stessa famiglia di più diagnosi di tumore al seno (o di neoplasie correlate, per esempio tumore dell’ovaio), specialmente in età precoce rispetto alla media per quel tumore osservata nella popolazione.
CONSULENZA GENETICA: CHE COS’È
Ma in cosa consiste una consulenza genetica in oncologia? “Si tratta di un percorso complesso caratterizzato da vari step – risponde Viassolo -. Innanzitutto vengono fornite informazioni sull’epidemiologia e sulle basi genetiche delle malattie tumorali. Inoltre, viene stimata attraverso la storia personale e familiare la probabilità di una sindrome genetica di predisposizione e valutato il rischio oncologico per l’individuo che realizza la consulenza e per i membri della famiglia. Infine, vengono presentate e discusse le misure di sorveglianza e/o di prevenzione indicate. In tale contesto – sottolinea – possono essere proposti test genetici, quando appropriati e disponibili”.
UN PERCORSO CON PIÙ SPECIALISTI
Il percorso di consulenza viene condiviso in maniera trasversale “con i medici oncologici, specialisti d’organo (ginecologi, senologi, gastroenterologi, urologi…), radiologi, psicologi clinici, … – conclude la dottoressa Viassolo -. È inoltre necessaria da parte del medico genetista una conoscenza dei dati molecolari e un’interazione stretta con i biologi che realizzano i test, al fine di fornire una corretta interpretazione clinica del dato di laboratorio”.
Terza dose del vaccino anti-Covid: ecco perché è indicata e quali sono le evidenze
Nel video qui sotto il dottor Andrea Angheben, infettivologo e responsabile del reparto di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria, spiega perché è indicata la somministrazione di una dose di richiamo del vaccino anti-Covid, la cosiddetta “terza dose”, e per quali categorie essa è indicata in via prioritaria. Inoltre il dottor Angheben risponde ad alcune delle domande più frequenti su questo tema: con la terza dose c’è il rischio di effetti collaterali più gravi? E’ opportuno farsi un test sierologico prima della vaccinazione? Cosa deve fare chi ha già avuto il Covid e si è anche vaccinato? Il vaccino somministrato per la dose di richiamo è lo stesso delle prime due dosi? E’ possibile effettuare la somministrazione insieme al vaccino antinfluenzale?
Ottobre rosa: dalla diagnosi precoce alle nuove terapie per la cura del tumore al seno
A causa della pandemia, non è stato effettuato circa 1 milione gli screening senonologici rispetto al 2019, con la conseguenza di 3300 diagnosi in meno di tumore al seno se i dati vengono confrontati con quelli dell’anno precedente. “Ribadiamo che la mammografia è un esame gratuito grazie agli screening dedicati alle donne dai 50 anni ai 70, e in alcune regioni, come il Veneto, fino ai 74 anni”, sottolinea nel video-intervista a “Dica33” – trasmissione di salute di Telearena e Telemantova – la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento di Oncologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Rispondere all’invito delle Ulss è fondamentale per la diagnosi precoce del tumore al seno, che se scoperto in fase iniziale ha alte probabilità di guarigione. Per chi ha casi in famiglia di questa neoplasia è altamente consigliabile rivolgersi prima dell’età dello screening al medico di famiglia che eventualmente indirizzerà la donna ai centri senologici per escludere mutazioni genetiche predisponenti al tumore”.
Nell’intervista la dottoressa Gori interviene anche riguardo alle novità terapeutiche e al trattamento del tumore al seno in gravidanza, oggi possibile senza danni al feto e alla mandre
Il "Sacro Cuore" nello studio Covid finanziato dalla Commissione UE
L’IRCCS Sacro Cuore ha aderito al progetto UnCoVer, finanziato dalla Commissione Europea, un network internazionale che ha l’obiettivo di raccogliere in un unico data base un’enorme mole di dati derivanti dalla gestione del Covid, accumulati nelle varie fasi di emergenza pandemica dalle strutture sanitarie partecipanti, al fine di analizzare su grandi numeri aree ancora indefinite sull’infezione da SARS-CoV-2, tra le quali strategie terapeutiche potenzialmente efficaci.
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha aderito al progetto UnCoVer finanziato dalla Commissione Europea nell’ambito del programma sulla ricerca e l’innovazione (Horizon 2020). Si tratta della creazione di un network internazionale che ha l’obiettivo di raccogliere in un unico data base un’enorme mole di dati derivanti dalla gestione del Covid, accumulati nelle varie fasi di emergenza pandemica dalle strutture sanitarie partecipanti, al fine di analizzare su grandi numeri aree ancora indefinite sull’infezione da SARS-CoV-2, tra le quali strategie terapeutiche potenzialmente efficaci.
Il progetto, coordinato dall’Istituto di Medicina Tropicale di Bruxelles, coinvolge 29 centri sanitari, di cui 14 di Paesi dell’Unione Europea.
Twitter: https://twitter.com/uncoverEU
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCaSxHxJIQjq9gfJRie1fu4Q
Newsletter:
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“Sul Covid oggi sappiamo molto, per esempio quali sono i fattori di rischio predittivi dell’aggravamento della malattia, come per esempio l’età, il sesso, l’obesità, il diabete…”, spiega la dottoressa Dora Buonfrate, responsabile dell’Unità semplice per la Ricerca Clinica sulle malattie infettive e tropicali dell’IRCCS di Negrar. “Sono stati fatti anche molti studi osservazionali che andavano a delineare l’andamento dell’infezione in soggetti accumunati dagli stessi fattori di rischio e l’efficacia di terapie messe in atto – prosegue -. Ma si tratta sempre di studi con numeri limitati. L’intento del progetto UnCoVer è proprio quello di affiancare a questi dati quelli derivati dalle cure messe in atto dai sistemi sanitari di tutta Europa, e non solo, per fronteggiare la pandemia”.
Il progetto avrà durata di due anni e si stima che il date base europeo possa arrivare a 100mila casi: si tratta di pazienti selezionati tramite consenso informato, le cui informazioni cliniche saranno in forma anonima. Nella raccolta e analisi dati saranno coinvolti numerosi epidemiologi, biostatistici e medici.
Il presidente ISS Brusaferro e il direttore generale Piccioli in visita al "Sacro Cuore"
Il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, SIlvio Brusaferro, e il direttore generale Andrea Piccioli ieri sono stati ospiti dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. La Direzione ha accompagnato i vertici dell’ISS in visita ai nuovi laboratori di biocontenimento per la ricerca in vitro dei patogeni, tra cui il virus Sars-CoV2
Il presidente dell’Istituto Superiore della Sanità (ISS), professor Silvio Brusaferro, e il direttore generale, dottor Andrea Piccioli, sono stati ospiti ieri dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar per una visita alla struttura.
L’incontro con i vertici dell’ISS si è svolto a poche settimane dalla conferma per il “Sacro Cuore Don Calabria” della qualifica di Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) per le Malattie Infettive e Tropicali.
Il professor Brusaferro e il dottor Piccioli – accompagnati dalla Direzione dell’ospedale, guidata dall’amministratore delegato, dottor Mario Piccinini – hanno visitato il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, “cuore” dell’IRCCS.
Il direttore, professor Zeno Bisoffi, e la sua équipe hanno illustrato l’attività di ricerca svolta e in particolare gli obiettivi futuri, anche grazie alla nuova dotazione di un Laboratorio ad alto biocontenimento. Qui verranno studiati il virus SARS-CoV-2 e altri virus emergenti, come West Nile, originario dell’Africa ma da anni presente in alcune zone d’Italia. Inoltre saranno oggetto di ricerca il virus della dengue e chikungunya, endemici nelle regioni tropicali, ma che hanno già causato focolai epidemici anche in Occidente perché possono essere trasmessi dalla “zanzara tigre”.
“E’ con viva soddisfazione e sincera gratitudine che abbiamo dato oggi il benvenuto al professor Brusaferro e al dottor Piccioli, massimi rappresentanti di una delle più importanti istituzioni sanitarie del nostro Paese”, ha detto il professor Pier Carlo Muzzio, direttore scientifico dell’IRCCS di Negrar. “Il nostro ruolo e la nostra funzione si collocano al servizio della Regione e della Nazione, insieme con l’Istituto Spallanzani di Roma, con il quale abbiamo in corso proficue collaborazioni non solo nella emergenza Covid ma anche per tutte le patologie trasmissibili legate alla tumultuosa mobilità umana che stiamo vivendo. E’ un approccio di ricerca, di cura ai pazienti e di prevenzione nella prospettiva di quella Salute Globale che dobbiamo perseguire in questo mondo in continuo cambiamento”.
Nella foto da sinistra:
dott. Claudio Cracco, direttore amministrativo dell’IRCCS di Negrar
prof. Pier Carlo Muzzio, direttore scientifico dell’IRCCS di Negrar
dott. Fabrizio Nicolis, direttore sanitario dell’IRCCS di Negrar
dott. Andrea Piccioli, direttore generale dell’Istituto Superiore di Sanità
dott. Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS di Negrar
prof. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità
dott. Giovanni Zotta, membro del Comitato Tecnico-Scientifico dell’IRCCS di Negrar
prof. Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia
Ricostruzione mammaria dopo la mastectomia: molto di più di un intervento estetico
Il 17 ottobre si celebra in tutto il mondo il “Bra Day”, un giorno dedicato all’importanza della ricostruzione mammaria dopo l’intervento di mastectomia. L’équipe della Chirurgia Plastica, guidata dal dottor Cesare Cristofoli, ci spiega come avviene l’impianto di protesi e la cura da effettuare nel tempo
Il 17 ottobre si celebra in tutto il mondo il “Bra Day” (Breast Reconstruction Awareness Day), un giorno dedicato all’importanza della ricostruzione mammaria dopo l’intervento di mastectomia.
L’impianto di protesi mammaria dopo un intervento oncologico demolitivo non ha una mera funzione estetica, ma ha risvolti psicologici tali da incidere anche sullo spirito con cui viene affrontato il percorso di cura. Difficilmente le donne rifiutano la ricostruzione. Ma è pur vero che la percentuale delle ricostruzioni è ancora troppo bassa rispetto agli interventi demolitivi (50% ndr). A incidere in negativo sono le donne anziane. A volte inoltre la rinuncia è dovuta al fatto che l’obiettivo al momento della diagnosi di tumore è la guarigione e quindi l’aspetto estetico passa in secondo piano. E una volta superato il momento acuto, diventa difficile per queste donne affrontare un nuovo intervento.
Con l’équipe della Chirurgia Plastica guidata dal dottor Cesare Cristofoli – dottoressa Francesca Cicala e dottor Roberto Forcignanò – facciamo chiarezza riguardo ad alcuni aspetti del dopo-ricostruzione, a distanza anche di alcuni anni dall’intervento.
Una donna che ha effettuato la ricostruzione quali accorgimenti deve adottare?
Passato il primo mese dall’intervento, si può iniziare un graduale ritorno alla vita quotidiana. Il grado di intensità del movimento dipende dal tipo di intervento ricostruttivo effettuato.
Gran parte delle ricostruzioni avviene nella stessa seduta operatoria dell’asportazione del tumore. Dove è possibile il chirurgo senologo mantiene l’areola e il capezzolo, un intervento che consente di effettuare una ricostruzione pre-pettorale, cioè lasciando nella sua sede il muscolo pettorale al quale viene ancorata, con una lamina di derma rigenerativo, la protesi. In questo caso non sono necessari particolari accorgimenti nei movimenti, se non un po’ di buon senso per non cadere negli eccessi. Diverso è il discorso se l’espansore prima e la protesi in un secondo intervento vengono posizionarti sotto il muscolo pettorale. A queste pazienti di raccomanda di non portare grandi pesi, per esempio, di non arrampicarsi o di non fare un’attività ripetitiva per lungo tempo, come passare l’aspirapolvere.
Quando si deve procedere con l’inserimento della protesi sotto il muscolo pettorale?
Questo tipo intervento viene eseguito tutte le volte in cui non è possibile conservare l’areola e il capezzolo. E quando, pur mantenendoli, si rilevano segni di sofferenza vascolare, cioè la pelle non è sufficientemente irrorata di sangue a causa di patologie o perché la paziente è fumatrice. Quindi è necessario che la cute appoggi su un piano ben vascolarizzato, quale è il muscolo pettorale.
Passiamo agli anni successivi all’intervento: le protesi mammarie hanno una vita?
Anche le protesi sono soggette a usura, sebbene, grazie al progresso della qualità dei materiali, può capitare di sostituire protesi perfette anche dopo 20 anni, perché il protocollo lo prevede. Di prassi Chirurgia plastica di Negrar programma le visite dei pazienti con una cadenza annuale, raccomandando però che se notano cambiamenti improvvisi della mammella si rivolgano ai medici anche prima dei 12 mesi. In particolare variazioni di forma, consistenza, a gonfiore, dolore o calore al tatto.
Se nelle visite annuali tutto viene riscontrato nella norma, una prima valutazione radiologica dell’integrità della protesi avviene dopo dieci anni dall’intervento tramite Risonanza Magnetica senza mezzo di contrasto. Il danno importante è visibile anche con la mammografia e l’ecografia, ma l’esame dirimente in caso di dubbi è sicuramente la RMN. I controlli radiologici successivi sono poi ogni uno o due anni in base allo stato della protesi.
Di cosa sono fatte le protesi mammarie?
Si tratta di un involucro con all’interno gel di silicone. Poiché è materiale coesivo (la consistenza è simile a una marmellata densa), un’eventuale rottura dell’involucro non comporta un’uscita immediata del contenuto. Inoltre come ulteriore barriera alle fuoriuscite interviene anche il processo fisiologico dell’organismo, che, in reazione al corpo estraneo, forma intorno alla protesi (a tutti i tipi anche quelle ortopediche) un involucro fibroso (capsula periprotesica). La capsula trattiene il gel nel caso di rottura della protesi. Può accadere una rottura della capsula stessa con la fuoriuscita di silicone, che può andare nei linfonodi in primis e nei tessuti molli perimammari, creando uno stato di infiammazione importante. Sono casi rari, che indicano un danno da lungo tempo della protesi mammaria tale da influire sulla integrità della capsula.
Alcune pazienti lamentano un indurimento della mammella.
L’indurimento non dipende della protesi ma della capsula, che diventando molto spessa deforma la protesi, a volte, dislocandola, non senza dolore per la donna. Questo succede soprattutto a pazienti molto magre, ma in genere la situazione peggiore la rileviamo in pazienti sottoposte a radioterapia. Sono soggetti che hanno subito un primo intervento di quadrantectomia seguito da un ciclo di radioterapia e un secondo intervento di mastectomia con successiva ricostruzione. L’intervento chirurgico per togliere la capsula non è sempre risolutivo, perché nel 30% dei casi il problema si ripresenta.
Le cronache hanno riportato la notizia di casi di linfoma associati alle protesi.
Bisogna fare chiarezza. E’ vero che alcune signore portatrici di protesi si sono ammalate di linfoma plastico a grandi cellule. Ma innanzitutto il problema si è manifestato con un solo tipo di protesi (che la Chirurgia Plastica di Negrar non ha mai utilizzato) e la percentuale di donne coinvolte non è statisticamente significativa in relazione al grande numero di impianti sia a scopo ricostruttivo che estetico. Verosimilmente potrebbe trattarsi di una predisposizione personale alla patologia, indipendentemente dalla ricostruzione. Tuttavia poiché in alcuni casi togliendo la capsula periprotesica le pazienti sono guarite, l’attenzione è doverosa. Soprattutto in presenza di sieromi freddi, che si manifestano con gonfiore alla mammella, senza che sia calda al tatto, rossa, dolente e infetta.
E’ vero che la ricostruzione comporta la perdita di sensibilità della zona?
La sensibilità non dipende dalla ricostruzione, ma dalla mastectomia, che va ad alterare la innervazione sensitiva.
Tutte le donne posso sottoporsi a ricostruzione?
No. Ma i casi per cui non è indicata sono veramente pochi. Si tratta per lo più di pazienti con un quadro della neoplasia tale da necessitare di cure (chemioterapia o radioterapia) immediate nel post operatorio, per cui, secondo l’oncologo, non si può rischiare un prolungamento della guarigione dovuta alla ricostruzione. Queste pazienti vengono prese in carico in differita: ovvero la ricostruzione viene effettuata dopo le terapie. L’inserimento delle protesi è sconsigliato anche quando la condizione generale della paziente è così compromessa per cui non è opportuno sovraccaricarla con un intervento sicuramente lungo il doppio (rispetto alla sola mastectomia), con qualche complicanza in più e con drenaggi da mantenere per qualche settimana
Ottobre rosa: l'appuntamento periodico con la mammografia può salvare la vita
Ottobre è il mese tradizionalmente dedicato alla prevenzione del tumore mammario.
Secondo gli ultimi dati disponibili nel 2020 (AIOM-AIRTUM) sono state stimate in Italia 55mila nuove diagnosi di cancro della mammella.
La maggiorparte delle neoplasie è diagnosticata in fase iniziale quando il trattamento chirurgico può escludere spesso la mastectomia e la terapia adottata è più efficace permettendo la sopravvivenza a 5 anni dell’87%. Tutto questo grazie alla diffusione dei programmi di screening e alla maggiore consapevolezza delle donne, che sempre più numerose si sottopongono periodicamente alla mammografia.
Con l’intervista alla dottoressa Anna Russo, senologa della Diagnostica per Immagini, scopriamo in cosa consiste l’esame senologico, sfatando anche dei falsi miti…