Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella. Non svolgono più il lavoro di infermiere, ma restano sempre accanto ai malati, donando loro conforto umano e spirituale.

Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora le figlie spirituali del beato Giuseppe Nascimbeni e di santa Domenica Mantovani non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella, fornendo un prezioso contributo nell’assistenza infermieristica dei malati – indimenticabili le sorelle che sono state caposala dei reparti – e, oggi, nell’ambito della pastorale ospedaliera. Attualmente la piccola comunità è formata dalla superiora madre Rosa Santina (al secolo Maria Vigolo) e dalle sorelle Bernardetta (al secolo Lucia Brunelli), Teresa Ausilia Dalla Pozza e Brandina Brunelli.

Ma la presenza a Negrar delle Piccole Suore della Sacra Famiglia risale a prima della realizzazione del Ricovero da parte del parroco di Negrar, don Angelo Sempreboni. A volerle in paese fu lo stesso sacerdote, che nel 1918 scriveva a don Nascimbeni chiedendo l’invio “di quattro sue buone suore”. Da portare avanti c’era infatti “l’asilo che raccoglie solo i bambini delle contrade vicine, circa un’ottantina ai quali somministro gratuitamente le refezione giornaliera; abbiamo già fatto acquisto di uno stabile per un ospitale ricovero, che sorgerà subito dopo la guerra. Vede che ampio terreno! Ciò però che al momento più mi preme, e più mi impensierisce, è la nostra antica e famosa Scuola di lavoro, in cui si fabbricano i più famosi merletti a punto Burano […] Nei tempi normali accoglieva circa duecento ragazze dai 14 ai 40 anni, anche ora superano le cento…” (APSSF, Lettera di Sempreboni a Nascimbeni, 2 maggio 1918)

Il 21 maggio 1918 arrivarono a Negrar le prime sorelle destinate alla parrocchia, alla scuola materna e a quella del lavoro e poi, poco tempo dopo, alla cura degli anziani e dei malati ospiti della Casa del Sacro Cuore. L’opera delle suore di Castelletto di Brenzone (il paese di origine di don Nascimbeni e dove fu fondato nel 1892 l’Istituto religioso) proseguì anche quando il Ricovero con l’annesso edificio destinato ad ospedale divenne nel 1933 della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Un carisma, quello di don Nascimbeni, che non poteva non trovare casa in una casa fondata da don Calabria, dove la cura del malato era finalizzata  alla testimonianza della paternità di Dio. “Noi, Piccole Suore della Sacra Famiglia – si trova scritto nei documenti – desideriamo mostrare con i fatti che Dio è colui che provvede con sollecita cura di Padre ai suoi figli e che in Cristo Gesù, Buon Samaritano, si è fatto uno di noi, è venuto a cercarci, si è reso compagno di viaggio, ha fasciato le nostre piaghe, ha curato i nostri mali e ci ha ricondotti alla vita”. Una comunione d’intenti che portò la Chiesa universale a beatificare i due fondatori nello stesso giorno, il 17 aprile del 1988, con la presenza a Verona di Papa Giovanni Paolo II.

In un secolo sono oltre 200 le sorelle che hanno prestato servizio alla Cittadella della Carità, molte della quali provenienti da Negrar e dalle frazioni vicine a testimonianza di quanto la presenza accanto ai malati delle Piccole suore abbia avviato alla vita religiosa molte ragazze.

“A causa del calo di vocazioni che colpisce tutti gli Istituti religiosi da tempo non siamo più impegnate come infermiere o operatrici sanitarie”, afferma madre Rosa Santina, da cinque anni a Negrar. “Tuttavia non è mai venuta meno la nostra presenza nei reparti e fra gli ospiti della case socio-sanitarie. Portiamo l’Eucarestia al letto degli ammalati e siamo il tramite tra loro e i sacerdoti. Cerchiamo di dare conforto umano e spirituale ai più gravi e a coloro che sono soli. Continuiamo così la nostra missione che è quella, secondo gli insegnamenti del nostro Fondatore, di assumere e condividere la realtà dell’uomo, nel nostro caso dell’ammalato, che vive l’esperienza del limite fisico e psicologico per essere, con la nostra vicinanza in nome di Cristo, segno di fiducia e di speranza”.

Nella foto d’epoca: don Giovanni Calabria benedice i presenti, tra cui alcune Piccole Suore della Sacra Famiglia