Cambiano gli orari di Ostetricia: il papà può stare in reparto tutto il giorno

Con la fine dell’emergenza Covid, anche l’Ostetricia di Negrar amplia gli orari d’ingresso/permanenza dei neopapà o della persona scelta dalla puerpera per l’assistenza. Una sola persona può entrare o restare accanto alle neomamma dalle 10 alle 21, tutti i giorni.

 

Con la fine dell’emergenza Covid, anche l’Ostetricia di Negrar amplia gli orari d’ingresso/permanenza dei neopapà o della persona scelta dalla puerpera per l’assistenza. Una sola persona può entrare o restare accanto alle neomamma dalle 10 alle 21, tutti i giorni.
Alla persona deputata all’assistenza viene effettuato il tampone Covid19 al momento del ricovero della partoriente, che potrà essere ripetuto secondo le disposizioni della direzione sanitaria. Inoltre è richiesto il rispetto delle regole anti-Covid19 (mascherina e igiene delle mani). Il papà o un’altra persona può rimanere durante il travaglio-parto e poi nelle successive prime due ore dopo la nascita. In seguito dovrà essere rispettato l’orario indicato.
Sempre grazie alla fine dell’emergenza, sono ripresi anche:
  • Incontro informativo su “allattamento ed organizzazione del Punto Nascita”
  • Incontro con l’anestesista
  • Incontro con il pediatra

Per ulteriori informazioni: clicca qui

          

 


Giornata mondiale contro il cancro: il diritto di tutti ad avere le migliori cure

Il 4 febbraio è la Giornata mondiale contro il cancro, che quest’anno ha adottato lo slogan “Close the care gap”, colmiamo il divario di cura. Sono 10 milioni nel mondo le persone che muoiono ogni anno per neoplasie maligne. Decessi che in più della metà dei casi (65%) si verificano nelle parti meno sviluppate del mondo. Tuttavia anche nei Paesi a più alto reddito esistono ancora delle diseguaglianze tra le comunità meno abbienti, indigene, immigrate e rurali. Nella stessa Italia ci si ammala di più al Nord ma la prognosi è peggiore al Sud

 

“Close the care gap”, colmiamo il divario di cura, è slogan scelto per la Giornata mondiale contro il cancro, nata il 4 febbraio del 2000 al Vertice mondiale contro il Cancro per il Nuovo Millennio che si è tenuto a Parigi. Da allora l’Unione per il controllo internazionale del cancro (UICC), la più grande organizzazione mondiale contro le patologie tumorali, opera per ridurre il peso in termini di vite umane e di spesa sanitaria del cancro a livello globale, per promuovere una maggiore equità nelle cure e per garantire che il controllo del cancro continui ad essere una priorità nell’agenda mondiale per la salute e lo sviluppo.

Sono 10 milioni nel mondo le persone che muoiono ogni anno per neoplasie maligne, più che per l’HIV/AIDS, per la malaria e per la tubercolosi messi insieme. Si prevede che nel 2030 le morti saliranno a 13 milioni.

Decessi che in più della metà dei casi (65%) si verificano nelle parti meno sviluppate del mondo. Tuttavia anche nei Paesi a più alto reddito esistono ancora delle diseguaglianze tra le comunità meno abbienti, indigene, immigrate e rurali. Nella stessa Italia ci si ammala di più al Nord ma la prognosi è peggiore al Sud. Da qui la necessità di colmare il divario di cura, come recita lo slogan della 23esima Giornata Mondiale contro il cancro. Un accesso equo alla prevenzione, alla diagnosi, al trattamento e alle terapie può salvare tante vite umane, perché più di un terzo dei casi di cancro può essere prevenuto; un altro terzo può essere curato se individuato precocemente e trattato adeguatamente. Servono quindi maggiori investimenti in ricerca e in assistenza, ma anche una maggiore diffusione della cultura della prevenzione che passa dagli stili di vita e dall’adesione agli screening (in Italia per il tumore della mammella, per il cancro alla cervice e per il cancro del colon-retto).

La situazione in Italia

Secondo “I numeri del cancro in Italia 2022” – il censimento redatto dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), dall’Associazione Italiana Registri Tumori AIRTUM, dalla Fondazione AIOM, dall’Osservatorio Nazionale Screening (ONS), da Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia (PASSI), da PASSI d’Argento e dalla Società Italiana di Anatomia Patologica e di Citologia Diagnostica (SIAPeC-IAP) – nel 2022, in Italia, sono state stimate 390.700 nuove diagnosi di cancro (nel 2020 erano 376.600), 205.000 negli uomini e 185.700 nelle donne. In due anni, l’incremento è stato di 14.100 casi. Il tumore più frequentemente diagnosticato lo scorso anno è il carcinoma della mammella (55.700 casi, +0,5% rispetto al 2020), seguito dal colon-retto (48.100, +1,5% negli uomini e +1,6% nelle donne), polmone (43.900, +1,6% negli uomini e +3,6% nelle donne), prostata (40.500, +1,5%) e vescica (29.200, +1,7% negli uomini e +1,0% nelle donne).

La pandemia ha determinato, nel 2020, un calo delle nuove diagnosi, legato in parte all’interruzione degli screening oncologici e al rallentamento delle attività diagnostiche, ma oggi si assiste alla ripresa dei casi di cancro come in altri Paesi europei. Ripresa che rischia di peggiorare, se non si pone un argine agli stili di vita scorretti: il 33% degli adulti è in sovrappeso e il 10% obeso, il 24% fuma e i sedentari sono aumentati dal 23% nel 2008 al 31% nel 2021.

Dall’altro lato, va letta positivamente la ripresa dei programmi di screening, tornati nel 2021 ai livelli prepandemici, in particolare quello mammografico ha raggiunto la copertura del 46%, per il colon-retto del 30% e per la cervice uterina del 35%. Alla riattivazione dei programmi di prevenzione secondaria corrisponde un incremento del numero di interventi chirurgici per cancro del colon-retto e della mammella, anche in stadio iniziale.

Il Cancer Care Center dell’Ospedale di Negrar

Nel marzo del 2016 è stato formalizzato, con l’attivazione del Numero Verde per la Cura del Tumore (800 143 143), il Cancer Care Center, un modello organizzativo multidisciplinare strutturato come una rete trasversale ai Dipartimenti, alle Unità Operative e ai Servizi coinvolti nell’iter diagnostico-terapeutico del paziente adulto con diagnosi di tumore. Il CCC è il naturale evolversi di una struttura ospedaliera, come quella del “Sacro Cuore Don Calabria”, che dispone di tutte le Specialità e i Servizi per la presa in carico del paziente oncologico.

Ne fanno parte in modo diretto le Unità Operative e i Servizi qui sotto elencati (nella foto i direttori), ma la rete trasversale è indirettamente molto più ampia in quanto il paziente affetto da neoplasia, proprio per la sua condizione clinica, necessita di cure e trattamenti che possono andare al di là dello stretto ambito oncologico.

L’IRCCS di Negrar nel 2021 è entrato a far parte di Alleanza Contro il Cancro, la più grande rete di ricerca oncologica italiana. E’ in corso l’iter di accreditamento del Cancer Center con l’OECI, l’Organizzazione europea degli Istituti Oncologici. Nel 2021 sono stati 16.691 i pazienti oncologici che si sono riferiti al nostro Ospedale.              

 

Oncologia Medica (dr.ssa Stefania Gori)

Ginecologia (dr. Marcello Ceccaroni)

Urologia (dr. Stefano Cavalleri)

Chirurgia Toracica (dr. Diego Gavezzoli)

Radioterapia Oncologica (prof. Filippo Alongi)

Medicina Nucleare (dr. Matteo Salgarello)          

Endocrinologia (dr.ssa Maria Pina Iagulli)

Chirurgia Generale (dr. Giacomo Ruffo)                                        

Farmacia ospedaliera (dr.ssa Teresa Zuppini)

Radiologia (dr. Giovanni Foti)          

 

Anatomia Patologica (prof. Giuseppe Zamboni)

Chirurgia Plastica (dr. Cesare Cristofoli)

Otorinolaringoiatria (dr. Sergio Albanese)

Pneumologia (dr. Carlo Pomari)

Chirurgia Senologica (dr. Alberto Massocco)

Gastroenterologia (dr. Paolo Bocus)

Riabilitazione Oncologica (dr.ssa Elena Rossato)

Radiofarmacia con Ciclotrone (dr. Giancarlo Gorgoni)

Psiconcologia (dr. G. Deledda)

Dermatologia (dr.ssa F. Tomelleri)               

 

Oncologia Medica (dr.ssa Stefania Gori)

Ginecologia (dr. Marcello Ceccaroni)

Urologia (dr. Stefano Cavalleri)

Chirurgia Toracica (dr. D. Gavezzoli)

Radioterapia Oncologica (Prof. F. Alongi)

Medicina Nucleare (dr. M. Salgarello)          

Endocrinologia (dr.ssa M.P. Iagulli)

Chirurgia Generale (dr. Giacomo Ruffo)                                        

Farmacia ospedaliera (dr.ssa T. Zuppini)

Radiologia (dr. G. Foti)Dermatologia (dr.ssa F. Tomelleri)               

 

Anatomia Patologica (prof. G. Zamboni)

Chirurgia Plastica (dr. C. Cristofoli)

Otorinolaringoiatria (dr. S. Albanese)

Pneumologia (dr. C. Pomari)

Chirurgia Senologica (dr. A. Massocco)

                                      Gastroenterologia (dr. P. Bocus)

Riabilitazione Oncologica (dr.ssa E. Rossato)

                                       Radiofarmacia con Ciclotrone (dr. G. Gorgoni)

Psiconcologia (dr. G. Deledda)

Dermatologia (dr.ssa F. Tomelleri)               

 


Il 3 febbraio si prega per gli operatori sanitari: diretta nazionale Youtube dall'ospedale di Negrar

Venerdì 3 febbraio, in preparazione alla Giornata del malato, l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ospita la preghiera per i curanti. L’iniziativa della Conferenza Episcopale Italiana sarà trasmessa in diretta su Youtube e coinvolgerà in tutta Italia solo quattro strutture sanitarie

 

In occasione della XXXI Giornata mondiale del malato, che si celebra sabato 11 febbraio, l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ospita, venerdì 3 febbraio, la preghiera di ringraziamento per i curanti. Si tratta di un’iniziativa promossa dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Cei e coinvolge in tutta Italia, oltre all’Ospedale di Negrar, altre tre strutture sanitarie: la Fondazione Piccola Opera Charitas di Giulianova (Teramo), Civico-Di Cristina–Benfratelli di Palermo e l’Ospedale-Fondazione Santa Lucia di Roma.

La preghiera sarà trasmessa in diretta sul canale Youtube @CeiSalute (www.youtube.com/ceipastorale della salute) con inizio alle 16. A ciascun ospedale è stata affidata una parte dell’adorazione eucaristica dal titolo “Invece un Samaritano”, dalla parabola del Vangelo di Luca, in cui Gesù svela il vero significato del comandamento “Ama il prossimo come te stesso”.

La Cappella dell’Ospedale Don Calabria

La diretta da Negrar si terrà nella cappella dell’Ospedale Don Calabria dove il Centro di pastorale ospedaliera animerà il il primo quarto d’ora di preghiera e tutti i canti del pomeriggio.

Don Miguel Tofful

“Don Calabria chiamava il medico “pietoso Samaritano” ed esortava ‘a pregare molto perché il divino medico Gesù illumini il medico terreno nella cura…’”, afferma il vicepresidente dell’IRCCS di Negrar, don Miguel Tofful. “Noi preghiamo il Signore anche per ringraziarlo dell’operato di quanti si dedicano ogni giorno alla cura di coloro che soffrono a causa della malattia. Non solo medici, ma anche infermieri, operatori socio-sanitari, volontari che frequentano i nostri ospedali e le nostre case di riposo. Li abbiamo considerati eroi durante la pandemia, ma adesso sembra che insieme al Covid si sia affievolita la doverosa riconoscenza che dobbiamo a tutti gli operatori sanitari. Quando invece sono costantemente a servizio della nostra salute”.

 

 


Giornata mondiale delle malattie tropicali neglette: incontro OMS all'IRCCS di Negrar

Il 30 gennaio è la Giornata mondiale delle malattie tropicali neglette e l’IRCCS di Negrar, dal 2014 Centro collaboratore dell’OMS proprio per queste patologie, sarà protagonista di un incontro di due giorni (30-31 gennaio) del Gruppo Tecnico dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla malattia di Chagas. Sono oltre miliardo le persone colpite nel mondo da queste malattie, concentrate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Ma nemmeno l’Italia ne è immune: sono 4mila le diagnosi all’anno, con un sommerso 10 volte superiore

 

Colpiscono nel mondo oltre un miliardo di persone e causano più di mezzo milione di morti l’anno, senza contare le invalidità permanenti. Hanno nomi a volte impronunciabili: strongiloidosi, echinococcosi, dengue, chikungunya, lebbra, schistosomiasi… Sono le malattie tropicali neglette, un gruppo eterogeneo di 20 patologie, molte delle quali a carattere infettivo, causate da virus, batteri, funghi e tossine. Neglette, perché sono malattie “dimenticate” dall’agenda politica e anche dalla ricerca scientifica, “invisibili” all’opinione pubblica e diffuse soprattutto tra le popolazioni povere e marginalizzate, che vivono in Paesi in via di sviluppo. Ma anche l’Italia non è immune con oltre 4000 casi l’anno, sottostimati rispetto alla reale incidenza, che è almeno 10 volte di più, collocando il nostro Paese al 4° posto per diffusione dopo Inghilterra, Francia e Germania.

Per migliorare la conoscenza, il monitoraggio e la gestione di queste patologie, in particolare la malattia di Chagas, di cui l’Italia è il 2° Paese in Europa per numero di casi, in occasione della Giornata Mondiale del 30 gennaio, all’IRCCS Negrar si terrà un incontro internazionale del Gruppo Tecnico Informazione-Educazione-Comunicazione dell’OMS sulla patologia endemica nell’America Latina continentale. La mancata attenzione nei confronti delle patologie infettive ‘dimenticate’ infatti aumenta il rischio che anche i Paesi non endemici ne siano interessati: in Italia si è già verificata un’epidemia autoctona di dengue e due di chikungunya. Inoltre nel periodo della pandemia sono ricomparsi tra gli anziani casi gravi di strongiloidosi, una parassitosi a cui è positivo poco meno dell’ l’1% degli over 65 italiani.

Dr.ssa Dora Buonfrate

Questa patologia è stata inserita nell’elenco delle malattie tropicali neglette grazie al contributo dell’IRCCS di Negrar che negli ultimi dieci anni ha diagnosticato varie centinaia di casi, registrando la più alta casistica in Italia e una delle maggiori in Europa”, spiega Dora Buonfrate, medico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e direttrice del Centro collaboratore OMS per la strongiloidosi e altre malattie tropicali neglette. Le persone positive al parassita responsabile di strongiloidosi sono in maggioranza anziani che vi sono venuti in contatto nei decenni scorsi, camminando a piedi scalzi in campagna o toccando terriccio contaminato da feci umane, due evenienze oggi molto meno probabili. I sintomi possono essere banali, come un semplice prurito, ma se il paziente è immunodepresso la malattia può peggiorare fino a diventare fatale: è il rischio che è stato corso da alcuni durante la pandemia, quando in molti anziani le terapie cortisoniche per Covid-19 hanno abbassato le difese immunitarie e ‘slatentizzato’ la strongiloidosi. Un’adeguata sorveglianza e la diagnosi precoce sono le armi per combattere questa, ma anche le altre malattie tropicali neglette”.

Federico Gobbi, infettivologo IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Federico Gobbi

La Giornata mondiale e l’incontro all’IRCCS di Negrar hanno proprio lo scopo di aumentare le conoscenze sulle malattie ‘dimenticate’, che sono provocate da agenti differenti (virus, batteri, parassiti) ma sono accomunate dall’essere più diffuse in zone povere, specialmente tropicali, con scarse risorse. “Tuttavia proprio la pandemia ci ha insegnato che la salute e la malattia oggi sono da considerare fenomeni globali: una patologia presente in una parte del mondo può rapidamente ‘viaggiare’ e raggiungere qualsiasi altro luogo grazie alla mobilità di persone, alimenti, animali e con l’aiuto del cambiamento climatico”, aggiunge Federico Gobbi, direttore dello stesso Dipartimento e professore associato di Malattie Infettive all’Università di Brescia. “Anche per questo l’OMS nella sua roadmap 2021-2030 prevede la riduzione del 90% del numero di persone che necessitano di interventi per le malattie tropicali neglette e del 75% della disabilità indotta da tali malattie, che è spesso grave, oltre che l’eliminazione di almeno due delle 20 patologie dimenticate, dracunculiasi e framboesia. Diminuire le infezioni e la circolazione delle malattie con un adeguato monitoraggio è infatti necessario per ridurre il pericolo a livello globale”.

Dr. Andrea Angheben

L’incontro sarà poi l’occasione per fare il punto soprattutto sulla malattia di Chagas, il ‘killer silenzioso’ che uccide ogni anno 12.000 persone nel mondo contagiandone dai 6 ai 7 milioni. “Questa infezione viene trasmessa da una cimice presente nei Paesi dell’America Latina continentale, ma anche per via materno-infantile e attraverso trasfusioni di sangue o trapianti di organi”, spiega Andrea Angheben, responsabile clinico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali. La malattia di Chagas in Centro America uccide più della malaria, ma non può essere considerata un pericolo lontano perché può arrivare ovunque con i viaggi internazionali: per questo uno screening per le malattie tropicali neglette in categorie a rischio come viaggiatori internazionali o migranti è considerato fondamentale ed è anche meno costoso di quanto sarebbe necessario spendere, poi, per curare un paziente che manifestasse una patologia. Il Centro di Negrar prevede metodi diagnostici specifici e percorsi clinici assistenziali dedicati che sono frutto di anni di gestione di queste malattie, ma percorsi altrettanto adeguati non sono facilmente reperibili altrove in Italia”.

“Per questo sarebbe opportuno anche aumentare le conoscenze nel settore, creando nella università di medicina una specialità della salute globale, i cui esperti possano misurarsi con le sfide di un mondo sempre più globalizzato, trovando anche le risposte più adeguate per limitare le future epidemie e pandemieconclude Gobbi.

 


La solidarietà concreta di san Giovanni Calabria per il popolo ebraico

Il giorno dopo l’approvazione delle leggi razziali don Giovanni Calabria si recò in visita dal Rabbino Capo di Verona per esprimere tutto il proprio dolore per l’ingiustizia subita dal popolo ebraico. E anche durante la guerra non fece mai mancare il suo sostegno agli amici ebrei, alcuni dei quali trovarono rifugio nelle case dell’Opera. Ne parliamo in occasione della giornata della Memoria della Shoah

«Solo la carità, la vera carità che tutti abbraccia perché tutti figli di Dio, può salvare la povera umanità, che si trova sull’orlo della rovina. Oggi con l’approvazione del mio Padre spirituale, mi sono portato dal Rabbino di Verona, per dire tutto il mio dolore, per la prova che subisce il popolo ebreo. Vi era la sua signora, che gradì molto il pensiero».

A scrivere queste parole è don Giovanni Calabria sul suo diario in data 18 novembre 1938. Il giorno prima, 17 novembre, era entrato in vigore il Regio Decreto n. 1728 contenente provvedimenti per la difesa della razza italiana. In altre parole, le leggi razziali contro gli ebrei. Don Calabria non aveva perso tempo e si era recato immediatamente dal Rabbino Capo di Verona, dott. Ermanno Friedenthal, per esprimergli tutta la propria solidarietà. E non lo aveva fatto di nascosto, lui che era solito agire con umiltà e nel nascondimento. Invece leggiamo nelle cronache che si era recato dal Rabbino su una carrozza trainata da cavalli, un mezzo che al tempo sicuramente non passava inosservato, a testimoniare la sua volontà di compiere un gesto simbolico.

In occasione della giornata della memoria della Shoah, che ricorre il 27 gennaio, la figura del santo sacerdote veronese merita senz’altro di essere ricordata per le azioni concrete che fece a sostegno degli amici ebrei in quei tempi difficili. Fin da bambino don Calabria aveva frequentato ed apprezzato persone di religione ebraica e questo legame si era rafforzato nel tempo anche quando, dopo aver fondato l’Opera dei Buoni Fanciulli, egli era stato tra i pionieri del dialogo ecumenico e interreligioso.

Neanche durante la guerra don Calabria fece mancare la sua vicinanza al popolo ebraico. Molto significativa, in tal senso, è la vicenda della dottoressa ebrea Mafalda Pavia. La signora era figlia di Caliman Clemente Pavia, un ufficiale medico che era stato diretto superiore, oltre che amico, del giovane Calabria durante il servizio di leva all’ospedale militare di Verona. Alla fine del 1943 la dottoressa Pavia, al tempo un’affermata pediatra, si recò a San Zeno in Monte da don Calabria per chiedere aiuto. Alcuni giorni prima, infatti, era stato diramato un ordine di Polizia che prevedeva di avviare tutti gli ebrei residenti sul territorio nazionale verso appositi campi di concentramento. Don Calabria la accolse nel suo studio e si attivò immediatamente.

La dottoressa Pavia (prima a sinistra) insieme alla nota scrittrice Liliana Tedeschi all’inizio degli anni Sessanta

Pochi giorni dopo la dottoressa entrò come “Suor Beatrice” nella Casa delle Povere Serve della Divina Provvidenza di Roncà, nell’est veronese. Rimase là al sicuro fino al termine del conflitto. Da questa vicenda nacque una profonda amicizia tra i due protagonisti, tanto che la testimonianza della dottoressa Pavia fu molto importante nel cammino che portò alla canonizzazione di don Calabria.

Ma la Pavia non fu l’unica ebrea accolta da don Calabria nelle sue case durante il conflitto. Sempre a Roncà, ad esempio, entrarono i fratelli Enzo ed Enrico Basevi, che durante la loro permanenza nell’Istituto per evitare persecuzioni da parte dei fascisti saranno promossi, per l’occasione, “Aspiranti alla vita religiosa laicale» e assumeranno il cognome di Pizzighella. Altri furono salvati, a Verona e in altre città dove l’Opera era presente, come a Roma.

 

L’attestato consegnato dalle Comunità Israelitiche Italiane all’Istituto Don Calabria nel 1955

Il legame con il popolo ebraico non venne mai meno neanche dopo la fine della guerra, tant’è vero che ai funerali di don Calabria, il 7 dicembre 1954, partecipò anche il rabbino di Verona, dottor Weiss Levi, a nome di tutta la comunità ebraica scaligera. E l’anno dopo, nel decennale della Liberazione, l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane volle dare una pergamena all’Istituto, con la dedica: “Gli Ebrei d’Italia riconoscenti”.

 

* Per approfondire: L. Piovan e M.P. Pelloso, “Shalom Beatrice”, Lettere di una “medichessa” ebrea a un Santo”, Editrice Ave, 2000

** Nella foto di copertina: don Calabria insieme ai Novizi di Roncà nel 1944 (tra loro anche due fratelli ebrei che erano stati accolti per sfuggire alle persecuzioni dei nazifascisti)


Ha il nome di un mostro, ma Kraken sembra meno cattiva del previsto

La variante Omicron XBB.1.5 “in arte Kraken” è meno patogena di quanto sembrava dal boom di ricoveri per Covid 19 registrato intorno a Natale in alcuni Stati americani, dove è prevalente. Con le ripetute mutazioni del SARS-CoV-2 dobbiamo convivere anche con una certa serenità, perché tutte le varianti di Omicron, e sono tantissime, presentano delle mutazioni che non si discostano di molto una dall’altra. Questo farebbe pensare che sia meno probabile, anche se non si può escludere, la nascita di una nuova variante più patogena.

Kraken è il gigantesco mostro marino protagonista delle leggende dei Paesi nordici. Ma nonostante il nome poco tranquillizzante con cui è stata chiamata, la “new entry” della grande famiglia del SARS-CoV-2, ennesima variante di Omicron, sembra non mordere, contrariamente alle prime ipotesi fatte alla luce dell’aumento dei ricoveri per Covid-19 negli Stati Uniti, dove in alcuni Stati è prevalente. Per ora XBB.1.5 (nome scientifico di Kraken) è poco presente in Italia –12 casi in tutto, secondo quanto rilevato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute – mentre a farla da padrona è Omicron con la sottovariante BA.5.

Dr.ssa Concetta Castilletti

“Come ogni organismo, anche i virus mutano”, sottolinea la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile del Laboratorio di virologia dell’IRCCS di Negrar. “Replicandosi velocemente danno origine a moltissime mutazioni dell’RNA. Si tratta di una sorta di ‘errori’ di replicazione, alcuni dei quali si affermano rispetto agli altri quando sono convenienti al virus stesso, cioè quando si traducono in maggior contagiosità. La sopravvivenza del virus è garantita dalla sua trasmissibilità, non dalla patogenicità, perché l’ospite, l’uomo nel caso del SARS- CoV-2, è fondamentale per la sopravvivenza del virus stesso”.

La variante Omicron risponde ad entrambe queste caratteristiche, rispetto non solo al ceppo originario del SARS-CoV-2 (Whuan), ma anche all’altra variante, la Delta. Nulla esclude, tuttavia, che l’attività di replicazione dia origine a una super variante più contagiosa ma anche più pericolosa per la salute dell’uomo. “In un primo momento Kraken sembrava più patogena – riprende Castilletti -. I dati provenienti dagli Stati Uniti, dove è prevalente in alcuni Stati, mostravano un picco di infezioni e di ricoveri intorno a Natale, poi la situazione si è normalizzata: se la variante fosse più patogena avremmo avuto un costante aumento di persone ricoverate a causa del Covid”. Un dato molto rassicurante, come è rassicurante il fatto “che tutte le varianti di Omicron, e sono tantissime, presentino delle mutazioni che non si discostano di molto una dall’altra. Questo farebbe pensare che sia meno probabile, anche se non si può escludere, la nascita di una nuova variante del SARS-CoV-2”.

Che il SARS-CoV-2 sia un virus endemico, è ormai assodato per la sua presenza in tutto il mondo. “Grazie ai vaccini e se il virus non subisce mutazioni rilevanti in senso patogeno, con il SARS-CoV-2 possiamo convivere con una certa serenità, come ci dimostrano gli attuali dati epidemiologici in costante calo. Naturalmente è necessario continuare a monitorare le varianti”, afferma la virologa.

La situazione in Cina può favorire la nascita di nuove varianti? “Le notizie che provengono dalla Cina, sicuramente parziali, descrivono le condizioni tragiche in cui si trova una popolazione non immune a causa di un lockdown draconiano seguito da improvvise aperture totali e della scarsa vaccinazione – sottolinea -. Ritengo che il problema relativo alla nascita di nuove varainti sia non tanto la elevata circolazione del virus ma il fatto che, almeno sino ad oggi e per quel che ne sappiamo, non si stia facendo un attento monitoraggio delle sequenze dell’RNA virale per valutare la comparsa di nuove varianti come invece si sta facendo in buona parte del mondo. Questo attento monitoraggio è l’unica arma che abbiamo, oltre ai vaccini, per cercare di prevenire i danni che potrebbe causare una nuova variante”


Quando il tessuto adiposo forma dei tumori, benigni, ma da tenere sotto controllo

I lipomi sono la forma più comune dei tumori benigni del tessuto adiposo, spesso danno solo fastidio o sono brutti da vedere. Il dottor Roberto Forcignanò, chirurgo plastico, ci spiega quando è bene aspotarli e quando, invece, è indicato tenerli sotto controllo. L’1% sono o si trasformano in cancro.

Il nome indica già la “materia” di cui sono fatti: si tratta dei lipomi, la forma più comune dei tumori benigni (si stima che l’1% della popolazione caucasica ne sia affetta) del tessuto adiposo (volgarmente conosciuto come grasso) ed è la condizione neoplastica non cancerosa maggiormente diffusa tra i tessuti molli.

Il lipoma si presenta alla vista come un nodulo di dimensioni medio-piccole (raramente il diametro supera i 7-8 cm) e, di solito, è circoscritto da una sottile capsula di tessuto fibroso. Quelli più comuni – lipomi superficiali sottocutanei – si manifestano appena sotto la superficie dell’epidermide e possono svilupparsi in qualunque parte del corpo che presenta tessuto adiposo, ma soprattutto nel tronco, nelle cosce e nelle braccia. Oltre ad essere ben visibili, al tatto sono mobili, morbidi e pastosi.

Altri tipi di lipomi si differenziano in base all’aspetto delle cellule che li compongono e al tipo di tessuto coinvolto oltre a quello adiposo (per esempio l’angiolipoma è costituito anche da vasi sanguigni). Esistono anche i lipomi viscerali che interessano la mammella, il rene, l’intestino e le articolazioni.

Roberto Forcignanò, chirurgo plastico Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Roberto Forcignanò

“Quando si individua sul proprio corpo una neoformazione, la prima regola è quella di andare dal proprio medico di medicina generale. Questo vale anche per i lipomi, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi siano totalmente innocui”, afferma il dottor Roberto Forcignanò, specialista della Chirurgia Plastica, di cui è responsabile il dottor Cesare Cristofoli.Il medico spesso fa eseguire un’ecografia con la quale rivolgersi al chirurgo plastico o anche a quello generale. Sarà poi lo specialista a decidere se è necessario togliere il lipoma o effettuare dei controlli periodici per monitorare la crescita del nodulo”.

Dottor Forcignanò, perché si formano i lipomi?

Le cause sono ancora sconosciute. Alcuni hanno origine traumatica: una volta riassorbito l’ematoma, lo spazio occupato dalla raccolta di sangue viene ‘riempito’ dal tessuto adiposo. Esiste invece un collegamento tra lipomatosi multipla, cioè la presenza di numerosi lipomi, con l’assunzione di alcol: si ipotizza che la comparsa di queste neoformazioni sia una sorta di allergia agli alcolici, anche se consumati in dosi minime. Ai pazienti che soffrono di lipomatosi multipla (patologia di origine familiare) consigliamo di astenersi dalle bevande alcoliche”.

E’ sempre necessario asportarli chirurgicamente?

No. Per i lipomi superficiali sottocutanei l’indicazione all’intervento dipende da vari fattori, in particolare la grandezza e la posizione. Infatti a volte possono disturbare dal punto di vista estetico se, seppur piccoli, sono sul viso o sul collo. Ma anche provocare sensazioni fastidiose: penso a quelli collocati all’altezza della vita che vengono sollecitati quotidianamente dagli indumenti. Per altri tipi di lipomi le valutazioni sono differenti. I lipomi viscerali, per esempio, vengono diagnosticati casualmente in occasione di risonanze magnetiche eseguite per altri motivi. Il più delle volte è sconsigliato l’intervento, sempre che non si verificano complicanze come nel caso del lipoma intestinale, benigno, che può però comportare sanguinamenti.

Una volta stabilito l’intervento, avviene in anestesia generale?

Anche il tipo di intervento, quindi di anestesia, è conforme alla condizione del lipoma. Si può andare dall’intervento ambulatoriale a quello in sala operatoria con anestesia generale: dipende dalla grandezza e dalla posizione. Dal punto di vista chirurgico poi si procede per escissione o lipoaspirazione.

Se il lipoma non viene asportato, può evolvendosi assumere caratteristiche di malignità?

Esiste una forma cancerosa di lipoma ed è il liposarcoma: la diagnosi di malignità emerge già dall’ecografia, approfondita poi dalla Risonanza Magnetica. Si tratta di un tumore raro (1% di tutti i lipomi) come è rara la trasformazione di un lipoma in liposarcoma, ma non può essere totalmente esclusa. Per questo è importante tenere sotto controllo il lipoma per individuare eventuali cambiamenti o alterazioni delle sue caratteristiche che potrebbero rappresentare un campanello d’allarme: la trasformazione in un massa dura e/ dolorosa; un aumento rapido di volume; la ricomparsa anche dopo l’asportazione chirurgica e altre alterazioni.

Il liposarcoma è un tumore aggressivo?

Grazie alla chirurgia e alla radioterapia oggi la sopravvivenza a 5 anni è del 90%. Fondamentale è che la massa tumorale sia asportata totalmente. Si tratta di un intervento demolitivo perché richiede anche l’asportazione del comparto, cioè il muscolo dove è ancorato il liposarcoma. La radicalità è dovuta per evitare che il residuo di cellule della neoplasia possano dare vita a metastasi.


Tumore del colon: all’IRCCS di Negrar colonscopie ad alta precisione con l’intelligenza artificiale

La colonscopia è l’esame gold standard per la prevenzione e la diagnosi del tumore del colon, che ogni anno registra 48mila nuove diagnosi. Le nuove strumentazioni sono dotate di particolari software che offrono un aiuto all’endoscopista nell’individuare con maggiore precisione i piccoli polipi e forniscono informazioni in tempo reale sulle caratteristiche di benignità/malignità.

Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva dell’IRCCS di Negrar rinnova la sua dotazione tecnologica puntando sull’intelligenza artificiale (AI), applicata alle strumentazioni per le colonscopie, l’esame gold standard per la prevenzione e la diagnosi del tumore del colon. Particolari software infatti offrono un aiuto all’endoscopista nell’individuare con maggiore precisione i piccoli polipi e forniscono informazioni in tempo reale sulle caratteristiche di benignità/malignità.

dottor Paolo Bocus

“Sperimentiamo già da tempo e con ottimi risultati l’intelligenza artificiale applicata alle strumentazione per l’enteroscopia con microcamera”, spiega il dottor Paolo Bocus, direttore del Servizio di cui è responsabile il dottor Marco Benini, “In questo caso il software è in grado di esaminare autonomamente circa 12 ore di registrazione del tratto intestinale prodotte dalla microcamera ingerita dal paziente e riconosce autonomamente eventuali fonti di sanguinamento. Di questi esami ne effettuiamo circa 50 all’anno, mentre per le colonscopie superiamo le 4mila procedure”.

dottor Marco Benini

Sono esami eseguiti in presenza di sintomi, ma soprattutto a scopo di screening (sia di primo livello sia a seguito di accertamenti dopo l’esame del sangue occulto nelle feci). Quindi diventa fondamentale la massima precisione nell’individuazione di lesioni pre-cancerose e dei cosiddetti cancri intervallo, cioè quei tumori che insorgono tra una colonscopia negativa e la successiva.

“La colonscopia è un esame operatore-dipendente ed è nota una rilevante variabilità tra gli endoscopisti documentata e documentabile dal loro diverso Adenoma Detection Rate (ADR) – spiega ancora il dottor Bocus -. Si tratta di un indice di qualità di esecuzione della procedura che è inversamente proporzionale proprio all’incidenza dei cancri intervallo. Un incremento dell’1% dell’ADR ha come conseguenza una riduzione del rischio di cancro colorettale del 3% tra una colonscopia negativa e l’altra. L’intelligenza artificiale ha proprio lo scopo di aumentare l’ADR, riducendo così il tasso di errori diagnostici e la variabilità di risultati tra gli operatori. Infatti i software segnalano in tempo reale la presenza di un polipo all’endoscopista, attraverso un alert visivo, e informano, sempre in tempo reale, sulla natura della lesione. A breve sarà possibile avere anche la percentuale di probabilità che tale diagnosi sia corretta”.

A destra marker automatici da intelligenza artificiale segnalano la presenza di micropolipi

Le nuove strumentazioni sono inoltre dotate di filtri ottici elettronici multipli in grado ad esempio di “cancellare otticamente” il sangue che limita il campo visivo per individuare esattamente il punto di emorragia.

Quello del colon-retto è uno dei tumori più diffusi nei Paesi industrializzati. In Italia con oltre 48mila nuove diagnosi nel 2022 (dati AIOM), la neoplasia colon-rettale è seconda solo a quella della mammella. “Gli studi internazionali raccomandano di eseguire la colonscopia ogni cinque anni a partire dai 50 anni, anticipando se in famiglia ci sono casi di tumore al colon-retto – sottolinea -. L’esame consente con tecniche endoscopiche sempre più avanzate di rimuovere senza intervento non solo polipi che potrebbero trasformarsi in cancro ma anche tumori in fase iniziale”.


I nostri ricercatori: "In Tanzania per le donne affette da una malattia che le priva della maternità"

La dottoressa Tamara Ursini, medico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, la scorsa estate si è recata in Tanzania per un progetto di ricerca con l’Università locale relativa alla schistosomiasi genitale, una malattia “dimenticata”, che colpisce 50 milioni di donne nel modo ed è una delle prime cause di infertilità

Dr.ssa Tamara Ursini

La ricerca nell’ambito delle malattie tropicali, oltre a una grande passione per le patologie originarie del Sud del mondo, richiede anche una certa voglia di viaggiare e un po’ di spirito di avventura. Infatti non di rado l’oggetto d’indagine si trova a migliaia di chilometri di distanza, in condizioni non del tutto agevoli. E’ il caso della dottoressa Tamara Ursini, classe 1983, pescarese, dal 2019 medico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar.

Lo studio ha come obiettivo quello di valutare l’affidabilità e l’accettabilità di test basati sulla biologia molecolare per la diagnosi della schistosomiasi genitale femminile, che probabilmente rappresenta la più negletta delle patologie ginecologiche nei Paesi tropicali colpendo una popolazione di per sé maggiormente vulnerabile (le donne). Si stima che oltre 50 milioni di donne nel mondo ne siano affette, la gran parte nei Paesi dell’Africa sub-subsahariana (Tanzania, Madagascar, Malawi, Mozambico e Sudafrica). Tale condizione, oltre a rappresentare una “via” preferenziale per l’acquisizione di infezioni a trasmissione sessuale (es. HIV), sebbene non sia compresa tra queste patologie, rappresenta una delle cause principali di infertilità femminile e dunque di stigmatizzazione sociale.

L’incapacità riproduttiva è fonte di stigma in molti Paesi del continente africano (e non solo). Le donne, temono, se ammalate, di essere respinte dal proprio partner perché sterili. Avere figli in Africa è una ricchezza in termini di riconoscimento sociale”, spiega la dottoressa Ursini.

Dottoressa, cos’è la schistosomiasi?

Si tratta di una patologia negletta causata da un elminta, lo schistosoma, che può avere manifestazioni intestinali, epatiche e uro-genitali. La trasmissione non avviene per via sessuale, ma si contrae tramite il contatto con acque dolci (fiumi o laghi) dove le larve (cercarie), rilasciate dai molluschi, penetrano la cute umana. Nell’uomo le cercarie si sviluppano in vermi adulti che, tramite il circolo sanguigno, raggiungono i plessi venosi mesenterici (dell’addome), vescicali o emorroidali. Qui le femmine producono ogni giorno diverse centinaia di uova che in parte vengono eliminate dall’uomo con feci o urina, a seconda della sede di deposizione. La schistosomiasi genitale femminile si verifica quando le uova intrappolate nei tessuti della vagina, della cervice, dell’utero e delle tube di Falloppio causano reazioni infiammatorie. Ne scaturisce un quadro simile a quello di un’infezione vaginale (con perdite genitali, sanguinamenti, dolore) che comporta, se non curata in tempo, infertilità, sub infertilità e difficoltà a portare a termine la gravidanza.

Perché può favorire l’infezione da HIV o di altre malattie a trasmissione sessuale?

Gli studi documentano che la presenza delle lesioni tipiche della schistosomiasi genitale femminile può facilitare l’acquisizione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) o di altre malattie a trasmissione sessuale incluso il papilloma virus (HPV), responsabile del cancro della cervice uterina. E’ interessante come vi sia una sovrapposizione geografica tra le aree del continente geografico ad elevata presenza di HIV e quelle con maggiore prevalenza di schistosomiasi genitale femminile.

La schistosomiasi si può curare?

Non esiste vaccino, ma abbiamo a disposizione un antielmintico, il Praziquantal, il quale però è efficace solo se somministrato prima che si sviluppino delle lesioni croniche. Quello diagnostico è il vero problema della schistosomiasi genitale femminile e il motivo per cui è una delle forme di schistosomiasi maggiormente sottostimate. Secondo l’OMS la diagnosi dovrebbe essere effettuata da un ginecologo esperto servendosi di una colposcopia e di una biopsia. Pertanto richiede expertise e strumenti difficilmente disponibili in molte zone del sud del mondo. Il nostro progetto ha come obiettivo proprio quello di validare test diagnostici facilmente impiegabili, anche attraverso auto-somministrazione.

Come si sviluppa il progetto di ricerca?

In letteratura sono già presenti dati incoraggianti riguardo l’utilizzo della biologia molecolare (PCR) per la diagnosi di schistosomiasi genitale femminile. Pertanto con il nostro partner locale, Catholic University of Health and Allied Sciences di Mwanza, abbiamo sviluppato un protocollo che prevedeva arruolamento di circa 200 donne di due villaggi rurali del distretto di Maswa. Ciascuna candidata è stata sottoposta a due tipologie di tamponi: un normale tampone cervicale effettuato da me o da un medico ginecologo con l’aiuto di uno speculum e un tampone eseguito direttamente dalle donne, adeguatamente educate da un’operatrice locale. Inoltre le donne raccoglievano un campione di urina per la ricerca delle uova di schistosoma. I tamponi sono stati congelati e saranno valutati con analisi molecolare da un nostro biologo, il dottor Salvatore Scarso, che raggiungerà la Tanzania nel mese di gennaio.

La valutazione dei test viene effettuata in funzione uno screening da proporre alla popolazione femminile a rischio?

Se i test si dimostreranno performanti potrebbero essere inseriti nell’ambito di uno screening più ampio che comprenda anche patologie a trasmissione sessuale, ad esempio l’HPV. Ma non solo: considerando che, in base ai dati di prevalenza disponibili, si stima che migliaia di donne affette da schistosomiasi genitale femminile siano presenti anche nei Paesi non endemici, i test proposti potrebbero trovare applicazione anche nei nostri contesti in particolare in quei servizi dove afferisce popolazione femminile migrante da area endemica.

In che senso?

Le donne migranti sono quotidiane presenze nei nostri ospedali, ma i ginecologi non conoscono la schistosomiasi genitale femminile, probabilmente non ne hanno mai sentito parlare. L’introduzione di questi test potrebbe portare a creare degli ambulatori ad hoc per donne migranti a cui proporre idealmente il test come screening oppure quando manifestano problemi di infertilità, ma senza una diagnosi certa e definitiva.


Prevenzione delle pandemie future: l'IRCCS di Negrar partner di un progetto finanziato dal PNRR

L’IRCCS di Negrar è partner di un progetto selezionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e finanziato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), che ha come focus le malattie infettive emergenti al fine di mettere a punto strategie per affrontare possibili pandemie future. Al progetto, coordinato dall’Università di Pavia, aderiscono  25 realtà pubbliche e private, come l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, 13 Atenei e 3 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

Dr.ssa Concetta Castilletti

L’IRCCS di Negrar è partner di un progetto selezionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e finanziato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), che ha avrà come focus le malattie infettive emergenti al fine di mettere a punto strategie per affrontare possibili pandemie future.

Il finanziamento ha dato vita alla Fondazione INF-ACT, di cui fanno parte, oltre al Sacro Cuore Don Calabria, altre 24 tra realtà pubbliche e private, come l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, 13 Atenei e 3 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

“Lo scopo è unire le competenze in una logica di “One Health”, ossia integrando aspetti di salute umana, animale e ambientale”, afferma la dottoressa Concetta Castilletti, virologa e coordinatrice del progetto per l’IRCCS di Negrar. “Come è accaduto per il SARS-CoV-2, l’interazione tra uomo e fauna selvatica è stata all’origine, con il fenomeno del salto di specie, della comparsa di un nuovo virus. Allo stesso modo i cambiamenti climatici e ambientali stanno aumentando il rischio di malattie trasmesse da vettori   prosegue -. Non a caso al progetto aderiscono anche il CNR e l’Associazione degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali”.

Al centro della sinergia operativa messa in campo dalla Fondazione INF-ACT e coordinata dall’Università di Pavia ci sono cinque tematiche principali, tre delle quali vedono l’IRCCS di Negrar parte attiva con ricerca di base e clinica.

La prima tematica riguarda i virus emergenti e riemergenti – spiega Castilletti -. Non solo quelli respiratori (SARS-CoV-2), ma anche, per esempio, gli enterovirus (come la polio che ultimamente sta destando una certa preoccupazione a causa di alcuni casi emersi in Paesi in cui era scomparsa da anni) e gli orthopoxvirus, di cui fa parte il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”. Il nostro compito sarà quello di studiare questi virus, sviluppare nuovi test diagnostici, monitorare la circolazione e la comparsa di nuove varianti”.

La seconda tematica riguarda lo studio degli insetti, che veicolano agenti patogeni, e delle malattie correlate.Forti della nostra esperienza decennale sulle arbovirosi, cioè le infezioni trasmesse da vettori come le zanzare e le zecche – prosegue la virologa – in questo ambito siamo co-leader con l’Università di Bologna, cioè avremo il compito di coordinare l’attività di tutti gli altri centri di ricerca impegnati in questa tematica. Ci occuperemo di West Nile fever (la febbre del Nilo Occidentale) autoctona nel nostro Paese, ma anche di Dengue e Chikungunya, di cui, ricordiamo, si sono verificate già epidemie in Italia. Saranno oggetto di ricerca anche parassiti che causano patologie come la Leishmaniosi”.

Infine il “Sacro Cuore Don Calabria” parteciperà alla terza tematica per lo sviluppo modelli matematici utili nell’identificazione di potenziali fattori di rischio e nella valutazione dell’impatto e dell’efficacia delle azioni di salute pubblica (come per esempio la vaccinazione). Le altre due tematiche hanno per oggetto l’antibioticoresistenza e lo sviluppo di nuove molecole ad attività antinfettiva.

Si tratta di un progetto importante e ambizioso che avrà un reale impatto scientifico. con ricadute operative e organizzative – conclude la dottoressa Castilletti –. Questo progetto mette in sinergia ricercatori e strutture con competenze differenti al fine di creare una strategia comune che ci permetta di affrontare con maggiore sicurezza e conoscenza le sfide future”.