
Il nome del medico dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Metaboliche, diretta dal prof. Giovanni Targher, compare nella prestigiosa lista degli Highly cited researchers 2024, che raccoglie gli scienziati più citati al mondo. Un riconoscimento dovuto ai suoi studi sulla malattia epatica steatosica associata a disfunzione metabolica (Masld) e delle sue connessioni con diabete mellito, sovrappeso/obesità e patologie cardiovascolari.
Il suo nome compare nella prestigiosa lista degli Highly cited researchers 2024, che raccoglie gli scienziati più influenti al mondo. È Alessandro Mantovani, docente di Endocrinologia e malattie del metabolismo del dipartimento di Medicina dell’Università di Verona e dirigente medico nell’Unità operativa complessa di Malattie Metaboliche dell’Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Le sue ricerche sul fegato e sul metabolismo stanno contribuendo a cambiare il modo in cui medici e comunità scientifica affrontano alcune delle malattie croniche più diffuse.
Esperto riconosciuto nello studio della malattia epatica steatosica associata a disfunzione metabolica (Masld) e delle sue connessioni con diabete mellito, sovrappeso/obesità e patologie cardiovascolari, Mantovani è autore di oltre 230 pubblicazioni scientifiche e vanta più di 12mila citazioni.
Professor Mantovani, cosa rappresenta per lei questo riconoscimento internazionale?
È un grande onore e un risultato condiviso: senza il supporto del mio maestro, Giovanni Targher (direttore dell’UOC di Malattie Metaboliche dell’IRCCS di Negrar), dei colleghi dell’Università di Verona, dell’Azienda Universitaria Integrata di Verona e dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, non sarebbe stato possibile. Essere tra i ricercatori più citati significa che il nostro lavoro viene usato e riconosciuto in tutto il mondo. È una motivazione a continuare a fare ricerca con rigore e passione.
La sua attività scientifica è centrata sulla Masld. Che cos’è e perché è così importante studiarla?
La Masld è una malattia molto diffusa: è l’accumulo di grasso nel fegato, spesso legato a sovrappeso/obesità, diabete mellito e sindrome metabolica. Molti pensano che sia benigna e che riguardi solo il fegato, ma non è così. Le nostre ricerche hanno mostrato che la Masld aumenta il rischio di infarto del miocardio, scompenso cardiaco, ictus, insufficienza renale e altre complicanze. Per questo è fondamentale individuarla precocemente e trattarla in modo corretto. Diagnosticarla significa migliorare la salute non solo del fegato, ma dell’intero organismo.
Quali sono le scoperte più rilevanti del suo lavoro?
Negli ultimi anni abbiamo dimostrato, grazie a studi clinici e meta-analisi, che la Masld è un vero “campanello d’allarme” per la salute generale, soprattutto nei pazienti con diabete mellito. Inoltre, stiamo studiando come l’impatto dei nuovi farmaci per il diabete, come ad esempio gli agonisti del recettore, possano contribuire a ridurre il grasso nel fegato e soprattutto la fibrosi.
Che impatto può avere tutto questo sulla vita dei cittadini?
Un impatto molto concreto: diagnosi più precoci, prevenzione più efficace, terapie più mirate. Significa evitare complicanze gravi, ridurre il peso delle malattie croniche e migliorare la qualità della vita di migliaia di persone sul nostro territorio e non solo.
Perché ha deciso di fare ricerca? Cosa suggerisce ai giovani che desiderano investire in questa professione?
Ho scelto di fare ricerca perché, fin dall’inizio del mio percorso, ho capito che curare un singolo paziente è un privilegio, ma generare nuova conoscenza che possa migliorare la salute di migliaia o milioni di persone è una responsabilità altrettanto importante. La ricerca è il modo più diretto per trasformare le intuizioni cliniche in evidenze, per colmare i vuoti di conoscenza e per dare un contributo concreto all’avanzamento della medicina e della cultura. È un percorso non facile, che richiede rigore, curiosità e capacità di mettersi in discussione, ma restituisce la soddisfazione di vedere un’idea trasformarsi in risultati che possono cambiare la pratica clinica.
Ai giovani direi prima di tutto voglio dire di coltivare la passione. La medicina è una professione straordinaria, ma richiede dedizione e un forte senso di responsabilità. Non basta essere bravi ed acculturati: bisogna essere motivati, empatici e disposti ad ascoltare e ad imparare continuamente. Suggerisco anche di non aver paura della ricerca: non è qualcosa di distante dalla clinica, ma è ciò che permette alla clinica di progredire. Consiglio anche di cercare buoni mentori, come è successo a me con il professor Giovanni Targher. Un mentore può dare la direzione, aiutare a evitare errori inutili e, soprattutto, trasmettere quell’entusiasmo che rende sostenibile un percorso che è sì impegnativo e faticoso, ma anche molto gratificante.
(Da UnivrMagazine 2 dicembre 2025)

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