"L'ACCOGLIENZA NEI CONFRONTI DI CHI SOFFRE È UN GESTO PROFETICO"

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Il messaggio natalizio di Padre Miguel Tofful, Superiore generale dell’Opera Don Calabria, che ha incontrato gli operatori e ha visitato gli ammalati della Cittadella della Carità, offrendo una lettura “calabriana” della nascita di Gesù oggi

Il Casante padre Miguel Tofful, Superiore Generale dell’Opera Don Calabria, ha visitato nei giorni scorsi la Cittadella della Carità di Negrar, incontrando i collaboratori e visitando i reparti dell’ospedale. Nel suo messaggio natalizio, che si può leggere in allegato (vedi messaggio completo), padre Tofful ha ringraziato il personale per l’impegno e l’umanità che ciascuno mette nel suo lavoro al fianco di chi soffre e ha sottolineato che oggi per l’Opera Don Calabria il valore profetico del Natale sta nella disponibilità ad accogliere tutti e in particolare gli ultimi, gli ammalati, i dimenticati. Ecco le parole con cui il Casante augura buon Natale a tutta la Famiglia calabriana nel mondo e a tutti coloro che in questi giorni di festa si trovano presso la Cittadella della Carità:

“Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’alloggio (Lc. 2,7).Il gesto di Maria nell’accogliere Gesù con tenerezza e affetto, facendogli posto nella mangiatoia, ci insegni ad accogliere tutti con dignità, in modo molto semplice, nonostante la povertà dei mezzi. Questo è profezia dell’accoglienza. Auguro a tutti voi un Buon e Santo Natale. Dio vi benedica. Un abbraccio fraterno a tutti. Padre Miguel Tofful

Sul canale video dell’Opera calabriana è possibile vedere anche il video-messaggio del Casante (vedi video)

Nella gallery le foto dell’incontro con gli operatori dell’ospedale in Sala Perez nella giornata di giovedì 20 dicembre.


Dal Giappone per apprendere la tecnica che salva le articolazioni con il grasso

Nei giorni scorsi quattro accademici giapponesi hanno assistito all’applicazione su tre pazienti del trattamento biologico per la rigenerazione della cartilagine articolare, per cui il Centro del dottor Zorzi è leader internazionale

Dal Giappone all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar per apprendere “sul campo” le tecniche per i trattamenti biologici della degenerazione della cartilagine articolare, quel processo di usura che, se non bloccato in tempo, porta inevitabilmente alla sostituzione dell’articolazione (ginocchio, spalla, anca, caviglia) con l’impianto di protesi.

 

Quattro professori della Juntendo University di Tokyo – Yoshitomo Saita, Takanori Wakayma, Sayuri Uchino e Shin Fukusato – nei giorni scorsi hanno infatti incontrato il direttore dell’Ortopedia e Traumatologia, il dottor Claudio Zorzi, e la sua équipe per assistere all’applicazione su tre pazienti di una metodica basata sull’infiltrazione direttamente nell’articolazione di cellule mesenchimali del tessuto adiposo. Lipogems – dal nome dello strumentario necessario per effettuare il trattamento – si sta infatti sviluppando anche in Giappone e gli accademici nipponici, presenti in Italia per un meeting scientifico, non hanno voluto perdere l’occasione di visitare l’ospedale di Negrar, centro che vanta la più alta casistica a livello internazionale, con circa 1.300 pazienti trattati dal 2013.

 

“E’ una terapia ben tollerata dai pazienti, che garantisce ottimi risultati – spiega il dottor Zorzi -. Ha un effetto riparatore della cartilagine, rallentando, se non bloccando, il processo artrosico in atto, eliminando anche lo stato doloroso. Questo consente di posticipare il più possibile l’impianto protesico, con vantaggi soprattutto per i pazienti più giovani, che dovrebbero altrimenti sostituire l’impianto dopo una ventina d’anni”.

 

Il tanto vituperato tessuto adiposo in realtà contiene un tesoro prezioso: una cellulamesenchimaleogni cento adipose. La cellula mesenchimale ha la capacità diattivarsi per riparare o proteggere il tessuto, in questo caso la cartilagine, sottoposto ad usura. “Il trattamento consiste nel prelevare in anestesia locale tramite liposuzione circa 50grammi di grasso dall’addome o dalle cosce – spiega il chirurgo ortopedico Daniele Screpis -. Tramite un apposito strumentario il grasso viene letteralmente shakerato, per separarlo dal sangue e da altri componenti”. Una volta effettuata questa operazione le cellule adipose vengono immediatamente infiltrate con una semplice iniezione direttamente nell’articolazione. “Basta una sola applicazione – sottolinea il dottor Screpis -. Già a due mesi vi sono i primi miglioramenti; a sei mesi dall’intervento il movimento dell’articolazione appare più fluido e il paziente riferisce una riduzione della sintomatologia dolorosa“.

 

Lipogems viene impiegato a Negrar principalmente per le patologie artrosiche del ginocchio, ma trova applicazione anche per l’anca, la caviglia,la spalla e le tendinopatie. E’ indicato quando il danno alla cartilagine è diffuso e ad uno stadio avanzato.


Neurologia: il dottor Bianconi passa il testimone di direttore al dottor Marchioretto

Il dottor Bianconi dopo 16 anni alla guida di Neurologia, che nasceva come reparto con il suo incarico, va in pensione. Al suo posto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto, da 17 anni all’ospedale di Negrar

Dicembre ha segnato l’avvicendamento alla direzione dell’Unità Operativa di NeurologiaDopo 18 anni di collaborazione con il “Sacro Cuore Don Calabria”, tra cui 16 di primariato, il dottor Claudio Bianconi ha lasciato l’incarico per raggiunti limiti di età e alla guida del reparto è stato nominato il dottor Fabio Marchioretto.

 

Il dottor Marchioretto, nato a Verona nel 1967, si è laureato in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Verona nel 1993 e nella stessa sede universitaria si è specializzato nel 1997 in Neurologia. Ha iniziato la sua attività professionale con l’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” nel gennaio 2001. Già nel Consiglio direttivo con la carica di consigliere della Società Italiana Studio Cefalee (SISC-Sezione Triveneto), il nuovo primario è responsabile del Centro cefalee della Neurologia che si occupa della diagnosi e della cura delle cefalea e del dolore cranio-facciale secondo le linee guida dell’International Headache Society. Dal 2003 è responsabile del Centro Sclerosi Multipla, sempre all’interno della Neurologia, Centro accreditato dalla Regione Veneto per la somministrazione di terapie immunomodulanti. Dopo tre mandati triennali con la carica di tesoriere è ora componente del Direttivo dell’Ordine dei Medici chirurghi ed odontoiatri di Verona con la carica di segretario.

 

Il dottor Bianconi, 65 anni, veronese, lascia l’incarico di direttore della Neurologia, assunto il 1° gennaio del 2002 per guidare il reparto che nasceva proprio sotto la sua direzione. Laurea in Medicina e chirurgia all’Università di Padova nel 1979, ha conseguito la specializzazione in Neurologia presso l’Ateneo scaligero. Prima di iniziare il suo percorso professionale al “Sacro Cuore Don Calabria”, come responsabile del Servizio di Neurologia, il 16 ottobre del 2000, ha lavorato negli ospedali di Arzignano, Zevio e Bussolengo.

 

 

Con la pensione per il dottor Bianconi inizia una nuova avventura: proseguirà infatti con maggiore assiduità e con altri incarichi l’attività sanitaria che ha svolto in questi anni nell’ambito della cooperazione internazionale. L’Opera Don Calabria gli ha affidato il compito diseguire non solo le iniziative sanitarie nelle sedi dove è presente (Angola, Brasile, Filippine, India e Santo Domingo) ma anche le nuove collaborazioni, come per esempio quelle con il Congo, il Sud Sudan e l’Ucraina.

nella foto da sinstra: il dottor Claudio Bianconi e il dottor Fabio Marchioretto


Che cos' è Mycobacterium chimaera

La carta di identità del Mycobacterium che sta suscitando allarme a causa del decesso di alcuni pazienti sottoposti a intervento a cuore aperto, ma il rischio di infezioni è stimato in 1 caso ogni 10.000 interventi. I sintomi e le terapie a disposizione

Il Mycobacterium chimaera è un microrganismo della famiglia dei micobatteri non tubercolari, presente nel terreno, nell’acqua e negli impianti idrici urbani. Normalmente non causa patologie, tuttavia in determinate situazioni sfavorevoli può trasformarsi in un pericoloso agente patogeno, soprattutto nei pazienti immunodepressi. Essendo dotato di una spessa parete cellulare è in grado di resistere a molti trattamenti farmacologici.

Il M. chimaera è stato descritto per la prima volta nel 2004 da un gruppo di ricercatori veneti e sino al 2013 veniva identificato sporadicamente in pazienti affetti per lo più da patologie polmonari nell’ambito degli isolamenti del cosiddetto Mycobacterium avium complex (MAC) di cui fanno parte il M. intracellulare e il M. avium (dal 2004 anche il M.chimaera).

 

M.chimaera e gli interventi di cardiochirurgia

Nel marzo 2013 un gruppo di ricercatori della Università di Zurigo pubblicò un articolo relativo a due casi di sepsi da M.chimaera e endocardite occorsi nella estate del 2011 in due pazienti che nel 2008, il primo, e nel 2010, il secondo, erano stati sottoposti ad interventi di cardiochirurgia con uso di circolazione extracorporea. Nell’articolo gli autori ipotizzavano che la fonte dell’infezione potesse essere ospedaliera e procedettero al campionamento sia dell’acqua dei lavabi presenti nelle sale operatorie sia delle acque di condensa dei macchinari per la circolazione extracorporea, senza peraltro poter trovare alcun riscontro positivo. Riscontro che risultò invece positivo in uno studio successivo, pubblicato su un’importante rivista internazionale di malattie infettive (Clinical Infectious Diseases) nel marzo del 2015, da cui emerse come la fonte del contagio fossero proprio gli aerosol sviluppatisi attraverso dispositivi tecnici contaminati, i cosiddetti apparecchi per ipotermia, le Heat-Cooler Units (HCU). Apparecchi che servono a regolare la temperatura del sangue durante l’intervento nelle operazioni a cuore aperto. Studi successivi evidenziarono come il problema non fosse limitato alla sola Zurigo.

 

Il rischio di infezione: 1 su 10.000 interventi

Ad oggi sono stati identificati nel mondo 185 casi di infezioni da M.chimaera, di cui 10 in Italia, legati all’uso di HCU in corso di interventi di cardiochirurgia. Il problema è apparso così serio che il Lancet, lo scorso luglio 2017, ha pubblicato un articolo il cui titolo recitava “Global outbreak of severe Mycobacterium chimaera disease after cardiac surgery“, siamo insomma di fronte ad un evento globale di infezioni gravi in pazienti che sono stati sottoposti in passato a interventi di cardiochirurgia. Tali cifre vanno però messe in relazione con il numero di procedure di circolazione extra-corporea eseguite ogni anno nel mondo che è di oltre 1.500.000 di cui 40.000 in Italia. Il rischio per intervento è quindi relativamente modesto, stimato in 1 ogni 10.000 interventi.

 

Come si riduce il rischio di infezione

A partire già dal 2015 numerose agenzie governative e intergovernative quali lo stesso Ministero della Salute e lo European Centre for Disease Prevention and Control hanno diramato direttive e diffuso raccomandazioni al fine di ridurre ulteriormente il rischio di infezione. Tra queste, per esempio l’indicazione a posizionare le HCU al di fuori delle sale operatorie o comunque separare tali unità dal flusso di aria all’interno delle sale. In nessun paese del mondo i dispositivi HCU sono stati ritirati, perché il ritiro dei macchinari e la sostituzione degli stessi non risolverebbe il problema delle infezioni ospedaliere, che sono correlate alla criticità delle corrette procedure di decontaminazione da parte delle strutture sanitarie, poiché la contaminazione può verificarsi in qualunque momento (nel sito produttivo, in fase di preparazione della macchina prima di un intervento, durante il periodo di stazionamento della macchina in ospedale tra un intervento e l’altro). Il rischio che si verifichi un caso di infezione da M.chimaera può essere ridotto adottando rigorosamente le procedure di decontaminazione suggerite dai fabbricanti di HCU e raccomandate dal Ministero della Salute.

 

I sintomi

I sintomi dell’infezione da M.chimaera compaiono a distanza di mesi o anni dall’intervento chirurgico, con una mediana di 17 mesi e un range tra 3 e 72 mesi. I segni e i sintomi sono generalmente aspecifici e comprendono affaticamento, febbre e perdita di peso che perdurano da oltre due settimane e che non sono correlabili ad altre manifestazioni patologiche. Altri segni clinici importanti sono la splenomegalia (ingrossamento della milza) e la corioretinite (infiammazione che colpisce la zona posteriore dell’occhio). Il paziente con infezione da M.chimaera presenta una sintomatologia significativa e persistente nel tempo, che non deve essere confusa, visto anche il periodo dell’anno, con quella più banale di una sindrome influenzale.

 

Come avviene la diagnosi

La diagnosi definitiva si basa sull’isolamento del micobatterio. Purtroppo, essendo il M.chimaera un batterio a lenta crescita, possono essere necessarie fino a 8 settimane di coltura per giungere alla diagnosi.

 

La terapia

La terapia è complessa e di lunga durata (un anno e oltre) e si basa sull’utilizzo di una combinazione di antibiotici – da 4 a 5 in base alla gravità del quadro clinico – che comprende un macrolide, rifamicina, etambutolo, moxifloxacina o clofazimina con l’aggiunta eventuale di amikacina per via parenterale.

 

Per chi ha subito un intervento cardiochirurgico

Cosa si raccomanda alle persone che hanno subito un intervento chirurgico a cuore aperto negli ultimi anni? A chi possono rivolgersi? Ai circa 10.000 pazienti che hanno subito in Veneto un impianto (valvole cardiache artificiali o materiale protesico all’aorta) con un intervento a cuore aperto tra l’1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2017 la Regione Veneto invierà una scheda informativa contenente le informazioni sui sintomi e l’indicazione dei numeri di telefono da contattare per qualsiasi evenienza e per gli eventuali approfondimenti clinici necessari.

 

Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali


Giardinaggio e bricolage, ma sempre proteggendo gli occhi

Diminuiscono gli infortuni sul lavoro grazie alle normative, ma si verificano spesso incidenti domestici con conseguenze anche gravi alla vista a causa dell’utilizzo di attrezzi, come il decespugliatore, senza l’apposita protezione

Che la propria casa non sia il luogo più sicuro in fatto di incidenti è ormai assodato. Cadute, ferite, ingestione di corpi estranei, soffocamento, avvelenamenti e intossicazioni sono sempre in agguato. E i problemi aumentano quando si aggiungono i lavori in giardino e il ‘fai da te’. In questi casi a forte rischio è anche la vista. Lo sottolinea la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che non di rado incontra sul tavolo operatorio persone con gravi danni agli occhi dovuti a una certa superficialità nell’uso di attrezzi da giardinaggio o per piccoli lavori di bricolage.

“Negli ultimi anni è diminuita significativamente l’incidenza degli infortuni sul lavoro a danno degli occhi, grazie all’introduzione delle norme di sicurezza – afferma -. Al contrario si verificano spesso incidenti in ambito domestico dovuti all’utilizzo, per esempio, di decespugliatori, senza indossare l’apposita maschera di protezione”. Nel tagliare l’erba, il decespugliatore solleva anche piccoli sassi o del pietrisco che possono entrare nell’occhio con la velocità di un proiettile.

“Quando accade è necessario intervenire chirurgicamente per togliere il corpo estraneo dal bulbo oculare – prosegue la dottoressa Pertile -. Nel caso in cui sia toccata solamente la superficie, l’intervento è relativamente semplice. Ma a causa dell’alta velocità in cui viene sollevato, il sassolino o il pietrisco potrebbe penetrare in profondità. Se ad essere colpita è la parte anteriore dell’occhio, la lesione può essere riparata con la sostituzione del cristallino o, eventualmente, con il trapianto di cornea. Se invece ha raggiunto la retina, vi è un rischio molto più alto di compromissione della vista”.

Quindi è fondamentale indossare sempre la maschera di protezione, anche quando si intende utilizzare il decespugliatore per pochi minuti. La stessa raccomandazione vale per chi si cimenta con il bricolage, maneggiando dei piccoli saldatori, che possono “sparare” schegge di metallo direttamente negli occhi. “Essendo quello del “Sacro Cuore Don Calabria” un centro chirurgico altamente specializzato – continua – trattiamo i casi più complessi inviati spesso da altri ospedali, che riguardano pazienti già sottoposti ad un primo intervento di sutura delle ferite del bulbo oculare. L’obiettivo è sempre il recupero ottimale della vista. Ma a volte il danno è così grave che è da considerarsi un successo anche solo la conservazione dell’anatomia dell’occhio”.

Più ardua è la prevenzione degli incidenti che riguardano i bambini. “Gli oggetti appuntiti sono sempre un potenziale pericolo– sottolinea l’oculista -. Matite, forbici, forchette, bastoni ma anche spigoli di giocattoli rigidi possono danneggiare gravemente l’occhio. Negli ultimi anni abbiamo visto anche alcuni casi di gravi danni causati da proiettili sparati da fucili ad aria compressa. Nel cercare di creare un ambiente sicuro per i bambini e i ragazzi, una particolare attenzione deve essere riservata a questi oggetti, perché un momento di gioco non diventi la causa di danni permanenti alla vista”.

elena.zuppini@sacrocuore.it

Per approfondire il tema puoi seguire sul canale Yuotube dell’ospedale l’intervista della dottoressa Grazia Pertile ospite a Uno Mattina (vedi video)


Helicobacter Pylori: perché causa il tumore dello stomaco

Il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia, spiga l’importanza della diagnosi e del trattamento dell’Helicobacter Pylori nella prevenzione del tumore dello stomaco

L’infezione da Helicobacter Pylori (Hp) è il principale fattore di rischio per l’ulcera peptica ma anche per il tumore allo stomaco. I tumori allo stomaco diagnosticati nel 2017 sono stati circa 13.000, la maggior parte dei quali in stadio avanzato. Proprio per questo motivo la prevenzione basata anche sull’eradicazione dell’HP rappresenta una modalità di lotta di questo tumore.

Il un video il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia e Endoscopia digestiva, spiega che cos’è questo particolare batterio, come si rileva la sua presenza nello stomaco e le terapie a disposizione per eradicarlo.

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Biopsia prostatica in sede di Risonanza magnetica

Una nuova tecnologia acquisita al “Sacro Cuore Don Calabria” che consente di fare la biopsia con notevole precisione e con numero di prelievi minore rispetto alla procedure precedenti. I dottori Cavalleri e Carbognin la spiegano in un video

Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente nel sesso maschile: nel 2018 sono attesi in Italia circa 35mila nuovi casi. Si stima che sia presente senza sintomi specifici 15-30% dei soggetti oltre i 50 anni e in circa il 70% degli ottantenni. La sopravvivenza a 5 anni è il 91%.

L’esame istologico è un passaggio fondamentale nel percorso che porta alla diagnosi di una neoplasia della prostataStoricamente il sistema più usato per tale biopsia è quello a guida ecografica, che prevede un numero piuttosto elevato di prelievi “random” (6-12)per avere maggiori probabilità di individuare cellule tumorali nelle lesioni sospette. Con l’obiettivo di velocizzare i tempi e aumentare l’accuratezza dei prelievi, negli ultimi anni si sono sviluppati diversi sistemi di biopsia prostatica RM guidata, cioè effettuata sulla base delle indicazioni fornite da una precedente risonanza magnetica.

 

Una delle più recenti evoluzioni di questo sistema è rappresentata dalla biopsia prostatica “in bore”, cioè effettuata direttamente nel magnete dove il paziente viene sottoposto alla risonanza. Tale sistema permette di fare la biopsia con notevole precisione, in tempi ristretti e con un numero di prelievi assai minore rispetto alle altre procedure.

Da alcuni mesi questa tecnologia viene adottata anche al “Sacro Cuore Don Calabria”, che è uno dei primi ospedali italiani a poterne disporre. Nel video il dottor Stefano Cavalleri, direttore dell’Urologia, e il dottor Giovanni Carbognin, direttore della Radiologia, mostrano come funziona questo tipo di biopsia.

Video a cura di matteo.cavejari@sacrocuore.it ed elena.zuppini@sacrocuore.it


L'ospedale "Sacro Cuore-Don Calabria" è Amico dei bambini

Con la cerimonia di oggi in Sala Perez l’Unicef ha nominato ufficialmente l’IRCCS di Negrar “Amico dei bambini”, a conclusione di un impegnativo percorso che ha coinvolto oltre 300 tra medici, infermieri e operatori dell’intera struttura

Si è svolta oggi presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore-Don Calabria di Negrar (VR) la cerimonia di nomina, da parte dell’UNICEF, dell’Ospedale ad “Amico dei bambini” per la promozione, la protezione e il sostegno dell’allattamento materno (vedi foto).

 

Sono intervenuti: Norberto Cursi, presidente del Comitato UNICEF di Verona; Elise Chapin, coordinamento Programma UNICEF Italia Insieme per l’Allattamento; Chiara Bosio, coordinatore operativo del Programma veneto “Ospedali e Comunità Amici del bambino OMS/UNICEF- Coordinamento e sviluppo rete per l’allattamento materno”; Elisa Pastorelli, consulente tecnico-scientifico dello stesso Programma; Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria; dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ostetricia e Ginecologia; dottor Antonio Deganello, direttore della Pediatria; dottoressa Ermanna Fattori, pediatra.

 

Un Ospedale Amico compie una trasformazione dell’assistenza a mamme e bambini nel proprio punto nascita, applicando i “Dieci passi per la promozione, la protezione ed il sostegno dell’allattamento” e superando una serie di visite di valutazione. Il percorso per diventare Ospedale Amico ha coinvolto non solo i reparti di Ostetricia e Neonatologia dell’Ospedale di Negrar, ma tutto il personale che viene a contatto con donne in gravidanza, bambini e le loro famiglie. Più di 300 operatori dell’Ospedale hanno partecipato ad uno dei corsi di formazione, da chi ha fatto un orientamento a chi ha affinato le tecniche pratiche per aiutare le mamme. In questo periodo, l’Ospedale ha sviluppato ed attuato protocolli specifici sull’alimentazione dei bambini e si è impegnato a rispettare il Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, proteggendo così sia famiglie sia operatori da pressioni commerciali.

 

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha iniziato il percorso di riconoscimento nel 2012 con l’adesione al Programma della Regione Veneto “Ospedali e Comunità Amici del Bambino OMS-UNICEF-Coordinamento e sviluppo rete per l’allattamento materno” che ha l’obiettivo di accompagnare nell’iter di riconoscimento UNICEF le strutture venete aderenti.

 

“E’ stato un percorso lungo ed impegnativo, che ci ha permesso di perfezionare ed implementare, grazie alla procedura codificata dell’UNICEF, le buone pratiche per la promozione dell’allattamento materno che già venivano attuate nel nostro ospedale”, sottolineano i dottori Antonio Deganello, direttore della Pediatria e Neonatologia, e Marcello Ceccaroni, direttore dell’Ostetricia e Ginecologia. “Il valore aggiunto dell’adesione a questo progetto lo abbiamo constatato già nel corso dei sei anni che ci hanno portato alla nomina di ‘Ospedale Amico dei Bambini’: le mamme intervistate, come prevede la procedura UNICEF, hanno dichiarato ‘che si sono sentite coccolate’ da tutto il personale, apprezzando così l’assistenza ricevuta durante la gravidanza, la degenza per il parto e nei primi mesi di vita del bambino. Inoltre, grazie ai protocolli per il sostegno all’allattamento e alla formazione degli operatori, il tasso di allattamento esclusivo al seno al momento della dimissione è passato nella nostra struttura dal 65% nel 2012 all’oltre 80%”.

 

L’iniziativa internazionale “Baby Friendly Hospital – Ospedale Amico dei Bambini” è stata lanciata nel 1991 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF) per assicurare che tutti gli ospedali accolgano nel miglior modo possibile i bambini neonati e divengano centri di sostegno per l’allattamento. In Italia sono attualmente riconosciuti 27 ospedali che con le 7 Comunità Amiche dei Bambini e i 3 Corsi di Laurea Amico dell’Allattamento, formano il programma UNICEF: Insieme per l’Allattamento. In Veneto sono 7 gli ospedali che hanno ottenuto il riconoscimento San Bonifacio, Bassano, Bussolengo/Villafranca, Feltre, Mestre, Santorso e Negrar.

Foto 1: il presidente dell’ospedale fratel Gedovar Nazzari con Norberto Cursi, presidente del comitato Unicef di Verona

Foto 3: Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale

Foto 6: dottor Antonio Deganello, direttore della Pediatria

Foto 7: dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’Ostetricia e Ginecologia

Foto 8: dottoressa Ermanna Fattori, pediatra

Foto 9: Chiara Bosio, coordinatore operativo del Programma Veneto “Ospedali e Comunità amici del bambino OMS/Unicef

Foto 10: Elise Chapin, coordinamento programma Unicef Italia “Insieme per l’allattamento”

Foto 11: Elisa Pastorelli, consulente tecnico-scientifico del programma regionale


I diversi approcci psicoterapeutici in oncologia

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Venerdì 30 novembre e sabato 1° dicembre il “Sacro Cuore Don Calabria” ospita l’incontro della Sipo del Veneto-Trentino Alto Adige: una due giorni di confronto tra psico-oncologi sui differenti approcci psicoterapeutici in ambito oncologico.

Sull’utilità dell’intervento psicologico in ambito oncologico vi è ormai un ampio consenso da parte della comunità scientifica. Ancora oggi la malattia tumorale, forse più delle altre, comporta diverse problematiche psicologiche. Come, per esempio, i disturbi dell’adattamento alla malattia ma anche alle cure; le sindromi psicopatologiche quali i disturbi dell’umore e dell’ansia e altri disturbi minori. Tuttavia è ancora questione di dibattito, su quale sia la metodologia psicologica più idonea ed efficace, tra l’utilizzo del counselling o quello delle tecniche psicoterapeutiche specifiche.

Proprio la condivisione delle metodologie che appartengono ai diversi approcci psicoterapeutici in ambito psico-oncologico sarà il tema centrale del convegno che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre presso l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro è organizzato dalla Società Italiana di Psicooncologia (SIPO) -Sezione Veneto-Trentino Alto Adige in collaborazione con l’Ordine dei Psicologi del Veneto, della Provincia di Trento e della Provincia di Bolzano e con l’Ospedale di Negrar. (programma in allegato).

“Il convegno si svilupperà a partire da un caso clinico condiviso, che verrà analizzato da psico-oncologici appartenenti a diversi orientamenti teorici e psicoterapeutici”, spiega il dottor Giuseppe Deledda, responsabile del Servizio di Psicologia clinica del “Sacro Cuore Don Calabria” e coordinatore regionale SIPO Veneto-Trentino Alto Adige. “Sarà interessante sperimentare come i diversi orientamenti affrontano la stessa problematica psicologica – prosegue – e come vengono valutati gli esisti delle diverse psicoterapie”.

Al convegno interverranno psicoterapeutici specializzati in psicoterapia umanistico-esistenziale, psicoterapia psicodinamica, psicoterapia sistemica-relazionale, psicoterapia cognitivo-comportamentale di seconda generazione e di terza generazione, psicoterapia interazionista-costruttivista e psicoterapia della gestalt. Al professor Paolo Gritti, presidente nazionale della SIPO, è invece affidata la lettura magistrale “Psicoterapie in oncologia: pathos e logos”.


Vene varicose: la scleroterapia, ecco come funziona

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Si tratta di un metodo assolutamente indolore che occlude la vena servendosi di un farmaco in schiuma. Al “Sacro Cuore Don Calabria” un corso rivolto agli specialisti sullo stato dell’arte di questa terapia ‘antica’, ma in continua evoluzione

La scleroterapia è, insieme alla chirurgia ed alle tecniche ablative (laser e radiofrequenza a microonde), una delle tre opzioni terapeutiche di cui dispone oggi il flebologo per il trattamento della malattia varicosa degli arti inferiori. Pur avendo origini antiche, la scleroterapia trova oggi rinnovato interesse grazie all’utilizzo dei farmaci sclerosanti sotto forma di schiuma e all’uso routinario dell’ecografia.

 

Il principio è sempre lo stesso: occludere le vene della circolazione superficiale (tronchi safenici – grande e piccola safena – e rami collaterali) che non sono più in grado di svolgere la funzione di ritorno del sangue verso il cuore. Questo accade quando, a causa di una debolezza congenita, le valvole, di cui sono dotati i vasi, diventano incontinenti dilatando di conseguenza la vena, che assume una forma tortuosa e fa ricadere il sangue verso il basso.

 

Questo “ristagno” di sangue determina i sintomi della malattia varicosa: gambe gonfie, pelle pigmentata di rosso, comparsa di dermatiti ed eczemi e, negli stadi più avanzati, formazione di ulcere. Possono manifestarsi anche flebiti, perché dove il sangue ristagna, facilmente coagula.

 

“Lo stato dell’arte della scleroterapia” sarà oggetto del corso riservato agli specialisti che si terrà venerdì 30 novembre e sabato 1 dicembre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Promosso dal dottor Paolo Tamelliniresponsabile della Unità Operativa Semplice di Flebologia della Chirurgia Vascolare, e inserito nel programma didattico della Scuola Italiana di Flebologia, l’appuntamento scientifico prevede nel pomeriggio del primo giorno gli interventi degli specialisti sulla diagnosi e sul trattamento con farmaci sclerosanti delle varici degli arti inferiori; nella mattinata del giorno successivo saranno trattati dei casi clinici in diretta video dalla sala operatoria (programma in allegato).

 

Tra gli interventi degli specialisti anche quello del dottor Lorenzo Tessari, medico veronese a cui si deve il cosiddetto “metodoTessari” per la creazione della schiuma sclerosante. Questa viene ottenuta mescolando il farmaco con l’aria atmosferica o con gas biocompatibili, tramite due siringhe collegate tra loro da un rubinetto a tre vie.

 

La schiuma è decisamente più efficace del farmaco liquido – spiega il dottor Tamellini -. Mentre questo si diluisce nel sangue e scorre via con lo stesso, la schiuma ristagna e sposta, per così dire, il sangue, restando più a lungo a contatto della parete della vena. Di conseguenza con farmaci a concentrazione più bassa e in volumi molto minori, si riesce a trattare tratti molto lunghi del vaso. La schiuma inoltre è visibile all’ecografia, pertanto si riesce a monitorare in tempo reale il percorso del farmaco stesso”. Il trattamento è assolutamente indolore, viene effettuato in ambulatorio e non richiede anestesia. Il paziente può tornare da subito alle sue normali attività.

I relatori affronteranno anche alcune tecniche cosiddette “miste”, quali la MOCA (Ablazione Endovenosa Meccano-Chimica) e la SFALT (Sclero Foam Assisted Laser Treatment). La prima comporta la chiusura della vena attraverso l’introduzione di un catetere rotante che, danneggiando lo strato più interno del vaso, permette al farmaco sclerosante iniettato di essere più efficace. La seconda sfrutta l’azione sinergica del laser e della schiuma sclerosante per giungere allo stesso risultato.

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