Da 20 anni il laboratorio di Arteterapia Umanistica è parte integrante del percorso di riabilitazione dei pazienti al “Sacro Cuore Don Calabria”. Viaggio tra i dipinti che decorano molti ambienti dell’ospedale raccontando la storia di chi li ha realizzati

All’ingresso del laboratorio di Arteterapia Umanistica c’è un dipinto molto colorato dove prevalgono le forme geometriche squadrate (foto 1). L’ha realizzato Lorenzo, un paziente tetraplegico che riusciva a dipingere solo con la bocca. Sulla parete dell’ufficio economato, pochi metri più in là, fa bella mostra l’opera prima di Greta, intrisa dei colori viola e oro (foto 2). Greta è gravemente afasica, cioè non riesce più a comunicare con la parola in seguito a un’emorragia cerebrale. Comunica, con fatica, dipingendo.

 

Chissà quante storie come quelle di Lorenzo e di Greta ci sarebbero da raccontare. Sono le storie di centinaia di pazienti che, negli ultimi vent’anni, hanno preso parte al laboratorio di Arteterapia Umanistica nel Dipartimento di Riabilitazione diretto dal dottor Renato Avesani. “Nel laboratorio arrivano persone che si trovano in condizione di disabilità dopo un incidente, un trauma o una malattia – spiega Charlotte Trachsel, Arteterapeuta Umanistica che porta avanti questo lavoro fin dal novembre 1999 – L’Arteterapia Umanistica è un intervento di aiuto nell’ambito clinico con finalità terapeutica e riabilitativa. E’ un lavoro che interviene sui processi con l’obiettivo di integrare il più possibile mente e corpo rispettando l’unicità delle persone e con fiducia profonda nelle risorse intrinseche dell’essere umano”.

 

Oggi i lavori del laboratorio sono esposti in molti luoghi nella Cittadella della Carità, assolvendo a due compiti fondamentali: decorare i corridoi e gli uffici con un tocco di bellezza, ma soprattutto dare testimonianza della storia di chi li ha realizzati. Oltre a quelli esposti nel Dipartimento di Riabilitazione, se ne trovano ad esempio nei reparti di Cardiologia e ORL, nelle sale d’attesa dei poliambulatori a Casa Nogarè, in uffici vari, all’ingresso del reparto di Odontoiatria, in Oculistica, in Terapia Intensiva… (vedi carrellata di dipinti).

 

In qualche caso, come nell’Unità di Riabilitazione Intensiva, sono esposti lavori realizzati dai familiari dei pazienti ricoverati a Casa Nogarè in stato vegetativo e di minima responsività. Infatti il laboratorio coinvolge spesso le persone vicine agli ammalati, creando opportunità di relazione e di vicinanza al di là della malattia. Altre volte le opere dei pazienti sono utilizzate per realizzare gli auguri natalizi dell’ospedale o per campagne informative su temi di interesse sanitario, come la pulizia delle mani. In tutti i casi vengono usati colori naturali di alta qualità, gouache e gouache resonance, adatti a persone che hanno gravi disabilità.

 

“Attualmente in media partecipano al laboratorio 18 pazienti al giorno, singolarmente o in gruppo – prosegue Charlotte – per loro questo approccio diventa un mezzo per comunicare e per esprimere le emozioni, integrandosi al lavoro di riabilitazione in equipe con fisiatri, fisioterapisti, logopedisti etc...”.

 

Ogni dipinto racconta una storia. Come quella di Alice, rimasta disabile a causa di un’ischemia dopo il parto. O quella di Maria, paziente tetraplegica che aveva partecipato al primo laboratorio ed è tornata dopo 20 anni al Sacro Cuore per salutare chi l’aveva ospitata nel primo periodo dopo la caduta in moto. O ancora quella di Andrea che prima dell’incidente non amava dipingere, ma dopo il laboratorio ha deciso di frequentare l’istituto d’arte.

 

Sono storie complesse, quelle raccontate dai dipinti. Storie di esistenze trasformate dalla malattia, per le quali la malattia stessa può anche divenire opportunità di una nuova vita più piena.Talvolta questo strumento aiuta a riannodare almeno in parte i fili sottili che collegano il “prima” e il “dopo”. E questo lo sanno bene i genitori di Pietro, un giovane che era rimasto paraplegico a causa di una neoplasia. Ha partecipato al laboratorio di Arteterapia Umanistica e ha realizzato un’unica opera, un paesaggio ormai non più terrestre realizzato con i colori gouache. Dopo la morte di Pietro, mamma e papà hanno voluto il dipinto per averlo in casa, sempre vicino a sè.

matteo.cavejari@sacrocuore.it

 

* le storie sono vere, ma tutti i nomi utilizzati nell’articolo sono di fantasia