All'AD Piccinini il premio "Imprenditore per il Bene Comune" di Cattolica Assicurazioni

L’Amministratore Delegato della Cittadella della Carità, di cui fa parte anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria,  Mario Piccinini è stato insignito del premio “Imprenditore per il Bene Comune”, istituito da Cattolica Assicurazioni e dedicato “agli imprenditori italiani, del mondo profit e non profit, che si sono distinti per la propria capacità di orientare l’impresa al bene, coniugando mercato, sostenibilità, profitto e solidarietà”.

Il premio che rappresenta l’albero della Dottrina Sociale, opera del maestro orafo Moreno Paluan

L’Amministratore Delegato della Cittadella della Carità, di cui fa parte anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria,  Mario Piccinini è stato insignito del premio “Imprenditore per il Bene Comune”, istituito da Cattolica Assicurazioni e dedicato “agli imprenditori italiani, del mondo profit e non profit, che si sono distinti per la propria capacità di orientare l’impresa al bene, coniugando mercato, sostenibilità, profitto e solidarietà”.

La cerimonia di consegna si è tenuta nella serata di venerdì 24 novembre in Fiera, a Verona, nell’ambito del tredicesimo Festival della Dottrina Sociale .

Questa la motivazione del Premio, consegnato al dottor Piccinini dal dottor Piero Fusco – Responsabile del Business Unit Enti Religiosi e Terzo Settore di Cattolica Assicurazioni:

“La gestione della Cittadella della Carità è l’obiettivo a cui Mario Piccinini ha dedicato la vita professionale col desiderio di fare bene il Bene. Innovazione, organizzazione, tecnologie, competenze diffuse e formazione continua sono strumenti non finalizzati alla mera cura della malattia ma a porre la Persona al centro di una relazione di cura e di amore. Viene così custodita l’originaria missione di San Giovanni Calabria, che Mario condivide con tutto il personale”

Gli altri imprenditori premiati sono:

Susanna Martucci, Fondatrice di Alisea (Vicenza); Massimo Mercati, Amministratore Delegato di Aboca (Sansepolcro, Arezzo); Gaetano Giunta, Fondatore e Segretario Generale di Fondazione Messina (Messina); Stefano Petrillo, Fondatore e Amministratore Delegato di Enjoy Investment (Segrate, Milano); Roberto Cimberio, Amministratore Delegato della Cimberio Spa (San Maurizio D’Opaglio, Novara).

 


Il dottor Giancarlo Gorgoni protagonista del Festival del Futuro

Dal 23 al 25 novembre di terrà al Teatro Ristori di Verona, la quinta edizione del Festival del Futuro, l’appuntamento sui grandi temi del presente e del futuro. Tra i relatori anche il dottor Giancarlo Gorgoni, direttore dell’Officina Radiofarmaceutica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Tema dell’intervento: “La medicina dentro l’atomo”. Il dottor Gorgoni spiegherà cos’è e come nasce un radiofarmaco e le sue applicazioni nella diagnosi e nella cura delle malattie. Il Festival è aperto a tutti.

“Fra globalizzazione e frammentazione” è titolo del Festival del Futuro 2023 che quest’anno si tiene per la prima volta al Teatro Ristori di Verona dal 23 al 25 novembre. Giunto alla sua quinta edizione, la tre giorni presenta un programma ricco di conferenze e workshop basati, come da tradizione, sui principali Macrotrends elaborati da Harvard Business Review Italia, promotore dell’evento insieme al Gruppo editoriale Athesis e a Eccellenze d’Impresa.

Il titolo prende spunto dagli ultimi eventi che hanno interessato la scena mondiale e che impongono una revisione delle prospettive sul medio e lungo termine in molti campi: scientifico-tecnologico, socio-politico ed economico-finanziaria, con ripercussioni sul futuro del mondo del lavoro.

Sul palco si succederanno relatori del mondo istituzionale, della ricerca, dell’impresa e dell’economia tra cui il dottor Giancarlo Gorgoni, direttore dell’Officina Radiofarmaceutica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Il suo intervento – venerdì 24 novembre alle 12 – verterà sull’applicazione delle radiazioni per la diagnosi e la cura delle malattie e in particolare sui radiofarmaci.

La partecipazione al Festival è in presenza iscrivendosi gratuitamente sul sito festivaldelfuturo.eu e via streaming su 17 piattaforme web tra cui i siti e le rispettive pagine social dei quotidiani Athesis: L’Arena, Il Giornale di Vicenza, Brescia Oggi e La Gazzetta di Mantova.


IRCCS per le malattie infettive e tropicali: tre anni di ricerca. Gli studi principali

Sul sito ww.sacrocuore ((bottone IRCCS Ricerca Clinica) è consultabile  il report dell’attività di ricerca per il triennio 2020-2023 dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali. Intervista al direttore scientifico professor Zeno Bisoffi, che illustra i progetti principali di ricerca principali

Centosessantuno pubblicazioni su riviste scientifiche internazionali per altrettanti progetti di ricerca: sono i numeri, seppur parziali, che quantificano l’attività scientifica per il triennio 2020-2022 dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria per le malattie infettive e tropicali. I contenuti dei lavori sono consultabili in un report di oltre 180 pagine, realizzato in inglese e pubblicato sul sito www.sacrocuore.it (bottone IRCCS Ricerca Clinica). Una versione più snella in italiano, fruibile anche per i non addetti ai lavori, è in fase di realizzazione.

Il carattere triennale del report risponde alla programmazione degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico stabilita dal Ministero della Salute. Con il 2023 è iniziato il terzo programma triennale di ricerca dell’IRCCS di Negrar, il cui riconoscimento è stato decretato nel maggio del 2018, mentre la riconferma dei requisiti richiesti, prevista per legge, è del luglio 2021. E’ in corso l’iter per la seconda riconferma.

Prof. Zeno Bisoffi

Prof. Pier Carlo Muzzio

Attualmente l’IRCCS comprende 38 ricercatori, di cui il 53% donne e oltre la metà under 40.  Il Full Time Equivalent (FTE) è di 18,65. “Questo significa che l’attività complessiva di ricerca è equivalente a quella di 19 ricercatori, se fossero tutti impiegati a tempo pieno nei progetti. Ma poiché quasi nessuno è full time, essendo ovviamente impegnati anche nella diagnostica e nella clinica, ognuno riserva una percentuale variabile del suo lavoro all’attività di ricerca. La “produttività” media dei nostri ricercatori è stata molto alta se confrontata con altri IRCCS”, spiega il professor Zeno Bisoffi, direttore scientifico dell’IRCCS dal 2022, dopo aver raccolto il testimone del professor Pier Carlo Muzzio “senza il cui apporto non esisterebbe l’IRCCS”.

La ricerca dell’IRCCS di Negrar è sostenuta prevalentemente da finanziamenti pubblici provenienti in particolare dal Ministero della salute, ma anche dalla Commissione europea e da altri enti, e ultimamente anche dai fondi del PNRR. “Una parte cospicua arriva però direttamente dalle persone comuni, con donazioni e soprattutto destinando il loro 5×1000. Sono pazienti, i loro familiari e altre persone che sono venute a conoscenza nel tempo del nostro ospedale. E il fatto che questi contributi abbiano avuto un rilevante aumento in pochi anni è davvero significativo”, sottolinea il direttore scientifico.

Professor Bisoffi, quale attività di ricerca è stata fatta in questo triennio?

L’attività di ricerca 2020-2022 ha riguardato due linee principali. La prima concerne la salute globale e le malattie trasmissibili, legate alla mobilità umana. La seconda, invece, ha come focus le cosiddette malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases o NTD). Entrambe fanno parte della nostra ‘ragione sociale’.

In che senso?

Il Centro per le Malattie Tropicali, dal quale ha origine l’attuale dipartimento, si è sempre occupato di patologie collegate ai viaggi e alle migrazioni. L’interesse quasi esclusivo per le malattie originarie del Sud del mondo si è poi allargato a quelle infettive in generale, ma sempre con un occhio attento alla salute globale e ai movimenti umani. La seconda linea è il nostro ‘biglietto da visita’ tanto che dal 2014 siamo Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la strongiloidosi e le altre malattie tropicali neglette.

Ogni linea di ricerca prevede alcuni macro-progetti, i quali a loro volta comprendono svariati micro-progetti. Facciamo qualche esempio?

Dott. Carlo Pomari

Guerriero Massimo
Prof. Massimo Guerriero

Il triennio comprende i terribili anni della pandemia da Covid-19, quindi era inevitabile che molte ricerche riguardassero il SARS-CoV2, studiato da tutti i punti di vista: diagnostico, terapeutico, immunologico. Ma anche epidemiologico, come lo studio “Città di Verona”, che ha analizzato l’andamento dei contagi nel comune scaligero in tutte le fasi della pandemia, dando preziose indicazioni alle autorità competenti. Ringrazio per questo il dottor Carlo Pomari (responsabile del Servizio di Pneumologia ndr) e il professor Massimo Guerriero (biostatistico ed epidemiologo, ndr) che hanno ideato il progetto e coordinato la sua attuazione pratica.

Sul fronte terapeutico su cosa si è orientata la ricerca?

Un macro-progetto della linea 1 era la valutazione dei farmaci per il trattamento del Covid-19. Tra questi ricordo il trial clinico sull’impiego dell’ivermectina nelle prime fasi della malattia, studio coordinato dal nostro IRCCS in collaborazione con l’Istituto Mario Negri. Sul farmaco, che noi tropicalisti impieghiamo da decenni per patologie come la strongiloidosi e alcune filariosi, c’era molta aspettativa, sulla base di studi in vitro. La nostra ricerca ha rilevato che con dosaggi alti la carica virale tendeva a diminuire, ma non in percentuali statisticamente significative. Apparentemente potrebbe sembrare uno studio ‘fallimentare’, ma nella ricerca i risultati negativi sono altrettanto importanti di quelli positivi. Infatti adesso sappiamo, anche grazie a altri studi, che l’ivermectina non è un trattamento indicato per il Covid. Abbiamo anche mostrato che perfino a dosi molto elevate non comporta effetti collaterali gravi, un’informazione preziosa per l’uso di questo farmaco per altre patologie.

Un trial, invece, che ha avuto ricadute molto positive è quello su un altro farmaco, l’anakinra

Dr. Andrea Angheben

Lo studio ha dimostrato che la somministrazione del principio attivo in una precisa fase dell’infezione riduce la percentuale di casi gravi e la durata di ospedalizzazione. Il trial internazionale italo-greco “Save More”, vedeva come principale investigatore il professore Evangelos J. Giamarellos-Bourboulis, dell’Università Nazionale e Capodistriana di Atene, il quale ha più volte sottolineato l’importanza e qualità della partecipazione allo studio dei colleghi del nostro reparto di Malattie Infettive e Tropicali, coordinati dal dottor Andrea Angheben. Nonostante lo tsunami che si era abbattuto sugli ospedali, hanno trovato il tempo di partecipare attivamente al trial reclutando uno dei gruppi più numerosi tra quelli dei centri italiani.

Ci sono stati studi anche sul vaccino?

Sì, studi significativi, ad esempio sulla diversa risposta immunitaria al vaccino tra coloro che non erano mai stati colpiti da Covid e coloro, invece, che avevano già avuto l’infezione. Questo è stato possibile anche grazie all’efficienza organizzativa di cui non posso non ringraziare la Direzione, il Servizio infermieristico, ma anche la straordinaria partecipazione della grande maggioranza dei dipendenti del nostro ospedale, che ci ha permesso di creare una delle poche coorti di studio sul vaccino seguite nel tempo. La ricerca, da cui sono già scaturite varie pubblicazioni, è infatti tuttora in corso.

Tra i temi più dibattuti durante la pandemia vi è stato quello sull’efficacia della mascherina, come protezione dal contagio.

Dr.esse Chiara Piubelli e Dora Buonfrate

Lo studio sulla valutazione della carica virale nei pazienti ricoverati tra fine febbraio e maggio 2020 ha suggerito indirettamente che misure quali l’uso generalizzato delle mascherine potevano essere state efficaci non solo nel ridurre il numero dei casi di malattia, ma anche la sua gravità in chi comunque si contagiava. Infatti in quell’arco di tempo si è osservato che progressivamente diminuiva la carica virale nei pazienti ospedalizzati e, parallelamente, anche la proporzione di casi gravi. Lo studio, coordinato dalla dottoresse Dora Buonfrate e Chiara Piubelli prima della pubblicazione era stato presentato in un congresso internazionale e aveva sollevato tanto interesse, che il Washington Post lo ha citato in un articolo.

Oltre al Covid, di quali altre malattie si è occupata la linea di ricerca 1?

Prof. Federico Gobbi

Dr. Concetta Castilletti

E’ stato pubblicato un lavoro, coordinato dal professor Federico Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali sul primo cluster di casi autoctoni di dengue  che si è verificato in Italia, precisamente nel Vicentino, nell’agosto del 2020. Un focolaio che si è sviluppato in una regione, il Veneto, che da oltre dieci anni promuove un programma di sorveglianza di cui Negrar è responsabile scientifico, sulle febbri estive, grazie al quale il cluster è stato controllato. Inoltre la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile del Laboratorio di Virologia e altri virus emergenti, ha pubblicato con altri autori un lavoro in cui dimostrava che il cosiddetto “vaiolo delle scimmie” (monkeypox) può essere trasmesso anche dalle persone infette, ma asintomatiche. In analogia con il Covid.

Parliamo di malattie tropicali neglette

Dr. Framcesca Tamarozzi

Una di queste è la strongiloidosi, sulla quale abbiamo raggiunto risultati davvero importanti, perché anche grazie al nostro contributo una patologia che era definita “the most neglected of the neglected tropical diseases” è ora oggetto del lavoro di un Comitato dell’OMS che ha il compito di stabilire, presumibilmente entro il 2024, le linee guida per il controllo dell’infezione a livello globale. Coordinatrice del Comitato, assieme a un collega inglese, è la dottoressa Dora Buonfrate che, unitamente alla dottoressa Francesca Tamarozzi, dirige il Centro collaboratore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cruciali sono stati i nostri studi che hanno dimostrato tra l’altro che le persone infette non sono “solo” dai 30 ai 100 milioni in tutto il mondo, bensì circa 600 milioni. Un dato importante visto che, nei casi di deficit immunitario, la strongiloidosi porta anche al decesso.

Un’altra malattia negletta di cui ci occupiamo è la schistosomiasi, tema di un progetto di ricerca, coordinato dal professor Gobbi, che coinvolge il network europeo per le malattie tropicali TropNet e anche la rete mondiale GeoSentinel.

In Occidente, dove non sono autoctone, ha senso indagare sulle malattie tropicali, per lo più neglette?

Le ragioni per farlo sono tante. Prima di tutto etiche: il fatto che alcune malattie non ci riguardino da vicino (ma la strongiloidosi, per esempio, è anche autoctona) non è un buon motivo per non occuparcene. La schistosomiasi è presente in percentuale molto alta nei migranti provenienti da alcuni paesi africani. Le persone con l’infezione, nella maggior parte dei casi, non sanno di averla, con possibili complicazioni gravi a carico del fegato, dei reni e della vescica. Se accettiamo che anche i migranti, in base ai valori della nostra Costituzione, abbianio il diritto di essere raggiunti dal Servizio Sanitario Nazionale, allora ha senso occuparci di queste malattie. Inoltre anche la dengue, per fare un altro esempio, è una patologia tropicale, ma ci interessa da vicino perché da noi è da molti anni stabilmente presente la zanzara tigre, potenziale vettore. Infine nessuno poi può dire che il Covid 19 non sia una malattia legata alla mobilità umana…

Potrebbe avere senso occuparsi di queste malattie anche per un solo calcolo economico… Spesso è una ragione più convincente dell’etica, purtroppo.

A tale proposito mi viene in mente che diversi anni fa i francesi avevano calcolato quanti trapianti di rene si sarebbero potuti evitare con lo screening e il trattamento precoce della schistosomiasi urinaria. E quindi quanti euro si sarebbero risparmiati. Tanti.

Uno dei temi caldi, e lo sarà sempre di più, è quello dell’antibiotico-resistenza.

Come Centro non abbiamo una tradizione sul monitoraggio della resistenza agli antibiotici e sulla cosiddetta stewardship antimicrobica, ma la stiamo sviluppando negli ultimi anni. Un impulso lo dà la partecipazione al progetto europeo Reverse”, coordinato per l’Italia dalla professoressa Evelina Tacconelli, ordinario di Malattie Infettive all’Università di Verona, che ha voluto coinvolgerci. E’ un progetto che ha lo scopo e l’ambizione di migliorare la gestione degli antibiotici in tutto l’ospedale. Inoltre, più recentemente, il Ministero della Salute ha approvato un nuovo progetto sulla stessa tematica, che sarà coordinato dall’Istituto Spallanzani, cui parteciperemo insieme all’Istituto Superiore di Sanità e ad altri quattro IRCCS: il Policlinico Gemelli di Roma, il Policlinico di Milano, l’Istituto Mediterraneo per i Trapianti di Palermo e l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.


Endometriosi, il "Negrar Method" vince l"Oscar" della chirurgia laparoscopica ginecologica

Lo scorso martedì 7 novembre a Nashville-Tennessee, l’équipe del dottor Marcello Ceccaroni è stata insignita del “Golden Laparoscope Award”, una sorta di Oscar, per gli addetti ai lavori, della chirurgia laparoscopica ginecologica. Ad essere premiato il video con il dottor Ceccaroni che illustra il Negrar Method, la tecnica che ha rivoluzionato la chirurgia dell’endometriosi severa, perché, pur estirpando la malattia, preserva gran parte delle terminazioni nervose deputate alla funzione vescicale, intestinale e sessuale.

Da sinistra: Marcello Ceccaroni, Giovanni Roviglione , Linda Michels e Chuck Miller rispettivamente Medical Director della AAGL e Presidente della AAGL FOUNDATION,

Per gli addetti ai lavori è come salire sul palcoscenico dell’Academy Award, ma al posto della sospirata statuetta d’oro, un tempo veniva consegnato un laparoscopio sempre nel metallo prezioso, ora sostituito con una targa. Il palcoscenico infatti è quello del congresso della AAGL (American Association of Gynecologic Laparoscopists-Elevating Gynecologic Surgery Worldwide), la società mondiale di chirurgia laparoscopica ginecologica, e quest’anno ad essere insignita dell’ambito premio il “Golden Laparoscope Award” (il 7 novembre a Nashville-Tennessee) è stata l’equipe del dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Le motivazioni del riconoscimento stanno tutte in quel “Negrar Method”, la tecnica chirurgica, ideata da Ceccaroni, che ha rivoluzionato il trattamento dell’endometriosi, essendo in grado di eradicare la malattia, risparmiando il più possibile le terminazioni nervose (viene infatti definita nerve-sparing) dedicate alle funzioni vescicali, dell’intestino e sessuali. Tanto che uno studio ha dimostrato che grazie a questa metodica chirurgica le conseguenze post-operatorie sono ridotte dal 36% al 5%.

Il dottor Ceccaroni nel ricevere la targa era rappresentato da un suo assistente, il dottor Giovanni Roviglione, che ha presentato il video premiato in cui è illustrato un intervento dello stesso Ceccaroni. “E’ inutile sottolineare quanto sia per me un onore aver ricevuto un simile riconoscimento: un traguardo emozionante, reso possibile grazie alla collaborazione con tutta la mia équipe di chirurghi e di figure professionali, compresi i consulenti di altre specialità, che lavorano presso la mia Unità Operativa”, afferma.

Dottor Ceccaroni, ripercorriamo un po’ la storia del “Negrar Method”.

E’ stato presentato ufficialmente alla comunità scientifica nel 2012 quando la rivista  Surgical Endoscopy ha pubblicato, codificata, l’intera procedura chirurgica che da quel momento è stata applicata in molti centri del mondo. Ma le origini del “Negrar Method” risalgono ai primi anni 2000 quando sono partito per Parigi dove all’Université Renè Descartes ho effettuato studi su dissezione su cadavere che hanno dato vita nel 2006 all’ancora unico testo-atlante di anatomia chirurgica sull’innervazione viscerale e somatica della pelvi femminile. In quegli anni mi sono occupato inoltre di anatomia comparata su maiali, conigli, topi e mi sono immerso in modo maniacale negli studi, anche sui testi antichi, che riguardano le scoperte anatomiche, a cominciare dai trattati di Leonardo che per primo ha disegnato il nervo sciatico.

Perché è così importante conoscere l’innervazione pelvica nel trattamento chirurgico dell’endometriosi?

E’ fondamentale. Nel 10-20% dei casi in generale e in circa l’80% delle pazienti trattate in Centri di riferimento come il nostro, l’endometriosi si presenta nella sua forma severa, cioè infiltrante. In questi casi, il tessuto endometriosico, (un tessuto patologico simile all’endometrio, la cui sede naturale è nell’utero e si sfalda ad ogni mestruazione,) infiltra non solo le ovaie o le tube, ma anche organi come ad esempio l’intestino, la vescica, gli ureteri, tutti avvolti a loro volta da terminazioni nervose che ne regolano la funzionalità. Se con l’obiettivo di eradicare la malattia, si procede chirurgicamente senza “mettere in salvo” la maggior parte dei nervi, si rischiano importanti conseguenze post-chirurgiche che hanno un impatto pesante sulla qualità di vita della donna, come la mancanza di controllo degli sfinteri o disfunzioni sessuali. La chirurgia nerve-sparing come il “Negrar Method”, invece, utilizzando “vie anatomiche strategiche” identifica e isola i nervi preservandone il maggior numero possibile, pur agendo radicalmente sulla malattia. Abbiamo dimostrato che con il nostro metodo la percentuale delle conseguenza post-operatorie è diminuita dal 36% al 5%.

A quale studio si riferisce?

A vari, ma in particolare al nostro ultimo studio, “Space Odyssey” pubblicato alcuni mesi fa sulla rivista Journal of Minimally Invasive Gynecology. Lo studio ha riguardato 3.050 casi di eradicazione chirurgica dell’endometriosi con resezione intestinale, trattati dal 2004 al 2020 dalla Ginecologia di Negrar. Si tratta della più grande casistica a livello mondiale, dalla quale emerge che la nostra tecnica riduce drasticamente le disfunzioni post-operatorie. Dal 36%, appunto, a meno del 5%. Prossimamente sarà pubblicato un secondo articolo, con la casistica “depurata” degli interventi effettuati prima dell’introduzione della tecnica, che potrebbero influire negativamente sulla percentuale di conseguenze post-operatorie e aggiunta la casistica degli interventi fino al 2022. Sicuramente non si potrà mai arrivare alla percentuale dello zero di disfunzioni post-operatorie, se non con la diagnosi precoce della malattia, perché l’endometriosi sempre infiltra in qualche modo i nervi. Ma la percentuale del 5% è straordinaria; vuol dire, considerando la nostra casistica, che abbiamo evitato che più di mille donne vedessero stravolgere ulteriormente la loro vita.

La chirurgia è l’unica terapia per l’endometriosi?

Assolutamente no. In un mondo ideale la chirurgia per l’endometriosi non dovrebbe esistere, e la sola terapia dovrebbe essere quella farmacologica che nei primi stadi di malattia garantisce una buona qualità di vita. Ma una identificazione precoce della malattia non sarà possibile fin tanto che ci vorranno dai 7 ai 10 anni in media per una diagnosi. Il ritardo diagnostico è dovuto a molti fattori a cominciare da quello culturale, che vede ancora nel dolore mestruale, uno dei sintomi principali della malattia, qualcosa di fisiologico ed inevitabile. Inoltre i medici, a cominciare dai pediatri di libera scelta o dai medici di medicina generale, punti di riferimento diretti della paziente, non hanno spesso sufficienti strumenti o requisiti per individuare la malattia. Infine se ne parla ancora troppo poco nonostante in Italia le donne che soffrono di endometriosi siano 3milioni e 150 milioni in tutto il mondo con costi umani, sociali (pensiamo ai giorni di scuola e lavorativi persi) e sanitari. Per questo anche la mia équipe ed io siamo stati impegnati, con la collaborazione di associazioni di pazienti, come APE (Associazione Progetto Endometriosi) all’interno di un progetto di Agenas, non solo in corsi di formazione con medici di base e ginecologi del territorio, ma anche in momenti informativi e divulgativi per esempio nelle scuole. Perché come spesso sono solito dire: “L’unica cura, è la cultura”.


Focus sui tumori ginecologici eredo-familiari: all'IRCCS di Negrar l'esperta internazionale, Esther Oliva

Giovedì 9 e venerdì 10 novembre a Negrar si tiene un incontro scientifico sulla Ginecopatologia, con la presenza, come relatrice, della professoressa Esther Oliva, una delle massime esperte di diagnosi e ricerca sui tumori ginecologici. Focus sulle neoplasie eredo-familiari, sulle nuove entità tumorali e sull’adenocarcinoma della cervice uterina

Prof.ssa Esther Oliva

Sarà una delle massime esperte internazionali in diagnosi e ricerca dei tumori ginecologici, Esther Oliva, la relatrice principale della due giorni dedicata al tema della Ginecopatologia che si terrà all’IRCCS di Negrar giovedì 9 e venerdì 10 novembre (qui il programma e modialità di iscrizione). L’incontro, che vede come responsabile scientifico la dottoressa Anna Pesci, medico dell’Anatomia Patologica, diretta dal professor Giuseppe Zamboni, sarà focalizzato sulle neoplasie che insorgono nell’ambito di una sindrome genetica e sulle nuove entità tumorali ginecologiche descritte dopo l’ultima classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a cui ha collaborato anche la professoressa Oliva. Una sessione sarà dedicata all’adenocarcinoma della cervice uterina, un tumore che nell’80% dei casi è associato al papilloma-virus e che pertanto può essere prevenuto con il vaccino contro il virus dell’HPV.

Originaria di Barcellona, la professoressa Oliva è docente di Patologia all’Harvard Medical School e vicedirettore del Dipartimento di Patologia del Massachusetts General Hospital di Boston. Allieva di tre “giganti” della Ginecopatologia – Robert E. Scully, Robert H. Young e Jaime Prat – è stata, prima segretaria donna della Società Internazionale di Patologia Ginecologica e codirettrice del Master in Ginecologia dell’Accademia di Patologia degli Stati Uniti e del Canada. Fa parte del comitato editoriale delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali ed è autrice di 150 articoli, oltre che di numerosi libri.

Anna Pesci, anatomopatologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr.ssa Anna Pesci

La nostra collaborazione con la professoressa Oliva è ormai consolidata da tempo non solo in ambito scientifico ma  anche diagnostico per i casi più complessi”, afferma la dottoressa Pesci. “Personalmente anche di recente ho trascorso dei periodi come fellow presso il suo Dipartimento, frequentato da sempre da ricercatori provenienti da ogni parte del mondo per l’enorme casistica del centro e per le grandi doti di insegnamento della professoressa”.

L’incontro è il terzo organizzato a partire dal 2007, rappresentando la ginecologia una parte importante dell’attività diagnostica e di ricerca del “Sacro Cuore Don Calabria”, centro di eccellenza per le neoplasie del tratto genitale femminile oltre che per l’endometriosi. “L’obiettivo della due giorni di studio è quello, anche attraverso il confronto su casi istologici inviati dai partecipanti e dalla Oliva, di giungere a diagnosi sempre più precise in generale e nell’ambito dei tumori ginecologici ereditari”, precisa l’anatomopatologa.

Le neoplasie ginecologiche eredo-familiari sono numerose. Le più note sono il tumore dell’ovaio, dovuto all’alterazione dei geni BRCA1 e BRCA2, e quello all’endometrio che si può sviluppare in un contesto di sindrome di Lynch, caratterizzata dalla mutazione di alcuni geni deputati alla correzione degli errori che si verificano nel DNA delle cellule in fase di divisione. “L’individuazione di queste alterazioni nel tessuto tumorale è fondamentale innanzitutto per la paziente – sottolinea dottoressa Pesci – in quanto oggi disponiamo di farmaci “bersaglio” per determinate alterazioni molecolari. Ma anche per i familiari della paziente perché queste alterazioni sul tessuto tumorale possono sottendere la presenza delle medesime nel sangue e quindi una sindrome genetica. Le mutazioni genetiche ereditarie   comportano un   rischio superiore rispetto alla popolazione di sviluppare il tumore durante la vita. Parliamo di ereditarietà del rischio, non della malattia”

L’individuazione di tumori che possono insorgere in sindrome genetica richiedono centri specializzati. “Innanzitutto di un Laboratorio di Patologia molecolare dotato di alta professionalità e di sequenziatori di ultima generazione, presenti entrambi all’ospedale di Negrar – prosegue -. Tra le professionalità è strategica la presenza nel centro di un genetista oncologo (per informazioni 045.601.3548, ndr).  Il patologo individua la mutazione sul tumore e poi indirizza la paziente al genetista oncologo che inizierà un percorso di consulenza genetica proponendo il test germinale sulla base della storia oncologica personale e familiare.  Fondamentale è poi la collaborazione con il ginecologo oncologo per la gestione dei familiari sani ma portatori di mutazione al fine della scelta delle più opportune strategie clinico-terapeutiche”.

 


Bronchiolite: contro il virus RSV un vaccino e un farmaco in attesa di approvazione definitiva

E’ ancora sospesa l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) del primo vaccino contro l’RSV, Abrysvo e dell’anticorpo monoclonale nirsevimab, la cui immissione in commercio è già stata autorizzata dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) alcuni mesi fa. Il vaccino protegge per l’80% dalla malattia grave e non solo i neonati, ma anche gli adulti con malattie croniche respiratorie

Influenza, Covid e virus respiratorio sinciziale (RSV). Sono questi i maggiori ospiti indesiderati delle stagioni fredde. Per l’influenza e il Covid disponiamo già dell’arma per eccellenza della prevenzione, cioè i vaccini, per l’RSV, responsabile della bronchiolite nei bambini, si dovrà ancora attendere. Infatti è ancora sospesa l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) del primo vaccino contro l’RSV, Abrysvo e dell’anticorpo monoclonale nirsevimab, la cui immissione in commercio è già stata autorizzata dall’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) alcuni mesi fa.

L’approvazione di AIFA non riguarda l’efficacia e la sicurezza di entrambi i farmaci, ma il costo, in corso di negoziazione con le aziende produttrici, per renderli rimborsabili dal Servizio Sanitario Nazionale.

Dr. Paolo Bonetti

“L’avvento del primo vaccino contro l’RSV è fondamentale per la prevenzione di questo virus che da novembre ad aprile può mettere a dura prova i reparti e le terapie intensive pediatriche, come è accaduto nei mesi invernali di quest’anno quando abbiamo registrato un picco di ricoveri in tutta Italia”, afferma il dottor Paolo Bonetti, direttore della Pediatria. “A Negrar – prosegue – ci sono stati 99 ricoveri per bronchiolite, di cui 71 concentrati tra dicembre 2022 e gennaio 2023. E non sono stati pochi i piccoli pazienti che hanno necessitato di un supporto ventilatorio maggiore”.

Abrysvo (Pfizer) deve essere somministrato alle donne al terzo trimestre di gravidanza; in questo modo, acquisendo gli anticorpi dalla madre, il bambino è protetto dalla nascita per 6 mesi. Il vaccino agisce stimolando il sistema immunitario a produrre anticorpi contro la proteina F del virus, quella che consente all’agente patogeno di legarsi alle cellule, causandone l’infezione, e conferisce una protezione dalla malattia grave di circa l’80%. La profilassi vaccinale è indicata non solo per i bambini (attraverso l’immunizzazione della madre) ma anche per gli adulti oltre i 60 anni, in particolare per coloro che sono affetti da patologie che l’RSV potrebbe riattivare, come la BPCO, broncopnumopatia cronica ostruttiva, o peggiorare.

Rimane al palo anche l’utilizzo dell’anticorpo monoclonale nirsevimab (Senofi-Astra Zeneca) indicato per tutti i neonati, a differenza del palivizumab, già in commercio da alcuni decenni, riservato ai lattanti a rischio a causa della prematurità o per altre patologie. “Gli anticorpi monoclonali – sottolinea il dottor Bonetti – determinano una immunizzazione passiva (vengono somministrate proteine ‘già pronte’ per una difesa contro il virus), mentre il vaccino Abrysvo attiva il sistema immunitario perché ‘si armi’ e protegga autonomamente l’organismo dal patogeno”.

Ogni anno il virus respiratorio sinciziale colpisce nel mondo circa 33 milioni di bambini, provocandone il ricovero di 3,2 milioni e il decesso di oltre 100mila, concentrati soprattutto nei Paesi in via di sviluppo.

“L’RSV determina un’infezione virale che può colpire in qualsiasi stagione della vita, ma la clinica dipende dall’età del paziente – prosegue il pediatra – Nell’adulto sano si manifesta con un banale raffreddore. Nel bambino in età scolare può dare una sintomatologia respiratoria simil-influenzale. Diventa più pericoloso sotto i due anni di età e soprattutto sotto l’anno, perché provoca la bronchiolite”.

Si tratta di un’infiammazione dei bronchioli, la parte terminale delle vie respiratorie, che causa una produzione importante di muco, tale da non consentire il passaggio fisiologico di ossigeno e che determina la comparsa di difficoltà alla respirazione. Si stima che il 20% dei bambini infettati da RSV e che sviluppano la bronchiolite deve ricorrere alle cure ospedaliere per la somministrazione di ossigeno. Dei ricoverati, il 5% necessita l’intubazione in Terapia Intensiva.

“La disponibilità di un vaccino contro la bronchiolite è fondamentale – sottolinea il pediatria -. E’ una patologia per cui non disponiamo di una terapia farmacologica specifica. Nei casi più gravi deve essere affrontata con un supporto ventilatorio, che se non invasivo deve essere somministrato nei reparti o nelle terapia sub intensive, se invasivo nelle terapie intensive, sempre pediatriche, di cui in Italia disponiamo pochi posti letto. Aree che quest’anno sono andate particolarmente sotto pressione per l’alta diffusione del virus, causata dal cosiddetto “immunity gap”, cioè il deficit immunitario legato alle misure di contenimento del virus SARS-Cov2. Le mascherine e il distanziamento sociale che ci hanno protetto dal Covid, hanno impedito che le future mamme venissero il contatto con RSV sviluppando gli anticorpi che nel caso contrario avrebbero trasmesso ai loro figli. Il vaccino naturalmente – conclude il dottor Bonetti – assume ulteriore importanza nei Paesi in via di sviluppo, in cui la bronchiolite è ancora causa di numerosi decessi dovuti a un’insufficiente assistenza pediatrica”.

 

 


Avviso di selezione per la copertura di un posto di Biotecnologo

La selezione del candidato è funzionale e finalizzata alle attività del progetto “Hub Life Science – Diagnostica Avanzata (HLS-DA), PNC-E3-2022-23683266 – CUP: B93C22001840001 finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del Piano Nazionale Complementare Ecosistema Innovativo della Salute” – Codice univoco investimento: PNC-E.3. L’obiettivo principale del progetto è quello di potenziare i gruppi di ricerca italiani all’avanguardia nel settore della diagnostica sviluppando un approccio integrato basato su biomarcatori molecolari e di imaging avanzato per sviluppare una medicina personalizzata, innovativa per una diagnosi precoce, prevenzione e monitoraggio dei farmaci nelle malattie umane.

L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), riconosciuto dal Ministero della Salute con Decreto del 23 maggio 2018 nella disciplina “Malattie infettive e tropicali”.

La selezione del candidato è funzionale e finalizzata alle attività del progetto “Hub Life Science – Diagnostica Avanzata (HLS-DA), PNC-E3-2022-23683266 – CUP: B93C22001840001 finanziato dal Ministero della Salute nell’ambito del Piano Nazionale Complementare Ecosistema Innovativo della Salute” – Codice univoco investimento: PNC-E.3. L’obiettivo principale del progetto è quello di potenziare i gruppi di ricerca italiani all’avanguardia nel settore della diagnostica sviluppando un approccio integrato basato su biomarcatori molecolari e di imaging avanzato per sviluppare una medicina personalizzata, innovativa per una diagnosi precoce, prevenzione e monitoraggio dei farmaci nelle malattie umane.

REQUISITI DI AMMISSIONE

A supporto delle attività di tale progetto, l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha necessità di reclutare una figura professionale in possesso dei seguenti requisiti:

Obbligatori:

  • Laurea Magistrale in Biotecnologie Mediche (LM9); in caso il candidato abbia conseguito il titolodi studio all’estero dovrà allegare la dichiarazione di valore in loco rilasciata dalle RappresentanzeDiplomatiche Italiane all’ estero.
  • Almeno due anni di esperienza nell’ambito della Patologia Molecolare.
  • Almeno due pubblicazioni come co-autore su riviste internazionali nell’ambito Oncologico.

Preferenziali:

  • Tesi di Laurea Magistrale di tipo sperimentale di ambito Oncologico.
  • Aver superato l’Esame di Stato per l’abilitazione alla professione di Biologo.
  • Esperienza e conoscenza specifica delle piattaforme di Next Generation Sequencing (NGS) edapplicazione di tali tecnologie nell’ambito dei tumori solidi.
  • Conoscenza dei principali Software di analisi dati NGS.
  • Buona conoscenza della lingua inglese.
  • Età inferiore ai 30 anni.

DESCRIZIONE DELLE ATTIVITA’

  • Estrazione di acidi nucleici da materiale FFPE (Formalin-Fixed, Paraffin-Embedded) e da campioni di plasma (Liquid Biopsy).
  • Applicazione di metodiche di sequenziamento genomico mediante piattaforme di Next Generation Sequencing (NGS)
  • Analisi dei dati ottenuti.•Organizzazione e partecipazione agli eventi inerenti al progetto in presenza o da remoto

TERMINI E MODALITA’ DI PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA

Le domande di partecipazione alla selezione dovranno pervenire entro e non oltre le ore 12:00 del 25/11/2023, attraverso trasmissione al seguente indirizzo di posta elettronica: segreteriascientificairccs@sacrocuore.it. Il candidato/a avrà cura di specificare nell’oggetto del proprio invio la seguente dicitura:
“Domanda di partecipazione per la selezione di un Biotecnologo – RIF PNC – INNOVA”
La domanda dovrà contenere:

  • un dettagliato e aggiornato CV, datato e sottoscritto, attestante le attività formative e professionali, redatto in lingua italiana con specifica autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi dell’art.13 del GDPR 679/16;
  • ogni documento o dichiarazione comunque utile ai fini delle valutazioni da parte della Commissione esaminatrice.

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria non assume alcuna responsabilità per la mancata ricezione della domanda nel termine previsto.
Saranno prese in considerazione unicamente le domande complete della documentazione richiesta e trasmesse secondo la modalità indicata.

MODALITA’ DI SELEZIONE E PROCEDURA DI VALUTAZIONE
L’individuazione del soggetto con cui instaurare il rapporto oggetto della presente selezione, avverrà attraverso una valutazione comparativa dei candidati per titoli e colloquio orale, operata da una Commissione esaminatrice.La Commissione provvederà preliminarmente all’esame delle domande di partecipazione pervenute, verificandone i requisiti di ammissibilità e provvederà successivamente alla valutazione dei titoli dei candidati.La valutazione della Commissione esaminatrice consisterà nell’esame del curriculum formativo del candidato e in un colloquio, entrambi volti ad accertare il possesso delle conoscenze necessarie per l’espletamento delle linee di ricerca che interessano il Progetto di cui in premessa. La valutazione dei titoli terrà conto della comprovata specializzazione professionale, culturale e scientifica desumibile dalla formazione universitaria e postuniversitaria.Successivamente al colloquio orale, verrà elaborato un verbale di valutazione dei candidati e l’approvazione della graduatoria di merito da parte della commissione di valutazione.Saranno ammessi al colloquio orale, unicamente i candidati in possesso dei requisiti di ammissione richiesti.

TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI
I dati personali, obbligatoriamente forniti, saranno trattati nel rispetto del D. Lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che adegua il Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196) alle disposizioni del Regolamento (UE) 2016/679, e solo per gli adempimenti connessi alla presente procedura e per quelli conseguenti all’eventuale costituzione del rapporto, secondo quanto anche previsto nell’informativa privacy, che dovrà essere accettata da ogni candidato contestualmente all’invio della propria domanda di partecipazione.


La chirurgia toracica adotta il robot Da Vinci Xi: vantaggi per il paziente

Dopo l’impiego nella chirurgia urologica, generale, bariatrica e ginecologica, da alcune settimane il sistema robotico è entrato anche nelle sale operatorie della Chirurgia Toracica, diretta dal dottor Diego Gavezzoli. Con il robot Da Vinci sono stati eseguiti interventi per tumori del mediastino, del polmone, della parete toracica, e per patologie benigne (relaxatio diaframmatiche ed endometriosi toracica) Tipologia di interventi per i quali l’impiego del robot è un valore aggiunto a vantaggio del paziente

Gavezzoli Diego
Dr. Diego Gavezzoli

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria estende l’utilizzo del robot chirurgico Da Vinci Xi anche all’ambito toracico. Dopo l’impiego nella chirurgia urologica, generale, bariatrica e ginecologica, da alcune settimane il sistema robotico è entrato anche nelle sale operatorie della Chirurgia Toracica, diretta dal dottor Diego Gavezzoli.

Con il robot sono stati eseguiti interventi per tumori del mediastino, del polmone, della parete toracica, e per patologie benigne (relaxatio diaframmatiche ed endometriosi toracica).

“Si tratta di una tipologia di interventi per i quali l’impiego del robot chirurgico è di fatto un valore aggiunto rispetto alla chirurgia toracoscopica”, sottolinea il dottor Gavezzoli. “Infatti lo spazio molto delimitato in cui è collocato il mediastino e la forma a cupola del diaframma consentono di esaltare al massimo le caratteristiche del robot. Queste sono la magnificazione dell’immagine dovuta a una visione tridimensionale del campo operatorio, invece che bidimensionale come per la toracoscopia, e la mobilità a 360° dei bracci robotici, che permettono una migliore manipolazione degli strumenti e quindi un più preciso atto chirurgico”.

Essendo una chirurgia mini-invasiva, come la toracoscopia, vengono evitate le ampie incisioni toraciche (sono praticati solo tre o quattro forellini) e la divaricazione delle costole, come avveniva nella chirurgia open. Questo si traduce in un minore dolore post operatorio, nella diminuzione dei giorni di degenza, in una più rapida ripresa delle attività quotidiane e in una migliore resa estetica.

Mediastino: il tumore più frequente è il timoma

Il tumore più frequente del mediastino è il timoma, che colpisce il timo, una ghiandola endocrina del sistema immunitario, che si trova appunto sul mediastino anteriore. La ghiandola è coinvolta nella maturazione e nel rilascio nel sangue dei linfociti T, un particolare tipo di globuli bianchi. I tumori del timo vengono definiti rari in quanto rappresentano meno dell’1% di tutte le neoplasie e hanno un’incidenza di circa 0.15 casi ogni 100mila persone. 

Il timoma è un tumore essenzialmente benigno, anche se pur crescendo lentamente può invadere la pleura e i polmoni e interessare i linfonodi regionali o più distanti”, prosegue il chirurgo. “Per questo è indicata l’asportazione chirurgica. Inoltre nel 30-40% dei casi il timoma si associa alla miastenia gravis, una patologia autoimmune, responsabile di un indebolimento dei muscoli volontari che comporta un generale e cronico stato di affaticamento. Le fasce muscolari più colpite sono quelle del collo, delle braccia e delle gambe. Ma anche gli occhi, con la caduta delle palpebre e la visione offuscata e doppia, il volto e la gola, con abbassamento della voce e difficoltà di deglutizione”.

L’asportazione del timo non oncologica

Per questo nel caso di dimiastenia gravis, l’asportazione del timo, viene eseguita anche senza la presenza di una patologia oncologica. Il timo è una ghiandola che raggiunge il suo massimo sviluppo fino alla fase puberale, per poi regredire trasformandosi in tessuto adiposo. Si è visto che nei pazienti con miastenia gravis questo processo di regressione non avviene completamente, al contrario la ghiandola inizia a produrre autoanticorpi che bloccano l’attività dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore che normalmente controlla il funzionamento dei muscoli.

Asportando il timo i sintomi dovuti alla miastenia si attenuano tanto che molti pazienti riducono i farmaci necessari per il controllo della malattia e in alcuni casi può associarsi anche la remissione completa della patologia autoimmune”, sottolinea il chirurgo.

I carcinomi del timo

Il 5-10% dei tumori del timo sono carcinomi, caratterizzati da maggiore aggressività e quindi da più rapida diffusione in altre sedi. In questi casi il trattamento chirurgico quando possibile è sempre indicato, ma oltre la chirurgia, (che rimane il gold standard), può richiedere una terapia sistemica (chemioterapia) associata o meno a terapia locale (radioterapia).

“In tutti questi casi l’ausilio del robot in chirurgia toracica comporta grandi vantaggi con risultati chirurgici comparabili a quelli ottenuti con le tecniche tradizionali standard – conclude il dottor Gavezzoli -. Inoltre il suo utilizzo è sicuro, efficace e con un minor impatto sulla qualità di vita del paziente rispetto alla procedure chirurgiche standard”.


Medici dall'Ucraina per studiare come funziona la Riabilitazione al Sacro Cuore

Sono arrivati dalla città di Ivano-Frankivsk, nella zona occidentale dell’Ucraina, per studiare l’organizzazione del “Sacro Cuore” e in particolare il reparto di Riabilitazione. Si tratta di quattro medici, tra cui la direttrice sanitaria dott.ssa Ruslana Ivanochko, e un fisioterapista della St. Luke’s Clinic, struttura sanitaria che fa riferimento alla locale arcidiocesi della chiesa greco-cattolica ucraina, dove presto verrà aperto un nuovo reparto di Riabilitazione con l’obiettivo primario di curare i pazienti rimasti vittima della guerra.

Il gruppo è stato a Negrar dal 9 al 14 ottobre per studiare la realtà dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Ad accompagnarli la dottoressa Elena Rossato, direttore della Riabilitazione, con il coordinatore del Servizio Massimo Mengalli e con il dottor Claudio Bianconi, referente per i progetti sanitari internazionali dell’Opera Don Calabria.

L’incontro con la direzione

Molto intenso il programma della visita, che ha visto anche un incontro con la direzione dell’ospedale al gran completo nella giornata di martedì 10 ottobre.

Nel corso delle giornate è stato dedicato del tempo alla conoscenza degli spazi e delle tecnologie all’avanguardia utilizzate nei vari reparti e soprattutto nella Riabilitazione, con discussione di casi clinici e dei progetti riabilitativi. Alcuni interventi hanno riguardato più in generale l’organizzazione dell’ospedale, come quello di Sara Camparsi, responsabile dell’Ufficio di Gestione, e del dottor Davide Brunelli, vice-direttore sanitario, sul tema delle infezioni ospedaliere.


Tumori: radioterapia di ultra-precisione si sincronizza con il respiro. All’IRCCS di Negrar i primi due test clinici al mondo con RM ad alto campo.

Grazie a un software integrato e intelligente, la radioterapia di ultra-precisione, guidata da risonanza magnetica ad alto campo, diventa ancora più efficiente: il software infatti “aggancia” la lesione tumorale e si sincronizza con il respiro del paziente, facendo sì che i raggi vengano erogati solo quando il tumore è nel mirino ed eliminando di fatto la probabilità di colpire i tessuti sani attorno. Al Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata di Negrar i primi due casi clinici al mondo su due pazienti affetti da tumore alla prostata e al fegato

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria amplia i confini della radioterapia di ultra-precisione contro i tumori: per la prima volta al mondo è stato applicato alla radioterapia guidata da risonanza magnetica ad alto campo (1,5 Tesla usata anche a scopo diagnostico) il “gating automatico”, un software che consente di seguire il respiro del paziente e colpire con il fascio di radiazioni ionizzanti la lesione tumorale solo quando è perfettamente “nel mirino”.

Il sistema, che di fatto elimina la possibilità di coinvolgimento dei tessuti sani, è stato impiegato dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), diretto da Filippo Alongi, professore ordinario all’Università di Brescia, unico a disporre del nuovo software assieme all’Università dell’Iowa negli Stati Uniti. Ad essere trattati due pazienti con tumore alla prostata e al fegato,

L’acceleratore lineare Unity

L’intervento, i cui risultati sono stati presentati all’ultimo congresso dell’American Society for Therapeutic Oncology and Radiology (ASTRO) di San Diego del 1-4 ottobre, è stato possibile grazie all’applicazione del nuovo software (il “gating automatico”) a Unity, l’acceleratore lineare integrato con risonanza magnetica ad alto campo di cui il Dipartimento di Negrar dispone dal 2019. La combinazione con la Risonanza Magnetica, capace di immagini ad altissima risoluzione, fa di Unity una delle apparecchiature più efficienti e precise in radioterapia per la cura dei tumori.

“Il ‘gating automatico’ è una tecnica che sincronizza il macchinario per radioterapia con il respiro del paziente, grazie a un software che ‘aggancia’ il bersaglio tumorale e consente di colpirlo solo in determinate fasi del respiro stesso, quando è perfettamente nel mirino”, spiega il professor Alongi. “Si tratta della prima volta al mondo che un sistema di questo genere viene associato a una radioterapia guidata da risonanza magnetica ad alto campo, che, offrendo immagini ad alta risoluzione prima e durante ogni seduta, è già in grado di indirizzare con precisione millimetrica dosi di radiazione tali da neutralizzare le cellule tumorali, con il minimo coinvolgimento dei tessuti sani. Con il nuovo software – sottolinea – questa precisione aumenta ulteriormente, consentendo di trattare al meglio anche tutti i bersagli tumorali in movimento. Alcuni organi del torace e dell’alto addome, per esempio il pancreas, il fegato e i polmoni – prosegue – si muovono infatti anche in conseguenza del ritmo respiratorio e ciò modifica la posizione della lesione tumorale e degli organi sani circostanti durante la seduta: queste continue incertezze di movimento riducono, nella radioterapia convenzionale, la possibilità di usare dosi di raggi più intense ed efficaci. Grazie al ‘gating automatico’, invece, il fascio di radiazioni viene sincronizzato con il respiro e viene istantaneamente bloccato se il tumore esce dal mirino”. 

Nel caso invece degli organi pelvici, come la prostata, “Unity” è in grado di interrompere il fascio di radiazioni se ci sono dei movimenti inconsulti del paziente o ad esempio delle modifiche del riempimento e svuotamento degli organi limitrofi alla ghiandola prostatica, bersaglio del trattamento.

“La precisione di Unity ha consentito di proporre sempre di più protocolli di trattamento con un minor numero di sedute rispetto alla radioterapia convenzionale – specifica Alongi -. All’IRCCS di Negrar sono già stati trattati in questo modo oltre 900 pazienti e sono stati pubblicati diversi report internazionali che evidenziano come questa tecnica sia ben tollerata e molto efficace per il trattamento di alcune neoplasie, soprattutto dell’ambito pelvico, come il tumore della prostata. Con la tecnica di “gating” avremo un ulteriore miglioramento: la calibrazione del fascio di raggi diventa ancora più fine, perché si sincronizza anche al respiro. Con la collaborazione da parte del paziente e pochi minuti in più per ogni seduta, si può gestire il movimento respiratorio e colpire con le radiazioni solo nella fase in cui sono indirizzate sul tumore e non sugli organi sani”.