Ha il nome di un mostro, ma Kraken sembra meno cattiva del previsto

La variante Omicron XBB.1.5 “in arte Kraken” è meno patogena di quanto sembrava dal boom di ricoveri per Covid 19 registrato intorno a Natale in alcuni Stati americani, dove è prevalente. Con le ripetute mutazioni del SARS-CoV-2 dobbiamo convivere anche con una certa serenità, perché tutte le varianti di Omicron, e sono tantissime, presentano delle mutazioni che non si discostano di molto una dall’altra. Questo farebbe pensare che sia meno probabile, anche se non si può escludere, la nascita di una nuova variante più patogena.

Kraken è il gigantesco mostro marino protagonista delle leggende dei Paesi nordici. Ma nonostante il nome poco tranquillizzante con cui è stata chiamata, la “new entry” della grande famiglia del SARS-CoV-2, ennesima variante di Omicron, sembra non mordere, contrariamente alle prime ipotesi fatte alla luce dell’aumento dei ricoveri per Covid-19 negli Stati Uniti, dove in alcuni Stati è prevalente. Per ora XBB.1.5 (nome scientifico di Kraken) è poco presente in Italia –12 casi in tutto, secondo quanto rilevato dall’Istituto Superiore di Sanità e dal ministero della Salute – mentre a farla da padrona è Omicron con la sottovariante BA.5.

Dr.ssa Concetta Castilletti

“Come ogni organismo, anche i virus mutano”, sottolinea la dottoressa Concetta Castilletti, responsabile del Laboratorio di virologia dell’IRCCS di Negrar. “Replicandosi velocemente danno origine a moltissime mutazioni dell’RNA. Si tratta di una sorta di ‘errori’ di replicazione, alcuni dei quali si affermano rispetto agli altri quando sono convenienti al virus stesso, cioè quando si traducono in maggior contagiosità. La sopravvivenza del virus è garantita dalla sua trasmissibilità, non dalla patogenicità, perché l’ospite, l’uomo nel caso del SARS- CoV-2, è fondamentale per la sopravvivenza del virus stesso”.

La variante Omicron risponde ad entrambe queste caratteristiche, rispetto non solo al ceppo originario del SARS-CoV-2 (Whuan), ma anche all’altra variante, la Delta. Nulla esclude, tuttavia, che l’attività di replicazione dia origine a una super variante più contagiosa ma anche più pericolosa per la salute dell’uomo. “In un primo momento Kraken sembrava più patogena – riprende Castilletti -. I dati provenienti dagli Stati Uniti, dove è prevalente in alcuni Stati, mostravano un picco di infezioni e di ricoveri intorno a Natale, poi la situazione si è normalizzata: se la variante fosse più patogena avremmo avuto un costante aumento di persone ricoverate a causa del Covid”. Un dato molto rassicurante, come è rassicurante il fatto “che tutte le varianti di Omicron, e sono tantissime, presentino delle mutazioni che non si discostano di molto una dall’altra. Questo farebbe pensare che sia meno probabile, anche se non si può escludere, la nascita di una nuova variante del SARS-CoV-2”.

Che il SARS-CoV-2 sia un virus endemico, è ormai assodato per la sua presenza in tutto il mondo. “Grazie ai vaccini e se il virus non subisce mutazioni rilevanti in senso patogeno, con il SARS-CoV-2 possiamo convivere con una certa serenità, come ci dimostrano gli attuali dati epidemiologici in costante calo. Naturalmente è necessario continuare a monitorare le varianti”, afferma la virologa.

La situazione in Cina può favorire la nascita di nuove varianti? “Le notizie che provengono dalla Cina, sicuramente parziali, descrivono le condizioni tragiche in cui si trova una popolazione non immune a causa di un lockdown draconiano seguito da improvvise aperture totali e della scarsa vaccinazione – sottolinea -. Ritengo che il problema relativo alla nascita di nuove varainti sia non tanto la elevata circolazione del virus ma il fatto che, almeno sino ad oggi e per quel che ne sappiamo, non si stia facendo un attento monitoraggio delle sequenze dell’RNA virale per valutare la comparsa di nuove varianti come invece si sta facendo in buona parte del mondo. Questo attento monitoraggio è l’unica arma che abbiamo, oltre ai vaccini, per cercare di prevenire i danni che potrebbe causare una nuova variante”


Quando il tessuto adiposo forma dei tumori, benigni, ma da tenere sotto controllo

I lipomi sono la forma più comune dei tumori benigni del tessuto adiposo, spesso danno solo fastidio o sono brutti da vedere. Il dottor Roberto Forcignanò, chirurgo plastico, ci spiega quando è bene aspotarli e quando, invece, è indicato tenerli sotto controllo. L’1% sono o si trasformano in cancro.

Il nome indica già la “materia” di cui sono fatti: si tratta dei lipomi, la forma più comune dei tumori benigni (si stima che l’1% della popolazione caucasica ne sia affetta) del tessuto adiposo (volgarmente conosciuto come grasso) ed è la condizione neoplastica non cancerosa maggiormente diffusa tra i tessuti molli.

Il lipoma si presenta alla vista come un nodulo di dimensioni medio-piccole (raramente il diametro supera i 7-8 cm) e, di solito, è circoscritto da una sottile capsula di tessuto fibroso. Quelli più comuni – lipomi superficiali sottocutanei – si manifestano appena sotto la superficie dell’epidermide e possono svilupparsi in qualunque parte del corpo che presenta tessuto adiposo, ma soprattutto nel tronco, nelle cosce e nelle braccia. Oltre ad essere ben visibili, al tatto sono mobili, morbidi e pastosi.

Altri tipi di lipomi si differenziano in base all’aspetto delle cellule che li compongono e al tipo di tessuto coinvolto oltre a quello adiposo (per esempio l’angiolipoma è costituito anche da vasi sanguigni). Esistono anche i lipomi viscerali che interessano la mammella, il rene, l’intestino e le articolazioni.

Roberto Forcignanò, chirurgo plastico Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Roberto Forcignanò

“Quando si individua sul proprio corpo una neoformazione, la prima regola è quella di andare dal proprio medico di medicina generale. Questo vale anche per i lipomi, sebbene nella stragrande maggioranza dei casi siano totalmente innocui”, afferma il dottor Roberto Forcignanò, specialista della Chirurgia Plastica, di cui è responsabile il dottor Cesare Cristofoli.Il medico spesso fa eseguire un’ecografia con la quale rivolgersi al chirurgo plastico o anche a quello generale. Sarà poi lo specialista a decidere se è necessario togliere il lipoma o effettuare dei controlli periodici per monitorare la crescita del nodulo”.

Dottor Forcignanò, perché si formano i lipomi?

Le cause sono ancora sconosciute. Alcuni hanno origine traumatica: una volta riassorbito l’ematoma, lo spazio occupato dalla raccolta di sangue viene ‘riempito’ dal tessuto adiposo. Esiste invece un collegamento tra lipomatosi multipla, cioè la presenza di numerosi lipomi, con l’assunzione di alcol: si ipotizza che la comparsa di queste neoformazioni sia una sorta di allergia agli alcolici, anche se consumati in dosi minime. Ai pazienti che soffrono di lipomatosi multipla (patologia di origine familiare) consigliamo di astenersi dalle bevande alcoliche”.

E’ sempre necessario asportarli chirurgicamente?

No. Per i lipomi superficiali sottocutanei l’indicazione all’intervento dipende da vari fattori, in particolare la grandezza e la posizione. Infatti a volte possono disturbare dal punto di vista estetico se, seppur piccoli, sono sul viso o sul collo. Ma anche provocare sensazioni fastidiose: penso a quelli collocati all’altezza della vita che vengono sollecitati quotidianamente dagli indumenti. Per altri tipi di lipomi le valutazioni sono differenti. I lipomi viscerali, per esempio, vengono diagnosticati casualmente in occasione di risonanze magnetiche eseguite per altri motivi. Il più delle volte è sconsigliato l’intervento, sempre che non si verificano complicanze come nel caso del lipoma intestinale, benigno, che può però comportare sanguinamenti.

Una volta stabilito l’intervento, avviene in anestesia generale?

Anche il tipo di intervento, quindi di anestesia, è conforme alla condizione del lipoma. Si può andare dall’intervento ambulatoriale a quello in sala operatoria con anestesia generale: dipende dalla grandezza e dalla posizione. Dal punto di vista chirurgico poi si procede per escissione o lipoaspirazione.

Se il lipoma non viene asportato, può evolvendosi assumere caratteristiche di malignità?

Esiste una forma cancerosa di lipoma ed è il liposarcoma: la diagnosi di malignità emerge già dall’ecografia, approfondita poi dalla Risonanza Magnetica. Si tratta di un tumore raro (1% di tutti i lipomi) come è rara la trasformazione di un lipoma in liposarcoma, ma non può essere totalmente esclusa. Per questo è importante tenere sotto controllo il lipoma per individuare eventuali cambiamenti o alterazioni delle sue caratteristiche che potrebbero rappresentare un campanello d’allarme: la trasformazione in un massa dura e/ dolorosa; un aumento rapido di volume; la ricomparsa anche dopo l’asportazione chirurgica e altre alterazioni.

Il liposarcoma è un tumore aggressivo?

Grazie alla chirurgia e alla radioterapia oggi la sopravvivenza a 5 anni è del 90%. Fondamentale è che la massa tumorale sia asportata totalmente. Si tratta di un intervento demolitivo perché richiede anche l’asportazione del comparto, cioè il muscolo dove è ancorato il liposarcoma. La radicalità è dovuta per evitare che il residuo di cellule della neoplasia possano dare vita a metastasi.


Tumore del colon: all’IRCCS di Negrar colonscopie ad alta precisione con l’intelligenza artificiale

La colonscopia è l’esame gold standard per la prevenzione e la diagnosi del tumore del colon, che ogni anno registra 48mila nuove diagnosi. Le nuove strumentazioni sono dotate di particolari software che offrono un aiuto all’endoscopista nell’individuare con maggiore precisione i piccoli polipi e forniscono informazioni in tempo reale sulle caratteristiche di benignità/malignità.

Il Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia Digestiva dell’IRCCS di Negrar rinnova la sua dotazione tecnologica puntando sull’intelligenza artificiale (AI), applicata alle strumentazioni per le colonscopie, l’esame gold standard per la prevenzione e la diagnosi del tumore del colon. Particolari software infatti offrono un aiuto all’endoscopista nell’individuare con maggiore precisione i piccoli polipi e forniscono informazioni in tempo reale sulle caratteristiche di benignità/malignità.

dottor Paolo Bocus

“Sperimentiamo già da tempo e con ottimi risultati l’intelligenza artificiale applicata alle strumentazione per l’enteroscopia con microcamera”, spiega il dottor Paolo Bocus, direttore del Servizio di cui è responsabile il dottor Marco Benini, “In questo caso il software è in grado di esaminare autonomamente circa 12 ore di registrazione del tratto intestinale prodotte dalla microcamera ingerita dal paziente e riconosce autonomamente eventuali fonti di sanguinamento. Di questi esami ne effettuiamo circa 50 all’anno, mentre per le colonscopie superiamo le 4mila procedure”.

dottor Marco Benini

Sono esami eseguiti in presenza di sintomi, ma soprattutto a scopo di screening (sia di primo livello sia a seguito di accertamenti dopo l’esame del sangue occulto nelle feci). Quindi diventa fondamentale la massima precisione nell’individuazione di lesioni pre-cancerose e dei cosiddetti cancri intervallo, cioè quei tumori che insorgono tra una colonscopia negativa e la successiva.

“La colonscopia è un esame operatore-dipendente ed è nota una rilevante variabilità tra gli endoscopisti documentata e documentabile dal loro diverso Adenoma Detection Rate (ADR) – spiega ancora il dottor Bocus -. Si tratta di un indice di qualità di esecuzione della procedura che è inversamente proporzionale proprio all’incidenza dei cancri intervallo. Un incremento dell’1% dell’ADR ha come conseguenza una riduzione del rischio di cancro colorettale del 3% tra una colonscopia negativa e l’altra. L’intelligenza artificiale ha proprio lo scopo di aumentare l’ADR, riducendo così il tasso di errori diagnostici e la variabilità di risultati tra gli operatori. Infatti i software segnalano in tempo reale la presenza di un polipo all’endoscopista, attraverso un alert visivo, e informano, sempre in tempo reale, sulla natura della lesione. A breve sarà possibile avere anche la percentuale di probabilità che tale diagnosi sia corretta”.

A destra marker automatici da intelligenza artificiale segnalano la presenza di micropolipi

Le nuove strumentazioni sono inoltre dotate di filtri ottici elettronici multipli in grado ad esempio di “cancellare otticamente” il sangue che limita il campo visivo per individuare esattamente il punto di emorragia.

Quello del colon-retto è uno dei tumori più diffusi nei Paesi industrializzati. In Italia con oltre 48mila nuove diagnosi nel 2022 (dati AIOM), la neoplasia colon-rettale è seconda solo a quella della mammella. “Gli studi internazionali raccomandano di eseguire la colonscopia ogni cinque anni a partire dai 50 anni, anticipando se in famiglia ci sono casi di tumore al colon-retto – sottolinea -. L’esame consente con tecniche endoscopiche sempre più avanzate di rimuovere senza intervento non solo polipi che potrebbero trasformarsi in cancro ma anche tumori in fase iniziale”.


I nostri ricercatori: "In Tanzania per le donne affette da una malattia che le priva della maternità"

La dottoressa Tamara Ursini, medico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali, la scorsa estate si è recata in Tanzania per un progetto di ricerca con l’Università locale relativa alla schistosomiasi genitale, una malattia “dimenticata”, che colpisce 50 milioni di donne nel modo ed è una delle prime cause di infertilità

Dr.ssa Tamara Ursini

La ricerca nell’ambito delle malattie tropicali, oltre a una grande passione per le patologie originarie del Sud del mondo, richiede anche una certa voglia di viaggiare e un po’ di spirito di avventura. Infatti non di rado l’oggetto d’indagine si trova a migliaia di chilometri di distanza, in condizioni non del tutto agevoli. E’ il caso della dottoressa Tamara Ursini, classe 1983, pescarese, dal 2019 medico del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar.

Lo studio ha come obiettivo quello di valutare l’affidabilità e l’accettabilità di test basati sulla biologia molecolare per la diagnosi della schistosomiasi genitale femminile, che probabilmente rappresenta la più negletta delle patologie ginecologiche nei Paesi tropicali colpendo una popolazione di per sé maggiormente vulnerabile (le donne). Si stima che oltre 50 milioni di donne nel mondo ne siano affette, la gran parte nei Paesi dell’Africa sub-subsahariana (Tanzania, Madagascar, Malawi, Mozambico e Sudafrica). Tale condizione, oltre a rappresentare una “via” preferenziale per l’acquisizione di infezioni a trasmissione sessuale (es. HIV), sebbene non sia compresa tra queste patologie, rappresenta una delle cause principali di infertilità femminile e dunque di stigmatizzazione sociale.

L’incapacità riproduttiva è fonte di stigma in molti Paesi del continente africano (e non solo). Le donne, temono, se ammalate, di essere respinte dal proprio partner perché sterili. Avere figli in Africa è una ricchezza in termini di riconoscimento sociale”, spiega la dottoressa Ursini.

Dottoressa, cos’è la schistosomiasi?

Si tratta di una patologia negletta causata da un elminta, lo schistosoma, che può avere manifestazioni intestinali, epatiche e uro-genitali. La trasmissione non avviene per via sessuale, ma si contrae tramite il contatto con acque dolci (fiumi o laghi) dove le larve (cercarie), rilasciate dai molluschi, penetrano la cute umana. Nell’uomo le cercarie si sviluppano in vermi adulti che, tramite il circolo sanguigno, raggiungono i plessi venosi mesenterici (dell’addome), vescicali o emorroidali. Qui le femmine producono ogni giorno diverse centinaia di uova che in parte vengono eliminate dall’uomo con feci o urina, a seconda della sede di deposizione. La schistosomiasi genitale femminile si verifica quando le uova intrappolate nei tessuti della vagina, della cervice, dell’utero e delle tube di Falloppio causano reazioni infiammatorie. Ne scaturisce un quadro simile a quello di un’infezione vaginale (con perdite genitali, sanguinamenti, dolore) che comporta, se non curata in tempo, infertilità, sub infertilità e difficoltà a portare a termine la gravidanza.

Perché può favorire l’infezione da HIV o di altre malattie a trasmissione sessuale?

Gli studi documentano che la presenza delle lesioni tipiche della schistosomiasi genitale femminile può facilitare l’acquisizione del virus dell’immunodeficienza umana (HIV) o di altre malattie a trasmissione sessuale incluso il papilloma virus (HPV), responsabile del cancro della cervice uterina. E’ interessante come vi sia una sovrapposizione geografica tra le aree del continente geografico ad elevata presenza di HIV e quelle con maggiore prevalenza di schistosomiasi genitale femminile.

La schistosomiasi si può curare?

Non esiste vaccino, ma abbiamo a disposizione un antielmintico, il Praziquantal, il quale però è efficace solo se somministrato prima che si sviluppino delle lesioni croniche. Quello diagnostico è il vero problema della schistosomiasi genitale femminile e il motivo per cui è una delle forme di schistosomiasi maggiormente sottostimate. Secondo l’OMS la diagnosi dovrebbe essere effettuata da un ginecologo esperto servendosi di una colposcopia e di una biopsia. Pertanto richiede expertise e strumenti difficilmente disponibili in molte zone del sud del mondo. Il nostro progetto ha come obiettivo proprio quello di validare test diagnostici facilmente impiegabili, anche attraverso auto-somministrazione.

Come si sviluppa il progetto di ricerca?

In letteratura sono già presenti dati incoraggianti riguardo l’utilizzo della biologia molecolare (PCR) per la diagnosi di schistosomiasi genitale femminile. Pertanto con il nostro partner locale, Catholic University of Health and Allied Sciences di Mwanza, abbiamo sviluppato un protocollo che prevedeva arruolamento di circa 200 donne di due villaggi rurali del distretto di Maswa. Ciascuna candidata è stata sottoposta a due tipologie di tamponi: un normale tampone cervicale effettuato da me o da un medico ginecologo con l’aiuto di uno speculum e un tampone eseguito direttamente dalle donne, adeguatamente educate da un’operatrice locale. Inoltre le donne raccoglievano un campione di urina per la ricerca delle uova di schistosoma. I tamponi sono stati congelati e saranno valutati con analisi molecolare da un nostro biologo, il dottor Salvatore Scarso, che raggiungerà la Tanzania nel mese di gennaio.

La valutazione dei test viene effettuata in funzione uno screening da proporre alla popolazione femminile a rischio?

Se i test si dimostreranno performanti potrebbero essere inseriti nell’ambito di uno screening più ampio che comprenda anche patologie a trasmissione sessuale, ad esempio l’HPV. Ma non solo: considerando che, in base ai dati di prevalenza disponibili, si stima che migliaia di donne affette da schistosomiasi genitale femminile siano presenti anche nei Paesi non endemici, i test proposti potrebbero trovare applicazione anche nei nostri contesti in particolare in quei servizi dove afferisce popolazione femminile migrante da area endemica.

In che senso?

Le donne migranti sono quotidiane presenze nei nostri ospedali, ma i ginecologi non conoscono la schistosomiasi genitale femminile, probabilmente non ne hanno mai sentito parlare. L’introduzione di questi test potrebbe portare a creare degli ambulatori ad hoc per donne migranti a cui proporre idealmente il test come screening oppure quando manifestano problemi di infertilità, ma senza una diagnosi certa e definitiva.


Prevenzione delle pandemie future: l'IRCCS di Negrar partner di un progetto finanziato dal PNRR

L’IRCCS di Negrar è partner di un progetto selezionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e finanziato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), che ha come focus le malattie infettive emergenti al fine di mettere a punto strategie per affrontare possibili pandemie future. Al progetto, coordinato dall’Università di Pavia, aderiscono  25 realtà pubbliche e private, come l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, 13 Atenei e 3 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

Dr.ssa Concetta Castilletti

L’IRCCS di Negrar è partner di un progetto selezionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e finanziato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR), che ha avrà come focus le malattie infettive emergenti al fine di mettere a punto strategie per affrontare possibili pandemie future.

Il finanziamento ha dato vita alla Fondazione INF-ACT, di cui fanno parte, oltre al Sacro Cuore Don Calabria, altre 24 tra realtà pubbliche e private, come l’Istituto Superiore di Sanità, il Consiglio Nazionale delle Ricerche, 13 Atenei e 3 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico.

“Lo scopo è unire le competenze in una logica di “One Health”, ossia integrando aspetti di salute umana, animale e ambientale”, afferma la dottoressa Concetta Castilletti, virologa e coordinatrice del progetto per l’IRCCS di Negrar. “Come è accaduto per il SARS-CoV-2, l’interazione tra uomo e fauna selvatica è stata all’origine, con il fenomeno del salto di specie, della comparsa di un nuovo virus. Allo stesso modo i cambiamenti climatici e ambientali stanno aumentando il rischio di malattie trasmesse da vettori   prosegue -. Non a caso al progetto aderiscono anche il CNR e l’Associazione degli Istituti Zooprofilattici Sperimentali”.

Al centro della sinergia operativa messa in campo dalla Fondazione INF-ACT e coordinata dall’Università di Pavia ci sono cinque tematiche principali, tre delle quali vedono l’IRCCS di Negrar parte attiva con ricerca di base e clinica.

La prima tematica riguarda i virus emergenti e riemergenti – spiega Castilletti -. Non solo quelli respiratori (SARS-CoV-2), ma anche, per esempio, gli enterovirus (come la polio che ultimamente sta destando una certa preoccupazione a causa di alcuni casi emersi in Paesi in cui era scomparsa da anni) e gli orthopoxvirus, di cui fa parte il cosiddetto “vaiolo delle scimmie”. Il nostro compito sarà quello di studiare questi virus, sviluppare nuovi test diagnostici, monitorare la circolazione e la comparsa di nuove varianti”.

La seconda tematica riguarda lo studio degli insetti, che veicolano agenti patogeni, e delle malattie correlate.Forti della nostra esperienza decennale sulle arbovirosi, cioè le infezioni trasmesse da vettori come le zanzare e le zecche – prosegue la virologa – in questo ambito siamo co-leader con l’Università di Bologna, cioè avremo il compito di coordinare l’attività di tutti gli altri centri di ricerca impegnati in questa tematica. Ci occuperemo di West Nile fever (la febbre del Nilo Occidentale) autoctona nel nostro Paese, ma anche di Dengue e Chikungunya, di cui, ricordiamo, si sono verificate già epidemie in Italia. Saranno oggetto di ricerca anche parassiti che causano patologie come la Leishmaniosi”.

Infine il “Sacro Cuore Don Calabria” parteciperà alla terza tematica per lo sviluppo modelli matematici utili nell’identificazione di potenziali fattori di rischio e nella valutazione dell’impatto e dell’efficacia delle azioni di salute pubblica (come per esempio la vaccinazione). Le altre due tematiche hanno per oggetto l’antibioticoresistenza e lo sviluppo di nuove molecole ad attività antinfettiva.

Si tratta di un progetto importante e ambizioso che avrà un reale impatto scientifico. con ricadute operative e organizzative – conclude la dottoressa Castilletti –. Questo progetto mette in sinergia ricercatori e strutture con competenze differenti al fine di creare una strategia comune che ci permetta di affrontare con maggiore sicurezza e conoscenza le sfide future”.


"Un anno al Sacro Cuore": in un video le immagini e gli avvenimenti del 2022

Un video per raccontare le immagini più belle e gli avvenimenti più importanti di un anno all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Da gennaio, con la presentazione della ricerca epidemiologica sul Covid-19 a Verona, fino a dicembre, con lo storico accordo per la nascita di un corso di laurea in Scienze del Farmaco a Negrar. E nel mezzo tanti altri eventi significativi che hanno coinvolto la comunità ospedaliera in questo 2022.

Attraverso questo video porgiamo a tutti i migliori auguri di un buon anno nuovo!


Influenza e bambini: anche l'alimentazione e l'inquinamento possono causa dei tanti casi di infezione

Quest’anno l’inizio della stagione influenzale ha registrato un numero dei ricoveri per le infezioni e le sue complicanze più alto tra i bambini di età compresa tra lo 0 e i 4 anni rispetto a quello relativo alle  persone di età superiore ai 65 anni. Tra le possibili cause dei numerosi casi di influenza pediatrica anche l’alimentazione e l’inquinamento

Giorgio Zavarise, Pediatra IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Giorgio Zavarise

Quest’anno l’influenza stagionale colpisce particolarmente i bambini. Un dato soltanto: a metà dicembre, i   ricoveri settimanali pediatrici registravano un aumento del 50% rispetto al picco record delle ultime sette stagioni influenzali. Insolitamente, a livello nazionale, il numero dei ricoveri per influenza, e le sue complicanze, è più alto tra i bambini dagli zero ai quattro anni  rispetto a quello relativo alle persone di età superiore ai 65 anni. Con sintomi come febbre tosse e spossatezza che durano oltre a qualche giorno.

La situazione non deve essere sottovalutata e la frase scontata “si tratta di una semplice influenza” è anacronistica. I virus a RNA, come quello dell’influenza e il virus respiratorio sinciziale (responsabile delle bronchioliti, che l’anno scorso aveva causato un picco di infezioni quasi due mesi prima del previsto) stanno negli ultimi tempi diventando più aggressivi.

Possiamo solo ipotizzare alcune spiegazioni.

  • Molte infezioni potrebbero essere dovute a un “deficit immunitario” nella popolazione, derivante dalla mancanza di esposizione – grazie alla mascherina e altre misure di contenimento del SARS-CoV-2 – all’influenza stagionale durante la pandemia di COVID-19 e alla conseguente scarsa vaccinazione.
  • Il sottotipo dominante dell’influenza di quest’anno, H3N2, è noto per causare malattie più gravi rispetto ad altri ceppi comuni.
  • È anche possibile che precedenti o concomitanti infezioni da COVID-19 siano causa di aggravamento dei sintomi provocati da altri virus respiratori, incluso quello dell’influenza.

Attualmente non è possibile ancora prevedere se il numero dei casi di influenza continuerà a salire anche per il mese di gennaio, o se il rapido aumento registrato all’inizio della stagione porterà a un calo di infezioni anticipato come era capitato nel 2021 con il virus respiratorio sinciziale

Ma perché anche i bambini con età superiore ai 4 anni si ammalano più spesso con sintomi che durano più a lungo?

Oltre alle già citate cause, potrebbero aggiungersi anche l’alimentazione e l’inquinamento.

Iniziamo dall’alimentazione che, come ormai sappiamo, influenza la nostra salute in diversi modi. Eccesso di calorie, errata distribuzione e qualità dei nutrienti e diete ricche di alimenti ultraprocessati, agiscono sulla risposta immunitaria in maniera negativa, tramite il microbiota intestinale

In particolare i cibi ultraprocessati-  ossia alimenti confezionati e pronti per essere riscaldati o consumati direttamente, frutto di ripetute lavorazioni industriali – contengono più calorie, ma saziano meno, creano dipendenza, sono povere di micronutrienti e promuovono infiammazione.

Diversi esperimenti – i cui risultati sono stati pubblicati da riviste scientifiche prestigiose –  hanno evidenziato che topi nutriti esclusivamente con cibi ultraprocessati sono più suscettibili all’infezione da virus dell’influenza rispetto ai topi nutriti con cibo semplice, riportando anche conseguenze peggiori.

Come comportarsi, quindi? Una buona regola è data dal detto: “consuma pochissimo il cibo che tua nonna o meglio la tua bisnonna non riconoscerebbe come cibo”

L’inquinamento. Il particolato atmosferico, che determina la qualità dell’aria, potrebbe fungere da carrier, ossia come vettore di trasporto, per molti virus. Ma si sospetta che possa anche potenziarne la diffusione nell’aerosol, attraverso la creazione di un microambiente adatto alla loro persistenza. L’inalazione a sua volta trasporta il particolato all’interno dei polmoni, permettendo così al virus di svilupparsi in profondità nel tratto respiratorio causando infezioni.

Se è in nostro potere uno stile di vita sano – a partire dall’alimentazione -, più difficile è incidere sul cambiamento climatico e sull’inquinamento, anche se ciascuno di noi può dare un contributo. Di certo disponiamo già di un’arma efficace contro il virus dell’influenza e le sue conseguenze ed è la vaccinazione.

Dottor Giorgio Zavarise
pediatra, specializzato in malattie infettive


Gli auguri del Casante per un Natale di pace e di speranza

Don Massimiliano Parrella, Casante dell’Opera Don Calabria, in questo video si rivolge direttamente ai collaboratori della Cittadella della Carità, agli ammalati e ai loro familiari, augurando a tutti che questo Santo Natale porti la speranza per chi soffre e la pace per chi si trova a subire le conseguenze dei conflitti, quelli grandi tra le nazioni e quelli più piccoli di ogni giorno.

Ci uniamo anche noi al Casante nel porgere a tutti i migliori auguri di un Buon Natale a nome dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Lo facciamo con il disegno a china riportato qui a fianco, e raffigurato anche nel video del Casante, realizzato da Anna, paziente tetraplegica dell’atelier di Arteterapia del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitazione. Si tratta di un lavoro ispirato a “La quercia della speranza”, scultura in ferro del maestro Marco Bonamini che rappresenta l’Opera Don Calabria e si trova nel vano luminoso centrale della Palazzina d’ingresso dell’ospedale.


Alla Cittadella della Carità Babbo Natale arriva con i Cavalieri dell'Ordine di Malta

Come l’anno scorso, l’Ordine di Malta ha consegnato agli ospiti delle strutture socio-sanitarie della Cittadella della Carità delle scatole dono, allestite da scuole, parrocchie e centinaia di volontari. Non solo regali ma un modo per stare accanto a coloro che non hanno una famiglia o non possono trascorre il Natale con i propri cari.

La sorpresa si è ripetuta anche in questo Natale per gli ospiti della Cittadella della Carità, grazie, come nel 2021, all’Ordine di Malta (delegazione di Verona, Vicenza e Trento) e alla generosità di tante persone.

Mercoledì 21 dicembre in un clima di festa sono stati consegnati ad alcuni rappresentanti degli ospiti di Casa Perez, Casa Clero e Casa Nogarè – le strutture socio-sanitarie che affiancano l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria – 220 scatole di Natale, frutto dell’intraprendenza di Anna e Barbara, due signore di Vicenza che da tre anni danno vita a un progetto nato in Francia (Boîtes de Noël) ed esportato in Italia nel 2019 dalla milanese Marion Pizzato.

Anna e Barbara, a loro volta, hanno coinvolto parrocchie, scuole e decine di volontari che hanno confezionato, da veri elfi di Babbo Natale, i doni. Semplici scatole da scarpe adeguatamente adornate, dove è stato collocato qualcosa di “caldo” (guanti, sciarpe, maglioni…), qualcosa di “goloso” (biscotti, cioccolatini, dolci…), un passatempo e un prodotto di igiene/bellezza. Le scatole sono state poi prese in carico e portate a Negrar dal Corpo di Soccorso e alla Delegazione dell’Ordine di Malta, da sempre impegnato in opera umanitarie e progetti sociali

Alla consegna dei doni erano presenti  il direttore sanitario e il responsabile medico dell’area socio-sanitaria, rispettivamente i dottori Davide Brunelli e Brunello Milano, il direttore amministrativo Paolo Ferrari e la dirigente infermieristica Rosalba Dall’Olio. Ospiti inattesi la signora Rossana e Federico, moglie e figlio del compianto dottor Giovanni Vantini per cinque anni responsabile medico delle strutture socio-sanitarie e scomparso lo scorso 9 settembre

“Ringraziamo tutti i volontari e l’Ordine di Malta che anche quest’anno con la loro generosità hanno reso possibile questo momento di gioia – ha detto Ferrari -. Ogni scatola non è solo un regalo, ma anche un gesto di vicinanza con coloro che sono soli o non possono trascorrere il Natale in famiglia. Ogni scatola è infatti accompagnata da un augurio personale scritto chi l’ha preparata”.

Il signor Renato Malesani con alla sua sinistra la moglie Maria, accanto a lei la poetessa Rossana Albaro. Alla destra di Renato, sua sorella, Lidia

A nome di tutti gli ospiti ha preso la parola Renato Malesani, 92 anni. Accanto a lui la moglie Maria, 83 anni. Sono sposati da più di mezzo secolo. “Vogliamo ringraziarvi per questi regali, ma soprattutto per il modo con cui vi prendente cura di noi – ha detto Renato rivolgendosi agli operatori -. Grazie per farci stare bene con gentilezza e affetto”.  Ma se Renato e Maria vantano il “primato” di essere l’unica coppia di Casa Nogarè, la signora Luigia Assunta Cassandrini in Caleffi, presente alla consegna dei regali, è la più anziana degli ospiti: il 15 agosto del prossimo anno compirà un secolo.

Una festa di Natale non poteva non concludersi con una poesia. A scriverla Rossana Albaro, poetessa e pittrice.

“Come tutti gli anni arriva Natale                   
e per alleviare gli affanni,
guardiamo alla capanna,
colei che con la Natività non ci inganna.
Gesù fa che Natale
sia un attimo di amore,
un attimo di pace!
Accanto al Presepe scambiamo gli auguri
e così saremo sicuri
per ogni prosperità futura

Auguri!

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Punto Nascita: riprende l'incontro mensile sull'allattamento dedicato ai futuri genitori

Dopo la pausa forzata dovuta alla pandemia Covid-19, riprende l’incontro mensile sull’allattamento e sull’organizzazione del Punto Nascita del Sacro Cuore Don Calabria. L’incontro – gratuito e ad accesso libero – si tiene ogni quarto lunedì del mese (esclusi i festivi) dalle ore 14 alle ore 16 nella sala convegni Fr. Perez dell’Ospedale 

Dopo la pausa forzata dovuta alla pandemia Covid-19, riprende l’incontro mensile sull’allattamento e sull’organizzazione del Punto Nascita del Sacro Cuore Don Calabria.

L’appuntamento è fissato ogni quarto lunedì del mese (esclusi i festivi) dalle ore 14 alle ore 16 nella sala convegni Fr, Perez dell’Ospedale ed è dedicato a tutte le coppie che non frequentano il corso di accompagnamento alla nascita (clicca qui). E’ aperto anche alle persone che aiuteranno la mamma nella cura del bambino al rientro a casa dopo la degenza ospedaliera.

L’incontro – gratuito e ad accesso libero – è tenuto dal pediatra, dall’infermiera del nido e dall’ostetrica che illustreranno l’organizzazione del punto nascita dell’IRCCS di Negrar. Questi i temi che verranno trattati:

  • L’importanza dell’allattamento materno esclusivo
  • Fisiologia dell’allattamento materno
  • Contatto pelle a pelle e rooming-in
  • Segnali di fame, posizione e attacco al seno
  • Segni di un adeguato apporto nutritivo
  • Spremitura manuale
  • Problematiche più frequenti
  • Condivisione del letto
  • Cure amiche della madre
  • Dove trovare sostegno e aiuto
  • Attività del Punto Nascita (vedi il video di presentazione)

Dal 2018 il Sacro Cuore Don Calabria è Ospedale Amico dei Bambini, riconoscimento dato dall’UNICEF alle realtà ospedaliere che promuovono, difendono e sostengono l’allattamento materno. L’incontro organizzato mensilmente dal Punto Nascita risponde proprio alle indicazioni del Progetto UNICEF.

Foto: HunnyPixel