Prevenzione, diagnosi precoce e farmaci: la sconfitta dell'AIDS è possibile

1 dicembre: Giornata mondiale dell’AIDS. Conoscenza delle modalità di diffusione del virus e diagnosi tempestiva rendono possibile prevenire e curare la malattia. Occorre pertanto continuare a investire nella diffusione della corretta informazione a livello capillare  e promuovere l’accesso al test, primo passo per potersi sottoporre alle cure che oggi come mai prima, sono sicure ed efficaci.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito, a livello globale, ad un progressivo calo delle nuove infezioni da HIV; tuttavia i progressi nella lotta all’AIDS hanno subito un rallentamento a causa dell’emergenza COVID, rallentamento che ha colpito in maggior misura i Paesi poveri, acuendo così il divario tra Nord e Sud del mondo.  Equalize, promuovere uguaglianza, è appunto il tema scelto da Unaids (il programma delle Nazioni Unite per accelerare, intensificare e coordinare l’azione globale contro l’AIDS, ndr) per celebrare il World AIDS Day del 1° dicembre.

Dopo 40 anni dalla scoperta del virus, permane lo stigma nei confronti delle persone con HIV, uno degli ostacoli principali nella lotta contro l’infezione

Nel 2021, sono stati registrati un milione e mezzo di nuovi casi nel mondo: ben un milione in più rispetto agli obiettivi-target indicati per il 2020. Ricordando che mancano solo otto anni all’obiettivo del 2030 di porre fine all’AIDS come minaccia per la salute globale, Unaids segnala che i fattori che alimentano le disuguaglianze sono: la criminalizzazione delle popolazioni chiave, lo stigma che pesa sulle persone con HIV, la compressione dei diritti delle donne. Sembra quasi paradossale che questi temi siano gli stessi di 40 anni fa, quando l’HIV/AIDS è stato scoperto.

In Italia l’incidenza è inferiore alla media europea, ma rimane il ritardo diagnostico

Secondo l’ultimo aggiornamento dei dati di sorveglianza, pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia le infezione da HIV diagnosticate nel 2021 sono state 1.770, pari a tre nuovi casi per 100.000 residenti, incidenza inferiore a quella della media europea, che ha registrato 4,3 nuovi casi per 100.000 abitanti. Dal 2018 si osserva una evidente diminuzione dei casi per tutte le modalità di trasmissione. I rapporti sessuali rimangono la via predominante di infezione e le fasce più colpite sono i giovani adulti di sesso maschile.

Purtroppo anche nel 2021 permane il ritardo diagnostico: il 63% delle nuove diagnosi in Italia riguarda persone con malattia in fase avanzata. Un dato che rispecchia una insufficiente consapevolezza e scarsa sensibilizzazione riguardo all’HIV nella popolazione, dovute, probabilmente, alla pandemia da COVID-19 che ha monopolizzato l’attenzione e gran parte delle risorse.

Grazie ai farmaci oggi l’HIV/AIDS si può curare

Occorre riaccendere i fari sull’infezione da HIV/AIDS, perché oggi, dopo 40 anni dalla sua scoperta, è ancora una pandemia silenziosa e subdola, che tuttavia può essere sconfitta con gli strumenti a disposizione grazie ai progressi della medicina e della scienza.

Progressi che hanno portato, negli ultimi anni, ad un cambiamento radicale della storia naturale dell’infezione, grazie alla disponibilità di farmaci efficaci e di gestione semplificata. Oggi le persone infette che assumono correttamente i farmaci antiretrovirali possono contare su una sostanziale normalizzazione dell’aspettativa di vita; inoltre, è stato definitivamente assodato che l’assunzione regolare di tali farmaci, pur non riuscendo ad eliminare il virus dai reservoir nei quali è annidato, ne arresta la replicazione, determinando la non rilevabilità della carica virale nel sangue ed in altri liquidi biologici.

La condizione di carica virale non rilevabile corrisponde all’arresto della contagiosità attraverso i rapporti sessuali.  Questo concetto, riassunto nel ben noto slogan U=U: undetectable (non rilevabile) = untransmittable (non trasmissibile), ha un impatto rivoluzionario sulla quotidianità della vita di relazione delle persone positive, ma non è ancora sufficientemente conosciuto a livello di popolazione.

Partendo dal concetto che la conoscenza delle modalità di diffusione del virus e una diagnosi tempestiva rendono possibile prevenire e curare la malattia, occorre continuare a investire nella diffusione della corretta informazione a livello capillare e a promuovere l’accesso al test, che è il primo passo per potersi sottoporre alle cure che oggi come mai prima, sono sicure ed efficaci.

Maria Rosa Capobianchi

biologa consulente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, membro dell’Istituto Superiore della Sanità e professoressa Saint Camillus International University of Health Sciences, Roma


Avviato il registro europeo STAR: il trattamento delle aritmie ventricolari maligne con la radioterapia

Recentemente è stato avviato il primo Registro Europeo del trattamento STAR (Stereotactic Arrhytmia Radioablation) nell’ambito del progetto europeo  STOPSTORM, che mira a mettere a punto gli standard di una terapia finalizzata alla cura delle aritmie ventricolari maligne attraverso l’utilizzo della radioterapia. Al progetto partecipa anche la Cardiologia e la Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS di Negrar

Recentemente è stato avviato il primo Registro Europeo del trattamento STAR (Stereotactic Arrhytmia Radioablation), grazie al quale il consorzio STOPSTORM –  che mira a mettere a punto gli standard di questa terapia non invasiva, finalizzata alla cura delle aritmie ventricolari maligne attraverso l’utilizzo della radioterapia – può ora raccogliere i dati delle 30 strutture partner (situate in 8 Paesi europei) che hanno aderito al progetto. In seguito, il registro sarà esteso a un numero ancora maggiore di centri in tutta l’UE. STOPSTORM mira a raccogliere i dati di oltre 300 pazienti entro il 2025. Questi dati stabiliranno l’indicazione, la sicurezza e l’efficacia di STAR per il trattamento della tachicardia ventricolare.

This project has received funding from the European Union’s Horizon 2020 research and innovation programme under grant agreement No 945119

Al consorzio, coordinato dall’Universitair Medisch Centrum (UMCU) di Utrecht (Olanda), ha aderito anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria con la Cardiologia diretta dal dottor Giulio Molon, in collaborazione con la Radioterapia Oncologica Avanzata, diretta dal professor Filippo Alongi. Da marzo 2020 a Negrar sono stati trattati con STAR 7 pazienti.

STAR è una tecnica di radioterapia non invasiva utilizzata per trattare un ritmo cardiaco pericolosamente veloce, la Tachicardia Ventricolare. La radioterapia da sempre trova applicazione nella cura dei tumori, mentre l’utilizzo per il trattamento delle aritmie cardiache è relativamente nuova e, sebbene i primi risultati siano promettenti, c’è ancora molto da capire sugli effetti a lungo termine del trattamento. Per questo il consorzio STOPSTORM creerà un database a livello europeo per comprendere meglio l’efficacia e la sicurezza di questo innovativo trattamento.

Per conoscere di più:

Le radiazioni che curano le tempeste del cuore

Il Sacro Cuore nel progetto europeo per cura radioterapica delle aritmie maligne


L'Opera Don Calabria compie 115 anni nell'anno giubilare del fondatore

Il 26 novembre 1907, esattamente 115 anni fa, nasceva ufficialmente l’Opera Don Calabria. Quel giorno sette ragazzi partirono dalla sacrestia di San Benedetto al Monte, dove don Calabria li aveva raccolti dalla strada, per trasferirsi in una casa di Vicolo Case Rotte, nel quartiere di San Giovanni in Valle a Verona. Un anniversario che si intreccia con un’altra importante ricorrenza, in quanto ci troviamo nell’anno giubilare calabriano che porterà a celebrare i 150 anni dalla nascita del fondatore l’8 ottobre 2023.

Nel disegno di copertina si vede un don Giovanni Calabria sorridente che accoglie una folla di persone davanti ad un arco che è l’ingresso di una casa. La scena, raffigurata dall’artista Alfredo Berardi, rappresenta un momento “storico” accaduto esattamente 115 anni fa. Infatti la sera del 26 novembre 1907 un drappello di sette ragazzi accompagnati da due sacerdoti varcarono quell’arco e depositarono i loro miseri bagagli nell’abitazione che il conte Francesco Perez aveva trovato per loro in Vicolo Case Rotte, a Verona. I ragazzi erano i primi buoni fanciulli che don Calabria aveva raccolto dalla strada e quella era la loro prima casa. Quel giorno nasceva l’Opera del sacerdote veronese.

L’anniversario dell’Opera assume oggi ulteriore importanza perchè si intreccia con un’altra importante ricorrenza: da alcune settimane è iniziato infatti l’anno giubilare calabriano che porterà a celebrare fra pochi mesi, l’8 ottobre 2023, il 150° compleanno del fondatore. L’anno giubilare si intitola “San Giovanni Calabria faro di santità” e le celebrazioni sono state aperte dal Casante don Massimiliano Parrella lo scorso 8 ottobre. L’immagine del faro era molto cara a don Calabria il quale la usava spesso riferendosi alle case dell’Opera, compresa la Casa di Negrar.

 

Ecco le parole del Casante in occasione dell’apertura:

«Carissimi Fratelli e Sorelle della Famiglia Calabriana,
ricorrendo oggi il 149° anniversario della nascita del nostro santo fondatore Giovanni Calabria, con gioia e trepidazione, in questo giorno 8 Ottobre 2022 dichiaro ufficialmente aperto l’Anno Giubilare Calabriano, che si compirà il prossimo anno, nella
Domenica 8 Ottobre 2023.
Celebrare questo anniversario non significa per noi solo fare memoria della vita e delle opere di una persona, per quanto cara e straordinaria, ma riconoscere l’azione dello Spirito Santo, lodare e benedire per i frutti che ci ha donato attraverso l’esperienza spirituale del Padre don Giovanni e accogliere, custodire, e annunciare il carisma dell’Opera
che ne è scaturito.

Questo Anno Giubilare sia per tutti noi una celebrazione e un appello alla santità” sulle orme di san Giovanni Calabria, il  quale ci consegna un programma di vita da realizzare che si può sintetizzare con una immagine tanto a lui cara:

“Vedo l’Opera come una gran luce, un grande faro destinato ad illuminare tutto il mondo se noi non metteremo ostacoli”.

“L’Opera è grande, l’Opera è divina, deve essere un faro di luce per tutte le anime fino all’estremo della terra”; ma ricordiamo, […] che condizione prima, assolutamente necessaria è farsi santi, santi, santi, vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera”.

“L’Opera sarà come un faro che illuminerà il mondo, […] se noi staremo fermi al nostro posto, nel cercare solo e sempre il
santo Regno di Dio e la sua giustizia”.

“Ognuno di noi possa essere un faro di luce che segna ai fratelli la via della virtù cristiana, con la pratica del Vangelo”.

(San Giovanni Calabria)

Faro di santità! Questo titolo non sia solo a memoria della santità di san Giovanni Calabria, ma un richiamo costante al nostro stile di vita e a realizzare con determinazione, tutti insieme, questo programma di vita!».


Apnee del sonno: incontro per conoscere i rischi per la salute

Sabato 26 novembre alle 10.30 presso il Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121, gli specialisti del Centro di Medicina del sonno di Negrar e l’Associazione Apnoici Italiani terrà un incontro sull’apnee notturne, fattore di rischio per le patologie neurologiche e cardiovascolari e una delle prime cause di incidenti stradali e sul lavoro

I dati del Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria parlano chiaro: su un campione di 100 pazienti, degli oltre 300 visitati nel 2019, il 66% presentava un grado moderato/grave di sindrome delle apnee ostruttive del sonno. Numeri rilevanti, ma non esaustivi di quanto incida questa situazione clinica sulla popolazione (si stima che in Italia ne soffrano 2 milioni di persone), perché rappresentano solo la punta dell’iceberg, coloro che, consapevoli del problema, si sono rivolti al medico.

Ancora troppi ignorano infatti che quel forte russamento accompagnato dalla sospensione del respiro per alcuni secondi siano fattori di rischio di patologie neurologiche e cardiovascolari e che la sonnolenza diurna dovuta al cattivo riposo sia una delle cause principali degli incidenti stradali e sul lavoro, spesso mortali.

Per sensibilizzare la popolazione sui rischi che comportano le apnee del sonno, l’Associazione Apnoici Italiani (APS) in collaborazione con il Centro di Medicina del sonno dell’IRCCS di Negrar propongono alla cittadinanza un incontro informativo che si terrà sabato 26 novembre alle 10.30 presso il Centro Diagnostico Terapeutico Sacro Cuore di via San Marco 121 a Verona (area del Centro polifunzionale Don Calabria). Si tratta di una delle tappe dell’iniziativa “Aperitivo con l’esperto” che l’APS sta replicando lungo la penisola e che si concluderà con un momento conviviale.

L’incontro vedrà gli interventi del dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del sonno, e di Antonio Corica, tecnico di Neurofisiopatologia, sempre di Negrar, che affronteranno il tema delle apnee dal punto di vista clinico. In particolare il dottor Corica fornirà consigli pratici per la gestione del CPAP (Continuous Positive Airway Pressure), la maschera collegata a un ventilatore meccanico che una volta indossata garantisce durate il sonno un flusso di aria continuo, impedendo così l’interruzione del respiro. “La CPAP è una delle ipotesi terapeutiche – sottolinea il dottor Rossato –. La presa in carico del paziente deve essere multidisciplinare, in quanto le apnee, essendo causate da vari fattori, possono trovare una soluzione anche nel calo ponderale, nel cambiamento degli stili di vita, nella chirurgia otorinolaringoiatrica e maxillo-facciale (se ci sono impedimenti morfologici) e anche nella terapia odontoiatrica”.

Al presidente degli Apnoici Italiani, Luca Roberti, e al vicepresidente, Trifone Mastrogiacomo, spetterà il compito di illustrare l’attività dell’associazione a favore dei pazienti. Sarà trattato il tema dell’idoneità alla guida delle persone affette da apnee, perché dal 2017 la normativa prevede che nel caso di sospetta o accertata sindrome il rinnovo della patente sia subordinato ad ulteriori accertamenti medici.


Il dottor Marcello Ceccaroni, protagonista del Festival del Futuro

Sabato 26 novembre alle 11, il dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia, interverrà al Festival del Futuro che apre domani 24 novembre al palazzo della Gran Guardia (Verona). Partecipazione gratuita con iscrizione. L’intervento può essere seguito anche via streaming: ecco come

“La rivoluzione rock della laparoscopia ginecologica” è il tema dell’intervento che il dottor Marcello Ceccaroni terrà al Festival del Futuro sabato 26 novembre alle 11 (Palazzo della Gran Guardia). Il Festival è una tre giorni dedicata ai grandi temi del nostro domani, organizzata da Eccellenze d’Inpresa, Athesis Group e Harvard Business Review Italia
👉 Partecipazione gratuita con iscrizione on line: https://eventi.studioventisette.com/fesival-del-futuro/
Oggi la laparoscopia è la tecnica dominante in chirurgica. Eppure quando i ginecologici la impiegarono per primi tra i chirurghi, vennero considerati dall’establishment medico degli eretici, nello stesso modo in cui la cultura dominante ostacolava negli stessi anni il rock. Ma la rivoluzione in sala operatoria era segnata, grazie anche all’emancipazione della donna, verso la quale la laparoscopia ha un approccio più rispettoso, attento alla sua femminilità e alla sua qualità di vita.
L’intervento del dottor Ceccaroni si può seguire in diretta streaming sui segueti siti e i rispettivi social


Medici e pazienti: per "salvare" gli antibiotici servono comportamenti responsabili

Comincia oggi la Settimana mondiale per l’uso consapevole degli antibiotici. Un evento che tocca da vicino la salute pubblica a livello globale, perchè l’abuso di questi importantissimi farmaci ha portato ad un aumento dei batteri multiresistenti, causando un numero sempre maggiore di infezioni che non rispondono alle cure. Ecco cosa possono fare medici e pazienti.

Il problema dei batteri resistenti agli antibiotici è una sfida sempre più urgente da porre al centro delle politiche di salute pubblica. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è infatti in crescita a livello globale ed è strettamente legato all’uso scorretto che spesso viene fatto di questi importantissimi farmaci. L’occasione per rilanciare l’appello ad adottare comportamenti responsabili è la Giornata europea sull’uso consapevole degli antibiotici, che si celebra oggi e coincide con l’inizio della Settimana mondiale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema (18-24 novembre).

I DATI

A livello europeo l’EDCD (European Centre for Desease Prevention and Control) calcola che in un anno siano state 670mila le infezioni dovute a batteri resistenti, con 33mila decessi. Numeri che sono ancor più impressionanti a livello mondiale, con 5 milioni di decessi associati alla resistenza agli antibiotici nel solo 2019. E l’Italia? Secondo il rapporto 2021 dell’Istituto Superiore di Sanità nel nostro Paese il problema dell’antibiotico resistenza è superiore alla media europea sia per numero di infezioni che per numero di decessi. Numeri che si riflettono in un aumento dei ricoveri per questo tipo di infezioni che risultano di difficile gestione e talvolta incurabili.

LE CAUSE DEL FENOMENO

Alla scoperta degli antibiotici l’umanità deve la sconfitta di molte infezioni batteriche altrimenti letali. Tuttavia negli anni alcuni batteri, per un processo fisiologico di selezione naturale, hanno sviluppato meccanismi di resistenza contro questi farmaci; in particolare nella loro composizione cellulare sono comparsi degli enzimi in grado di digerire gli antibiotici stessi. E di renderli inefficaci. Tale fenomeno assume proporzioni tanto più rilevanti quanto più gli antibiotici sono somministrati in modo inappropriato, oppure se ne abusa per curare patologie per le quali non sono necessari né efficaci.

Altri aspetti del fenomeno sono legati alluso esteso di antibiotici sugli animali da allevamento e allo smaltimento non corretto dei farmaci antimicrobici inutilizzati. Per questo la sensibilizzazione sul tema dell’antibiotico-resistenza promossa dagli organismi internazionali privilegia sempre più un approccio “One health” che affronta il problema a 360 gradi considerando uomo, animali e ambiente.

COSA POSSIAMO FARE

Il titolo della Giornata europea e della Settimana mondiale di sensibilizzazione è “Insieme preveniamo l’antibiotico-resistenza”. Dove “insieme” indica che per evitare lo sviluppo di queste infezioni da batteri multiresistenti ci vogliono comportamenti responsabili sia da parte del personale sanitario sia da parte dei pazienti.
Nel video riportato qui sotto, diffuso dall’ECDC, si fanno alcune raccomandazioni ai medici, sottolineando che fino a metà dei farmaci antimicrobici dati negli ospedali potrebbero essere superflui. Che fare dunque? Gli esperti del centro di controllo europeo chiedono ai professionisti di ottimizzare l’uso degli antibiotici all’interno degli ospedali e delle strutture residenziali stilando linee guida apposite e monitorando l’efficacia dei farmaci. Bisogna inoltre formare adeguatamente il personale e attuare tutte le precauzioni per abbattere le infezioni, riducendo così la probabilità che si sviluppino quelle multiresistenti. Gli antibiotici non vanno prescritti più del necessario e compito del medico è anche quello di spiegare ai pazienti e ai loro familiari il loro corretto utilizzo. Per tutti questi motivi negli ospedali da alcuni anni è prevista l’istituzione della “stewardship antimicrobica”, presente anche al “Sacro Cuore” (vedi pagina di presentazione).
Anche i pazienti possono fare molto per preservare l’efficacia degli antibiotici. Nel decalogo suggerito dall’ECDC si dice ad esempio che questi farmaci vanno presi solo su prescrizione del medico e attenendosi scrupolosamente alle sue indicazioni; quelli avanzati non vanno utilizzati e non vanno condivisi con altri; è molto importante prevenire le infezioni lavandosi bene le mani (vedi slide con le indicazioni).

Per approfondire vedi su questo sito:

Antibiotico-resistenza: un nemico per la nostra salute

Gli antibiotici non curano il Covid perchè è un virus e non un batterio


"Di me sarete testimoni": domenica la Festa delle missioni calabriane

L’Opera Don Calabria è presente in terra di missione fin dal 1959. Oggi le case filiali sono presenti in tredici Paesi e nei cinque continenti, promuovendo attività sociali, educative, pastorali e sanitarie nelle zone più povere del pianeta. Domenica 20 novembre tutte queste missioni, e i benefattori che le sostengono, saranno ricordati con una festa a San Zeno in Monte.

Una festa per ricordare tutte le missioni dell’Opera Don Calabria e per ringraziare le tante persone e associazioni che aiutano il lavoro dei missionari. L’appuntamento, organizzato dall’associazione Don Calabria Missioni, è per domenica 20 novembre alle ore 10 presso la Casa Madre dell’Opera a San Zeno in Monte (prenotazione obbligatoria per partecipare in presenza – vedi locandina).

Tutto l’evento si potrà seguire in diretta web sul canale youtube dell’Opera: https://www.youtube.com/user/doncalabria1

Il tema dell’incontro è la testimonianza, in linea con la giornata missionaria mondiale celebrata da tutta la Chiesa lo scorso 23 ottobre. E i protagonisti della festa saranno proprio i testimoni della missione. Durante la mattinata ci saranno infatti collegamenti con tre case dove i Fratelli e le Sorelle dell’Opera accolgono bambini e bambine abbandonati. Si tratta di Cagayan de Oro, nelle Filippine; Nakuru, in Kenya; Thana, in India. Durante la festa si alterneranno momenti di dialogo con i missionari con intermezzi musicali a cura del gruppo “Nardo Trio”.

La giornata si concluderà con la S. Messa celebrata dal Casante don Massimiliano Parrella alle 12.15, seguita da un momento conviviale.

Attualmente le missioni dell’Opera si trovano in tredici Paesi del mondo e in tutti i continenti. In particolare l’associazione “Don Calabria Missioni” nel corso del 2021 ha sostenuto 26 progetti socio-educativi e 13 progetti socio-sanitari a favore di bambini e adolescenti in alcune tra le aree più povere del mondo, raggiungendo nel complesso circa 50mila beneficiari grazie al lavoro sul territorio di circa 3.700 collaboratori e grazie alla Divina Provvidenza che si manifesta nella benevolenza di tanti benefattori.

Per saperne di più vedi https://www.missionidoncalabria.it/


Giornata mondiale del diabete: accesso alle cure per tutti

Dal 1991, la Giornata del 14 novembre è dedicata in tutto il mondo al diabete. L’International Diabetes Federation ha scelto come tema del 2022  l’accesso alle cure per tutti, in quanto milioni di persone nel mondo ancora non riescono a ottenere le terapie disponibili. L’obiettivo è stimolare i governi a investire maggiormente nella cura e nella prevenzione e nella diagnosi precoce affinché tecnologie, farmaci e supporto siano a disposizione di tutte le persone con diabete.

Dal 1991, la Giornata del 14 novembre è dedicata in tutto il mondo al diabete, una patologia colpisce globalmente oltre 530 milioni di adulti, numero  che si stima possa aumentare a 640 milioni nel 2030.

La data corrisponde a quella di nascita del professor Frederick Grant Banting, il fisiologo e endocrinologo canadese, che assieme al suo allievo Charles Herbert Best isolò l’insulina nel 1921, cambiando la storia dei malati di diabete mellito, permettendone la sopravvivenza.

L’International Diabetes Federation ha scelto come tema del 2022  l’accesso alle cure per tutti, in quanto milioni di persone nel mondo ancora non riescono a ottenere le terapie disponibili. L’obiettivo è stimolare i governi a investire maggiormente nella cura e nella prevenzione e nella diagnosi precoce affinché tecnologie, farmaci e supporto siano a disposizione di tutte le persone con diabete.

Con una prevalenza in continua crescita, il diabete viene identificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) una priorità globale per tutti i sistemi sanitari. In Europa la malattia interessa circa 60 milioni di adulti.

In Italia, In base ai dati ISTAT 2020, si stima una prevalenza del diabete pari a circa il 6% della popolazione che corrisponde a oltre 3 milioni e mezzo di persone. ll diabete di tipo 2, detto anche diabete dell’adulto, è i più frequente e rappresenta il 90% dei casi di diabete. Il diabete di tipo 1, detto anche diabete giovanile o insulino-dipendente, rappresenta circa il 10%.

La prevalenza di diabetici di tipo 2 cresce con l’età (è il 2% tra le persone con meno di 50 anni e sfiora il 9% fra quelle di 50-69 anni). E’ più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,1% vs 4,2%). L’86% delle persone con diabete ha dichiarato, sempre scondo i dato Istat  di essere sotto trattamento farmacologico per il controllo del diabete, la gran parte (79%) con ipoglicemizzanti orali e circa 1 paziente su 4 con insulina.

Prevenire il diabete

La prevenzione primaria del diabete di tipo 2 si identifica con la promozione di stili di vita corretti finalizzati anche alla prevenzione dell’eccesso ponderale. L’adozione di uno stile di vita sano e attivo può prevenire fino all’80% dei casi di diabete di tipo 2, che, se trascurato può, causare malattie cardiache, cecità, amputazioni, insufficienza renale, morte precoce.

Nel diabete di tipo 1 la prevenzione si identifica con la diagnosi precoce. In entrambe le tipologie di malattia l’adeguata gestione della patologia da parte del paziente e del team diabetologico ne consente il controllo ottimale e la riduzione delle complicanze.

Per conoscere di più: DIabete: vita sana e controlli periodici per prevenire una malattia dalle gravi complicazioni


Piccole Suore della Sacra Famiglia: 100 anni a servizio dei malati del "Sacro Cuore"

Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella. Non svolgono più il lavoro di infermiere, ma restano sempre accanto ai malati, donando loro conforto umano e spirituale.

Era l’11 novembre di 100 anni fa quando alcune sorelle dell’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia entrarono per la prima volta, insieme ad alcuni ospiti, nella Casa del Sacro Cuore, un ricovero per anziani, primo nucleo di quella che oggi è la “Cittadella della Carità”. Da allora le figlie spirituali del beato Giuseppe Nascimbeni e di santa Domenica Mantovani non hanno mai lasciato le dolci colline della Valpolicella, fornendo un prezioso contributo nell’assistenza infermieristica dei malati – indimenticabili le sorelle che sono state caposala dei reparti – e, oggi, nell’ambito della pastorale ospedaliera. Attualmente la piccola comunità è formata dalla superiora madre Rosa Santina (al secolo Maria Vigolo) e dalle sorelle Bernardetta (al secolo Lucia Brunelli), Teresa Ausilia Dalla Pozza e Brandina Brunelli.

Ma la presenza a Negrar delle Piccole Suore della Sacra Famiglia risale a prima della realizzazione del Ricovero da parte del parroco di Negrar, don Angelo Sempreboni. A volerle in paese fu lo stesso sacerdote, che nel 1918 scriveva a don Nascimbeni chiedendo l’invio “di quattro sue buone suore”. Da portare avanti c’era infatti “l’asilo che raccoglie solo i bambini delle contrade vicine, circa un’ottantina ai quali somministro gratuitamente le refezione giornaliera; abbiamo già fatto acquisto di uno stabile per un ospitale ricovero, che sorgerà subito dopo la guerra. Vede che ampio terreno! Ciò però che al momento più mi preme, e più mi impensierisce, è la nostra antica e famosa Scuola di lavoro, in cui si fabbricano i più famosi merletti a punto Burano […] Nei tempi normali accoglieva circa duecento ragazze dai 14 ai 40 anni, anche ora superano le cento…” (APSSF, Lettera di Sempreboni a Nascimbeni, 2 maggio 1918)

Il 21 maggio 1918 arrivarono a Negrar le prime sorelle destinate alla parrocchia, alla scuola materna e a quella del lavoro e poi, poco tempo dopo, alla cura degli anziani e dei malati ospiti della Casa del Sacro Cuore. L’opera delle suore di Castelletto di Brenzone (il paese di origine di don Nascimbeni e dove fu fondato nel 1892 l’Istituto religioso) proseguì anche quando il Ricovero con l’annesso edificio destinato ad ospedale divenne nel 1933 della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Un carisma, quello di don Nascimbeni, che non poteva non trovare casa in una casa fondata da don Calabria, dove la cura del malato era finalizzata  alla testimonianza della paternità di Dio. “Noi, Piccole Suore della Sacra Famiglia – si trova scritto nei documenti – desideriamo mostrare con i fatti che Dio è colui che provvede con sollecita cura di Padre ai suoi figli e che in Cristo Gesù, Buon Samaritano, si è fatto uno di noi, è venuto a cercarci, si è reso compagno di viaggio, ha fasciato le nostre piaghe, ha curato i nostri mali e ci ha ricondotti alla vita”. Una comunione d’intenti che portò la Chiesa universale a beatificare i due fondatori nello stesso giorno, il 17 aprile del 1988, con la presenza a Verona di Papa Giovanni Paolo II.

In un secolo sono oltre 200 le sorelle che hanno prestato servizio alla Cittadella della Carità, molte della quali provenienti da Negrar e dalle frazioni vicine a testimonianza di quanto la presenza accanto ai malati delle Piccole suore abbia avviato alla vita religiosa molte ragazze.

“A causa del calo di vocazioni che colpisce tutti gli Istituti religiosi da tempo non siamo più impegnate come infermiere o operatrici sanitarie”, afferma madre Rosa Santina, da cinque anni a Negrar. “Tuttavia non è mai venuta meno la nostra presenza nei reparti e fra gli ospiti della case socio-sanitarie. Portiamo l’Eucarestia al letto degli ammalati e siamo il tramite tra loro e i sacerdoti. Cerchiamo di dare conforto umano e spirituale ai più gravi e a coloro che sono soli. Continuiamo così la nostra missione che è quella, secondo gli insegnamenti del nostro Fondatore, di assumere e condividere la realtà dell’uomo, nel nostro caso dell’ammalato, che vive l’esperienza del limite fisico e psicologico per essere, con la nostra vicinanza in nome di Cristo, segno di fiducia e di speranza”.

Nella foto d’epoca: don Giovanni Calabria benedice i presenti, tra cui alcune Piccole Suore della Sacra Famiglia


Gara europea di simulazione d'urgenza: il "Sacro Cuore" unica squadra italiana

La squadra del Pronto Soccorso è stata protagonista a Berlino dell’Euro SIM Cup, una competizione di simulazione d’urgenza su manichini ad alta fedeltà. “C’erano altri gruppi italiani che si sono iscritti alla gara – sottolinea il ‘capitano’, il dottor Pettenuzz,.“Probabilmente è stata scelta la nostra squadra perché era composta da più figure sanitarie, non solo da medici, come le altre”

Il team dell’IRCCS di Negrar è l’unica squadra italiana ad aver partecipato all’Euro Sim Cap, una competizione particolare dove l’obiettivo è salvare la vita del paziente, sebbene si tratti di un manichino ad alta fedeltà. E’ il primato portato a casa da Berlino dal gruppo formato da Federico Pettenuzzo e da Annalisa Baldi, rispettivamente medico e infermiera del Pronto Soccorso dell’IRCCS di Negrar, diretto dal dottor Flavio Stefanini. Con loro due specializzandi dell’Università di Verona, i dottori Nicola Mazza e Alessandro Vincenzetti. E come per tutte le squadre che si rispettano non poteva mancare l’allenatore: il dottor Marco Boni, ‘veterano’ dell’Emergenza-Urgenza del Sacro Cuore e istruttore IRC (Italian Resuscitation Council).

La competizione a squadre si è svolta nell’ambito del congresso annuale di medicina di urgenza promosso dall’Eusem (European Society for Emergency Medicine) dal 15 al 19 ottobre nella capitale tedesca. Fra le squadre candidate ne sono state scelte otto europee e una statunitense. “C’erano altri gruppi italiani che si sono iscritti alla gara – sottolinea il ‘capitano’, il dottor Pettenuzzo, “Probabilmente è stata scelta la nostra squadra perché era composta da più figure sanitarie, non solo da medici, come le altre”. La vittoria è andata alla squadra statunitense, mentre le altre posizioni in classifica non sono state rese note, per una scelta degli organizzatori.

“La Simulation Cup consiste in una gara di discussione e gestione di casi clinici nell’ambito dell’emergenza, utilizzando manichini ad alta fedeltà, cioè che simulano le reazioni di un corpo umano”, spiega ancora il medico. “A noi erano stati affidati tre casi: un bambino con meningite, un politrauma da caduta dall’alto e una folgorazione. Gli esaminatori hanno valutato non solo l’aspetto tecnico (rispetto dei protocolli e delle linee guida, farmaci impiegati…), ma anche le cosiddette non technical skills, ovvero la gestione del team, quindi la comunicazione, il rapporto umano tra i componenti, la leadership”.

Abilità che la squadra di Negrar ha perfezionato durante la preparazione alla gara, iniziata a maggio. “La Sim Cup è stata un’opportunità di crescita professionale – afferma l’infermiera Baldi -. Ci ha costretti a lavorare molto sia sulle competenze personali, per essere in grado di affrontare casi non frequenti, sia sulla capacità di lavorare in squadra, requisito fondamentale nell’ambito dell’urgenza perché in ambulanza o in ospedale spesso si opera con persone che non si conoscono ma con le quali si deve instaurare subito un rapporto di fiducia”. Come fondamentali sono le pratiche di simulazione, “anche per la gestione dell’ansia che diventa più facile nel soccorso reale a un paziente, se lo stesso caso è stato affrontato con un manichino ad alta fedeltà”, sottolinea il dottor Pettenuzzo.

Archiviata la Sim Cup 2022, ma non l’entusiasmo, il team di Negrar pensa a quella del prossimo anno e magari alla “medaglia d’oro”. “La classifica non è stata comunicata, ma visti i tanti complimenti che abbiamo ricevuto dai colleghi, forse un posticino sul podio lo abbiamo raggiunto…”, conclude Baldi.

Nella foto da sinistra: i dottori Marco Boni, Federico Pettenuzzo,Alessandro Vincenzetti, l’infermiera Annalisa Baldi e  il dottor Nicola Mazza.