Malattie del sonno: prosegue la collaborazione tra il "Sacro Cuore" e A22

Si è concluso recentemente il progetto dell’Autostrada del Brennero “Qualità del sonno qualità del lavoro” con la consulenza anche per la seconda edizione del Centro di Medicina del sonno di Negrar: esaminati il 10% dei dipendenti della Società

Si è concluso recentemente un nuovo progetto di collaborazione tra il Centro di Medicina del Sonno, di cui è responsabile il dottor Gianluca Rossato, e l’Autostrada del Brennero. Dopo la partnership nella campagna #nonmoriredisonno (vedi articolo) durante la quale è stata indagata la prevalenza della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS) degli autotrasportatori che transitano sulla A22, la Società autostradale e il Centro di Negrar hanno portato a termine la seconda edizione dell’iniziativa “Qualità del sonno e qualità del lavoro”.

 

“Nel programma di formazione dei dipendenti, la Società Autostrada del Brennero, attraverso il Servizio di Prevenzione e Protezione, ha deciso per il secondo anno di dedicare alcune ore all’importanza del sonno per la salute e la sicurezza sul lavoro, avvalendosi ancora della nostra collaborazione” spiega Davide Tonon, tecnico di neurofisiopatologia del Centro che ha seguito l’iniziativa.

 

“Il progetto è durato tre mesi (da novembre 2018 a gennaio 2019) – prosegue – dopo una serie di incontri con i dipendenti è stata avanzata la proposta, per chi lo desiderasse, di effettuare una polisonnografia (nella foto di copertina la preparazione di un paziente per l’esecuzione dell’esame in ospedale), l’esame per la diagnosi dei disturbi del sonno e in particolare dell’OSAS”. Hanno aderito alla seconda edizione della campagna, 26 persone alle quali è stato consegnato un polisonnigrafo portatile da utilizzare per una notte. Inoltre è stato chiesto loro di compilare un questionario sull’eccessiva sonnolenza diurna e un diario del sonno (vedi video che mostra come si esegue una polisonnografia).

 

“I dati registrati dalla polisonnografia sono stati inviati direttamente al nostro centro per la refertazione. La diagnosi è stata consegnata, nel rispetto della privacy, direttamente alla persona interessata, senza nessun contatto con l’azienda”, sottolinea Tonon. Nel corso delle due edizioni è stato studiato il 10% dei dipendenti totali della Società.

 

Dall’ultima indagine è emerso che il 15% dei dipendenti soffre di Sindrome delle apnee ostruttive del sonno, contro il 20% stimato sulla popolazione generale. “Ventisei persone non sono un campione statisticamente significativo – conclude il dottor Gianluca Rossato -. Ha valore perché rientra in un progetto di sensibilizzazione verso un problema che è causa di molti incidenti stradali mortali provocati da colpi di sonno. E’ importante che a effettuare questa iniziativa, per il secondo anno, sia una società autostradale, avvalendosi dell’esperienza pluriennale del nostro centro sui disturbi del sonno”.


Prende forma la facciata della nuova palazzina

Sono iniziati i lavori di posizionamento delle pareti perimetrali della nuova struttura. Le foto mostrano il rapido avanzamento dei lavori e i primi due segmenti esterni completati, mentre all’interno prosegue la sistemazione dell’impiantistica

Prende sempre più forma la palazzina che una volta completata diventerà l’ingresso unico dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Nei giorni scorsi gli operai hanno terminato la posa dei primi due segmenti del rivestimento esterno ed ora stanno procedendo al montaggio dell’intera copertura perimetrale (vedi photogallery).

Per quanto riguarda gli spazi interni, continuano i lavori di sistemazione degli impianti e sta partendo la posa dei pavimenti galleggianti. Una volta completati i pavimenti si procederà con le pareti mobili.

 

La nuova struttura ospiterà al piano terra la grande e unica hall dell’ospedale, dalla quale partiranno tutti i percorsi all’interno della struttura. Ai vari piani saranno realizzati il Centro Prelievi, gli ambulatori per visite ed esami pre-operatori, gli uffici amministrativi e quelli della direzione (vedi posa prima pietra).


L'Endoscopia digestiva scuola di formazione SIED di II livello

Il riconoscimento della Società Italiana di Endoscopia Digestiva è un ulteriore attestato dell’eccellenza raggiunta dal Servizio: medici da tutta Italia verranno a Negrar per apprendere le procedure diagnostico-interventistiche più avanzate

Dopo l’accreditamento nel 2018, la Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED) (vedi articolo), ha conferito al Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia (in photogallery l’équipe) un altro prestigioso riconoscimento. Il Servizio, che afferisce alla Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus, è stato selezionato come Centro per la Scuola di Formazione Residenziale per la formazione di II livello.

 

Si tratta di nuova conferma della qualità raggiunta come centro di eccellenza per la diagnostica precoce e la terapia delle malattie e dei tumori gastrointestinali, del pancreas e delle vie biliari – commenta il dottor Bocus -. Questi riconoscimenti attestano la competenza di tutti gli operatori e l’eccellenza della strumentazione tecnologica che abbiamo in dotazione. Ma nello stesso tempo sono un’ulteriore garanzia per il paziente che sceglie la nostra struttura”.

 

Grazie al riconoscimento ottenuto, l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria svolgerà corsi di endoscopia diagnostica ed interventistica per medici gastroenterologi ed endoscopisti di altre realtà ospedaliere italiane. In particolare i medici di Negrar la colangiopancreatografia endoscopica retrograda (ERCP), un esame per comprendere e trattare eventuali ostacoli al normale deflusso della bile; l‘Ecoendoscopia (EUS), l’ecografia endoscopica diagnostica ed operativa che ha, tra le altre indicazioni, anche la stadiazione dei tumori del tubo digerente; la resezione endoscopia e la dissezione endoscopica della mucosa e/o sottomucosa (EMR-ESD) che permette il trattamento endoscopico di lesioni neoplastiche e preneoplastiche dell’apparato digerente; il posizionamento di protesi per le stenosi benigne e maligne di esofago, duodeno, colon e vie biliari; endoscopia del giunto gastroesofageo e dei disturbi motori dell’esofagotrattamento endoscopico delle complicanze chirurgiche.

 

Il Servizio di Endoscopia e Ecoendoscopia digestiva esegue circa 8.500 interventi all’anno. Il Centro si avvale di quattro sale endoscopiche operative dalle 8.30 alle 15.30 cinque giorni alla settimana. E’ inoltre operativo un Servizio di reperibilità H24. Nel 2018 sono stati effettuati 379 interventi in emergenza/urgenza di cui 131 durante il week-end e fuori orario di servizio (notturno, prefestivo e festivo).


Corso-educational di Neuroradiologia con... diritto di voto

Con l’evento in programma il 22 febbraio, la Radiologia di Negrar si conferma un centro anche di Neuroradiologia, per la diagnosi delle patologie del sistema nervoso centrale in collaborazione con la Neurologia e la Medicina Nucleare

La formula è un po’ insolita per un corso-educational in Neuroradiologia, ma sicuramente efficace nel coinvolgere i partecipanti. Venerdì 22 febbraio all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria si terrà un evento scientifico dedicato a radiologi, neuroradiologi, neurologi e neurochirurghi che prima di entrare in sala verranno dotati di un sistema di votazione elettronica, il cosiddetto Televoter. “Con questo strumento parteciperanno attivamente all’analisi razionale di casi clinici reali, iniziando dalla corretta programmazione degli accertamenti strumentali”, spiegano i dottori Giovanni Carbognin e Alberto Beltramello, rispettivamente direttore e consulente neuroradiologo della Radiologia di Negrar, responsabili scientifici dell’evento.

 

Nel corso delle cinque sessioni della giornata, giovani medici di alcune Radiologie e Neuroradiologie del Triveneto presenteranno alcuni casi che riguarderanno le principali malattie del distretto cranico-encefalico e vertebro-midollare. I presenti in sala saranno invitati ad indicare con il Televoter, tra le ipotesi, i vari step che ritengono fondamentali per risolvere il caso clinico. “E’ un’occasione innanzitutto per testare la preparazione di base dei presenti – sottolinea il dottor Carbognin – e per rilevare in ogni caso specifico gli elementi principe che portano a formulare una corretta diagnosi”.

Alcuni casi riguardano pazienti transitati dalla Radiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, che grazie a dotazioni tecnologiche di ultima generazione e di un team giovane e dinamico è diventata un centro diagnostico anche per patologie del sistema nervoso centrale, non solo tumorali, ma anche neurodegenerative e cerebro-vascolari. Nel 2018 sono stati eseguiti oltre 12.800 esami strumentali di Neuroradiologia (RM e TAC).

“Disponiamo di tre Risonanze magnetiche ad alto campo (1,5 Teslavedi articolo) e di una TAC (vedi articolo), in particolare, che in casi selezionati si sta dimostrando una valida alternativa alla RM, come rilevano alcuni studi scientifici che abbiamo pubblicato – sottolinea il dottor Carbognin -. Noi siamo, per così dire, il “braccio diagnostico” di un percorso di presa in carico di pazienti con sospetta malattia neurodegenerativa o colpiti da ictus. Percorso che comprende la Neurologia con lo Stroke Center e l’Unità di Valutazione Alzheimer e la Medicina Nucleare”.

Non a caso la giornata formativa prevede anche due letture magistrali, “come esempio del metodo multidisciplinare adottato dal nostro ospedale in ogni campo medico”, rileva il direttore della Radiologia. La prima prevede l’intervento del dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare, che parlerà dei radiofarmaci utilizzati nella diagnostica PET per le patologie del sistema nervoso centrale, molti dei quali vengono prodotti dalla Radiofarmacia ospedaliera dotata di Ciclotrone. L’altra lettura sarà tenuta dal dottor Andrea Angheben, infettivologo del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali. “L’incremento di viaggi all’estero e il fenomeno dell’immigrazione – conclude il dottor Beltramello – porta nei nostri ospedali patologie endemiche in zone tropicali che possono colpire il sistema nervoso centrale e che quindi sono una sfida anche per il neuroradiologo”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale del malato: servire chi è nella malattia è servire Dio

In occasione della XXVII Giornata mondiale del malato la riflessione di fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: “Nel servizio al malato acquista significato una struttura religiosa e calabriana come la nostra”

L’11 febbraio la Chiesa celebra in tutto il mondo la Giornata del malato. Una data significativa che coincide con il giorno in cui nel 1858 a Lourdes la Madonna apparve per la prima volta alla giovane Bernadette. A istituire questa festa nel 1993 fu San Giovanni Paolo II, il Pontefice polacco che ha vissuto concretamente e mostrato al mondo il significato teologico della sofferenza dovuta alla malattia. Il dolore, l’invalidità, la dipendenza da altri anche nelle più banali attività quotidiane come partecipazione alla sofferenza redentrice di Cristo sulla croce.

 

E’ un compito arduo il modo in cui la teologia cristiana ci chiede di vivere la malattia. Quando ci ammaliamo seriamente l’umanità tutta in noi si ribella, chiedendosi perché la vita la sottopone a una così dura prova. Lo stesso accade quando si ammala una persona a noi cara. La fede nella bontà di Dio è un mantello che ci avvolge e ci rassicura e la preghiera un balsamo che lenisce le ferite. La vicinanza di Dio non fa sentire mai soli.

 

Una vicinanza che si fa reale attraverso lo strumento dell’amore e della tenerezza di chi assiste il malato. Peggiore della malattia è la condizione di viverla nella solitudine. Conoscono bene questo dramma le famiglie con malati psichiatrici o affetti da patologie neurodegenerative che nel tempo vedono allontanarsi le persone, anche i parenti più stretti. La malattia fa paura, è umano cancellarla anche dai nostri pensieri, ma fa parte della vita, e può entrare in quella di ciascuno di noi.

 

La Giornata mondiale del malato è un’occasione di riflessione sulla fragilità umana, su quanto diventiamo poveri quando veniamo privati del nostro bene più grande, la salute. Ma anche sulla forza interiore che possediamo e che ci rende capaci di vivere la malattia come un’opportunità cristiana e umana. Quante persone raccontano come la malattia abbia cambiato la loro vita, come abbia reso più salda la loro fede o come grazie ad essa abbiano riscoperto l’amore di Dio insieme a valori che avevano messo in secondo piano!

 

Ma questa Giornata è soprattutto un momento in cui riflettere sul nostro compito come uomini e come donne, e in particolare come cristiani, di fronte alle persone malate. E’ un compito di servizio. Perché se “tutte le volte che avete fatto qualcosa a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me! (Mt 25,40), allora il volto del malato è il volto di Dio. E’ quindi nel servire il malato che acquista significato un ospedale religioso e calabriano come il “Sacro Cuore Don Calabria”.

 

Un servizio che si esplica offrendo al paziente le migliori terapie oggi disponibili e nel prendersi cura della globalità della persona dal punto di vista medico, psicologico e spirituale. In modo particolare quando più nessuna cura è efficace. Anche come operatori sanitari siamo chiamati ad essere Samaritani, perché è nel prendersi cura del prossimo più fragile, immagine di Cristo, che si realizza in pienezza la nostra umanità.

Fr. Gedovar Nazzari

Presidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Cure dignitose e accompagnamento ai familiari nella quotidianità degli stati vegetativi

Oggi si celebra la nona Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, a dieci anni esatti dalla scomparsa di Eluana Englaro. Anche a Negrar ogni giorno si affronta questa grave disabilità in Riabilitazione e nella Speciale Unità di Accoglienza Permanente

Esattamente dieci anni fa, il 9 febbraio 2009, moriva Eluana Englaro dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo a causa di un incidente stradale avvenuto quando lei aveva 21 anni, nel 1992. Dal 2011 il 9 febbraio è diventata la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, giunta quest’anno alla nona edizione.

 

Si tratta di una ricorrenza che tocca da vicino anche la Cittadella della Carità di Negrar, che fu tra le prime realtà in Veneto ad occuparsi direttamente di questi pazienti. Era il 2001, infatti, quando presso Casa Nogarè venne creata una Speciale Unità di Accoglienza Permanente (SUAP) con 12 posti letto dedicati proprio a persone in stato vegetativo o di minima responsività. Inoltre il fatto di avere una Unità di Riabilitazione Intensiva all’interno dell’ospedale comporta che ogni anno vengano presi in carico alcuni pazienti che si ritrovano in stato vegetativo a seguito di gravi lesioni acquisite al cervello per traumi o per eventi di origine vascolare o cardiaca.

 

“In realtà nel tempo abbiamo riscontrato un calo nel numero di nuovi pazienti in stato vegetativo – puntualizza il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di Riabilitazione – In particolare si è ridotto il numero di persone con esiti di trauma cranico, mentre in proporzione sono di più coloro che subiscono danni gravissimi al cervello dopo arresto cardiaco o emorragie cerebrali. In ogni caso i numeri sono significativi, in quanto su circa 80 pazienti ricoverati ogni anno nella nostra Riabilitazione Intensiva, il 10% dà esiti di stato vegetativo o di minima responsività“.

 

Cambiando le origini del danno, cambia anche il profilo d’età di chi ne viene colpito. Infatti nel tempo si è assistito ad una diminuzione dei pazienti giovani, grazie in particolare a misure efficaci prese per aumentare la sicurezza sulle strade, mentre l’età media degli stati vegetativi che vengono presi in carico al Sacro Cuore Don Calabria supera ormai i 50 anni.

 

Per tutti questi pazienti esiste una doppia linea di presa in carico: quella rivolta al miglioramento clinico, alla stabilizzazione delle condizioni neurologiche, alla prevenzione dei danni da immobilizzazione e quella rivolta all’accompagnamento dei familiari e alle scelte di vita successive all’ospedalizzazione. E’ quindi assolutamente opportuno che i pazienti rimangano per i primi mesi ricoverati in Riabilitazione, soprattutto per accertarsi della diagnosi. A questo proposito la vera condizione di stato vegetativo è piuttosto rara, mentre è piu’ facile che i pazienti si stabilizzino nella condizione di “minima responsività”. E’ questa una situazione che implica comunque una totale dipendenza ma che si differenzia per una variabile, pur sempre molto ridotta, possibilità di relazione.

 

Il vero problema di queste persone gravemente disabili non sta nella diagnosi o nella cura. Sta invece nella gestione della cronicità, essendo sempre piu’ difficile la domiciliazione. “Anzitutto c’è da dire che i posti nelle residenze che fanno accoglienza permanente sono insufficienti – sottolinea il dottor Avesani – Il loro numero è fermo da molti anni, a fronte di un turn over assai lento per cui i nuovi malati faticano molto a trovare un posto dopo che vengono dimessi dall’ospedale. Quando poi il paziente è un migrante, magari irregolare- perchè il problema può riguardare anche loro- allora il dramma è doppio e si fa un’enorme fatica a trovare uno sbocco dopo l’ospedale”.

 

Paradossalmente l’emergenza consiste quindi nella gestione della cronicità, mentre appare più lineare il percorso nella fase iniziale della diagnosi e della cura dopo che una persona ha subito un trauma o un’emorragia grave. La quotidianità di questi pazienti è fatta di accudimento, assistenza, cure e percorsi di stimolazione, ad esempio attraverso la musica, per valorizzare la dignità di personeche non hanno più la capacità di interagire con l’ambiente esterno se non in piccolissima parte nei casi di “minima responsività”. “Certamente sono stati fatti dei passi avanti nella qualità del prendersi cura degli stati vegetativi – conclude il direttore della Riabilitazione – ma tutti vorremmo assistere un giorno a progressi nella ricerca per dare anche prospettive migliori nella prognosi. C’è in fondo un dovere etico di tenere alta l’attenzione su questo problema che rimane attuale nonostante se ne parli meno. Questo lo si deve alle persone colpite da questa gravissima disabilità e ai loro familiari che hanno davvero bisogno di tutto il sostegno possibile per affrontare un percorso molto lungo e difficile al fianco dei loro cari malati”.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Il microbiota: il secondo cervello del nostro organismo

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Il ruolo delle cellule batteriche nella genesi delle malattie più diffuse è ormai un dato di fatto: un congresso multispecialistico a Verona delinea le prospettive terapeutiche future che derivano dall’interazione del microbiota con gli altri organi

Il nostro corpo è dotato di un organo che le tradizionali tavole di anatomia non hanno mai illustrato, ma dal quale dipende la nostra salute psico-fisica. E’ il microbiota, termine con cui viene identificata la popolazione batterica presente nel nostro intestino, dove vivono 1000 specie batteriche possibili, almeno 160 in ogni individuo. Proprio per la biomassa di 1,5 chilogrammi formata da 100 trilioni di cellule batteriche, il microbiota è considerato a tutti gli effetti un organo, capace di presiedere a funzioni dell’intestino e dell’intero organismo.

 

Riguardo al microbiota si è concentrato da alcuni anni l’interesse delle discipline mediche più disparate: dalla gastroenterologia alla psicologia, passando per la neurologia, l’urologia e la ginecologia. Per un motivo comune: gli studi scientifici hanno dimostrato che l’alterazione della popolazione batterica dell’intestino scatena processi, come l’infiammazione, che sono all’origine della malattie più diffuse.

 

Proprio sulla correlazione tra benessere del microbiota e salute degli altri organi giovedì 14 (pomeriggio) e venerdì 15 febbraio si confronteranno in un convegno a Verona specialisti provenienti da varie realtà ospedaliere e universitarie italiane ed internazionali.L’incontro scientifico (accreditato per medici, farmacisti, dietisti, biologi e psicologi) è stato organizzatoal Palazzo della Gran Guardia dal dottor Guido Arcaro, direttore della Medicina generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e dalla dottoressa Manuela Fortuna, gastroenterologa della medesima struttura (programma in allegato).

 

“Parleremo di patologia infiammatoria e oncologica intestinale, di allergie, di malattie neurologiche e psichiatriche nell’adulto e nel bambino in relazione alla funzione del microbiota – spiega il dottor Arcaro -. L’obiettivo è quello di fornire uno sguardo multidisciplinare sull’argomento per chiarirne la complessa interazione con diversi organi e funzioni al fine di sfruttarne le potenzialità terapeutiche”.

 

Dottor Arcaro, che ruolo ha il microbiota?

Il microbiota ha innanzitutto un ruolo protettivo nel mantenere l’integrità anatomo -funzionale della parete intestinale. Da un lato contribuisce ad impedire l’ingresso di sostanze patogene provenienti dal lume intestinale. Dall’altro ha funzioni metaboliche fondamentali. Per esempio è popolato da specie batteriche che hanno proprietà di fermentazione saccarolitica, cioè di digestione di carboidrati complessi, mettendo così a disposizione dell’organismo elementi energetici che altrimenti non sarebbero assorbibili. Come, ma non solo, gli acidi grassi a catena corta, SCFA, che provvedono al 5-10% del fabbisogno totale di energia di cui necessita il nostro corpo. Ma il lavoro di sinergia tra il microbiota e l’intestino non si ferma qui.

Quali sono le altre funzioni del microbiota?

Esso interviene nella produzione di una serie di molecole che svolgono un ruolo fondamentale nei processi fisiopatologici delle malattie più comuni, processi come l’infiammazione, lo stress ossidativo e la capacità di risposta immunitaria verso agenti esterni. A microbiota alterato, per esempio, corrisponde nel neonato un maggior rischio di patologia allergica. In considerazione poi della quantità e della eterogeneità delle malattie in cui svolge un ruolo l’infiammazione – l’aterosclerosi, le patologie oncologiche, quelle neurodegenerative come l’Alzheimer… – risulta evidente il perché dell’attenzione che oggi viene data al microbiota.

 

Perché c’è una correlazione tra microbiota ed infiammazione?

Il microbiota per diverse cause può subire un’alterazione (o disbiosi) del numero di cellule batteriche o un’alterazione della proporzione delle specie batteriche fra loro. E questo favorisce o protegge dall’infiammazione. La prevalenza di specie proteolitiche, cioè con proprietà di digestione delle proteine, comporta una maggiore liberazione di sostanze pro-infiammazione. Accade invece il contrario se a prevalere sono specie batteriche capaci della fermentazione saccarolitica.

 

Quali sono le cause che provocano la disbiosi?

Possono essere una dieta ricca di proteine e grassi; oppure un utilizzo improprio di antibiotici; uno stato patologico dell’intestino, come nel caso delle malattie infiammatorie croniche intestinali; la stessa età e lo stress.

 

Perché il microbiota viene definito “il secondo cervello”?

La collaborazione tra intestino e microbiota libera nel sangue delle sostanze che agiscono sul tono dell’umore e sulla salute delle cellule nervose cerebrali, come il triptofano, la seratonina, GABA e BDNF. Non dimentichiamo poi che gli studi riconoscono nello stato infiammatorio un ruolo nella genesi della depressione oltre che delle più importanti malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e la sclerosi multipla. Durante il convegno parleremo anche del legame tra disbiosi del microbiota del neonato e autismo.

 

Quali sono le potenzialità della scoperta della correlazione tra disbiosi del microbiota e l’origine di molte malattie?

Le potenzialità sono molte. Oggi grazie a tecniche di sequenziamento genico sulle feci possiamo stabilire esattamente il rapporto in percentuale tra le diverse specie presenti nel microbiota di ogni singolo individuo. L’obiettivo è quello di agire con probiotici (quelli che comunemente vengono chiamati fermenti lattici) specifici, calibrati, in grado di modulare favorevolmente i più importanti processi di malattia.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Il Presidente Mattarella visita l'Ospedale dell'Opera Don Calabria in Angola

La visita si è svolta ieri nell’ambito del viaggio di Stato in Angola. La struttura di Luanda lavora in sinergia con il “Sacro Cuore Don Calabria” e gli ospedali di Marituba (Brasile) e Manila (Filippine)

Ieri pomeriggio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto visita all’ospedale Divina Provvidenza dell’Opera Don Calabria a Luanda, in Angola, nel corso del viaggio di Stato nel Paese africano. L’ospedale di Luanda è stato fondato nel 1994, in piena guerra civile, dalla Congregazione di don Calabria con la collaborazione dell’ONG veronese Unione Medico Missionaria Italiana (UMMI), che promuove progetti di cooperazione di tipo sanitario, educativo e formativo in vari Paesi.

 

La struttura lavora in sinergia con gli altri tre ospedali dell’Opera Don Calabria nel mondo: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Italia), il “Divina Provvidenza” di Marituba (Brasile) e la clinica “Francesco Perez” di Manila (Filippine).

 

Nel suo breve saluto il Presidente, accompagnato dalla figlia Laura e dall’ambasciatore Claudio Miscia, ha ringraziato l’Opera calabriana e l’Unione Medico Missionaria Italiana per l’impegno profuso in questa attività, e ha ricordato che il senso della cooperazione è proprio quello di aiutare le persone più povere, come accade in questa struttura. “Questo ospedale è un esempio dei buoni frutti che possono portare l’amicizia e la collaborazione tra Italia e Angola ed è doveroso l’impegno a favore di attività di questo tipo che mettono al centro le persone e i loro bisogni”.

 

Ad accogliere il Presidente, dopo il saluto del direttore generale dell’ospedale padre Alves Tchilunda, è stato il missionario padre Beniamino Zanni che ha illustrato come il senso della presenza di don Calabria in Angola sia quello di stare vicino alle persone più fragili affidandosi alla Provvidenza e cercando di “fare bene il bene”. Quindi la rappresentante dell’UMMI Lucia Verzotti ha rivolto un messaggio a nome del presidente della ONG veronese, Alessandro Galvani, sottolineando l’importanza dei progetti di cooperazione nello sviluppo dell’ospedale e il ruolo determinante dei volontari italiani, oltre 250 molti dei quali veneti, inviati proprio grazie all’UMMI.

 

A seguire, il Presidente Mattarella ha visitato il reparto di Pediatria dell’ospedale, soffermandosi in modo particolare nelle stanze dedicate alla terapia intensiva e al centro nutrizionale terapeutico per bambini piccoli gravemente denutriti.

 

All’evento erano presenti anche alcuni rappresentanti del CUAMM di Padova, ente che è partner dell’Opera e dell’UMMI in un grande progetto di cooperazione avviato da alcuni mesi nel campo della prevenzione e cura dell’HIV/AIDS a Luanda (vedi articolo), progetto che vede tra i partecipanti anche l’Università degli Studi di Trieste e l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, specializzato proprio nella ricerca in malattie infettive e tropicali.

 

Da venticinque anni il centro ospedaliero angolano rappresenta un modello di cooperazione internazionale ed è un punto di riferimento sanitario per quasi 2 milioni di poveri che vivono nel quartiere periferico di Kilamba Kiaxi, soprattutto nell’ambito della pediatria, della lotta alla malnutrizione infantile, della cura della tubercolosi e dell’HIV/AIDS.

 

Il “Divina Provvidenza” di Luanda è dotato di 136 posti letto, divisi tra medicina, malattie infettive, pediatria e centro nutrizionale terapeutico. Nel 2018 i ricoveri sono stati 4.639, di cui 681 hanno interessato bambini gravemente malnutriti di età compresa fra 0 e 3 anni. Oltre 7mila i pazienti tenuti sotto controllo medico o trattati a livello terapeutico per l’HIV. 74mila i vaccini somministrati in modo capillare grazie alla presenza di 5 posti di salute periferici nel quartiere che sono un vero e proprio avamposto della struttura centrale.

 

L’Opera Don Calabria è presente in Angola fin dal 1982, quando nel Paese infuriava una sanguinosa guerra civile che sarebbe finita solo nel 2002. Tante sono le testimonianze di religiosi e volontari che si sono spesi per questa missione, talvolta pagando con la propria vita come nel caso di don Umberto Negrini, missionario calabriano che venne ucciso dalla criminalità locale nel 1999.

 

Oltre all’ospedale, oggi i Fratelli e le Sorelle dell’Opera nel Paese portano avanti molte attività in campo sociale, educativo e pastorale: un asilo, 5 scuole, 2 centri professionali, 2 centri diurni e 3 case di accoglienza per bambini di strada. I bambini e ragazzi accompagnati in modo diretto in tali attività sono 5mila, non solo a Luanda ma anche in altre regioni del Paese, spesso in comunità sperdute nelle aree più remote.

 

“E’ un grande onore per noi la visita del Capo dello Stato – sottolinea padre Miguel Tofful, Superiore Generale dell’Opera Don Calabria – ed è il riconoscimento del grande lavoro fatto per servire tante persone povere che diversamente non avrebbero avuto accesso a cure sanitarie dignitose. Il nostro fondatore ci chiede di andare là dove umanamente non c’è nulla da ripromettersi e credo che l’ospedale di Luanda, al tempo in cui nacque, rispondesse proprio a questo mandato”.


World Cancer Day: prevenzione!...anche con i vaccini

Il 4 febbraio si celebra in tutto il mondo la Giornata contro il cancro: sconfiggere questa malattia è un impegno che riguarda tutti, iniziando dalla prevenzione che comprende anche i vaccini

Il 4 febbraio è il World Cancer Day, la giornata mondiale contro il cancro, promossa dall’Uicc (Union for Internatiol Cancer Control), l’organizzazione non governativa che si pone come obiettivo di promuovere ed incentivare tutte le azioni finalizzate alla prevenzione e alla cura del cancro in ogni Paese del mondo.

 

Sono 9,6 milioni le persone che ogni anno muoiono a causa di questa malattia, numero che nel 2030 potrebbe salire a 13 milioni, se non ci sarà, afferma l’Uicc, un impegno globale da parte delle istituzioni politiche, sanitarie e scientifiche, ma anche di ogni singolo cittadino. Perché se da un lato le morti per cancro sono dovute, per esempio, alla disparità di accesso alle cure e ai programmi di screening che sussiste tra i diversi Paesi – ma anche all’interno dello stesso Paese, pensiamo al Nord e Sud d’Italia -, molto è affidato alla responsabilità di ciascuno di noi.

 

Infatti le armi più potenti per combattere il cancro restano la prevenzione e la diagnosi precoce anche con l’adesione agli screening.
Il 40% di tutte le forme di cancro potrebbero essere evitate assumendo una dieta equilibrata (quella Mediterranea resta la più indicata), assumendo una quantità moderata di alcol, eliminando completamente dalla propria vita il fumo di sigaretta, praticando un’attività fisica anche moderata, ma costante che tra l’altro permette il controllo del peso.

 

In Italia sono attivi tre programmi di screening: per il tumore al seno (esame mammografico), alla cervice uterina (Pap-test), e per la neoplasia del colon-retto (ricerca del sangue occulto nelle feci), rivolto quest’ultimo sia agli uomini che alle donne. La logica dello screening è quella di diagnosticare il tumore nella fase precoce del suo sviluppo o addirittura in quella precancerosa. La diagnosi precoce infatti aumenta notevolmente le opzioni terapeutiche e la percentuale di guarigione.

 

La prevenzione tuttavia passa anche dai vaccini: tra i fattori di rischio che favoriscono l’insorgenza dei tumori vi sono le infezioni. Si stima infatti che l’8,5% delle neoplasie sia dovuto all’azione oncogena di virus e batteri. Il Papilloma Virus-HPV e il virus che provocano l’epatite B sono tra gli agenti infettivi più noti che causano i tumori e per i quali disponiamo vaccini sicuri previsti nel piano nazionale vaccinazioni (vedi articolo)

 

Nella video Galley: la dottoressa Stefania Gori (direttore dell’Oncologia Medica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica), il professor Giuseppe Zamboni (direttore dell’Anatomia Patologica dell’IRCCS di Negrar), il dottor Rocco De Vivo (dell’Oncologia dell’Ospedale San Bortolo di Vicenza) e la dottoressa Silvia Franceschi (direttore scientifico del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano) spiegano perché sono importanti questi vaccini, i meccanismi attraverso i quali i virus causano i tumori e gli scenari futuri: questi virus ci aiuteranno a scoprire la cura delle neoplasie che provocano?


Antibiotico-resistenza: un nemico per la nostra salute

Le infezioni da germi resistenti agli antibiotici è un vero problema di salute pubblica, coinvolge le strutture sanitarie, ma anche ognuno di noi nel corretto uso di questi farmaci

Dagli scienziati e da chi si occupa di politiche sanitarie l’insorgenza di infezioni causate da germi resistenti agli antibiotici viene definita la sfida mondiale dei prossimi anni, anche se esse sono già responsabili di decine di migliaia di decessi in Europa.

 

Alla scoperta degli antibiotici l’umanità deve la sconfitta di molte infezioni altrimenti letali, ma oggi la medicina si trova in molti casi di fronte all’inefficacia di questi farmaci nel debellare infezioni provocate dagli stessi germi che invece solo alcuni anni fa riusciva a sconfiggere. Un dato su tutti: in Italia il 25% degli stafilococchi aurei – responsabili della maggior parte delle infezioni della pelle e dei tessuti molli e trasmissibili tramite contatto – è multiresistente.

 

“Significa che in questi casi per curare le infezioni da stafilococco aureo non possiamo più limitarci a prescrivere i vecchi antibiotici per via orale, siamo bensì costretti a ricorrere ad antibiotici che, il più delle volte, possono essere assunti solo per via endovenosa, costringendo i pazienti a un ricovero ospedaliero. Addirittura alcuni germi gram negativi hanno sviluppato una tale resistenza multipla da renderci disarmati rispetto alle conseguenze delle infezioni da essi causate”, sottolinea l’infettivologo, Giuseppe Marasca (Photo Gallery).

 

Dottor Marasca, come si è sviluppata l’antibiotico-resistenza?

I batteri sono microrganismi e, cosa che li accomuna a tutti gli esseri viventi, hanno come obiettivo ultimo quello di sopravvivere. Pertanto negli anni hanno sviluppato meccanismi di resistenza contro gli antibiotici, in particolare nella loro composizione cellulare sono comparsi degli enzimi in grado di digerire gli antibiotici stessi. E di renderli inefficaci.

 

E’ già quantificabile questo problema?

Nel novembre dello scorso anno, i ricercatori dell’European Center for Disease Prevention and Control, un’agenzia dell’Unione Europea con sede a Stoccolma, guidati da Alessandro Cassini, hanno pubblicato su Lancet Infectious Diseases uno studio sull’impatto delle infezioni causate da germi resistenti nella popolazione europea. In base ai dati disponibili del 2015, è emerso che sono state 700mila le infezioni di questo tipo di cui 500mila legate alla pratica sanitaria. Non solo: i decessi attribuibili a queste infezioni sono stati 30mila e ben 10mila di questi si sono verificati in Italia. Siamo difronte a numeri impressionanti: le patologie da germi multiresistenti nel nostro Paese provocano più morti degli incidenti stradali! Ma c’è un altro dato da prendere in considerazione: il cosiddetto DALY (Disability-Adjusted Life Years), l’indice di misura della gravità di una malattia, espressa come numero complessivo di anni persi per disabilità. Per le infezioni da germi multiresistenti l’indice di gravità per l’Italia è pari a 440 DALYs per 100.000 abitanti, contro una media europea di 131 DALYs per 100.000.

 

Cosa si sta facendo in Italia per invertire la rotta?

Nel novembre 2017 il ministero della Salute ha redatto il Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico resistenza (PNCAR), tradotto poi anche in programmi regionali, in cui vengono stabiliti degli obiettivi per affrontare e contrastare il problema. Il Piano agisce su sei ambiti d’intervento: sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni, uso corretto degli antibiotici, formazione dei medici, comunicazione e informazione, ricerca ed innovazione. Per l’uso corretto degli antibiotici il Piano indica, tra l’altro, che tutti gli ospedali si dotino di un programma di stewardship antimicrobica, guidato, ove possibile, da un infettivologo con il sostegno attivo del farmacologo clinico, del microbiologo, della direzione sanitaria. Anche il nostro ospedale si sta rapidamente muovendo in questa direzione e grazie alle strutture del nostro IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali di concerto con l’Istituto di Malattie Infettive dell’Università di Verona, sarà a breve dotato del SANE (Stewardship Antimicrobica Negrar). Dall’inizio di gennaio ho iniziato il mio servizio a Negrar anche per aiutare a realizzare questo ambizioso progetto.

 


Quello della diffusione delle infezioni da germi multiresistenti è un problema che riguarda esclusivamente le strutture sanitarie?

No, anche se il numero maggiore di infezioni si sviluppa in questi ambiti perché è soprattutto negli ospedali o nelle lungodegenze che gli antibiotici vengono utilizzati, non sempre in modo ottimale, ed è in questi luoghi che si diffondono più facilmente le infezioni. Non potrà esserci una buona stewardship antimicrobica senza che si rafforzi contestualmente il controllo delle infezioni. Mettere in atto cioè tutte quelle misure e procedure atte ad evitare il diffondersi delle infezioni. Noi sappiamo che il 40% delle infezioni in ospedale potrebbe essere evitato semplicemente se gli operatori sanitari procedessero a lavarsi le mani ogni volta che iniziano ad assistere un nuovo paziente. Nel caso di pazienti colonizzati da germi multi resistenti, l’utilizzo di procedure di isolamento da contatto, per esempio usando camici e guanti a perdere ogni volta che si passa da un paziente all’altro, è in grado di abbattere l’incidenza di nuove infezioni. La stewardship si esercita anche e soprattutto tramite l’uso razionale degli antibiotici, condividendo il loro impiego tramite l’adozione di protocolli diagnostico-terapeutici, somministrando l’antibiotico soltanto per il tempo strettamente necessario, evitando di utilizzare “profilassi” per periodi prolungati, oltre l’indicazione delle linee guida.

 

L’assunzione non corretta degli antibiotici è un errore comune. Non c’è casa in cui non esista un armadietto dei farmaci con un antibiotico per le emergenze…

L’automedicazione con antibiotici è un’abitudine senza dubbio da disincentivare, non solo perché dannosa per il singolo, ma perché va ad alimentare anch’essa il fenomeno dei batteri multiresistenti.

 

Quali sono i punti di un uso corretto?

L’antibiotico va assunto solo quando serve, quindi quando è in atto un’infezione batterica e non virale, qual è per esempio l’influenza. Deve sempre essere prescritto dal medico e rispettato il dosaggio per il tempo necessario a debellare l’infezione. Una posologia fai da te, riducendo la dose e i giorni previsti di assunzione, significa non garantire nel sangue una quantità di farmaco sufficiente perché sia efficace. Facendo così si rischia che molti batteri siano eliminati, ma nello stesso tempo che altri continuino a prosperare e a sviluppare resistenze. D’altro canto se si aumenta il periodo di assunzione si va ad impattare sulla flora batterica dell’intestino che ha anche una funzione immunologica.

 

Quanto gli antibiotici nell’alimentazione degli animali che poi finiscono sulla nostra tavola influisce sull’antibiotico-resistenza?

Su 100 chili di antibiotico prodotto, si stima che tra 50 e 90 chilogrammi vengano impiegati nell’allevamento degli animali da carne, in quanto ne favoriscono la crescita. Ancorché tale pratica sia stata proibita nella UE, essa viene ancora utilizzata in moltissimi Paesi, anche nella itticoltura. Non esistono studi che dimostrino con certezza una correlazione tra le infezioni antibiotico-resistenti nell’uomo e la carne che noi mangiamo. Tuttavia si fa verso un concetto olistico di One-Health, che affronta il problema della antibiotico-resistenza a 360 gradi considerando anche il problema degli animali da allevamento. Tanto che il PNCAR comprende anche un parte veterinaria.

elena.zuppini@sacrocuore.it