Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Ucraina
Anche l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria si unisce in comunione con Papa Francesco in questa Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Ucraina. Il legame speciale tra l’Ospedale di Negrar, l’Opera Don Calabria e il Paese dell’Europa Centrale nell’inferno della guerra
Anche l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria si unisce in comunione con Papa Francesco in questa Giornata di digiuno e preghiera per la pace in Ucraina. Come ogni anno verrà celebrata la Santa Messa con la liturgia della Ceneri a cui seguirà l’Adorazione Eucaristica secondo le intenzioni del Santo Padre.
Dall’udienza generale del Pontefice del 23 febbraio 2022
“… E ora vorrei appellarmi a tutti, credenti e non credenti. Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno. Invito tutti a fare del prossimo 2 marzo, mercoledì delle ceneri, una Giornata di digiuno per la pace. Incoraggio in modo speciale i credenti perché in quel giorno si dedichino intensamente alla preghiera e al digiuno. La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”.
Esiste un legame profondo tra l’Ucraina e l’Ospedale di Negrar con l’Opera Don Calabria. Nel 2017 il “Sacro Cuore Don Calabria” ha affiancato la Nunziatura di Kiev, allora guidata dal vescovo veronese mons. Claudio Gugerotti, per la realizzazione di una serie di interventi umanitari a carattere sanitario voluti e finanziati con i fondi messi a disposizione da papa Francesco in favore della popolazione dell’Ucraina orientale drammaticamente provata dalla guerra (per saperne di più)
Dal 2018, invece, l’Opera Don Calabria è presente in Ucraina nella città di Charkiv con un’attività sociale a favore dei bambini traumatizzati a causa della guerra nel Donbass.
Purtroppo la città è attualmente teatro di combattimenti e i bambini con le loro famiglie sono costretti a cercare rifugi di fortuna e non hanno accesso ai beni di prima necessità. Il personale dell’Opera sul luogo si sta adoperando per aiutare la popolazione, ma la situazione è davvero critica.
Anche in Romania, nella zona di Bacau dove c’è una Casa dell’Opera, la Famiglia Calabriana è impegnata nell’accoglienza dei profughi che giungono in modo incessante dalla vicina frontiera (per sapere di più)
Tumori neuroendocrini: ecco cosa sono e come si curano
Sono un genere di neoplasie relativamente poco diffuso e prende il nome dagli organi in cui si sviluppa la neoplasia.
Nel video intervista la dottoressa Letizia Boninsegna, chirurgo del pancreas, illustra tutto il percorso diagnostico terapeutico di un tumore che può avere sintomi specifici ma anche riconducibili a un’altra patologia. Un percorso che prevede la presa in carico del paziente da un gruppo multispecialistico coordinato dall’ambulatorio Net, diedicato proprio a questo tipo di tumori.
COVID-19 due anni dopo: verso la “semi-immunità di gregge”.
21 febbraio 2020-21 febbraio 2022. Due anni di pandemia. Attraverso lo scritto del prof. Zeno Bisoffi, ripercorriamo uno dei periodi più difficili vissuti dall’Italia e dal mondo. Ma con grande speranza: dovremo continuare a convivere con il virus Sars Cov2, ma il peggio sembra alle spalle. Anche se tutto dipende dal nostro comportamento personale e collettivo.
Tutto è iniziato due anni fa, il 21 febbraio, con il primo paziente positivo di Codogno, il focolaio di Vo’ Uganeo e il primo morto a Padova per Covid-19. Oggi è un’altra era: grazie ai vaccini e alle misure di contenimento del virus possiamo pensare con tranquillità al futuro. Ma senza abbassare la guardia. Di seguito l’intervento del professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettivee Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria pubblicato sul giornale L’Arena.
Il 21 febbraio 2020 è una data che ricorderò a lungo. Per i veronesi era “Venerdì gnocolar” di Carnevale, forse il giorno più spensierato dell’anno. Improvvisamente arrivava la notizia dei primi due casi autoctoni italiani di COVID-19. Ricordo ancora il commento a caldo dell’allora direttore scientifico dell’Istituto Spallanzani, Giuseppe Ippolito: siamo entrati in una nuova fase, nulla sarà più come prima.
Dopo due anni terribili in cui nulla è stato come prima, che lezioni possiamo dire di avere appreso? E che previsioni possiamo fare per il futuro?
La prima lezione è proprio che questo virus è sempre riuscito a smentire regolarmente le nostre previsioni.
Prediction is very difficult, especially about the future, recita il celebre aforisma attribuito al premio Nobel per la fisica, Niels Bohr.
Ci fu inizialmente una sottovalutazione generalizzata del rischio. Le apparenti analogie con la prima SARS del 2002-2003, pure clinicamente molto più grave, facevano sperare che anche questa nuova epidemia sparisse rapidamente dalla circolazione. Ma il nuovo virus, rispetto al vecchio, ha un fondamentale vantaggio: viene trasmesso efficacemente anche da soggetti infetti privi di sintomi.
Dopo ogni successiva ondata molti proclamavano la fine della pandemia, per poi spiegare a posteriori i motivi dell’ennesima recrudescenza del virus.
Da oltre un anno abbiamo a disposizione i vaccini, una svolta epocale. Immaginiamo solo per un istante quale prezzo avremmo pagato alla variante delta, più contagiosa e anche più aggressiva del virus originale, senza i vaccini.
Poi, è storia recente, è arrivata la variante omicron, e le previsioni sono diventate inizialmente apocalittiche, per la sua contagiosità e per la sua capacità di infettare anche i vaccinati. Assieme alla quarta ondata giungeva un’ondata di pessimismo generalizzato che faceva crollare temporaneamente le borse mondiali. Ma prediction is very difficult…, per fortuna, questa volta, poiché è stato presto chiaro che questa variante contagiosissima è però meno grave clinicamente, soprattutto per i vaccinati. E ora, quando anche il picco dell’omicron ce lo siamo lasciato dietro le spalle, i soliti noti predicano nuovamente la fine della pandemia e il passaggio, molto più rassicurante, alla fase di endemia.
Ma il COVID-19 è già diventato una malattia endemica?
Endemia, applicato a una qualsiasi malattia, significa che è, letteralmente “nel popolo”. Una malattia endemica è presente nella popolazione, di solito con numeri relativamente stabili, spesso con periodiche riacutizzazioni. Da questo punto di vista COVID-19 è già una malattia endemica. È presente stabilmente in Italia e nel mondo, e non se ne andrà più. Questa è una previsione facile. Siamo già in endemia.
Allora il peggio è passato?
Purtroppo le cose che non sappiamo di questo virus sono ancora molte di più di quelle che sappiamo.
Omicron ormai causa praticamente il 100% dei contagi. Anche se per molti è solo una banale influenza, Omicron è responsabile ancora di casi molto gravi, ricoveri, decessi. Senza i vaccini sarebbe devastante e travolgerebbe il nostro sistema sanitario.
Stiamo entrando in una fase di “luna di miele” con COVID, complice l’imminente bella stagione e la stragrande maggioranza della popolazione immunizzata dal vaccino o dall’infezione naturale. Ma questa fase sarà duratura, o addirittura definitiva?
Anche i non immunizzati sono ormai protetti dall’immunità di gregge?
Purtroppo la mia risposta è no. Nel gregge ci sono tante pecore bianche (che non hanno l’infezione) e poche pecore nere (che hanno l’infezione). Se la grande maggioranza delle pecore bianche è protetta, una pecora nera avrà pochissime possibilità di incontrarne una non protetta da infettare. È molto semplice. Ma c’è un problema.
Quanto dura la protezione delle pecore bianche?
Finita la quarta ondata, la grande maggioranza della popolazione italiana (e mondiale) avrà una certa protezione contro il virus, grazie al vaccino, all’infezione naturale, o a entrambe. Tuttavia questa protezione non si può definire “immunità”, perché non è totale e duratura, al contrario di quanto accade, ad esempio, con il morbillo. È una protezione parziale e di durata limitata, che potremmo definire “semi-immunità”, un termine che viene di solito utilizzato per la malaria.
Con il coronavirus, ci stiamo avviando verso quella che definirei una “semi-immunità di gregge”. La “luna di miele” tra la popolazione e il virus probabilmente durerà oltre la prossima stagione invernale, ma con minor intensità, inoltre la maggior parte di noi sarà protetta dalle forme gravi. Quindi non dovremmo avere nel prossimo autunno-inverno un’ulteriore ondata pesante come le precedenti, e la pressione sul sistema sanitario sarà inferiore.
Quello che succederà dopo è imprevedibile. Per passare dalla luna di miele a una convivenza accettabile, la condizione indispensabile è raggiungere e mantenere nel tempo una copertura vaccinale molto elevata. Non sappiamo ancora con che frequenza dovremo vaccinarci, è troppo presto per conoscere la durata della protezione conferita dal richiamo (la terza dose). Quello che è certo è che la protezione, sia quella data dal vaccino che dall’infezione, non è a vita. Se lasciamo fare al virus e abbassiamo la guardia, la luna di miele durerà poco e successive ondate saranno inevitabili. Certamente non sarà tollerabile continuare ad avere nella nostra popolazione milioni di persone non vaccinate, e tantomeno lasciare senza copertura vaccinale i Paesi più poveri.
Se non l’etica, almeno il nostro interesse egoistico ci dovrebbe consigliare di estendere l’accesso al vaccino a tutta la popolazione mondiale, pena la comparsa di ulteriori varianti, magari più aggressive.
Prediction is very difficult, ma una previsione è molto facile: il futuro della pandemia dipenderà in buona parte dal nostro comportamento, individuale e collettivo.
Zeno Bisoffi
Direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar
Professore associato all’Università di Verona
La virologa Castilletti: "I virus? Affascinanti sconosciuti"
Dal 1° gennaio la dottoressa Castilletti è in forza al Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar con la responsabilità di gestire il neonato laboratorio di virologia. Proviene dall’Istituto Spallanzani di Roma ed era nella squadra che a fine gennaio del 2020 ha isolato e sequenziato il virus: fino a quel momento i centri al mondo che ci erano riusciti si contavano sulle dita della mano.
Il nome di Concetta Castilletti rimarrà inesorabilmente legato al virus SARS-CoV-2. La biologa siciliana, con specializzazione in microbiologia e virologia e dottorato in immunobiologia dei virus, faceva parte della grande squadra dell’Istituto Spallanzani, che a fine gennaio del 2020 ha isolato e sequenziato il virus: fino a quel momento i centri al mondo che ci erano riusciti si contavano sulle dita della mano.
Dal 1° gennaio la dottoressa Castilletti è in forza al Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar con la responsabilità di gestire il neonato laboratorio di virologia. Insieme a lei, sempre dallo ‘Spallanzani’, sono arrivati, come consulenti, la dottoressa Maria Capobianchi (che a Roma era direttore del Laboratorio di Virologia) e il dottor Antonino Di Caro (già direttore del Laboratorio di Microbiologia dello stesso Istituto).
Tutti e tre (e il resto team artefice dell’isolamento) sono stati insigniti dal presidente Mattarella del Cavalierato al merito della Repubblica, “un grandissimo onore e un’enorme emozione – sottolinea Castilletti –. Gli stessi che ho provato quando mi hanno conferito il premio Carlo Urbani, dedicato al medico italiano che per primo ha identificato e classificato la SARS, prima di rimanerne vittima nel 2003. Una persona eccezionale, oltre che un grande medico”.
DA CATANIA ALLO SPALLANZANI DI ROMA
La storia professionale della dottoressa Castilletti va tuttavia ben oltre al Coronavirus ed è costellata, come lei stessa sottolinea, da ‘grandi maestri’. Originaria di Ragusa, ha frequentato Scienze biologiche all’Università di Catania, dove “ho avuto come docente il professor Angelo Castro, che mi ha trasmesso la sua grande passione per la virologia”. Poi il trasferimento all’Università La Sapienza. “Una decisione dettata dal cuore (a Roma ho ‘messo su famiglia’), ma durante la specializzazione in Virologia e Microbiologia ho incontrato altri due grandi maestri, il professor Ferdinando Dianzani, uno dei maggiori esperti di AIDS, e il mio mentore, Maria Capobianchi. E’ stata lei a volermi allo ‘Spallanzani’, per occuparmi dei virus emergenti”.
SUL CAMPO A STUDIARE IL VIRUS EBOLA
In particolare nel Laboratorio di livello 4 (il più alto per quanto riguarda la biosicurezza), di cui era la responsabile operativa, ha studiato Ebola e le altre febbri emorragiche. E non solo in Laboratorio. “Sono stata in Nigeria nei primi mesi del 2014, per la febbre di Lassa, in Guinea nel 2014 e successivamente in Sierra Leone nel 2015 per l’epidemia di Ebola; in Sudan nel 2018 e in Congo nel 2019 per l’epidemia di Chikungunya.
AL SACRO CUORE RESPONSABILE DEL LABORATORIO DI VIROLOGIA
Dopo 14 anni allo ‘Spallanzani’, con la direzione scientifica del dottor Giuseppe Ippolito, un’altra figura importante della sua vita professionale, l’approdo al ‘Sacro Cuore Don Calabria’. “Ho trovato molto stimolante professionalmente la possibilità di avviare un laboratorio di virologia e di lavorare con un gruppo così giovane e pieno di iniziative”, sottolinea. “L’obbiettivo è quello di mettere a punto e di sviluppare la diagnostica virologica con particolare attenzione ai virus emergenti, di implementare gli isolamenti e i sequenziamenti”.
I VIRUS SONO AFFASCINANTI SCONOSCIUTI
Ma cosa spinge a dedicare la propria vita ai virus? “I virus sono affascinanti sconosciuti – risponde la dottoressa Castilletti -. Non li vedi, ma sono presenti. Sanno interagire con le cellule e si servono dei meccanismi sofisticati di quest’ultime per piegarle al loro volere al fine di sopravvivere, da buoni parassiti. Esiste questa teoria, per cui il virus non avrebbe come obiettivo l’uccisione dell’ospite, perché significherebbe la morte di se stesso. Una teoria che però non è sempre legge. Vi è un virus (il virus della malattia emorragica del coniglio, MEV) che per la trasmissione ha bisogno di un vettore, che punge prevalentemente l’animale morto. Quindi in questo caso il parassita ha interesse ad uccidere il suo ospite favorendo la sopravvivenza del vettore e quindi la trasmissione del virus”.
VERSO UN PAN-VACCINO
I virus non evolvono sempre verso una virulenza inferiore. Sembrerebbe però che la teoria calzi a pennello per il Coronavirus… “Sembrerebbe – sottolinea la virologa -. Ci sono tutti i segnali per una convivenza relativamente pacifica con il virus. La variante Omicron, ma anche la Delta, si sono dimostrate più contagiose, ma meno ‘cattive’ rispetto al virus originario di Wuhan. Tuttavia del SARS-CoV-2 sappiamo ancora poco e le mutazioni sono imprevedibili per definizione. I vaccini stanno dimostrando tutta la loro efficacia – conclude – Ora la ricerca deve spingere verso un vaccino pan-coronavirus, un vaccino cioè che protegga attraverso quella parte dell’RNA dei coronavirus che muta meno frequentemente, affinché possiamo pensare a dei richiami, se necessari, a cadenza non così ravvicinata come i primi due. Non è un’impresa facile, ma anche per gli attuali vaccini sembrava impossibile averli in così breve tempo e che, soprattutto, funzionassero. Invece la scienza ancora una volta ci ha stupito”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
L'Apostolato degli Infermi e l'amore di don Calabria per gli ammalati
Un segno concreto dell’amore di don Calabria per gli ammalati è l’Apostolato degli Infermi, movimento voluto dal santo per accompagnare i sofferenti con la preghiera e la vicinanza spirituale. In occasione della trentesima Giornata Mondiale del Malato, che si celebra domani 11 febbraio, parliamo di questa realtà che ancora oggi conta su 6000 iscritti e ha sede presso la Cittadella della Carità
«È una grande famiglia quella dell’Apostolato Infermi, non solo perché numerosa ma anche e soprattutto perché costituisce una forza potente nella Chiesa di Cristo. Infatti il sacrificio, quando è benedetto dal Signore ed è unito con la preghiera e con lo spirito di carità, è l’energia più preziosa che il cristiano possa mettere a disposizione di Dio e della Chiesa». (S.G. Calabria)
L’Apostolato degli Infermi è un movimento fondato in Olanda nel 1925, nella diocesi di Harleem. Don Giovanni Calabria lesse di tale iniziativa sull’Osservatore Romano e decise di aprire una filiale italiana, cosa che avvenne ufficialmente il 24 maggio 1930. In occasione della XXX Giornata Mondiale del Malato, che si celebra domani 11 febbraio in concomitanza con il ricordo della prima apparizione della Madonna a Lourdes, parliamo di questa realtà che era così cara per il santo sacerdote veronese e che tuttora ha la sua sede presso la Cittadella della Carità di Negrar.
Vedi Messaggio del Papa per la XXX Giornata Mondiale del Malato
Obiettivo dell’Apostolato degli Infermi è l’accompagnamento degli ammalati, degli anziani e dei loro cari attraverso la preghiera e la vicinanza spirituale. Ma nelle intenzioni del fondatore c’è anche un altro aspetto essenziale: sono gli infermi stessi ad essere considerati come “apostoli” perchè offrendo la loro sofferenza a Dio attraverso la preghiera possono salvare il mondo proprio come ha fatto Gesù sulla croce.
Ecco come il primo segretario del movimento, don Albano Bussinello, spiegava le tre regole stabilite per coloro che nei primi tempi volevano iscriversi al movimento: “1) Accettare dalla mano di Dio le sofferenze della malattia; 2) Sopportarle con spirito cristiano, in unione alle pene che nostro Signore Gesù Cristo soffrì sulla Croce; 3) Offrirle a Dio per la venuta del suo Regno… questa è un’opera veramente Cristiana perché il fratello malato sente di non essere inutile, comprende che puó fare più lui, immobile in un letto, che non altri nella loro vita attiva e febbrile, e che i suoi dolori, sofferti in unione ai dolori di Gesù Cristo sulla Croce, sono quelli che alla fine salvano il mondo” (Bussinello, 1935).
Tra le attività promosse dal movimento c’era proprio la giornata del malato, che veniva celebrata annualmente fin dagli inizi con una speciale S. Messa dedicata. Inoltre agli appartenenti al movimento veniva consegnato un certificato con una preghiera da recitare ogni giorno e un distintivo benedetto che li aiutava a ricordare l’impegno e l’invito a santificare la propria sofferenza. Infine i malati erano raggiunti con un messaggio mensile di riflessione e incoraggiamento.
Oggi gli iscritti al movimento dell’Apostolato degli Infermi sono circa 6.000 e provengono da varie parti d’Italia. Strumento concreto del loro accompagnamento spirituale è l’omonima rivista bimestrale fondata dallo stesso don Calabria e attualmente diretta da don Tiziano Tosi, cappellano dell’ospedale. “La rivista è un mezzo molto utile per mantenere il collegamento con tante persone sofferenti che in questo modo possono ricevere un messaggio di speranza e coltivare la loro vita spirituale che non deve essere trascurata a causa della malattia”, dice don Tosi.
La rivista viene inviata a chiunque ne faccia richiesta, in forma gratuita perchè l’Apostolato si sostiene confidando nella Provvidenza e nelle eventuali offerte dei benefattori. Alcune centinaia di copie sono distribuite all’interno della Cittadella della Carità, nelle cappelle degli ospedali e nelle sale d’attesa dove c’è maggior passaggio di persone. Inoltre viene portata a chi ne faccia richiesta dai ministri straordinari della comunione quando vanno nei vari reparti. “Nella rivista si trovano i messaggi del Papa, riflessioni sulla spiritualità di don Calabria, esperienze di vita missionaria e intenzioni di preghiera che ogni lettore può fare proprie”, continua don Tosi.
Per iscriversi o per maggiori informazioni si può contattare don Tosi al seguente indirizzo: tiziano.tosi@sacrocuore.it oppure la redazione della rivista all’indirizzo comunicazione@doncalabria.org.
Tolto un grosso tumore salvando lo stomaco, grazie alla collaborazione in sala tra chirurgia ed endoscopia
Si chiama LECS, un metodica chirurgica mini-invasiva impiegata per la prima volta in Veneto su un paziente affetto da un grosso tumore allo stomaco. La cooperazione in sala dei chirurghi con gli endoscopisti ha permesso la rimozione della massa, senza prelevare una ampia parte dello stomaco, che avrebbe comportato un lungo recupero post operatorio e l’alterazione della funzione fisiologica della digestione.
La grandezza del tumore avrebbe indicato l’asportazione non solo della massa di 6 centimetri, ma anche di una ampia parte dello stomaco, un intervento che comporta un lungo recupero post operatorio e l’alterazione della funzione fisiologica della digestione.
Invece grazie a una nuova tecnica di chirurgia mininvasiva utilizzata per la prima volta in Veneto, i chirurghi dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar affiancati dagli endoscopisti hanno potuto rimuovere solamente la neoplasia, “salvando” lo stomaco. Il paziente, dopo una settimana di degenza (con la chirurgia tradizionale sono almeno due), ha lasciato l’ospedale alimentandosi normalmente.
Il paziente trattato presentava un tumore di grosse dimensioni del tipo GIST (Gastrointestinal Stromal Tumor) cioè una neoplasia, abbastanza rara, dell’apparato digerente che può originare dalle cellule della parete muscolare dell’esofago, dello stomaco, dell’intestino fino al canale anale.
“Nel nostro caso il tumore era localizzato nell’antro gastrico, cioè nella parte dello stomaco al confine con il piloro. Da accurati esami è emerso che la neoplasia presentava tutte le caratteristiche per la rimozione tramite la nuova metodica chiamata LECS (Laparoscopic-Endoscopic Cooperative Surgery), un intervento che richiede la stretta collaborazione tra gli endoscopisti e i chirurghi nella stessa seduta operatoria”, spiega il dottor Paolo Bocus, direttore della Gastroenterologia e dell’Endoscopia Digestiva.
Ad occuparsi dell’incisione del bordo della lesione per via endoscopica è stato lo stesso dottor Bocus, che successivamente ha aperto una breccia nella parete gastrica. Attraverso di essa i chirurghi Irene Gentile e Claudio Zardini, della Chirurgia generale diretta dal dottor Giacomo Ruffo, hanno rimosso completamente la lesione per via video-laparoscopica e suturato la parete gastrica.
“L’intervento è stato possibile grazie alla competenza maturata negli anni nel campo della chirurgia laparoscopica e dell’endoscopia”, sottolinea il dottor Bocus. “Nel primo ambito Negrar rappresenta da tempo un centro di riferimento nazionale, sia per la chirurgia generale che per quella ginecologica. Per quanto riguarda l’endoscopia siamo in grado di effettuare esami ultra-specialistici come l’Ecografia Endoscopica Gastrica (circa 300 all’anno) che consente di determinare lo stadio del tumore, fondamentale per procedere con LECS. La presenza infatti di infiltrazioni della parete o dei linfonodi non consentirebbe l’esportazione della sola neoplasia, ma richiederebbe la rimozione anche del tessuto sano”.
L’Endoscopia Digestiva da metodica diagnostica è divenuta negli ultimi anni una metodica interventistico-operativa con approccio mini-invasivo. “Basti pensare alle nuove possibilità terapeutiche per il trattamento dei tumori sia in fase iniziale (come nei tumori superficiali mediante resezione mucosale-EMR e submucosale-ESD), sia in fase di palliazione definitiva con il posizionamento di stent per la ricanalizzazione o la creazione di by-pass EUS-guidati nelle fasi tardive delle malattie neoplastiche”, conclude il dottor Bocus.
L’Endoscopia digestiva di Negrar è dal 2018 Centro accreditato SIED (Società Italiana di Endoscopia Digestiva) e nel 2018 Centro per la Scuola di Formazione Residenziale di II livello sempre delle SIED.
Nella foto da sinistra: il dottor Paolo Bocus, il dottor Claudio Zardini e la dottoressa Irene Gentile
Giornata mondiale contro il cancro: non è più "il brutto male", anche grazie alla radioterapia
Il 4 febbraio è la Giornata Mondiale contro il Cancro. Se oggi questa patologia non è più quel brutto male il cui nome non veniva nemmeno pronunciato lo dobbiamo alla diagnosi precoce, alla ricerca e all’evoluzione straordinaria delle terapie. Tra queste la radioterapia che da sola o in associazione alla chirurgia e alle terapie medico-farmacologiche contribuisce alla guarigione di un numero crescente di pazienti
Il 4 febbraio si celebra la Giornata Mondiale contro il Cancro, promossa dall’UICC (Union for International Cancer Control) e sostenuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) affinché la lotta contro il cancro continui ad essere una priorità nell’agenda mondiale della salute e dello sviluppo. Abbattendo soprattutto le disparità di opportunità di cura che esistono tra Paesi o all’interno degli stessi.
Grazie alla diagnosi precoce e all’evoluzione straordinaria delle terapie, la patologia tumorale non è più quel “brutto male” (come veniva chiamata) implacabile. E’ infatti costantemente in crescita il numero dei pazienti che possono definirsi guariti. E per coloro ancora impegnati nel percorso terapeutico, la qualità di vita è enormemente migliorata.
Le modalità terapeutiche in oncologia si sono affinate nel tempo, con una chirurgia sempre meno invasiva, con farmaci sempre più ‘intelligenti’, e con una radioterapia sempre più avanzata, moderna e precisa.
Nello specifico, la radioterapia, nell’armamentario terapeutico in oncologia, è una modalità di cura importantissima: fino al 60% dei pazienti affetti da malattia tumorale viene trattato con radiazioni ionizzanti.
Questa metodica nel corso degli ultimi decenni si è fortemente sviluppata, sul fronte di un’ottima tollerabilità da parte dei pazienti e di una elevatissima precisione, tanto da sostituirsi spesso all’intervento chirurgico.
La radioterapia rappresenta oggi l’espressione più alta del connubio tra l’evoluzione tecnologico-ingegneristica delle apparecchiature in campo medico e l’elevatissima professionalità dei radioterapisti oncologi, che ogni giorno a fianco di chirurghi, di oncologi medici, e specialisti nella diagnostica valutano, in un contesto multidisciplinare, la modalità di cura più appropriata di ogni paziente oncologico.
La radioterapia viene impiegata da sola con lo scopo di eradicare la malattia tumorale, per esempio nel tumore della laringe, del polmone, della prostata, in fase ancora localizzata.
Ma può essere usata efficacemente insieme alla terapia medico-farmacologica nella cura della malattia localmente avanzata come nel caso dei tumori del distretto cervico-facciale, ginecologico o gastro intestinale.
Infine trova sempre più impiego anche in caso di malattia metastatica, non necessariamente con una finalità esclusivamente palliativo-sintomatica, ma anche in casi selezionati (detti oligo-metastatici), con l’obiettivo di coadiuvare i farmaci o ritardare l’attivazione di nuove linee mediche più tossiche, a favore di un trattamento locale mirato sulle singole sedi di malattia metastatica.
Forte dei risultati ottenuti, le cure radioterapiche entrano di diritto nei successi che l’oncologia ha ottenuto nella lotta contro il cancro ed è necessario un impegno da parte di tutti perché metodiche come queste, all’avanguardia, siano accessibili a tutti i pazienti, come sollecita questa Giornata mondiale. Nella radioterapia tanta strada è stata fatta e all’orizzonte ci sono prospettive di ulteriori miglioramenti.
Filippo Alongi
Direttore del Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Professore associato di Radioterapia all’Università di Brescia
INFORMAZIONI SUL CANCER CARE CENTER DEL “SACRO CUORE DON CALABRIA” clicca qui
Studio su Verona: il 93% dei cittadini è oggi protetto dal virus Sars- CoV2
Conclusa la seconda fase dello studio epidemiologico Covid-19 “Comune di Verona 2020” realizzato dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar: Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni è oggi protetto dal virus Sars-CoV-2. I ricercatori: “Verona è pronta per la ripartenza, ma senza abbassare la guardia: la percentuale dei vulnerabili può ancora mettere in crisi gli ospedali. Omicron 7 volte più contagiosa”
Il 93% dei veronesi con almeno 10 anni risultava a fine gennaio 2022 protetto contro il SARS-CoV-2, perché venuto in contatto con il virus (32,3%) o perché vaccinato (91,9%). La variante Omicron conferma anche a Verona la sua altissima contagiosità: in due mesi (dicembre 2021-gennaio 2022) l’incremento dei casi di infezione è stato 7 volte superiore rispetto ai 18 mesi precedenti. Seppur in un contesto di relativa tranquillità, il numero dei cittadini non protetti, che potrebbe incidere anche sulle ospedalizzazioni, richiede di non abbassare la guardia.
Questo il quadro principale emerso dalla seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020”, iniziato nella primavera di due anni fa, in piena prima ondata pandemica da Covid-19. La seconda fase aveva lo scopo di stimare, su campione rappresentativo della popolazione veronese con almeno 10 anni di età (235.000) la prevalenza (cioè il numero dei casi rispetto alla popolazione) e l’incidenza (cioè i nuovi casi da aprile-maggio 2020 a novembre 2021) di infezione attiva. Si tratta dello stesso campione statistico della prima parte della ricerca (1.515 cittadini) analizzato 18 mesi dopo. Poiché nei mesi di dicembre 2021 e gennaio 2022 la situazione epidemiologica ha subito un brusco cambiamento a causa della variante Omicron, lo studio si è protratto oltre l’arco temporale fissato originariamente (vedi video della presentazione in fondo a questo articolo).
I dati emersi della ricerca – che garantisce un margine di errore nelle stime pari al massimo del 2% – si differenziano dai bollettini quotidiani relativi ai positivi e ai vaccinati perché l’esame sierologico per la valutazione della presenza degli anticorpi specifici ha permesso di individuare la percentuale anche di coloro che non sapevano di aver contratto il virus, in quanto asintomatici o con lievi sintomi simil influenzali.
La ricerca è stata condotta dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e ha visto la collaborazione delle maggiori istituzioni amministrative, scientifiche e sanitarie di Verona: il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9.
Si tratta di uno dei pochi esempi a livello internazionale di indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo: il protocollo dello studio è stato pubblicato su British Medical Journal Open, mentre i risultati della prima fase sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Emerging Infection Diseases.
RACCOLTA DEI DATI E ANALISI
Il campione originario di 1.515 cittadini con età superiore ai 10 anni è stato contattato telefonicamente e invitato a recarsi da lunedì 22 a domenica 28 novembre 2021 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 per sottoporsi a un prelievo di sangue al fine del dosaggio degli anticorpi anti-Covid19, al tampone molecolare naso-faringeo e alla valutazione dei parametri respiratori tramite spirometria (questi ultimi dati sono ancora in fase di elaborazione).
All’invito hanno risposto 897 veronesi su 1.515 (59,2%). I campioni biologici raccolti dai sanitari dell’IRCCS di Negrar – guidati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia e coordinatore dello studio – sono stati analizzati dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal professor Zeno Bisoffi.
Il prelievo ematico di 80 soggetti (scelti dai 1.515 secondo criteri stabiliti sulla base della data della vaccinazione o di una pregressa infezione da SARS-CoV-2) è stato inviato al laboratorio dell’Università di Anversa (Belgio) per analizzare numerosi aspetti della immunità cellulare. I dati di questa ricerca, che rientra nello studio internazionale ORCHESTRA, guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice delle Malattie Infettive e Tropicali dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona, non sono ancora disponibili.
La seconda fase dello studio ha avuto una ripresa ad inizio anno, dovuta all’avvento della variante Omicron. Dal 17 gennaio per una settimana sono stati richiamati telefonicamente i 1.515 veronesi (il campione originario) per intervistarli su eventuali cambiamenti della loro situazione clinica relativamente al Covid19. Hanno risposto in 1.193 (78,7%).
I DATI
- A fine gennaio 2022 risulta parzialmente protetta dal virus SARS-CoV-2 il 93% della popolazione con almeno 10 anni perché vaccinato (91,9%) o perché venuti a contatto con il virus (32,3%). L’avverbio “parzialmente” è necessario perché come è noto, anche a causa delle varianti, sono possibili reinfezioni e perché il vaccino protegge dalla malattia grave e non dall’infezione.
- La prima fase dello studio (maggio 2020) ha rilevato una prevalenza di positività del 5,2%. A 18 mesi di distanza (novembre 2021) la prevalenza è risultata del 14,4%, con un’incidenza del 9,2%. A gennaio 2022, dopo due mesi caratterizzati dalla variante Omicron, la percentuale di casi nella popolazione è schizzata al 21,3% con un’incidenza del 6,9% rispetto a novembre 2021. Questo significa che vi è stato negli ultimi due mesi un incremento 7 volte superiore della diffusione del virus rispetto ai 18 mesi precedenti.
- Complessivamente dall’inizio dello studio il 23,5% dei veronesi interpellati – circa 1 su 4 – ha dichiarato di aver contratto il SARS-CoV-2.
- Ma l’evidenza dei test sierologici mostra che l’8,8% dei veronesi risulta essere venuto in contattato con il virus, senza saperlo o perché asintomatico o per non aver riconosciuto lievi sintomi dovuti all’infezione da SARS-CoV-2.
- Da maggio 2020 a gennaio 2022 la letalità è stata dello 0,7%: 11 decessi per Sars-Cov2 relativamente al campione indagato.
- Ospedalizzazioni: da maggio 2020 a gennaio 2022 i casi di ospedalizzazione per Covid19 (almeno una notte in ospedale) sono stati il 3,5%.
- Le reinfezioni ammontano allo 0,25%.
“Innanzitutto è d’obbligo un grande ringraziamento ai veronesi che si sono resi disponibili in modo totalmente gratuito per questo studio, dimostrando un grande senso civico, in un momento difficile per tutti”, afferma il dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e coordinatore dello studio. “Grazie ai tamponi abbiamo potuto scattare un’istantanea del momento, ma con l’esame sierologico sul sangue oggi possediamo un quadro completo, comprendente anche gli asintomatici non sottoposti a test, che rappresenta uno strumento formidabile a disposizione delle istituzioni amministrative e sanitarie per le decisioni future. La luce c’è in fondo al tunnel e ci stiamo avvicinando, ma manteniamo per ora la mascherina e il distanziamento soprattutto in luoghi chiusi. E naturalmente vacciniamoci anche con la terza dose, se non lo abbiamo già fatto”.
“I dati di Verona sono eloquenti, ci dicono che ci stiamo avviando verso quella che io chiamo una “semi immunità di gregge”, interviene il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. “Infatti, sommando i vaccinati con almeno due dosi e chi ha avuto il COVID, la grande maggioranza della popolazione veronese è protetta, ma questa protezione è parziale. Più efficace contro la malattia, meno efficace contro il rischio di infezione. Inoltre la durata della protezione è limitata nel tempo. Ci aspettano mesi più sereni, probabilmente la prossima stagione invernale vedrà una minor circolazione del virus e la pressione sui nostri ospedali sarà inferiore. Per consolidare questo risultato, però, la condizione indispensabile è raggiungere e mantenere nel tempo una copertura vaccinale molto elevata. Altrimenti nuove ondate saranno inevitabili”.
“Gli studi epidemiologici su un campione statisticamente significativo hanno proprio questa particolarità: l’indagine su un ristretto numero di persone consente di estendere i risultati su un’intera popolazione. In Italia ricerche Covid-19 di questo genere sono davvero poche”, sottolinea il professor Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo e co-coordinatore dello studio. “Sicuramente la ‘sorpresa’ più grande è stato il tasso di crescita delle infezioni dovute a Omicron: tanto che le stime iniziali prevedevano un picco a Verona della quarta ondata tra il 25 e il 31 dicembre 2021, mentre si è manifestato ben oltre (a metà gennaio). Questa ricerca ci consente di essere ottimisti per il futuro, ma con cautela – conclude il prof. Guerriero -. Il tasso di ospedalizzazione rilevato (3,5%), applicato alla percentuale dei cittadini non protetti, potrebbe portare a un numero importante di ospedalizzazioni. Naturalmente si tratta di una stima prospettica condizionata dall’incremento o meno del numero delle vaccinazioni. L’unico modo per smentirla è che chi non si è vaccinato lo faccia, subito!”.
“Questo studio, a cui come ospedale abbiamo creduto fin dall’inizio, unisce due aspetti che rappresentano il “Sacro Cuore Don Calabria”, ha aggiunto Mario Piccinini, amministratore delegato dell’ospedale di Negrar. “Questa è una delle ricerche che facciamo i cui risultati si trasformano in applicazioni cliniche immediatamente a vantaggio della salute dei pazienti o, come in questo caso, dei cittadini. Tale genere di ricerca è propria degli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, di cui facciamo parte dal 2018. Il secondo aspetto, invece, appartiene alla storia centenaria dell’Ospedale di Negrar: un storia iniziata proprio 100 anni fa (nel 1922), radicata nel territorio e a servizio del territorio, in collaborazione con le istituzioni amministrative e sanitarie. Siamo un ospedale a gestione privata, ma la nostra funzione è pubblica. Un esempio è il nostro ruolo in questa pandemia che ci ha visto in prima linea fin dall’inizio nell’ambito della ricerca (49 studi Covid-19 approvati), dell’assistenza (1.100 ricoveri) e della diagnostica: solo nel 2021 l’IRCCS di Negrar ha effettuato per la popolazione generale 50.069 tamponi di cui oltre l’80% con prescrizione medica (Servizio Sanitario Nazionale). Infine, attualmente l’ospedale è centro vaccinale per la popolazione adulta e i minori dai 12 ai 17 anni”
COMITATO SCIENTIFICO DELLO STUDIO
Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.
Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona
Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona
Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona
Evelina Tacconelli, direttore della Sezione Malattie Infettive dell’Università di Verona
Nella foto da sinistra: Claudio Micheletto, Massimo Guerriero, Zeno Bisoffi, Albino Poli, Federica Sboarina (sindaco di Verona), Roberto Giacobazzi (prorettore vicario dell’Università di Verona), Mario Piccinini (amministratore delegato IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria) e Carlo Pomari
Malattie tropicali neglette: un problema di salute globale
Il 30 gennaio è la Giornata mondiale delle Malattie Tropicali Neglette (NTD), un gruppo di patologie “dimenticate” dalle agende politiche e dalla ricerca scientifica, nonostante ne sia affetto più di un miliardo di persone, collocate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. Il DIpartimento di Malattie Infettive e Tropicali dal 2014 è centro collaboratore dell’OMS per queste patologie e in particolare per la strongiloidosi.
Si stima che oltre un miliardo di persone nel mondo ne sia afflitto e che siano causa di gravissime disabilità e di più di mezzo milione di morti all’anno. Tuttavia sono in gran parte sconosciute dall’opinione pubblica (ma anche dalla comunità medica e scientifica) e per lungo tempo trascurate dall’agenda politica mondiale e dalla ricerca. Si tratta delle malattie tropicali neglette (Neglected Tropical Diseases, NTD), di cui domenica 30 gennaio si celebra la giornata internazionale e per le quali il Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è centro collaboratore (dal 2014) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Le NTD sono patologie, secondo la definizione dell’OMS, “sebbene diverse dal punto di vista nosologico (possono infatti essere di origine virale, batterica, parassitaria…ndr), formano un gruppo unico in quanto tutte sono fortemente associate alla povertà, proliferano in ambienti con scarse risorse, specialmente in aree tropicali, tendono a coesistere e la maggior parte di esse sono malattie antiche che affliggono l’umanità da secoli”. L’OMS ne elenca venti. Alcune sono conosciute anche in Italia perché rievocano tempi passati (come la lebbra) oppure perché presenti (come il virus Dengue o la malattia di Chagas).
In questo elenco è stata inserita anche la strongiloidosi, grazie al contributo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar che negli ultimi dieci anni ha diagnosticato diverse centinaia di casi (la più alta casistica in Italia ed una delle principali in Europa). Si stima che nel mondo siano intorno ai 600 milioni le persone infette e uno studio del 2006 ha dimostrato che nella parte settentrionale del nostro Paese sono migliaia i soggetti ammalati. Sono in n gran parte di anziani, che si sono infettati, magari in gioventù o da bambini, camminando in campagna a piedi scalzi, o toccando con le mani terriccio contaminato da feci umane. Il sintomi possono essere banali (come un intenso prurito), ma in caso di immunodepressione la parassitosi può svilupparsi nella forma nota come disseminata, quasi sempre mortale. Fondamentale quindi la diagnosi precoce, da proporre prima di tutto a soggetti sintomatici o con aumento dei globuli bianchi eosinofili nel sangue.
Oltre che per la strongiloidosi, il Dipartimento è un centro di riferimento per tutte le malattie tropicali neglette a cui afferiscono sia i migranti presenti sul territorio sia i viaggiatori internazionali. Il centro infatti presenta metodiche diagnostiche specifiche e percorsi clinici di assistenza, frutto di anni di gestione di queste malattie, che non trovano facilmente un percorso adeguato in altre sedi. La ricerca, invece ha anche carattere operativo sul campo, con progetti internazionali.
Il Word Day NTD ha lo scopo di diffondere nell’opinione pubblica la consapevolezza dell’importanza di combattere queste malattie dimenticate che contribuiscono in modo determinante a frenare lo sviluppo dei Paesi più poveri e che potrebbero, a causa della mobilità delle persone, del cambiamento climatico e degli spostamenti di vettori di malattie diffondersi anche in quelli Occidentali.
La roadmap dell’OMS 2021-2030 prevede tra i vari obiettivi la riduzione del 90% il numero di persone che necessitano di interventi contro le NTD, di diminuire del 75% gli anni di vita persi per disabilità (DALYs) causate dalle stesse NTD e che ne vengano eradicate almeno due nel mondo (dracunculiasi e framboesia). E’ inutile sottolineare che ciascuno dei punti della roadmap richiede una forte volontà politica e un adeguato impegno del mondo scientifico.
Gli antibiotici non curano il Covid, perché è un virus e non un batterio
Nelle farmacie non si trovano alcuni tipi di antibiotici. La causa è ancora una volta la prescrizione e l’uso inappropriato di questi farmaci, probabilmente per cura del Covid. Assumere antibiotici per curare un virus, qual è il Sars Cov2, è inutile e potenzialmente dannoso per il soggetto. Oltre ad essere la prima causa dell’antibiotico-resistenza, che ha già provocato in Italia e in Europa migliaia di morti
Il mantra era lo stesso in epoca pre-Covid: assumere antibiotici per combattere l’influenza è inutile e pure dannoso. Il Covid non ha cambiato nulla, né il mantra né la cattiva abitudine di fare un uso improprio di una classe di farmaci preziosissimi che hanno cambiato il destino dell’umanità, debellando infezioni mortali. Batteriche e non virali. E sia l’influenza che il SARS-CoV 2, causa del Covid, sono virus non batteri.
Eppure è notizia di questi giorni che nelle farmacie italiane manca l’azitromicina, un antibiotico ad ampio spettro, impiegato per curare le infezioni batteriche delle vie respiratorie inferiori e superiori, quelle della cute o odontostomatologiche, e le infezioni del tratto uro-genitale. La carenza, come ha precisato l’Agenzia Italiana del Farmaco, “non deriva da esportazioni o altre anomalie distributive, ma dalla prescrizione del farmaco al di fuori delle indicazioni previste”, come per esempio per la cura del Covid. Quando, precisa l’AIFA, “l’azitromicina, e nessun antibiotico in generale è approvato, né tantomeno raccomandato per il trattamento del Covid-19”.
Gli antibiotici, infatti, entrano in campo nel percorso terapeutico di una persona affetta da nuovo Coronavirus quando all’infezione virale (per la quale questi farmaci non servono) si aggiunge anche una coinfezione batterica, dovuta a immunodepressione, spesso causata dai farmaci necessari per contrastare l’abnorme e anomala reazione del sistema immunitario, vero grande problema della malattia da SARS-Cov2.
L’uso improprio degli antibiotici ha delle serie conseguenze. Innanzitutto un farmaco che non serve è nella migliore delle ipotesi inutile, quindi priva di una grande arma terapeutica chi ne ha veramente bisogno. Infine è la causa principale della cosiddetta antibiotico-resistenza, cioè lo sviluppo di microrganismi, causa potenziale di infezioni, resistenti agli antibiotici. Fenomeno, quest’ultimo, che viene indicato come uno dei massimi problemi di sanità pubblica oggi, in quanto il rischio, nemmeno così remoto, è di ritornare a prima del 1928 quando Alexander Fleming scoprì la penicillina: impotenti di fronte alle infezioni. E di infezione si muore.
Le indagini realizzate stimano infatti che nel 2015, nei Paesi dell’Unione europea e dello Spazio economico europeo, si siano verificati 671.689 casi di infezioni antibiotico-resistenti, a cui sono attribuibili 33.110 decessi e 874.541 DALYs (Disability Adjusted Life years-numero di anni persi a causa della malattia). E secondo i dati forniti dalla sorveglianza dell’antibiotico-resistenza dell’Istituto Superiore di Sanità (Ar-Iss) in Italia si sarebbe verificato 1/3 di tutti i decessi (10mila morti) correlati alla resistenza degli antibiotici.
Ma che cos’è l’antibiotico-resistenza? E’ la resistenza dei microorganismi a un antibiotico. Questa è causata da un normale processo evolutivo del batterio (si afferma la mutazione che permette al microrganismo di sopravvivere) accentuata da vari fattori, tra cui l’uso inappropriato ed eccessivo dei farmaci che dovrebbero debellarli. In altre parole più antibiotici vengono usati più batteri sviluppano resistenze.
Pertanto la prevenzione dell’antibiotico-resistenza richiede sì progetti a livello globale (prevenzione diffusa delle infezioni, in particolare quelle ospedaliere, uso appropriato anche in campo veterinario, incremento della ricerca farmaceutica…), ma anche la collaborazione di ciascuno di noi (medici compresi che li prescrivono) nell’assumere correttamente questi farmaci.
Ecco come
- Gli antibiotici curano le infezioni batteriche e non virali. Pertanto sono inutili per combattere, per esempio l’influenza e il raffreddore e ancora di più il Covid
- Devono essere assunti solo su prescrizione medica. Quindi l’antibiotico avanzato dall’infezione precedente deve essere lasciato nel cassetto, sempre che il medico non lo indichi come cura.
- Devono essere assunti secondo la posologia indicata dal medico, rispettando anche l’intervallo temporale da una dose all’altra, in quanto è necessario mantenere una concentrazione stabile di farmaco nel sangue. Pena l’inefficacia della cura.
- Mai sospendere la cura prima del termine stabilito, sempre che non lo indichi il medico, perché se la malattia non è stata totalmente debellata i sintomi ricompiano con la necessità di un nuovo ciclo di cura.
Ha collaborato il dottor Giuseppe Marasca
Responsabile della stewardship antibiotica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria