Quando il diabete toglie la vista: la retinopatia

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In occasione della Giornata mondiale del diabete parliamo con la dottoressa Emilia Maggio di una delle complicanze delle malattia, prima causa di cecità legale nei Paesi industrializzati. Venerdì un convegno al “Sacro Cuore”

Più di 425 milioni di persone al mondo sono colpite da diabete, di cui il 14 novembre si celebra la Giornata mondiale. Secondo l’International Diabetes Federation (IDF) nel 2030 i diabetici saranno 522 milioni, in considerazione dell’aumento dei fattori di rischio predisponenti al diabete quali l’invecchiamento della popolazione, la sedentarietà e le scorrette abitudini alimentari. Una propria e vera pandemia che porta con sé tutte le conseguenze della malattia.

 

Tra queste la retinopatia, una complicanza oculare del diabete mellito che interessa la retina. Può essere una patologia invalidante, tanto da rappresentare, nei Paesi industrializzati, la prima causa di cecità legale per i pazienti in età lavorativa.

 

Sulla “Retinopatia diabetica e patologie vascolari retiniche: l’approccio nella pratica clinica”, venerdì 16 novembre l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ospiterà un convegno organizzato dall’Oculistica diretta della dottoressa Grazia Pertile. Lo scopo dell’incontro è di analizzare le diverse possibili manifestazioni cliniche dell’edema maculare associato a retinopatia diabetica e occlusioni venose retiniche, valutandone l’impatto funzionale e,soprattutto, il miglior indirizzo terapeutico (vedi programma).

Con l’oculista Emilia Maggio (nella foto Galleryfacciamo il punto sulla retinopatia, che colpisce il 30% dei pazienti diabetici.

Dottoressa, perché il diabete può determinare dei danni alla retina?

Come è noto, il diabete è una malattia caratterizzata da un aumento dei livelli ematici di glucosio (iperglicemia), causato da un’insufficienza assoluta o relativa dell’ormone insulina. L’iperglicemia causa un’alterazione dei vasi sanguigni di tutto il corpo, in particolare dei vasi di piccolo calibro (microangiopatia), come quelli localizzati nella retina, sebbene anche i vasi di calibro maggiore possano essere colpiti.

 

Tutti coloro che soffrono di diabete possono sviluppare una retinopatia diabetica o ci sono soggetti più a rischio?

Il rischio di sviluppare una retinopatia diabetica aumenta sensibilmente con la durata del diabete, il cattivo controllo glicemico e l’eventuale coesistenza di ipertensione arteriosa e dislipidemia. Tra i fattori di rischio modificabili, il controllo glicemico è sicuramente il più importante. E’ stato dimostrato che il corretto controllo glicemico e l’ottimizzazione di pressione arteriosa ed assetto lipidico possono ritardare la comparsa e rallentare il peggioramento della retinopatia.

 

Quali sono i sintomi?

La retinopatia diabetica può essere una patologia molto insidiosa, in quanto, anche negli stadi avanzati, può risultare asintomatica, pur in presenza di una microangiopatia severa e di alterazioni retiniche importanti. La riduzione della vista spesso compare tardivamente, quando le possibilità di trattamento risultano limitate. Pertanto, anche in assenza di sintomi, è importante che il paziente diabetico si sottoponga a visite oculistiche periodiche, ad intervalli prestabiliti in base allo stadio di severità della patologia.

 

Si parla di retinopatia non proliferante e proliferante: cosa significa?

Esistono diversi stadi di severità. In particolare, si possono distinguere una retinopatia diabetica non proliferante e proliferante. La retinopatia non proliferante è una forma più precoce e meno grave della patologia. In questo stadio l’iperglicemia danneggia i capillari retinici portando alla formazione di zone di “sfiancamento” della parete vasale (microaneurismi), emorragie ed anomalie della morfologia, decorso e calibro vascolare. Tali alterazioni possono causare la trasudazione di alcune componenti ematiche con conseguente formazione di edema retinico o essudati intraretinici. Inoltre, la microangiopatia può condurre ad una ridotta perfusione del tessuto retinico, fino alla ischemia retinica. Se la patologia non viene riconosciuta e controllata in questa fase, evolve progressivamente verso la forma proliferante, ovvero lo stadio più avanzato ed invalidante della malattia. In questa fase la presenza di aree retiniche ischemiche è lo stimolo per la formazione di neovasi retinici. I vasi sanguigni neoformati, in quanto anomali per sede e struttura, possono condurre a complicanze più gravi, come emorragie intraoculari, glaucoma neovascolare e distacco di retina.La prevenzione è importante, in quanto si stima che fino al 45% dei pazienti affetti da retinopatia diabetica non proliferante severa presenti il rischio di sviluppare una retinopatia proliferante entro un anno.

 

Come viene diagnosticata?

La diagnosi di retinopatia diabetica viene eseguita mediante la visita oculistica con esame del fondo oculare. Esistono, inoltre, numerosi esami diagnostici utili per perfezionare la diagnosi ed approfondire le caratteristiche della malattia. Tra questi si annoverano l’esame OCT (tomografia a coerenza ottica), utile soprattutto in caso di retinopatia associata ad edema maculare diabetico, e la fluorangiografia, esame che consente di definire l’esatta estensione delle aree di ischemia retinica e di identificare la presenza dei neovasi.

 

Quali sono i trattamenti?

I principali trattamenti dei quali disponiamo per affrontare la retinopatia diabetica sono la terapia laser retinica, le iniezioni intravitreali e, nei casi di retinopatia diabetica proliferante avanzata, la chirurgia.

 

E’ possibile prevenirla?

La diagnosi precoce e l’inquadramento della retinopatia diabetica sono essenziali per ostacolare l’instaurarsi di danni oculari irreversibili. Per prevenire o contrastare l’evoluzione della patologia è raccomandato eseguire visite oculistiche ad intervalli regolari, mantenere un corretto controllo della glicemia, della pressione arteriosa sistemica e dell’assetto lipidico.


Il trattamento personalizzato: la nuova sfida al tumore al retto

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Nel congresso di venerdì 16 novembre specialisti nazionali e internazionali a confronto sui trattamenti non solo chirurgici di una delle neoplasie più diffuse in Occidente: il tumore del retto

Il trattamento personalizzato del tumore del retto con l’obiettivo di preservare la qualità di vita del paziente e aumentarne la sopravvivenza è al centro del congresso che si terrà venerdì 16 novembre nella sala conferenze della Fondazione Cariverona (via Garibaldi, 2). Organizzato dal dottor Giacomo Ruffo (nella foto allegata), direttore della Chirurgia generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, il meeting scientifico, giunto alla terza edizione, vedrà la presenza dei maggiori specialisti italiani (endoscopisti, chirurghi, oncologi e radioterapisti) e personalità di rilievo internazionale che si occupano di una delle neoplasie più diffuse nei Paesi Occidentali (programma allegato). Tra i relatori il professor Eric Rullier, esponente della maggiore scuola europea di laparoscopia, e i professori Roel Homps (Oxford University Hospital) e Danilo Miskovic (St’s Marks Academic Istitute di Londra) che hanno implementato TaTme (Transanal Totale Mesorectal Excision), una tecnica chirurgica innovativa e nel contempo mini-invasiva, eseguita in pochi centri specializzati, tra cui quello di Negrar.

 

Su un totale complessivo di 373mila nuove diagnosi di tumore attese per il 2018 in Italia (dati AIOM-AIRTUM), sono oltre 15mila quelle che riguardano il tumore del retto, 1.200 nel Veneto e, secondo stime, circa 200 nella provincia di Verona. La sopravvivenza media a cinque anni è del 62%.

 

La chirurgia è la principale opzione terapeutica con intento curativo, ma è ancora temuta da parte dei pazienti, perché fino a pochi anni fa comportava un alto rischio di stomia permanente e disfunzioni a livello sessuale e urinario.”Oggi non è più così – rassicura il dottor Ruffo -. Questo perché siamo in grado di personalizzare il trattamento per ogni paziente in base all’età, al sesso, oltre alla grandezza, alla posizione e all’assetto genetico della forma tumorale. Una neoplasia di piccole dimensioni, per esempio, può essere asportata anche per via endoscopica. Quando invece è indicata la chirurgia, le procedure mini-invasive ad alta tecnologia (laparoscopica o robotica) consentono un gesto chirurgico preciso tale da estirpare il tumore, ridurre il rischio di recidiva, ma nello stesso tempo di preservare la qualità di vita del paziente. Attualmente – precisa il chirurgo – la percentuale di stomie permanenti e provvisorie nel Centro di Negrar è, rispettivamente, del 2% e del 20%, in linea con gli altri centri qualificati”

 

La chirurgia non è la sola arma terapeutica a disposizione per combattere il tumore del retto. Ad essa si aggiungono la chemioterapia – prima e dopo l’intervento chirurgico, ma anche intraoperatoria -, la radioterapia e i nuovi farmaci a bersaglio molecolare.

 

Temi che saranno trattati durante il congresso, la cui apertura è dedicata a un innovativo approccio multidisciplinare all’intervento chirurgico. Si tratta del protocollo ERAS (Enhanced Recovery After Surgery), da poco adottato anche dalla Chirurgia generale dell’IRCCS di Negrar.

 

Questo protocollo vede come protagonista attivo il paziente sia nella fase preparatoria sia in quella post-operatoria con l’obiettivo di un miglior recupero dopo la chirurgia, evitando così le complicazioni legate all’immobilità e alla degenza in ospedale. Il paziente che aderisce al protocollo è invitato a migliorare prima dell’intervento le proprie condizioni fisiche con una dieta bilanciata e supportata da integratori e con una giornaliera attività fisica. Cade la regola aurea del digiuno fin dalla mezzanotte prima dell’intervento e il paziente inizia a muoversi e ad alimentarsi già nelle ore immediatamente successive all’operazione. Studi clinici rilevano che per le patologie del tratto intestinale l’utilizzo intensivo della chirurgia mini-invasiva abbinato al protocollo ERAS accorcia la degenza da 10 a 5 giorni, con notevoli benefici per il benessere del paziente e una riduzione dei costi per il Servizio sanitario nazionale.


Bando Servizio Civile alla Cittadella della Carità: la graduatoria

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Pubblichiamo la graduatoria del bando per il Servizio Civile alla “Cittadella della Carità”: nove i giovani che parteciperanno al progetto: “Accordi e Ricordi: sullo spartito delle emozioni”

In allegato la graduatoria del Bando per il Servizio Civile a Casa Clero, Casa Nogarè e Casa Perez: 9 i giovani che parteciperanno al progetto “Accordi e Ricordi: sullo spartito delle emozioni”


Influenza: ci sono tanti motivi per vaccinarsi

Vaccinarsi è un atto di responsabilità verso noi stessi e verso la comunità: il vaccino è l’arma migliore per prevenire e combattere l’influenza e una misura formidabile per bloccarne la diffusione

L’influenza è già tra noi. Secondo il primo bollettino di InfluNet (Rete Italiana Sorveglianza Influenza) del Ministero della salute i casi stimati sono già 125mila. E’ tempo quindi di pensare al vaccino. In questi giorni tutte le Ulss del Paese inizieranno la campagna vaccinale contro l’influenza. I vaccini poi sono già disponibili da alcune settimane nelle farmacie, per chi volesse vaccinarsi, ma non ha i requisiti per farlo gratuitamente.

 

Perché vaccinarsi? In fondo si tratta solo di influenza

E’ un’affermazione che sentiamo ripetere frequentemente in questa stagione. La risposta è nella realtà dei fatti. L’influenza è una patologia che può dare incontro a complicanze gravi e ha una mortalità che raggiunge qualche punto percentuale: si stima che ogni anno decine di migliaia di morti nel mondo siano attribuibili a questa patologia. Complicanze e decessi colpiscono soprattutto alcune categorie di soggetti: bambini, anziani, donne in gravidanza, persone con morbidità e malattie croniche, come asma, patolgie cardiologiche, diabete ed obesità. Il vaccino è quindi un atto di resposabilità verso noi stessi – si riduce notevolmente la probabilità di contrarre la malattia e, in caso di sviluppo di sintomi influenzali, questi sono molto meno gravi – e verso coloro che sono più deboli. Senza contare che grazie al controllo dell’infezione tramite il vaccino, si ridurrebbero i costi economici in termini di ore di lavoro perse e di spesa sanitaria.

 

Ma che cos’è l’influenza?

L’influenza è una malattia respiratoria acuta, stagionale, causata sostanzialmente da due tipi di virus: il virus A e il virus B. Il C è di scarsa rilevanza clinica e il D non ancora chiaramente legato a patologia umana. I virus dell’influenza A sono ulteriormente suddivisi in sottotipi sulla base di differenze molecolari nelle due glicoproteine di superficie: emoagglutinina (H) e neuraminidasi (N). Da qui deriva il nome, per fare un esempio a molti noto, dell’influenza H1N1, che nel 2009 aveva messo in allarme il mondo intero. In effetti i virus influenzali sono in grado con intervalli di tempo non ben prevedibili di provocare pandemie, ovvero epidemie a carattere planetario. Avvenne con la cosiddetta Spagnola nel 1918 (si trattò di H1N1) che provocò 20 milioni di morti; con l’Asiatica del 1957 (H2N2), con la pandemia del 1968 (Hong Kong, H3N2) e poi con quella del 2009 (suina).

 

Perché si verificano pandemie?

La causa è nei riarrangiamenti degli antigeni di superficie del virus A (dovuti alla circolazione degli stessi anche negli animali), se i virus mantengono una capacità di trasmissione da uomo ad uomo. Quando avvengono riarrangiamenti che danno origine a virus che non si trasmettono o sono a bassa strasmettibilità, la pandemia non si verifica. E questo fortunatamente accade quasi ogni anno.Ora, al di là del carattere pandemico di un’epidemia influenzale, che costituisce un grande problema di sanità pubblica, ognuno di noi dovrebbe preoccuparsi dei rischi che comporta la classica influenza stagionale. Proprio per la variabilità antigenica del virus influenzale, siamo tutti generalmente suscettibili a sviluppare l’influenza sebbene siamo stati colpiti l’anno prima in quanto gli anticorpi prodotti non sono sempre capaci di neutralizzare il nuovo virus.

Come si trasmette l’influenza?
I virus influenzali si trasmettono prevalentemente per via aerea e si diffondono molto facilmente attraverso le goccioline di saliva che il malato produce tossendo, starnutendo o semplicemente parlando, soprattutto negli ambienti affollati e chiusi. La trasmissione avviene anche per contatto diretto con persone infette o attraverso oggetti, dato che il virus dell’influenza può persistere molto a lungo e penetrare nell’organismo tramite le mucose.

 

I sintomi

L’influenza compare in modo brusco, dopo un’incubazione in genere abbastanza breve (circa 1-2 giorni) e dura almeno 3-4 giorni se non 10-14. I sintomi all’inizio sono solo respiratori, con febbre elevata accompagnata da dolori ossei e muscolari. Può esservi tosse, mal di testa, stanchezza e prostrazione; nausea e vomito di solito non sono presenti nella classica influenza.

 

Come prevenirla

Vaccinarsi è la misura migliore per prevenire e combattere l’influenza e una misura formidabile per bloccarne la diffusione. Per questo chi lavora in ambito sanitario – medici, infermieri, operatori – ha il dovere morale di vaccinarsi preservando in tal modo il proprio ruolo di servizio per la comunità e contemporaneamente impedendo alla malattia di diffondersi ulteriormente. Accanto al vaccino rimane sempre la vecchia e buona abitudine di lavarsi le mani frequentemente con acqua e sapone (o in assenza con gel idro-alcoolico) e la copertura della bocca con un fazzoletto quando si starnutisce o tossisce.

 

I farmaci da assumere in caso di infezione

Il farmaco migliore è il riposo in luogo caldo. Andare a scuola o al lavoro con l’influenza non è un atto eroico, ma una decisione che mette a rischio se stessi, aumentando le possibilità di complicanze, e gli altri, diffondendo il contagio. Per alleviare i sintomi sono indicati gli antipiretici e gli antinfiammatori e solo in caso di complicanze a livello respiratorio e su prescrizione medica è consigliabile assumere antibiotici. L’influenza è causata da virus e non da batteri, pertanto gli antibiotici sono inutili se non dannosi.

 

Per chi è indicata la vaccinazione

La vaccinazione è fortemente raccomandata e fornita gratuitamente dal medico di medicina generale e dal centro vaccinale della Asl:

•alle persone di età pari o superiore a 65 anni e a coloro che sono in stretto contatto con anziani;

• a tutte le persone che hanno patologie croniche,

• alle donne al secondo e terzo trimestre di gravidanza;

• al personale sanitario.

 

Quando vaccinarsi

Il periodo più indicato per vaccinarsi va da metà ottobre a fine dicembre. L’immunità indotta dal vaccino inizia circa due settimane dopo la somministrazione e declina nell’arco di 6-8 mesi e, quindi, potrebbe esserci il rischio di essere solo parzialmente protetti nel periodo più rischioso (ottobre-febbraio). Per questi motivi, e anche perché i virus influenzali possono variare da stagione a stagione, è necessario vaccinarsi ad ogni inizio di stagione influenzale.

 

Le fake news sulla vaccinazione

•vaccinarsi non espone a una influenza “da vaccino” (i virus sono frammentati…) né tantomeno si rischia di essere colpiti da un’influenza più grave;

• vaccinarsi non protegge in modo assoluto, ma aiuta a controllare la malattia sia per il singolo individuo che per la comunità. Quindi chi pensa “ho fatto la vaccinazione e ho preso comunque l’influenza”, probabilmente non è stato colpito dalla vera influenza A, ma da un’influenza di tipo C o da una parainfluenza;

• la vaccinazione non è controindicata in soggetti allergici alle proteine dell’uovo a meno che questi non abbiano avuto uno shock anafilattico

• l’allattamento non è una controindicazione né tantomeno la gravidanza (anzi è vi è qui raccomandazione) purché nel II e III trimestre

• alla vaccinazione possono essere sottoposte anche le persone immunodepresse che ne hanno beneficio.

 

 

Ha collaborato il dottor Andrea Angheben infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali.


La prevenzione coniugata al maschile: visite urologiche gratuite

Anche l’Urologia dell’IRCCS di Negrar aderisce alla campagna di prevenzione urologica promossa dalla Società Italiana di Urologia per sensibilizzare la popolazione maschile sull’importanza dei controlli periodici all’apparato uro-genitale

La prevenzione a quanto pare non è una cosa da maschi. Infatti solo il 10-20% degli uomini si sottopone a una visita periodica di controllo e 9 uomini su dieci si rivolgono al loro medico curante o allo specialista solo in caso di gravi patologie. Sono i dati che si possono leggere sul sito www.controllati.it, che promouove l’omonima campagna di prevenzione urologica promossa dalla Società Italiana di Urologia (SIU). Alla campagna aderisce anche l’Urologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Stefano Cavalleri. Per tutto il mese di novembre sarà possibile sottoporsi, fino ad esaurimento di disponibilità, a una visita urologica gratuita: basta telefonare al numero verde 800942042 e prenotare un controllo presso il centro più vicino.

 

Al “Sacro Cuore Don Calabria” l’équipe di Urologia attende chiunque sia interessato presso gli ambulatori dell’ospedale.

“Gli uomini dovrebbero imparare dalle donne in fatto di prevenzione – afferma il dottor Cavalleri – invece quando si tratta della salute del loro apparato uro-genitale sembrano soffrire di una sorta di tabù e solo quando i sintomi diventano preoccupanti si rivolgono a un medico. Al contrario è molto importante sottoporsi a visite preventive in ogni età della vita e mai sottovalutare segnali anomali, come per esempio il sangue nelle urine o la necessità di urinare frequentemente. Possono essere disturbi banali che si risolvono rapidamente e in modo efficace. Ma anche sintomi di una malattia oncologica. In questi casi più la diagnosi è precoce, più aumenta la percentuale di guarigione”.

 

Le patologie benigne che colpisco più frequentemente l’apparato uro-genitale dell’uomo sono la calcolosi urinaria, l’iperplasia della prostata, le prostatiti, l’infertilità e le disfunzioni erettili. Nell’ambito oncologico il tumore più diffuso è quello della prostata, seguito dalla neoplasia del testicolo, della vescica e del rene.

Ma quali sono le regole “d’oro” da seguire per una corretta prevenzione in ambito urologico? Secondo la Società Italiana di Urologia:

1) bevi con regolarità un’adeguata quantità di acqua

2) segui una corretta alimentazione

3) controlla la normale conformazione e lo sviluppo dell’apparato genitale del tuo bambino

4) effettua una visita urologica nelle varie età della vita: pubertà, età adulta e terza età

5) presta attenzione a quante volte urini e se senti bruciore

6) ricorda che nella vita di coppia l’infertilità dipende nel 50% dei casi dal maschio

7) presta attenzione ad eventuali perdite involontarie di urina

8) consulta sempre l’urologo se vedi sangue nelle urine

9) effettua superati i 50 anni almeno una volta all’anno un prelievo di sangue per controllare il Psa e il testosterone

10) mantieni una sana vita sessuale a tutte le età

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Le nuove possibilità di cura del tumore polmonare avanzato

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All’IRCCS di Negrar esperti da tutta Italia si confronteranno il 30 ottobre sulle novità terapeutiche relative al tumore polmonare avanzato come i farmaci a bersaglio molecolare e quelli immunoterapici

Il carcinoma del polmone con 41.500 nuovi casii rappresenta in Italia la terza neoplasia più frequentemente diagnosticata sia nel sesso maschile che in quello femminile. I dati riguardanti le aree coperte dai Registri Tumori indicano il carcinoma polmonare come prima causa di morte oncologica nella popolazione (19%). Infatti la sopravvivenza a 5 anni in Italia è pari al 16%. In considerazione della frequente diagnosi in stadio avanzato e della limitata efficacia dei trattamenti (solo nel 30% dei casi è possibile l’intervento chirurgico a scopo curativo), il cancro al polmone rimane quindi ancora oggi una neoplasia a prognosi sfavorevole.

Tuttavia nell’ultimo decennio sono stati registrati progressi molto importanti per quanto riguarda il carcinoma polmonare non a piccole cellule o non microcitoma (NSCLC- Non Small Cell Lung Cancer) che rappresenta l’85% delle forme tumorali al polmone.

Proprio alle novità diagnostiche e terapeutiche del NSCLC è dedicato il II Congresso nazionale sul tema, in programma all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, martedì 30 ottobre, organizzato dalla dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento Oncologico di Negrar e presidente nazionale dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Tra i relatori il professor Mauro Truini, presidente SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citologia Diagnostica), il professor Antonello Marchetti, direttore del Centro di Medicina Molecolare Predittiva dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara e il professor Romano Danesi, consigliere nazionale della SIF (Società Italiana di Farmacologia).

Interverranno anche gli specialisti del Gruppo Oncologico del tumore al polmone di Negrar, composto da anatomopatologi, chirurghi toracici, radiologi, geriatri, medici nucleari, oncologi, pneumologi e medici radioterapisti. La complessità della patologia neoplastica polmonare richiede una presa in carico multidisciplinare del paziente al fine di garantirgli una terapia il più possibile personalizzata anche alla luce dell’introduzione dei farmaci a bersaglio molecolare e più recentemente dell’immunoterapia, armi terapeutiche che si sono aggiunte alla chirurgia, alla chemioterapia e alla radioterapia oncologica. (programma in allegato).

La recente ricerca sul carcinoma polmonare non a piccole cellule ha permesso di aumentare le conoscenze relative alle caratteristiche molecolari di questo tumore.

L’anatomopatologo oggi è in grado non solo di confermare la diagnosi e di stabilire la stadiazione del tumore su cui si basa la prognosi, ma anche di conoscere la caratterizzazione molecolare necessaria per determinare i casi per cui sono efficaci i farmaci a bersaglio molecolare. La cosiddetta “target therapy” infatti ha sensibilmente migliorato la prognosi in presenza di mutazione del gene EGFR oppure di traslocazioni di ALK o di ROS 1, fattori responsabili della crescita e della diffusione incontrollata delle cellule tumorali. Questi farmaci possono essere usati da soli o associati alla chemioterapia, e hanno effetti collaterali minori rispetto a quest’ultima. Tuttavia le mutazioni per cui questi farmaci migliorano sensibilmente la prognosi nel NSCLC avanzato sono presenti in una minima percentuale di carcinomi polmonari.

 

Negli ultimi anni è stato dimostrato che il meccanismo principale mediante il quale i tumori riescono ad eludere il sistema immunitario è l’impiego di “checkpoint” immunologici, che vengono utilizzati dal tumore stesso al fine di vanificare i tentativi delle nostre difese immunitarie di controllare la sua crescita. La scoperta di questi checkpoint, e del loro meccanismo di azione, è stato un vero e proprio punto di svolta per la definizione delle più innovative strategie di immunoterapia contro il cancro. I farmaci immuterapici non stimolano l’immunità antitumorale (come i vaccini), bensì “tolgono il freno” a una risposta già esistente e completamente paralizzata dai meccanismi inibitori del sistema immunitario messi in campo dal tumore.
Nella terapia dei NSCLC sono stati recentemente introdotti degli anticorpi monoclonali diretti contro le proteine del “checkpoint” immunitario PD-L1. La rilevanza clinica della terapia con immunoterapici rispetto ai farmaci a bersaglio molecolare è data dal fatto che può essere utilizzata in una proporzione maggiore di pazienti. Tuttavia l’introduzione di farmaci immunoterapici comporta non solo la necessità di identificare i pazienti nei quali potrebbero essere più efficaci, ma a anche di ampliare la conoscenza sulle tossicità specifiche e sulla loro gestione.

In tale scenario è importante, per un aggiornamento scientifico continuo, un confronto tra esperti che tenga conto anche delle Linee guida internazionali e nazionali (AIOM).
Il congresso di Negrar è stato pensato appunto per offrire ai partecipanti un agile e utile apprendimento delle novità scientifiche emerse relativamente al trattamento del carcinoma del polmone non microcitoma avanzato. Oltre a un confronto nella gestione clinica del paziente.


L'Italia è polio-free dal 1982, grazie alla vaccinazione che deve continuare

Il 24 ottobre è la Giornata mondiale della poliomielite per ricordare un obiettivo preciso: l’eradicazione dalla faccia della terra di una delle malattie infettive più gravi conosciute dall’uomo

L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che oltre 16 milioni di casi di paralisi provocati dalla poliomielite siano stati evitati dall’introduzione del vaccino orale, inventato dal medico polacco naturalizzato statunitense Albert Bruce Sabin e approvato nel 1962. La maggior parte dei medici europei non ha mai visto un caso di infezione, ma curano i pazienti che ne recano le stigmate. L’Italia è polio-free dal 1982.

Ci sono quindi tanti motivi per celebrare il 24 ottobre la World Polio Day, dedicata a un obbiettivo preciso: quello di eradicare definitivamente una delle più gravi malattie infettive conosciute dall’uomo. Purtroppo la poliomielite è ancora presente nel mondo. E’ infatti endemica in Afghanistan, Nigeria e Pakistan. E teoricamente i Paesi dove la copertura vaccinale nella popolazione pediatrica in particolare non fosse adeguata potrebbero essere terreno fertile per la reintroduzione della patologia.

In Italia il vaccino anti-polio è obbligatorio per i nati nel 2001 con tre dosi nel primo anno di vita e richiamo a sei anni. Sempre nel nostro Paese, in adempimento alle raccomandazione dell’OMS riguardo alla sorveglianza mondiale della polio, è attivo un piano di sorveglianza delle paralisi flaccide acute, che mira a cogliere con prontezza i casi di virus neurotropi, come il poliovirus, per porre in atto misure di contenimento/vaccinazione. Anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è parte attiva di questo piano.

L’obiettivo di eradicazione della polio dalla faccia della terra, è possibile, come è accaduto per il vaiolo. Infatti, dei tre ceppi di poliovirus selvaggio (cioè presente in natura) l’uomo costituisce l’unico serbatoio ed i soggetti vaccinati non possono trasmettere la malattia. Inoltre il virus non riesce a sopravvivere a lungo nell’ambiente. Il poliovirus selvaggio tipo 2 è stato eradicato dal 1999 e il ceppo 3 non è stato più descritto dal 2012. Circola ancora il tipo 1 ed alcuni virus vaccinali, eliminati da alcuni soggetti vaccinati.

Cos’è la poliomielite

La poliomielite è una grave malattia infettiva dell’età pediatrica che colpisce soprattutto i bambini sotto i 5 anni. Interessa il sistema nervoso centrale, in particolare i neuroni motori del midollo spinale, fondamentali per la regolazione della contrazione muscolare. All’inizio si manifesta con febbre e sintomatologia intestinale (diarrea…), ma dopo alcuni giorni evolve a forma neurologica provocando danni in genere severi al midollo. In un caso su 200 si manifesta la paralisi caratterizzata da atrofia muscolare di uno dei due arti inferiori con conseguente disabilità cronica. Il 5-10% delle forme con paralisi possono essere mortali, laddove ci sia un coinvolgimento delle strutture respiratorie.

Come viene trasmessa

La poliomielite viene trasmessa da uomo a uomo attraverso la via oro-fecale ovvero per ingestione del virus che contamina cibi/bevande. Più difficilmente per contatto con la saliva o feci di una persona infetta. I soggetti vaccinati con il vaccino iniettabile (Salk) non sviluppano i sintomi della malattia, ma diversamente da quelli immunizzati con il ceppo orale (vaccino Sabin) possono acquisire il virus selvaggio ed eliminarlo nell’ambiente costituendo comunque un serbatoio di trasmissione della malattia.

Il vaccino

Esistono due vaccini per la polio: uno a virus vivi attenuati (Sabin) e l’altro a virus uccisi (Salk), che prendono il nome dai ricercatori che li hanno inventati. Quello di Sabin viene somministrato oralmente e in tutta sicurezza anche da volontari, non necessariamente sanitari. Per il suo costo contenuto (meno di 20 centesimi a dose) e per le sue caratteristiche (oltre a evitare la malattie impedisce che il soggetto vaccinato possa trasmettere il virus selvaggio), è stato scelto dall’OMS come elemento fondamentale per l’eradicazione della malattia.

In Italia viene utilizzato il vaccino inattivato di Salk dal 2002, dopo che l’Europa è stata dichiarata polio-free. Tale vaccino non provoca la poliomielite vaccinale che può verificarsi rarissimamente (in una su 2,2 milioni di dosi) del vaccino orale. Presso il Ministero della Salute viene mantenuta una scorta di vaccino orale attivo come misura precauzionale, in caso di emergenza e di importazione del virus.

 


Ha collaborato il dottor Andrea Angheben, infettivologo dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Sabato incontro con i malati reumatici

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Sabato 27 ottobre al Centro Polifunzionale Don Calabria si terrà l’incontro annuale dei malati reumatici, promosso dal Servizio di Reumatologia dell’IRCCS di Negrar e dall’Associazione Malati Reumatici

Si terrà sabato 27 ottobre al Centro polifunzionale Don Calabria (via San Marco 121, Verona), il consueto incontro con i malati reumatici, organizzato dal Servizio di Reumatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e dall’Associazione Malati Reumatici del Veneto (AMARV-Onlus) (in allegato il programma).

L’appuntamento autunnale anche quest’anno non avrà come tema centrale una determinata patologia, “ma verterà su argomenti di interesse comune a tutti i pazienti e ai loro familiari”, spiega il dottor Marchetta, responsabile del Servizio.Il pomeriggio, con inizio alle 15, sarà aperto con i saluti del presidente dell’IRCCS di Negrar, fratel Gedovar Nazzari, dell’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, e del vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, che da anni convive con una patologia reumatica.

“Sei malati su dieci perdono il lavoro. Solo questo dato dovrebbe far riflettere: in Italia non si fa abbastanza per i pazienti reumatici”, afferma la presidente nazionale e veneta dell’AMAR, Silvia Tonolo, che con il suo intervento darà il via ai lavori. “Si liquidano le patologie reumatiche come le malattie degli anziani, ma a soffrirne nel Veneto è il 19% della popolazione. Molti sono giovani in piena età lavorativa, senza parlare dei bambini. Serve un’alleanza tra associazioni dei malati, medici e istituzioni per sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica su cosa comporta vivere con una malattia reumatica”.

Sono circa 150 le malattie reumatiche. Colpiscono prevalentemente le articolazioni, le ossa e i tendini, ma possono coinvolgere altri tessuti e organi. Sono malattie croniche e altamente invalidanti, “che spesso vengono sottovalutate. Un malato reumatico raggiunge al massimo il 60% di invalidità, un punteggio che non gli permette di accedere a determinati aiuti e agevolazioni anche sul lavoro. Per questo chiediamo da tempo che nelle Commissioni di invalidità sia presente un reumatologo”, sottolinea Tonolo.

 

 

La sessione – moderata dalla dottoressa Teresa Zuppini, direttore della Farmacia ospedaliera del “Sacro Cuore Don Calabria” e dalla reumatologa dell’Ulss 9, Claudia Cimino – proseguirà con la relazione della dottoressa Giovanna Scroccaro, responsabile della Direzione farmaceutica della Regione, su “Farmaci biotecnologi: accesso e sostenibilità nella Regione Veneto”. Al centro del dibattito le molecole create dall’ingegneria genetica, che determinano per alcune patologie (l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica e la spondilite anchilosante) una remissione prolungata nel tempo. Tuttavia l’alto costo di questi farmaci solleva un problema di sostenibilità per il Servizio Sanitario Nazionale e quindi di accessibilità alle cure per un numero limitato di pazienti. La dottoressa Giovanna Scroccaro farà il quadro della situazione in Veneto, anche alla luce dell’avvento dei biosimilari, farmaci sovrapponibili per efficacia e sicurezza agli originali biotecnologici, ma disponibili a un prezzo decisamente inferiore dopo la scadenza del brevetto del farmaco di riferimento.

 

 

Nella sessione successiva – moderata dalla professoressa Lisa Bambara, già ordinario di Reumatologia, e dalla dottoressa Sara Lombardi, reumatologa dell’ospedale di San Bonifacio – il professor Maurizio Rossini, ordinario di Reumatologia all’Università di Verona, parlerà della vitamina D, che ha un ruolo importante nella prevenzione delle patologie reumatiche, mentre la sua carenza ne può determinare lo sviluppo.

 

Altrettanto importante è la dieta, che influisce soprattutto sulle patologie di origine autoimmune, come sottolineerà la dottoressa Federica Scali, dietista dell’ospedale di Negrar. Ci sono infatti alimenti che aumentano l’infiammazione, altri che la riducono come gli antiossidanti, gli Omega 3 e 6, la vitamina E e C. Quindi spazio alla dieta mediterranea che compre molta acqua, carboidrati semplici e porzioni abbondanti di frutta e verdura. Poi il pesce e poca carne. Senza dimenticare l’attività fisica costante (bastano delle brevi passeggiate ogni giorno per mantenere in forma ossa e articolazioni). La fisiatra Elena Rossato, del Servizio di Riabilitazione e Medicina fisica del “Sacro Cuore Don Calabria”,parlerà dei benefici della terapia termale sia per le patologie che interessano anche la pelle (artrite psoriasica) sia per le articolazioni.


Così lontani, così vicini: festa delle Missioni di don Calabria

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Domenica 21 ottobre l’associazione Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus, con cui collabora anche l’ospedale Sacro Cuore, incontra amici e benefattori presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria a San Zeno in Monte

“Così lontani, così vicini. Testimoni di un amore che cambia il mondo”. Prende spunto dal titolo di un celebre film di Wim Wenders (1993) il tema della Festa delle Missioni dell’Opera Don Calabria, in programma domenica 21 ottobre presso la Casa Madre di San Zeno in Monte. Si tratta di un evento organizzato dall’Associazione Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus, per rendere conto delle attività svolte e per ringraziare i tanti amici e benefattori che aiutano le missioni calabriane nel mondo.

 

L’Opera Don Calabria è presente attualmente in 12 Paesi del mondo con attività formative, sociali, pastorali e sanitarie (vedi mappa). L’Associazione Don Calabria Missioni è l’ente costituito dalle due Congregazioni dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza per supportare tali attività missionarie e vede una significativa partecipazione da parte dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per quanto riguarda i progetti sanitari.

 

Durante la festa, che inizia alle 9.00, ci saranno le testimonianze dei missionari e degli operatori impegnati nelle attività di accoglienza dei minori in Italia e in Brasile. Un particolare approfondimento sarà dedicato al tema delle comunità educative e delle case famiglia gestite dall’Opera (ingresso su invito al mattino). Dopo la S. Messa alle ore 12,00 e il pranzo, al pomeriggio è previsto uno spettacolo realizzato da Marco Zanchi, intitolato “Così lontani, così vicini. O del come e perché la Provvidenza ci viene a cercare”, con ingresso libero e aperto a tutti (Vedi locandina della festa e manifesto dello spettacolo).

 

Nel corso del 2017 l’associazione Don Calabria Missioni, grazie all’aiuto di circa 1.800 donatori, ha sostenuto 44 progetti socio-educativi e socio-assistenziali, 35 progetti di miglioramento delle attività dei missionari calabriani, 6 progetti sanitari e socio-sanitari, 15 micro-progetti/casi speciali (dati ricavati dal bilancio di missione dell’associazione). I beneficiari diretti delle donazioni raccolte dall’associazione sono stati 15.118 ragazzi e ragazze, di cui 2.627 sostenuti con la formula delle adozioni a distanza. Maggiori informazioni sulle attività si possono trovare sul sito www.missionidoncalabria.it/.

 

Per quanto riguarda gli interventi sanitari, nel corso del 2017 l’associazione ha contribuito ai seguenti progetti: acquisto delle attrezzature per il nuovo Centro Chirurgico dell’ospedale “Divina Provvidenza” di Marituba (Brasile), acquisto di medicinali e sostegno alle attività dell’ospedale “Divina Provvidenza” di Luanda (Angola), sostegno ad un progetto di prevenzione della malnutrizione infantile sempre a Luanda, un programma di educazione alla salute presso la clinica “Francesco Perez” di Manila (Filippine) e un programma di visite di check up periodici presso la medesima struttura.


Per la settimana "Viva!", nelle scuole s'impara a salvare vite

Due gli appuntamenti promossi dagli istruttori dell’IRC del Centro di Formazione di Negrar; nel primo ad insegnare le manovre di rianimazione cardio-polmonare saranno 24 studenti di un liceo cittadino

Inizia oggi, 15 ottobre, “Viva!“, la settimana che ha lo scopo di diffondere in Italia la conoscenza delle manovre di rianimazione cardiopolmonare. Una pratica semplice, che può essere imparata e messa in atto da tutti, ma che può salvare una vita se si è testimoni di un arresto cardiaco.

A questa settimana – nata nel 2013 grazie ad Italian Resuscitation Council (IRC) che ha raccolto l’invito dell’Unione Europea e di European Resuscitation Council (ERC) – aderisce anche l’IRC del Centro di Formazione dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, con due appuntamenti.

Il primo si terrà il 17 ottobre all’IPSIA Giorgi di Verona, dove circa 150 studenti di prima superiore verranno istruiti da 24 ragazzi della quarta del Liceo Scientifico Fracastoro, sotto la supervisione degli istruttori del Centro IRC di Nagrar. L’appuntamento rientra in un progetto di alternanza scuola-lavoro (vedi articolo), grazie al quale i liceali hanno ottenuto il brevetto di istruttori non sanitari di BLSD (Basic Life Support and Defibrillation), dopo un corso di formazione tenuto dal Centro IRC del “Sacro Cuore Don Calabria”.

Grazie a questo progetto, i 24 giovani istruttori hanno insegnato le tecniche della rianimazione cardio-polmonare ai ragazzi della scuola media di Parona e dell’Istituto comprensivo Pertini del Saval. E agli animatori dei Grest della parrocchia Santa Maria Regina e di quella di San Zeno. In totale 250 persone in grado di salvare delle vite. Perché ricordiamo che in Europa sono circa mille le persone che al giorno muoiono di arresto cardiaco: quando chi è testimone di un arresto cardiaco inizia la rianimazione cardio-polmonare prima dell’arrivo dell’ambulanza (che va sempre chiamata) le possibilità di sopravvivenza per la persona colpita raddoppiano o triplicano. Portando la rianimazione immediata nel 50-60% dei casi ogni anno in Europa si potrebbero salvare 100mila persone.

Il secondo appuntamento invece avrà luogo il 19 ottobre alle scuole medie di Negrar. Qui ad insegnare le manovre a circa 100 ragazzi della classe III saranno direttamente gli istruttori del Centro IRC di Negrar. Si tratta di una ventina di medici ed infermieri impegnati durante l’anno nei corsi dedicati al personale del “Sacro Cuore Don Calabria”, organizzati in collaborazione con l’Ufficio di Formazione. Gli istruttori si occupano anche della formazione dei dipendenti di altre strutture sanitarie, di aziende, di asili nido, scuole dell’infanzia e società sportive (vedi articolo).