In Amazzonia il terzo incontro degli ospedali calabriani
I rappresentanti delle strutture sanitarie dell’Opera Don Calabria, tra le quali l’IRCCS di Negrar, si sono incontrati il 5 e 6 novembre per gettare le basi di una più stretta sinergia fra le strutture sanitarie che si ispirano al Carisma calabriano
Una rete capace di creare collaborazioni e sinergie tra gli ospedali che si ispirano al Carisma di San Giovanni Calabria. È questo l’obiettivo del Sistema Calabriano di Sanità, di cui fa parte anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Ed è con tale prospettiva che nei giorni scorsi i rappresentanti degli ospedali e dell’Amministrazione Generale dell’Opera Don Calabria si sono riuniti a Marituba, in Amazzonia, per un incontro intitolato “Prendersi cura della vita facendo parte dell’Opera Don Calabria” (vedi galleria fotografica e interviste video).
L’evento, giunto alla sua terza edizione, si è svolto martedì 5 e mercoledì 6 novembre con la partecipazione di circa cinquanta fra medici e dirigenti amministrativi delle quattro strutture dei Poveri Servi della Divina Provvidenza: oltre al Sacro Cuore erano presenti l’ospedale “Divina Provvidenza” di Marituba (Brasile), la “Bro. Francisco Perez Clinic” di Manila (Filippine) e il “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola). C’era inoltre rappresentata la diocesi brasiliana di Teixeira de Freitas, con il vescovo calabriano mons. Jailton Lino, i cui ospedali sono entrati a far parte della rete sanitaria dell’Opera.
Per l’IRCCS hanno partecipato all’incontro il presidente fratel Gedovar Nazzari, il direttore amministrativo Claudio Cracco e il vice direttore sanitario dottor Davide Brunelli, oltre al dottor Claudio Bianconi che si occupa dei progetti di cooperazione internazionale sanitaria.
Il tema principale affrontato durante la prima giornata, con un intervento del vescovo di Castanhal mons. Carlos Verzelletti, è stata la “Nuova Carta degli Operatori Sanitari”, fortemente voluta da Papa Francesco e pubblicata nel 2016 dal Dicastero Vaticano per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. Una carta che, alla luce dei mutamenti scientifici e clinici successivi all’anno della prima comparsa, si propone di apportare, sempre in riferimento al Magistero della Chiesa, nuovi elementi che tengano conto della ricerca in campo biomedico, farmacologico e bioetico. Altre riflessioni hanno riguardato la situazione sanitaria in Amazzonia, dove le strutture religiose sono colonna portante del sistema di assistenza, e la spiritualità calabriana vista in rapporto al prendersi cura degli ammalati.
Durante la seconda giornata c’è stata una tavola rotonda sul tema della progettazione internazionale in ambito sanitario, con partecipazione del vicario generale della diocesi di Milano, don Mario Antonelli in rappresentanza della Fondazione Candia, di Franca Farina per l’associazione “Amici di monsignor Pirovano” di Erba (Como), di Alessandro Galvani per l’UMMI e di fratel Matteo Rinaldi per la Congregazione dei Poveri Servi. Al pomeriggio c’è stato un interessante momento di confronto e scambio sui temi della gestione e della formazione fra i quattro ospedali dell’Opera.
Claudio Zorzi presidente del Congresso nazionale degli Ortopedici
Si sta svolgendo a Roma il Congresso della Siot dove si parla anche degli interventi di revisione delle protesi per i quali il “Sacro Cuore Don Calabria” è centro di riferimento regionale
Negrar fa scuola nel campo dell’Ortopedia. Il 104° Congresso nazionale della SIOT (Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia), che si conclude domani a Roma, vede come presidente il professor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e della Traumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Insieme a lui alla presidenza e alla vicepresideza il gotha dell’Ortopedia Triveneta, a dimostrazione dell’eccellenza raggiunta dalle strutture ospedaliere della regione in questo campo.
La presidenza del simposio scientifico è formata oltre che dal professor Zorzi, anche da Pietro Ruggieri, direttore dell’Ortopedia e dell’Oncologia Ortopedica dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Padova.
I vicepresidenti sono invece Araldo Causero, direttore della Clinica Ortopedica dell’Università di Udine, Bruno Magnan, direttore dell’Ortopedia e della Traumatologia dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Verona, e Alberto Momoli che dirige lo stesso reparto, ma al “San Bortolo” di Vicenza.
La SIOT è la più importante società scientifica italiana di Ortopedia e Traumatologia e rappresenta circa 3.500 soci. Il congresso, verterà su due temi: l’oncologia ortopedica e la revisione delle protesi delle grandi articolazioni. In proposito il “San Bortolo” e il “Sacro Cuore Don Calabria” sono centri di riferimento regionali per la sostituzione delle protesi di anca e ginocchio, con circa 150 interventi ciascuno.
L’aumento di persone che in età giovanile si sottopongono a protesi e l’allungamento della vita media fanno sì che per molti pazienti si renda necessaria la sostituzione dell’impianto. Si tratta di un intervento molto più complesso del primo che richiede un centro chirurgico altamente specializzato dove il paziente viene preso in carico da un’équipe multidisciplinare, coordinata dall’ortopedico, e composta da anestesisti-rianimatori, infettivologi, chirurghi vascolari, cardiologi e fisiatri.
Per quanto riguarda l’oncologia, essa sta assumendo sempre più rilevanza nell’ambito ortopedico non solo per quanto riguarda i tumori primitivi, ma anche e soprattutto per il trattamento delle lesioni metastatiche sull’osso.
Arriva l'influenza ed è tempo di vaccino
Con il vaccino contribuiamo a diminuire il contagio e tuteliamo la nostra salute perché previene non solo l’influenza ma anche le complicanze a volte gravi soprattutto nella popolazione più a rischio in primo luogo anziani, malati cronici e neonati
Tempo da cappotti e di influenza. L’autunno e l’inverno portano con loro come ogni anno il virus influenzale, una patologia ancora sottovalutata nonostante i dati parlino chiaro: in Europa tra le malattie infettive l’influenza si distingue per il più alto tasso di incidenza e di mortalità.
Nella stagione 2018-2019 in Italia si sono registrati 8.104.000 casi (Rapporto Epidemiologico InfluNet) con alcune centinaia di decessi imputabili all’influenza in pazienti che però già soffrivano di malattie croniche. Nel Veneto sono state segnalate 400 complicanze, con 100 persone che hanno sviluppato patologie gravi e con oltre 30 decessi collegabili al virus (dati Regione Veneto).”Sono numeri che già da soli dovrebbero convincere ad effettuare il vaccino. Invece siamo ancora lontani dall’obiettivo di copertura minimo nei gruppi di popolazione target, che è del 75%, una percentuale che ridurrebbe significativamente la morbosità, le complicanze e la mortalità per influenza”, spiega il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Per quanto riguarda una delle fasce di popolazione più a rischio, cioè gli over 65, abbiamo raggiunto su scala nazionale la percentuale del 53,1%”.
Dottor Marasca, perché ci si vaccina così poco?
Perché si sottovaluta il problema, anche tra gli operatori sanitari, tra categorie target che si vaccinano di meno. Si lanciano allarmi, anche mediatici, per le infezioni e i decessi causati da febbri estive come la West Nile, ma non si dà la stessa enfasi per l’influenza per la quale a differenza della febbre del Nilo Occidentale, abbiamo un vaccino”.
Nei prossimi giorni in tutte le regioni partirà la campagna vaccinale. Contro quali virus sarà efficace il vaccino di quest’anno?
Il 1 Aprile 2019 l’EMA (European Medicine Agency) ha emanato le disposizioni sui ceppi influenzali da includere nel vaccino antinfluenzale per la stagione 2019-2020. I ceppi sono stati indicati in base ai virus isolati con maggiore frequenza nelle precedenti stagioni influenzali. Poiché la composizione del vaccino viene decisa molto prima dell’inizio dell’epidemia stagionale onde consentire alle case farmaceutiche di produrre il vaccino, può verificarsi che nel frattempo avvenga una mutazione di un virus contro il quale è stato realizzato il vaccino. Un esempio è quanto accaduto nel 2009, anno in cui si è dovuto produrre un vaccino monovalente per contrastare il virus H1N1pdm09 diverso dall’H1N1 presente nel vaccino.
Quest’anno come è composto il vaccino?
Il vaccino è trivalente o quadrivalente. La composizione è data dalla presenza di antigeni contro alcuni ceppi dei virus che hanno segnato la storia dell’influenza.Innanzitutto l’antigene analogo al ceppo A/Brisbane/02/2018 (H1N1pdm09). Ricordiamo che l’H1N1 è il virus della pandemia del 1918, la cosiddetta “Spagnola”, che fu la più grave della storia recente. Si stima che un terzo della popolazione mondiale sia stata infettato tra il 1918 e il 1919 e siano stati 50 milioni i morti. L’altro antigene riguarda il ceppo A/Kansas/14/2017 (H3N2). L’H3N2, fu responsabile della pandemia del 1968 che causò in tutto il mondo 1 milione di morti, soprattutto tra gli anziani. Infine il vaccino contiene l’antigene analogo al ceppo B/Colorado/06/2017 (lineaggio B/Victoria/2/87) a cui si aggiunge nel quadrivalente l’antigene analogo al ceppo il virus del tipo B/Phuket/3073/2013, virus circolati nelle ultime stagioni.
Perché è importante vaccinarsi?
Il vaccino è un atto per la tutela della salute personale e della comunità, in quanto vaccinandosi si contribuisce alla limitazione del contagio. L’influenza può avere delle complicanze come le polmonite batteriche, la disidratazione, il peggioramento di malattie croniche come il diabete, le patologie immunitarie o cardiovascolari o respiratorie. Nei bambini può riacutizzare le sinusiti e le otiti. Le categorie più a rischio sono gli anziani, le donne incinte e i bimbi in tenera età. Tuttavia, i casi gravi di influenza si possono verificare anche in persone sane che non rientrano in alcuna delle categorie a rischio.
Quando è il momento migliore per vaccinarsi?
Da ottobre a dicembre. Tenendo presente che intercorrono circa due settimane perché l’efficacia immunitaria sia completa, è meglio effettuarlo quanto prima in modo tale da essere coperti quando arriva il picco epidemico, che di solito è tra la seconda metà di gennaio e la fine di febbraio. E’ importante che il vaccino non sia somministrato in presenza di febbre.
Per chi è controindicato il vaccino?
Il vaccino antinfluenzale non deve essere somministrato a lattanti al di sotto dei sei mesi (per mancanza di studi clinici controllati che dimostrino l’innocuità del vaccino in tali fasce d’età). La vaccinazione della mamma e degli altri familiari è una possibile alternativa per proteggerli in maniera indiretta. Inoltre non deve essere somministrato a coloro che hanno manifestato reazioni di tipo anafilattico ad una precedente vaccinazione o ad uno dei componenti del vaccino. Comunque è sempre bene consultare il medico prima di sottoporsi alla vaccinazione.
Possono verificarsi reazioni avverse ai vaccini?
Quelli antinfluenzali sono vaccini sicuri. Le reazioni avverse sono soprattutto di tipo locale – come dolenzia e arrossamento nel punto di iniezione – o sistemiche (come ad esempio malessere generale, febbre, mialgie) che si manifestano generalmente entro 6-12 ore dalla somministrazione del vaccino ed hanno una durata di 1 o 2 giorni. Alcuni studi hanno rilevato un’associazione fra vaccino antinfluenzale e la sindrome di Guillain-Barré (GBS), una polineuropatia infiammatoria acuta caratterizzata da debolezza muscolare e lieve insensibilità alle dita degli arti inferiori e superiori. Il rischio è stimato in 1 o 2 casi per un milione di persone vaccinate. Altri studi hanno escluso questa associazione. Secondo quanto riportato dal ministero della Salute, reazioni avverse anche gravi dopo la somministrazione del vaccino sono segnalate ogni anno, ma nella stragrande maggioranza dei casi non è provato un nesso causale tra il vaccino e l’avvento avverso.
Non è raro sentire: ho fatto il vaccino, ma ho contratto lo stesso l’influenza…
Durante la stagione invernale non è in circolazione solo il virus dell’influenza, ma anche antri virus parainfluenzali che non sono coperti dal vaccino.
Il vaccino è la modalità più efficace di prevenzione dell’influenza. Cos’altro si può fare per non contrarre il virus?
Sono molto importanti delle semplici regole igieniche come lavarsi spesso le mani e coprirsi la bocca con un fazzoletto in caso di tosse o si starnuto. Non frequentare i luoghi affollati durante il picco dell’epidemia è un’altra buona regola.
E se si contrae l’influenza?
Restare a riposo e in un luogo caldo. Una persona rimane contagiosa dai tre ai sette giorni dalla comparsa dei primi sintomi. Tornare al lavoro o a scuola prima della guarigione comporta il contagio di altre persone e il rischio di contrarre delle complicanze come bronchiti e broncopolmoniti.
Per quanto riguarda i farmaci?
Sono sufficienti i farmaci per il controllo dei sintomi, come gli antipiretici. Ricordiamo che l’influenza ha origine virale non batterica, quindi gli antibiotici devono essere assunti sono su prescrizione medica e quando c’è un interessamento bronco-polmonare. Anche gli antivirali devono essere prescritti dal medico e sono indicati per le persone già affette da malattie croniche o particolarmente debilitate.
Le categorie a cui la vaccinazione è raccomandata e offerta gratuitamente sono:
1. Donne che all’inizio della stagione epidemica si trovino in gravidanza.
2. Soggetti dai 6 mesi ai 65 anni di età affetti da patologie che aumentano il rischio di complicanze da influenza.
3. Soggetti di età pari o superiore a 65 anni.
4. Bambini e adolescenti in trattamento a lungo termine con acido acetilsalicilico, a rischio di Sindrome di Reye in caso di infezione influenzale.
5. Individui di qualunque età ricoverati presso strutture per lungodegenti.
6. Familiari e contatti (adulti e bambini) di soggetti ad alto rischio di complicanze (indipendentemente dal fatto che il soggetto a rischio sia stato o meno vaccinato).
7. Medici e personale sanitario di assistenza in strutture che, attraverso la loro attività, sono in grado di trasmettere l’influenza a chi è ad alto rischio di complicanze influenzali.
8. Soggetti addetti a servizi pubblici di primario interesse collettivo e categorie di lavoratori (Forze di Polizia, Vigili del Fuoco, Polizia Locale e altre categorie).
9. Personale che, per motivi di lavoro, è a contatto con animali che potrebbero costituire fonte di infezione da virus influenzali non umani (allevatori, addetti all’attività di allevamento e trasporto di animali vivi, macellatori e vaccinatori, veterinari pubblici e libero-professionisti).
10. Donatori di sangue E’ previsto, inoltre, che la vaccinazione antinfluenzale sia offerta attivamente e gratuitamente, da parte dei datori di lavoro, ai lavoratori particolarmente esposti per l’attività svolta, anche al fine di contenere ricadute negative sulla produttività.
Ictus, come riconoscere i sintomi e intervenire tempestivamente
E’ la prima causa di disabilità nel mondo. Ma è possibile prevenirlo e anche riconoscere l’insorgere dei sintomi, consentendo un intervento precoce al fine di evitare sequele molto invalidanti e in alcuni casi il decesso
Ieri si è celebrata in tutto il mondo la Giornata dell’ictus Questa patologia è la terza causa di morte (al secondo posto dopo i 65 anni) ma è soprattutto la prima causa di disabilità. Ogni anno si registrano in Italia almeno 200mila nuovi casi e quasi un milione di italiani è invalido dopo la malattia. L’impatto economico di questa patologia risulta particolarmente gravoso: si stima che il costo sul Servizio Sanitario nazionale sia di 16 miliardi e di 5 miliardi sulle famiglie. Circa la metà degli ictus potrebbero essere evitati attraverso il controllo dei fattori di rischio con modificazione degli stili di vita e terapie attualmente disponibili. Purtroppo, un italiano su tre, pur avendolo sentito nominare, ancora non sa cosa sia l’ictus e come prevenirlo e curarlo.
L’ictus è di due tipi: ischemico – cioè secondario alla chiusura di un’arteria che irrora una parte del cervello – o emorragico, dovuto alla rottura di un vaso cerebrale con conseguente formazione di un ematoma.
Per l’ictus ischemico – che rappresenta circa l’85% dei casi – sono disponibili terapie sia mediche che interventistiche. Le terapie interventistiche consistono nell’asportazione del trombo attraverso una procedura simile alla coronarografia. Esse sono efficaci solo nelle prime ore dopo l’inizio dei sintomi, quindi è decisivo che i pazienti giungano in Ospedale in tempi molto brevi. Purtroppo, molto spesso i sintomi dell’ictus non vengono riconosciuti e le persone non possono essere curate adeguatamente.
Come riconoscere i sintomi dell’ictus?
Innanzitutto ictus vuol dire letteralmente “colpo”. Infatti i sintomi dell’ictus si realizzano istantaneamente e il deficit compare tipicamente in pieno benessere in tutta la sua drammaticità. I sintomi sono la presenza di un deficit di forza oppure di sensibilità oppure di visione o di equilibrio, soprattutto se compaiono solo in una metà del corpo. Anche l’avvento improvviso di un disturbo del linguaggio, con l’impossibilità di parlare correttamente o di capire quanto venga detto deve mettere in allarme.
Cosa bisogna fare quando si sospetta un ictus?
Chiamare immediatamente il 118 che provvederà a portare il paziente in tempo presso l’ospedale attrezzato per trattare questa malattia.
Si può prevenire l’ictus?
Si stima che molti ictus potrebbero essere evitati grazie al controllo dei valori della pressione arteriosa e trattando con anticoagulanti la fibrillazione atriale. Inoltre, è importante inoltre porre attenzione ai valori della glicemia, del colesterolo e dei trigliceridi e non esporsi al fumo attivo e passivo.
Con la collaborazione del dottor Alessandro Adami, responsabile dello Stroke Center IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Tumori neuroendocrini: al "Sacro Cuore" i primi pazienti nel Veneto trattati con il Lutathera
Il radiofarmaco innovativo indicato per i tumori neuroendocrini del pancreas, stomaco e intestino. Gli studi clinici hanno rilevato un significativo aumento della sopravvivenza e del tempo di arresto della progressione della malattia
Sono già due i pazienti trattati all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, con il farmaco oncologico innovativo ad alto costo lutezio (177Lu) oxodotreotide (nome commerciale Lutathera) per la cura dei tumori che hanno origine dal tessuto neuroendocrino. L‘Ospedale in provincia di Verona è il primo e unico dei tre Centri in Veneto autorizzati dalla Regione per la prescrizione e la somministrazione ad aver avviato il trattamento. Gli altri due centri prescrittori e somministratori sono lo Iov di Padova e il “dell’Angelo” di Mestre. (vedi video integrale della conferenza stampa)
“I Centri prescrittori e somministratori sono stati individuati in base alla presenza di requisiti fondamentali per l’erogazione di questo trattamento – ha detto il dottor Mario Piccinini, amministratore delegato dell’Ospedale di Negrar aprendo la conferenza stampa di questa mattina -. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è dotato di competenze professionali relative a questi tipi tumori (oncologiche, chirurgiche, di medicina nucleare, radiologia interventistica) e di dotazioni tecnologiche necessarie per l’impiego di questo farmaco. Dal 2015, infatti, è attivo un Servizio di Terapia Radiometabolica – con due stanze di degenza radioprotetta – per l’uso a scopo terapeutico di radiofarmaci, per esempio, per la cura dei tumori della tiroide e delle metastasi ossee causate dal tumore alla prostata. Nella provincia scaligera quello di Negrar è l’unico ospedale con una Terapia Radiometabolica e uno dei pochi in Veneto” (vedi articolo).
“L’introduzione del Lutathera segna una svolta nella cura dei tumori neuroendocrini del pancreas, intestino e stomaco in fase avanzata, metastatica e non, per i quali prima non esisteva terapia”, ha spiegato il dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare con Servizio di Terapia Radiometabolica. “La fase III dello studio Netter-1 che ha autorizzato l’immissione in commercio del radiofarmaco ha rilevato che più del 50% dei pazienti trattati con Lutathera non mostrava significativa progressione di malattia rispetto al solo 10% del gruppo di pazienti a cui è stato somministrato l’analogo della somatostatina, impiegato prima dell’introduzione del radiofarmaco. Questo significa aumento della sopravvivenza e della qualità di vita, perché quando il tumore è ‘fermo’ i pazienti possono condurre una vita del tutto normale”.
“I tumori neuroendocrini (NET- Neuroendocrine Tumours) sono un gruppo eterogeneo di neoplasie che hanno origine dal tessuto neuroendocrino diffuso in vari distretti corporei. Il 60-70% di queste neoplasie si presenta a livello del tratto gastro-entero-pancreatico proprio quelle forme neoplastiche per le quali è disponibile oggi il Lutathera”, ha sottolineato la dottoressa Stefania Gori, direttore Oncologia Medica.
I neuroendocrini sono considerati tumori relativamente rari confrontati con neoplasie non neuroendocrine che colpiscono gli stessi organi, come per esempio il tumore “classico” del pancreas, del colon o dello stomaco. Si stima che siano da 1 a 5 ogni 100mila abitanti le nuove diagnosi all’anno”.
Tuttavia se l’incidenza è bassa, non lo è la prevalenza (cioè il numero delle persone che vivono con una diagnosi di NET) che è di 35 casi ogni 100mila abitanti. Poiché i pazienti con questa neoplasia hanno una prognosi più favorevole, con lenta evoluzione della loro malattia, necessitano di una presa in carico multidisciplinare e controlli periodici perché il tumore può ripresentarsi anche dopo molti anni.
“Per questo a Negrar dal 2013, nell’ambito del Dipartimento Oncologico, è stato creato l’ambulatorio NET, dove operano medici di diverse specialità per la presa in carico globale del paziente. L’équipe multidisciplinare dell’ambulatorio NET è formata da specialisti anatomopatologi, chirurghi generali e toracici, endocrinologi, diabetologi, gastroenterologi, medici nucleari, oncologi, pneumologi, radiologi interventisti e psicologi. Attualmente il NET segue un centinaio di pazienti“, ha illustrato la dottoressa Letizia Boninsegna, coordinatrice dell’Ambulatorio NET. (vedi articolo)
Che ha aggiunto: “Dal punto di vista del chirurgo l’innovativo radiofarmaco è un alleato per portare i tumori non operabili all’intervento chirurgico. Ho potuto constatare da medico i risultati molto positivi dati dalla terapia radiometabolica. Non con il Lutathera, ma nell’ambito di protocolli sperimentali che hanno portato poi alla ‘nascita’ del Lutathera stesso. Nove nostri pazienti operati e metastatici sono stati sottoposti a terapia radiometabolica sperimentale dopo trattamento con analogo della somatostatina e hanno avuto una media di stabilità della malattia di 36 mesi. Inoltre sei nostri pazienti inoperabili con malattia in progressione locale (quindi non metastatica) sono stati prima trattati con l’analogo della somatostatina e poi fatti entrare in protocolli sperimentali con radiofarmaco. Per cinque di loro il tumore non solo ha arrestato la progressione ma si è ridotto, consentendo di intervenire chirurgicamente in modo radicale. Ad oggi abbiamo una mediana di tempo di libertà di progressione di malattia per questi pazienti di 24 mesi.
Come ha spiegato il dottor Giancarlo Gorgoni, direttore della Radiofarmacia con Ciclotrone “il Lutathera è un farmaco nella cui struttura chimica è stato inserito un isotopo radioattivo. Esso è composto dall’analogo della somatostatina DOTA-TATE,- la versione di sintesi chimica dell’ormone somatostatina prodotta dal nostro organismo – marcato con Lutezio 177, che emanando radiazioni Beta meno, ha effetto terapeutico. Il Lutathera è realizzato da un’industria farmaceutica, quindi è protetto da brevetto, che acquista l’isotopo Lutezio117 prodotto da un reattore nucleare e lo coniuga con l’analogo della somatostatina”.
“Il Lutathera rientra nella categoria dei farmaci innovativi oncologici ad alto costo, per i quali, in virtù della loro caratteristica di unicità ed efficacia, il ministero della Salute nel 2017 ha istituito un fondo speciale, separato dal Fondo sanitario nazionale, al fine di garantire a tutti l’accesso alle cure – ha spiegato la dottoressa Teresa Zuppini direttore della Farmacia Ospedaliera – Il radiofarmaco Lutathera prevede un trattamento di quattro infusioni per un costo complessivo di oltre 60mila euro, totalmente rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale. Proprio per l’alto costo sono previste indicazioni prescrittive ben precise e autorizzazioni regionali per l’approvvigionamento che comportano non l’acquisto diretto da parte dell’ospedale, ma attraverso l’ALS di riferimento”.
Da isole a ponti: i gestori calabriani guardano al territorio
Si è concluso San Zeno in Monte il quinto incontro di gestione calabriana al quale hanno partecipato circa 70 amministratori delle attività dell’Opera Don Calabria in Europa
Si è concluso il quinto incontro di gestione calabriana che ha radunato a San Zeno in Monte circa 70 gestori delle attività dell’Opera Don Calabria in Europa, tra cui l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Quest’anno l’evento si è svolto a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera, ed è stato dedicato al seguente argomento: “Da isole a ponti, Gestione e Carisma in rapporto con il territorio”.
La prima giornata, giovedì 24 ottobre, ha visto l’intervento del Nunzio Apostolico in Ucraina monsignor Claudio Gugerotti che ha approfondito il tema della carità in san Giovanni Calabria e il suo rapporto con la città di Verona. Molto intense anche le relazioni di Tiziano Vecchiato, della Fondazione Zancan, e del filosofo Roberto Mancini. Il primo ha compiuto un’analisi della situazione dello stato sociale in Italia approfondendo il concetto di “welfare generativo”. Il secondo ha invece delineato la figura dell’amministratore nell’ottica evangelica.
Durante la seconda giornata c’è stata una tavola rotonda che ha visto la partecipazione di rappresentanti di vari enti e istituzioni che operano nel territorio veronese e italiano per parlare dell’importanza del “fare rete” per stare al fianco dei poveri e degli ultimi nella società italiana attuale. Sono state due giornate molto produttive, occasione per fare il punto della situazione sulle attività svolte dall’Opera Don Calabria in Europa oggi e confrontarsi sulle sfide future in ambito pastorale, sociale e sanitario.
La Delegazione San Giovanni Calabria comprende le Case e attività presenti in Italia, Romania e Portogallo. Si tratta di 16 comunità religiose, 17 strutture pastorali e 30 strutture educative, oltre all’ospedale di Negrar che collabora con la Delegazione ma dal punto di vista amministrativo si rapporta direttamente con l’Amministrazione Generale della Congregazione.
Se anche il cuore si ammala di diabete
Il diabete è un rilevante fattore di rischio di malattie coronariche e cerebrovascolari, ma purtroppo ancora sottovalutato. L’importanza di alcuni farmaci e soprattutto dello stile di vita
La correlazione tra diabete e malattia cardiovascolare è nota, ma forse non ancora sufficientemente considerata. Alcuni studi già negli anni Novanta attestavano che il diabete aumenta di due-quattro volte il rischio di malattia coronarica e cerebrovascolare.
Tuttavia già da alcuni anni sono in commercio una nuova classe di farmaci(GLP 1 Antagonista e SGLT 2 Inibitore) che oltre ad essere efficace nel mantenere sotto controllo la glicemia, ha una funzione di protezione cardiovascolare. Rimane tuttavia fondamentale lo stile di vita, che significa niente fumo, una dieta equilibrata (che tenga conto della presenza del diabete) e attività fisica costante.
Nel video l’intervista del TGR Veneto al professor Enrico Barbieri, direttore della Cardiologia, e al dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio di Diabetologia, spiegano l’importanza della prevenzione e della diagnosi precoce del diabete.
Il professor Barbieri e il dottor Zenari hanno aderito alla campagna di “Al cuore del diabete”, che ha come obiettivo la sensibilizzazione su diabete e rischio cardiovascolare. L’iniziativa – che vanta il patrocinio della Società Italiana di Diabetologia (SID) e dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD) – ha fatto tappa lunedì 21 ottobre in piazza Bra, nel cuore di Verona .
L'Opera Don Calabria celebra la festa delle missioni
Sono quasi 20mila i bambini e ragazzi aiutati ogni anno in dieci Paesi del mondo dall’associazione Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus che domenica 20 ottobre promuove la tradizionale festa missionaria calabriana
“Tutto il mondo è campo di Dio e c’è posto per tutti per fare del bene”. Prende spunto da questa frase di san Giovanni Calabria la Festa delle Missioni dell’Opera calabriana che si svolge domenica 20 ottobre presso la Casa Madre di San Zeno in Monte (Verona) in concomitanza con la giornata mondiale missionaria della Chiesa cattolica. L’evento è organizzato da “Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus“, associazione che vede tra i propri sostenitori anche l’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, in particolare per quanto riguarda i progetti di aiuto sanitario alle popolazioni più povere.
Al mattino, con inizio alle ore 10, ci saranno le testimonianze di alcuni missionari provenienti dalle realtà dell’India e del Kenya, Paesi ai quali è dedicata quest’anno la festa. Nel pomeriggio ci sarà invece uno spettacolo nel quale si alterneranno danze tipiche e la proiezione di video con canzoni realizzate da bambini e ragazzi delle attività calabriane in terra di missione.
Don Calabria Missioni supporta le attività missionarie dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza in dieci Paesi del mondo (oltre a Kenya e India ci sono Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay, Filippine, Angola, Romania e Portogallo). In particolare l’associazione nel 2018 ha sostenuto 98 progetti di aiuto in campo sociale, educativo e sanitario a favore di quasi 20mila bambini e delle loro famiglie. La metà di questi progetti sono portati avanti grazie al sostegno a distanza garantito da tanti benefattori e amici dell’Opera calabriana.
Cataratta: ecco cosa sapere sull'intervento
Il dottor Guido Prigione ci spiega come avviene l’intervento di cataratta, che negli ultimi anni ha visto un’evoluzione soprattutto per quanto riguarda le lenti sostitutive del cristallino. Ma a fare la differenza è sempre l’abilità del chirurgo
I primi sintomi, per chi ha sempre visto bene, insorgono tra i 70 e gli 80 anni, per i miopi elevati già verso i 50-60 anni. La cataratta “si presenta” con un calo lento e progressivo della vista (“questi occhiali non vanno più bene”) e con difficoltà di visione notturna: un esempio è l’effetto abbagliante provocato dai fari delle automobili. Se i sintomi sono questi è il caso di rivolgersi all’oculista, perché, forse, la cataratta è ‘matura’.
“Il temine ‘matura’ si usava alcuni anni fa e indicava il momento ideale in cui intervenire in modo tale da poter facilmente estrarre per intero il cristallino. Le tecniche che usiamo oggi frammentano il cristallino con gli ultrasuoni, di conseguenza attendere che la cataratta assuma la consistenza di un sassolino non è più necessario anzi sottoporrebbe l’occhio a un maggiore insulto infiammatorio con rischi di complicanze evitabili semplicemente intervenendo prima”, spiega il dottor Guido Prigione (nella foto di copertina), chirurgo oftalmologo dell’Oculistica, diretta dalla dottoressa Grazie Pertile, che ogni anno effettua circa 2.500 interventi di cataratta in regime di convenzione col sistema sanitario nazionale.
Dottor Prigione, cos’è la cataratta?
Si parla di cataratta in presenza di opacità del cristallino, cioè di quella lente, a forma di lenticchia, che si trova all’interno dell’occhio, dietro l’iride, tenuta in posizione da una serie di legamenti sospensori. Con il passare degli anni il cristallino si opacizza, comportando in genere una riduzione dell’acuità visiva (è come se la luce passasse attraverso una finestra sporca), che porta la persona a perdere lentamente la vista. In genere i soggetti miopi riferiscono un peggioramento del loro difetto visivo, mentre gli ipermetropi tendono a vedere meglio senza occhiali.
In cosa consiste l’intervento?
L’intervento comporta la sostituzione del cristallino che viene estratto attraverso un’apertura rotonda del lato anteriore del sacco che lo contiene, definita capsuloressi. Il facoemulsificatore, uno strumento ad altissima tecnologia che emette ultrasuoni, consente di frantumare e contemporaneamente aspirare il cristallino per lasciare posto alla nuova lente, che verrà quindi iniettata all’interno del sacco originale utilizzato come impalcatura.
Riguardo alle lenti sostitutive negli ultimi anni si è avuto un notevole progresso tecnologico.
Oggi possiamo impiantare sia le classiche lenti monofocali che le cosiddette IOL (Intraocular Lens) ad alta tecnologia. Si tratta di una serie di cristallini artificiali in grado di corregge potenzialmente tutti i difetti visivi della persona, quindi la miopia, l’ipermetropia, la presbiopia e l’astigmatismo: di fatto, con queste lenti, possiamo rendere la persona indipendente dall’uso di occhiali. Attualmente gli interventi eseguiti in convenzione col Servizio Sanitario Nazionale prevedono solo l’intervento con lenti monofocali, mentre per le lentine Premium ad alta tecnologia è necessario richiedere un intervento in libera professione che nel nostro ospedale viene eseguito in regime di intramoenia dagli stessi chirurghi.
Le IOL ad alta tecnologia sono indicate per tutti?
No. Per stabilire l’indicazione all’impianto è necessario sottoporre il paziente ad una serie di esami supplementari rispetto a quelli previsti per l’intervento classico, fondamentali anche per la scelta della lente più adatta.
L’intervento viene eseguito con quale sedazione e richiede ricovero?
Tutti gli interventi di cataratta, indipendentemente dal tipo di lentina da impiantare, sono eseguiti con anestesia topica, con l’utilizzo cioè di semplici colliri anestetici. L’anestesia locale, un’ iniezione di anestetico eseguita vicino al bulbo oculare (simile a quella che viene praticata dal dentista), viene utilizzata solo in rari casi o perché si teme una scarsa capacità di fissazione del paziente oppure se le caratteristiche dell’occhio ci fanno temere la possibilità di incorrere in complicanze in sede di intervento. L’anestesia generale viene proposta ai pazienti claustrofobici che non riescono a sopportare la presenza del telino operatorio davanti al viso. L’intervento viene effettuato in regime ambulatoriale, pertanto il paziente si trattiene in ospedale per la sola durata dell’operazione.
Sfatiamo alcune false convinzioni. La prima: l’intervento di cataratta è privo di rischi
Non è vero. Come in ogni intervento chirurgico si corre il rischio di contrarre un’infezione. Essendo una chirurgia intraoculare i casi più gravi posso subire un gravissimo danno alla vista. Gli studi internazionali rilevano 1 caso di infezione su circa 8mila occhi operati. E’ chiaro che un paziente anziano e defedato può incorre in un rischio maggiore rispetto a un cinquantenne in buona salute, tuttavia la statistica riguarda tutti. Un altra potenziale complicanza è legata alla possibilità aumentata di avere un distacco di retina entro i primi due anni dall’intervento: tanto più un paziente è giovane e/o miope tanto maggiore sarà il fattore di rischio. Grazie alle nuove tecnologie siamo quindi in grado di operare pazienti che sono all’esordio della cataratta e che desiderano non portare più gli occhiali, ma è fondamentale che sappiano che come per tutti gli interventi anche quello alla cataratta non è privo di controindicazioni.
L’intervento di cataratta è un intervento veloce quindi banale
Attenzione a non confondere la relativamente breve durata dell’intervento (in media 10 minuti) con la semplicità dello stesso. Se la procedura è veloce, è merito dell’abilità del chirurgo e delle strumentazioni sempre più avanzate. L’intervento di cataratta richiede una tecnica chirurgica notevole che si acquisisce solo dopo centinaia di interventi e i margini di errore sono pochissimi. Ai miei pazienti spiego sempre che è come fare un giro di pista in macchina: se l’intervento dura poco non è perchè banale ma perchè ci sta operando un pilota di Formula 1.
L’utilizzo del laser garantisce la buona riuscita dell’intervento
Non è vero. La riuscita ottimale dell’intervento dipende molto dall’abilità del chirurgo. Il laser è un efficace strumento operatorio che può aumentare la precisione di alcune fasi dell’intervento. Studi internazionali hanno tuttavia provato che il suo utilizzo aumenta i costi e i tempi dell’intervento senza un reale beneficio per il paziente. Elementi di certo non trascurabili all’interno di un servizio sanitario nazionale.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica
Nella Festa di S. Giovanni Calabria è stato inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica: i nuovi posti letto sommati ai precedenti vanno a coprire le esigenze riabilitative dell’alto numero dei pazienti sottoposti a intervento protesico
In occasione della Festa di San Giovanni Calabria, questa mattina all’ospedale di Negrar è stato inaugurato il nuovo reparto di Riabilitazione Ortopedica, diretto dal dottor Roberto Filippini, collocato al terzo piano di Casa Nogarè, una delle strutture della Cittadella della Carità di cui fa parte anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. La benedizione inaugurale è stata impartita dal cardinale veronese Eugenio Dal Corso, primo cardinale dell’Opera Don Calabria, che ha ricevuto la porpora cardinalizia da papa Francesco lo scorso 5 ottobre. Ad affiancarlo padre Miguel Tofful, superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Il Cardinale ha poi celebrato la Messa nella cappella dell’ospedale. (vedi video e interviste dell’inaugurazione)
La nuova Unità Operativa copre un area di circa 1000 metri quadri, con 25 posti letto che si aggiungono ai 42 posti letto attuali della Medicina Fisica Riabilitativa, diretta dal dottor Zeno Cordioli. Particolare cura è stata riservata alla scelta cromatica delle pareti, ma anche degli arredi, al fine di creare, per quanto possibile, un ambiente accogliente per una permanenza di alcune settimane. Ogni posto letto è dotato di un monitor televisivo attraverso il quale verranno trasmessi dei video con gli esercizi riabilitativi che il paziente è invitato a fare da solo o quando ritornerà alla propria abitazione.
Il reparto comprende inoltre un’ampia palestra attrezzata, un soggiorno, una sala da pranzo, una piccola cucina, un ambulatorio, la zona infermieristica, mentre gli studi medici sono stati collocati al quarto piano.
“L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è stato classificato nel 1978 come ospedale generale di zona, per quanto riguarda la parte del “Sacro Cuore”, e come ospedale per lungodegenti e convalescenti per il “Don Calabria” – ha spiegato l’amministratore delegato, Mario Piccinini -. Quindi oggi siamo perfettamente in linea con la forte connotazione riabilitativa della nostra struttura. Ma perché si è reso necessario un nuovo reparto? La nostra Ortopedia è la sesta in Italia per numero di interventi di chirurgia protesica del ginocchio e vanta una casistica di rilievo per la protesi dell’anca. Inoltre la Regione Veneto ha indicato nelle ultime schede ospedaliere l’Unità Operativa del dottor Claudio Zorzi come Centro di riferimento per la revisione delle protesi di anca e ginocchio. Di fronte a questi numeri chirurgici il problema erano appunto i posti di riabilitazione, la cui insufficienza ci costringeva a inviare i pazienti in altre strutture e il più delle volte fuori Veneto. Per questo motivo e in accordo con la Regione abbiamo deciso di creare questo nuovo reparto – esteticamente molto piacevole – che sarà operativo all’inizio del prossimo anno”.
“E’ un investimento importante non solo dal punto di vista economico ma anche tecnico-riabilitativo con una struttura particolarmente accogliente per chi deve superare un percorso non facile dopo un intervento chirurgico ortopedico – ha detto il direttore della nuova Riabilitazione Ortopedica – Questa struttura è un ampliamento dell’offerta dell’ospedale di Negrar, da sempre un’eccellenza dal punto di vista riabilitativo. Siamo staff nuovo di quattro medici e sei fisioterapisti, molto motivato e in linea con l’amministrazione che ci ha supportato in ogni richiesta e decisione”.
All’inaugurazione è intervenuto anche Luca Coletto, assessore regionale alla Sanità quando venne approvata la delibera relativa al nuovo reparto, e il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e Traumatologia. “Questo è un anello importante per completare l’assistenza dei pazienti ortopedici – ha detto Zorzi -. Ringrazio il dottor Cordioli e il suo staff per la grande collaborazione di questi anni, nel trovare soluzioni a situazioni non sempre facili. Ora abbiamo questi posti letto in più che ci pemettono di lavorara ancora meglio”
La Festa di San Giovanni Calabria cade quest’anno nel ventesimo anniversario della canonizzazione del Santo veronese. “E’ un momento di gioia, ma anche di profondo ringraziamento alla Divina Provvidenza. L’abbandono a Dio Padre è il fondamento del carisma che Don Calabria ci ha lasciato, affinché possiamo servire le persone all’altezza della loro dignità di uomini e donne – ha detto il presidente dell’Ospedale, fratel Gedovar Nazzari – San Giovanni Calabria ci chiede ancora di “fare bene il bene”, un principio del suo insegnamento che noi possiamo mettere in pratica non solo offrendo ai nostri pazienti terapie innovative, ma anche accogliendoli in ambienti confortevoli, come questo nuovo reparto”.
Nella PhotoGallery le immagini dell’inaugurazione (foto Ennevi)