I ricercatori del Sacro Cuore: ivermectina inefficace contro il Covid anche ad alte dosi

L’IRCCS di Negrar ha coordinato il primo studio italiano che ha visto la somministrazione dell’antiparassitario con il più alto dosaggio mai usato finora su pazienti positivi al SARS COV2. Ma il risultato ha evidenziato la sua inefficacia, pertanto è ingiustificato l’uso dell’ivermectina come terapia nella fase iniziale del Covid o in alternativa al vaccino

Prof. Zeno Bisoffi

L’ivermectina non è un’opzione per il trattamento del Covid 19, anche se utilizzata in fase precoce e con il più alto dosaggio mai usato finora sui pazienti positivi al SARS-CoV-2. Arriva dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) un contributo importante al dibattito sull’efficacia dell’antiparassitario, spesso elencato, senza evidenza scientifica, tra i farmaci da impiegare nella cura del nuovo Coronavirus o, addirittura, come alternativa al vaccino, tanto da alimentare teorie complottiste per il suo mancato impiego e intossicazioni per uso improprio denunciate dalla FDA negli Stati Uniti.

E’ stato infatti pubblicato su Preprints with the Lancet lo studio clinico di fase II “Treatment of COVID-19. COVER (COVid iVERmectin)”, coordinato dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’Istituto Mario Negri e a cui hanno partecipato l’Ospedale Sacco di Milano, l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e l’Ospedale Covid di Rovereto (vedi studio)

Si tratta di un trial clinico randomizzato, no profit, in doppio cieco che ha coinvolto 93 pazienti positivi al SARS-CoV-2 asintomatici o con sintomi lievi. L’obiettivo dei ricercatori era quello di verificare se l’impiego del farmaco ad alto dosaggio somministrato precocemente portasse alla riduzione della carica virale rispetto ai pazienti che ricevevano il placebo e quindi potenzialmente alla diminuzione delle ospedalizzazioni, delle complicanze gravi e della mortalità.

La ricerca ha preso le mosse dallo studio “in vitro” di ricercatori australiani, che dimostrava una grande efficacia dell’ivermectina nell’eliminare rapidamente il virus da colture cellulari in laboratorio, ma solo con concentrazioni elevate di farmaco.

“Gli studi relativi a Covid 19 e ivermectina sono tantissimi nel mondo, ma tutti hanno impiegato dosaggi relativamente bassi, incompatibili con quanto rilevato dai ricercatori australiani”, afferma il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar.

“Come tropicalisti abbiamo una grande conoscenza su questo farmaco che è efficace per molte malattie parassitarie come la strongiloidosi o la oncocercosi (la cosiddetta “cecità fluviale”). Ma è soprattutto un farmaco generalmente ben tollerato, caratteristica che ci ha permesso di somministrare con sicurezza a due gruppi distinti (il terzo ha avuto il placebo) un dosaggio rispettivamente di 600 e di 1200 microgrammi per chilo per cinque giorni contro i 200/400 microgrammi utilizzati per altre patologie in una dose unica”.

“Il primo risultato di rilievo è che lo studio non ha registrato eventi avversi gravi nemmeno nel gruppo con dosaggio più alto; si tratta di un dato importante anche per l’eventuale impiego dell’ivermectina in altre patologie qualora fosse necessario”, prosegue. “Tuttavia circa un terzo dei pazienti ha interrotto il trattamento prima della quinta dose a causa di disturbi lievi o moderati – sottolinea l’infettivologo -. Defezioni prevedibili perché si trattava di pazienti che seppur positivi erano in discreta salute e anche il più piccolo malessere poteva rappresentare causa di fastidio”.

 

Per quanto riguarda la carica virale media al settimo giorno, “è innegabile un valore più basso nei soggetti trattati con ivermectina ad alte dosi rispetto a quelli che hanno assunto il placebo. Ma poiché la differenza non è risultata statisticamente significativa, non possiamo escludere che il trend negativo possa essere dovuto più al caso che non al farmaco”.

Pertanto, conclude il professor Bisoffi, “i nostri risultati non incoraggiano l’esecuzione di trial clinici con questo dosaggio su campioni più numerosi. I dati peraltro confermano quanto emerso dalle metanalisi, per esempio della Cochrane Review, condotte sulle sperimentazioni cliniche realizzate con metodologie rigorose e su campioni sufficientemente ampi, che nei mesi scorsi hanno portato sia FDA sia EMA a pronunciarsi contro l’uso di questo antiparassitario come terapia contro il Covid-19 in mancanza di dati solidi sulla sua efficacia”


Suor Mantovani presto santa: il suo Istuituto contribuì alla storia centenaria del "Sacro Cuore"

Il prossimo 15 maggio, suor Domenica Mantovani sarà proclamata santa. La storia del suo Istituto religioso delle Piccole Suore della Sacra Famiglia – fondato con il Beato Giuseppe Nascimbeni – si è intrecciata con quella centenaria dell’ospedale Sacro Cuore, nell’assistenza ai malati. Ancora oggi la piccola comunità di suore è una presenza preziosa per la “Cittadella della Carità”.

Madre Maria Domenica Mantovani sarà proclamata Santa il prossimo 15 maggio. Una grande gioia per l’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di cui è stata fondatrice (nel 1892) assieme al Beato Giuseppe Nascimbeni e prima Madre Generale. Ma anche per la Cittadella della Carità dove le religiose sono presenti fin dalla nascita del primo nucleo, rappresentato dal Ricovero per anziani, voluto da don Angelo Sempreboni.

Fu lo stesso parroco di Negrar a chiedere a don Nascimbeni, in una lettera del 2 maggio 1918, “quattro delle sue buone suore. Non potendo quattro si potrebbe fare tre…”, per lavorare in parrocchia, nella scuola materna e quella del lavoro femminile. Gli rispose la stessa madre Mantovani, che pochi giorni dopo inviò in paese le consorelle. L’11 novembre di quattro anni dopo le suore iniziarono il loro servizio anche presso il Ricovero, inaugurato pochi giorni prima.

La Madre Generale fu anche protagonista di un rifiuto che aprì la strada all’ingresso della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza nella Cittadella della Carità. Nonostante già nel 1931 la struttura che, affiancata al Ricovero, doveva diventare ospedale fosse pronta, le autorità civili non concedevano l’autorizzazione. Ben presto fu chiaro che tanto ritardo non era dovuto a questioni tecniche o burocratiche ma all’ostilità dei militanti fascisti del paese nei confronti di don Sempreboni, tacciato di essere un nemico del regime. Pur di aprire l’ospedale per la sua gente, il parroco decise quindi di fare un passo indietro e di cedere la gestione del complesso a un Istituto religioso. Chiese innanzitutto a quello delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, ma madre Mantovani declinò l’offerta.

La presenza delle suore di Castelletto di Brenzone (località del Garda dove venne fondato l’Istituto e dove ha sede la Casa Madre) non venne mai meno al Sacro Cuore fornendo negli anni un contributo prezioso nell’ambito dell’assistenza infermieristica ai malati. Nel suo libro “Storia dell’Opera Don Calabria 11/3”, Mario Gecchele riporta che dal 1922 al 13 marzo 2004 hanno svolto servizio a Negrar ben 211 suore.

Oggi la piccola comunità, impegnata soprattutto nella pastorale ospedaliera, è composta dalla superiora Suor Rosa Santina (al secolo Maria Vigolo), suor Bernardetta (al secolo Lucia Brunelli), suor Lucia Raffaello (al secolo Luciana), suor Brandina Brunelli e suor Teresa Ausilia Dalla Pozza.


Qui Texas: il novembre "rock" del dottor Marcello Ceccaroni

Il dottor Marcello Ceccaroni è stato protagonista del 50° Congresso mondiale dell’AAGL (Austin, Texas, dal 14 al 17 novembre): unico italiano nel Comitato scientifico del meeting annuale, è stato insignito del Premio “John F. Steege Mentorship Award 2021”, riconoscimento  conferito per la prima volta a un medico del nostro Paese e a un non americano. E per finire la standing ovation dei mille presenti in sala  dopo la lezione magistrale dal titolo:  “La rivoluzione rock della chirurgia laparoscopica”, dove Bob Dylan diventa l’icona che meglio identifica la laparoscopia. Ma Austin non vale Firenze e le sale settorie di Leonardo da Vinci…

E’ stato un novembre prezioso, da conservare nel libro dei ricordi, quello che si è appena concluso per il dottor Marcello Ceccaroni, Direttore del Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia, uno dei maggiori esperti internazionali di Endometriosi.

Dr, Marcello Ceccaroni

Tutto si è svolto negli States, ad Austin (Texas) dove dal 14 al 17 novembre ha avuto luogo il 50° Congresso dell’AAGL (American Association of Gynecologic Laparoscopists), la più importante associazione a livello mondiale di chirurgia laparoscopica ginecologica. Per la seconda volta (la prima è stata nel 2018) il dottor Ceccaroni è stato nominato – unico italiano – componente del Comitato scientifico del meeting annuale.

Ma per il chirurgo di origini cesenati, le emozioni americane a Austin si sono moltiplicate. Nell’ambito del congresso è stato insignito con il Premio “John F. Steege Mentorship Award 2021”, riconoscimento che la Fondazione AAGL ha conferito per la prima volta a un italiano e a un non americano.

“Per la nostra disciplina questo premio è paragonabile al “Pulitzer” – afferma il dottor Ceccaroni -. Perché è sì legato alla persona e alle sue doti chirurgiche, ma soprattutto identifica il mentore, il maestro. Pertanto è una prestigiosa attestazione del valore di ISSA (International School of Surgical Anatomy) che ho fondato e che porto avanti con i miei assistenti. In 12 anni, grazie a questa scuola, abbiamo svolto attività umanitarie, assegnato borse di studio e soprattutto insegnato a oltre un migliaio di chirurghi in tutto il mondo l’anatomia chirurgica e le tecniche laparoscopiche. A maggio, per esempio, saremo a New York, alla Columbia University dove riprenderemo la collaborazione, interrotta a causa della pandemia. La cifra che da sempre ci contraddistingue è l’insegnamento su cadavere, ma da alcuni anni grazie alle nuove tecnologie possiamo effettuare una chirurgia in diretta e trasmetterla in qualsiasi Paese”.

Troppo facile scrivere a questo punto “non c’è due senza tre”. Perché al premio prestigioso si è aggiunta anche la standing ovation dei mille presenti in sala (“cosa rara in un congresso dell’AAGL”) dopo la lezione magistrale tenuta dal dottor Ceccaroni nella sessione plenaria. Già il titolo è tutto un programma per un meeting di medicina: “La rivoluzione rock della chirurgia laparoscopica”, dove rEvolution era scritto con la E maiuscola per sottolineare quanto rivoluzione sia sinonimo di evoluzione. “Il rock è stato un pretesto narrativo per parlare della laparoscopia non solo dal punto di vista tecnico ma anche culturale e filosofico, in quanto tra la chirurgia mininvasiva e il genere musicale ci sono, a mio avviso, analogie importanti”, spiega il dottor Ceccaroni.

Per esempio hanno subito lo stesso trattamento dall’establishment. “Sia la laparoscopia che il rock all’inizio sono stati perseguitati – racconta -. Come la BBC non mandava in onda certi brani, perché era considerata la musica del diavolo, alcuni laparoscopisti sono stati sottoposti a esami radiologici strumentali per verificare che non fossero matti o non avessero malattie degenerative. Perché introdurre uno strumento ottico in cavità addominale (non c’erano le telecamere a fibre ottiche di oggi) era considerato dalla chirurgia tradizionale un gesto eretico nello stesso modo in cui il rock veniva visto dalla cultura musicale dominante. Tuttavia, piaccia o no, il rock ha condizionato i costumi come la laparoscopia, perché oggi chi deve sottoporsi a intervento chirurgico spera di poterlo fare con una tecnica mininvasiva”. 

Qual è l’icona del rock secondo lei che rappresenta la laparoscopia? “Senza dubbio Bob Dylan – risponde -. Nella mia lezione magistrale ho riportato l’episodio (avvalendomi anche di filmati d’epoca) del Festival Folk del 1964 a Newport, quando Dylan viene osannato dal pubblico per la sua esecuzione di Mr tambourine man con il solo accompagnamento della chitarra acustica. Esattamente un anno dopo lo stesso pubblico lo fischia, perché ha osato introdurre la chitarra elettrica. Il tutto si ripete pochi mesi dopo a Manchester, dove lo chiamano “giuda”, coprendolo di fischi. Ma nel 2008 per Dylan arriva il Premio Pulitzer e nel 2016 il Nobel per la Letteratura a dimostrazione che era dalla parte della ragione, perché pur cambiando i paradigmi comunicativi, il messaggio non ha perso il suo valore. La laparoscopia è un po’ tutto questo: è stata ostacolata per aver capovolto la visione della chirurgia, ma alla fine si è imposta oggettivamente sulla chirurgia tradizionale”. Questo anche per merito della sua natura ‘generosa’. “Quella telecamera che inseriamo tramite un minuscolo taglio nell’addome consente di far uscire il sapere chirurgico dal chiuso della sala operatoria e condividerlo con il mondo. Oggi anche nei Paesi in via di sviluppo troviamo eccellenti chirurghi laparoscopici, grazie alla condivisione che ci permette la tecnologia”.

Altra analogia, ma questa volta con l’emancipazione della donna. “I pionieri di questa chirurgia sono stati ginecologi e l’uso di tecniche mininvasive sono la cifra un approccio diverso al corpo della donna, più rispettoso. Oggi parliamo per esempio di chirurgia nerve-sparing, che ha come obiettivo l’eradicazione della malattia (endometriosi o tumore) ma preservando le funzioni pelviche della donna, quindi la sua qualità di vita. Questo senza l’emancipazione femminile non sarebbe stato possibile”.

Ma Austin non vale Firenze. Quel giorno del maggio del 2019 quando, sempre in occasione del congresso dell’AAGL e soprattutto dei 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci, il dottor Ceccaroni ebbe l’onore di effettuare una lezione di anatomia chirurgica nei sale sotterranee dell’ospedale Santa Maria Nuova mai aperte prima, dove il genio fiorentino effettuava la dissezione dei cadaveri. “Quell’emozione non è paragonabile a nulla. Quell’evento ha dato il giusto valore a molti aspetti della mia vita professionale e privata. Dopo 500 anni le sale di Leonardo sono state aperte per la prima volta e io ho potuto effettuare una lezione. Come i primi chirurghi che praticavano la laparoscopia, anche Leonardo era ostacolato per le sue dissezioni dei cadaveri. Le sale erano sotterranee: grazie a un laparoscopio ciò che lui ha iniziato ha varcato la superfice ed è andato in tutto il mondo”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


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Influenza, nessuna sorpresa: è di tipo A H3N2 il primo caso nel Veneto diagnosticato a Negrar

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Tutto come previsto: è di tipo A e sottotipo H3N2 il primo caso di influenza nel Veneto, diagnosticato dal Laboratorio di Microbiologia dell’IRCCS di Negrar. E’ un tipo indicato come particolarmente contagioso, anche alla luce del fatto che nella scorsa stagione il virus influenzale ha avuto una bassa circolazione e potrebbe quest’anno trovare una popolazione maggiormente suscettibile.

Dr.ssa Francesca Perandin

E’ di tipo A e sottotipo H3N2 il primo caso in Veneto di influenza stagionale, rilevato dal laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar, di cui è responsabile la dottoressa Francesca Perandin.

La tipizzazione è stata effettuata dall’Unità complessa di Microbiologia e Virologia di Padova, laboratorio di riferimento regionale, sul tampone inviato come da prassi dai biologi di Negrar lo scorso 12 novembre.

Nessuna novità in proposito: il sottotipo H3N2 è quello previsto per la stagione 2021-20221 e indicato come particolarmente contagioso, anche alla luce del fatto che nella scorsa stagione il virus influenzale ha avuto una bassa circolazione e potrebbe quest’anno trovare una popolazione maggiormente suscettibile.

Infatti nell’autunno-inverno dello scorso anno su 18mila tamponi multiplex processati dal Laboratorio del “Sacro Cuore Don Calabria” – per la ricerca in contemporanea del virus SARS CoV2, del virus influenzale e del virus respiratorio sinciziale (RSV) – nessuno è risultato positivo al virus dell’influenza e nemmeno a quello responsabile della bronchiolite e della polmonite nei bambini.

Al contrario su 7.026 tamponi analizzati dal 10 ottobre al 12 novembre di quest’anno, 216 erano positivi al virus che provoca il Covid19, 207 al virus sinciziale (sull’aumento di bronchioliti e polmoniti nei bambini clicca qui) e 1 appunto all’influenza A H3N2. Ad oggi dai tamponi non è stato rilevato nessun caso di influenza.

Le misure per proteggerci dal virus antinfluenzale sono le stesse che abbiamo imparato per non contrarre il Covid19: mascherina, non frequentare luoghi affollati, igiene delle mani e vaccino. Vaccino che è particolarmente raccomandato per gli anziani e le persone fragili e può essere somministrato contemporaneamente a quello contro il virus SARS COV2.


Tumori, in Italia i guariti sono ancora malati: le proposte di ROPI per il diritto all'oblio

Sono oltre 3 milioni e 600mila le persone in Italia che hanno avuto una precedente diagnosi di cancro. Questo numero aumenta del 3% l’anno. Si stima che circa un milione di persone possano essere considerate guarite perché hanno raggiunto, dopo un certo numero di anni dalla diagnosi, la stessa aspettativa di vita delle persone di pari età e sesso che non hanno avuto un cancro. Ma una volta raggiunta la guarigione, queste persone, che vorrebbero e dovrebbero tornare alle loro vite senza incontrare ostacoli, ne trovano invece molti e, per la realizzazione di nuovi progetti, possono avere difficoltà ad accedere a servizi finanziari, come mutui e assicurazioni. Un problema che si somma ad anni di vita difficili, di grande sofferenza, anche economica, e che finisce con mettere in discussione il diritto di riprendersi la propria vita. Questo diritto si chiama diritto all’oblio, e nasce con l’obiettivo di evitare qualsiasi discriminazione nei confronti di pazienti guariti dal tumore. Un diritto garantito, ad oggi, solo in Francia, Lussemburgo, Belgio e Olanda. Il Portogallo, dopo un lungo dibattito, ha appena approvato una legge che entrerà in vigore nel 2022. In Italia al momento tutto tace. Per questo ROPI, la Rete Oncologica Pazienti Italia, ha deciso di iniziare una campagna di sensibilizzazione delle Istituzioni con una serie di iniziative.

Le spiega la dottoressa Stefania Gori, presidente ROPI e direttore del Dipartimento Oncologico dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria a Elisir, la trasmissione di medicina che va in onda su Rai3.


Il cuore che verrà. Cardiologia e tecnologia tra presente e futuro

Pubblichiamo l’intervento del dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia dell’IRCCS Ospedale Don Calabria, al Festival del Futuro che si è svolto a Verona dal 18 al 20 novembre. 


Il dottor Giulio Molon protagonista del Festival del Futuro

Si apre domani 18 novembre a Verona il Festival del Futuro, una tre giorni sul mondo che verrà. Più di 100 i relatori che si confronteranno in tavole rotonde e in keynote speech. Tra questi anche il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia ed esperto in patologie del battito cardiaco. Il suo intervento, venerdì 19 novembre, si può seguire anche in streaming su varie piattaforme

Si apre giovedì 18 novembre nella sala congressi di VeronaFiere la terza edizione del Festival del Futuro, la tre giorni di confronto tra scienziati, imprenditori, innovatori e progettisti del mondo che verrà. A differenza di quella dell’anno scorso, l’edizione 2021 sarà in presenza con posti contingentati per il rispetto delle normative Covid. Ma sarà possibile seguirla anche via streaming (iscrizioni e programma su www. festivaldelfuturo.eu)

Organizzato dal Gruppo editoriale Athesis con Eccellenza d’Impresa e Harvard Business Review, il Festival tratterà, tra i tanti argomenti, di salute, transizione energetica, agricoltura, space economy, mondo del lavoro… grazie alla presenza di oltre 100 esperti, che si confronteranno in oltre 15 tra tavole rotonde e keynote speech.

Tra questi anche il dottor Giulio Molon, direttore della Cardiologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Venerdì 19 novembre alle 10.30, il cardiologo farà un excursus sulla storia della aritmologia, quella disciplina della cardiologia che studia la fisiologia e la patologia del sistema ‘elettrico’ del cuore, cioè di quel sistema che genera il battito cardiaco e permette a tutte le cellule del cuore di contrarsi in maniera armonica.

Il primo pacemaker? Fu realizzato all’interno di una scatola di lucido da scarpe; oggi è piccolo come un proiettile e sta tutto dentro il cuore. Questo è solo uno dei tanti esempi dello straordinario sviluppo tecnologico dei dispositivi cardiaci. Cosa ci attende per il prossimo futuro e, soprattutto, le grandi potenzialità offerte dalla tecnologia cardiologica sono sostenibili da una sanità universale?

Per seguire da remoto l’intervento del dottor Molon basta collegarsi in streaming su

www.festivaldelfuturo.eu
www.larena.it
www.ilgiornaledivicenza.it
www.bresciaoggi.it
www.ansa.it

E su i rispettivi profili social

Inoltre il Festival del Futuro sarà trasmesso da

Telearena
Telemantova
RadioVerona


Covid19, al via la seconda fase dello studio epidemiologico su Verona condotto dall'Irccs di Negrar

Si tratta dell’unica indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo condotta finora in Italia. Obiettivo: una mappatura aggiornata della diffusione dell’infezione da SARS-CoV2 nella città di Verona a 19 mesi dalla prima rilevazione (aprile-maggio 2020). Lo studio è coordinato dall’IRCCS di Negrar, in collaborazione con il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9

Da sinistra: la professoressa Evelina Tacconelli, il sindaco di Verona Federico Sboarina, il dottor Carlo Pomari e il professor Massimo Guerriero

Lunedì 22 novembre al Centro Diagnostico Terapeutico dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (in via S. Marco 121 – Verona) prende il via la seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020”. La prima fase è stata realizzata nell’aprile-maggio dello scorso anno con lo scopo di indagare la prevalenza (cioè la percentuale nella popolazione) dei casi asintomatici di SARS CoV2 nella città di Verona.

Con la seconda fase si vuole stimare la prevalenza e l’incidenza – cioè i nuovi casi da aprile-maggio 2020 a novembre 2021 – di infezione attiva sullo stesso campione statistico iniziale (1.515 cittadini) e a distanza di 19 mesi.  Inoltre con il dosaggio degli anticorpi lo studio ha l’obiettivo di quantificare la percentuale di abitanti che hanno sviluppato una risposta anticorpale al nuovo Coronavirus a causa dell’infezione naturale o grazie al vaccino.

Lo studio è condotto dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e vede la collaborazione delle maggiori istituzioni amministrative, scientifiche e sanitarie di Verona: il Comune, l’Università scaligera, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata e l’Ulss 9. Si tratta dell’unica indagine epidemiologica su campione statisticamente rappresentativo condotta finora in Italia relativamente al Covid 19.

I risultati della prima fase sono stati pubblicati dalla rivista scientifica Emerging Infection Diseases, mentre il protocollo dello studio era stato pubblicato sul British Medical Journal Open, come uno dei pochi esempi di indagine epidemiologica sulla diffusione del virus in quel momento realizzati a livello globale.

COME AVVIENE LA RACCOLTA E L’ANALISI DEI DATI

Tramite chiamata telefonica, gli stessi 1.515 cittadini veronesi (con minimo 10 anni) già coinvolti nella prima fase saranno invitati a recarsi, dal 22 al 28 novembre, al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco.

Qui i sanitari dell’IRCCS di Negrar – guidati dal dottor Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia e coordinatore dello studio – sottoporranno i candidati a un prelievo di sangue per il dosaggio degli anticorpi anti-Covid19 e al tampone molecolare naso-faringeo. Inoltre, saranno rilevati i parametri respiratori tramite una spirometria.

I campioni biologici raccolti verranno analizzati dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretto dal professor Zeno Bisoffi, e consegnati al professor Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo, per un’analisi statistica, che prevede un margine di errore al massimo dell’1,5% nelle stime dei diversi parametri.

IL VALORE DELLO STUDIO

“Lo studio ha una finalità medico-scientifica innanzitutto, ma anche una valenza sociale – spiega il dottor Pomari -. Come è accaduto nella prima fase, possiamo stabilire la percentuale dei positivi asintomatici nella città di Verona e quindi fornire alle autorità amministrative e sanitarie elementi oggettivi per adottare o meno misure di contenimento del virus. Dal punto di vista medico – prosegue –  la ricerca ci permette di osservare l’andamento degli anticorpi di coloro che avevano contratto la malattia nella prima fase e/o anche di coloro che si sono vaccinati, rilevando i casi di reinfezione o infezione nonostante il vaccino. Infine i parametri respiratori potranno dirci in generale come respirano i veronesi e se il Covid19, in chi si è ammalato, ha peggiorato la sua salute respiratoria”

PERCHE’ QUESTO STUDIO E’ UNICO NEL SUO GENERE

L’unicità di questo studio è che il campione di cittadini, estratti dall’elenco dell’anagrafe veronese, è casuale e pertanto i risultati saranno estendibili a tutta la popolazione veronese e, ancor più, a popolazioni con struttura demografica simile – sottolinea il professor Guerriero -. Inoltre possiamo garantire un ridotto margine di errore nelle stime pari al massimo all’1,5%. Oltre alla prevalenza ed incidenza di infezione in soggetti asintomatici sarà possibile stimare la prevalenza di reinfezione e quella di infezione in soggetti vaccinati. Saranno anche raccolte importantissime informazioni cliniche di follow-up relative in particolar modo al Long Lovid e cioè a tutti quei disturbi e manifestazioni cliniche che nascono in conseguenza all’infezione da SARS-Cov-2 e i cui meccanismi alla base del loro sviluppo non sono ancora del tutto chiari. Si stima che a 12/15 settimane dall’infezione circa il 50% degli adulti ed il 15% dei bambini soffra appunto di long covid indipendentemente dalla gravità del Covid-19.”.

LO STUDIO SULLA CITTA’ DI VERONA ENTRA NEL PROGETTO EUROPEO ORCHESTRA

La seconda fase dello studio epidemiologico “Comune di Verona 2020” si arricchisce anche di un’ulteriore indagine: un campione di 80 soggetti (scelti dai 1.515 secondo criteri stabiliti sulla base della data della vaccinazione o di una pregressa infezione da SARS-CoV-2) verranno sottoposti, previo consenso informato, a un ulteriore prelievo ematico per analizzare numerosi aspetti della immunità cellulare, la famosa ‘memoria immunologica’, cioè la risposta che il nostro sistema immunitario mette in atto quando viene in contatto con un agente patogeno già conosciuto, risposta che si attiva sebbene siano venuti meno con il tempo gli anticorpi specifici contro quel virus o quel batterio.

Questa parte dello studio rientra nel progetto di ricerca internazionale ORCHESTRA guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice della Sezione di Malattie Infettive dell’Università di Verona, che coinvolge 15 Paesi (anche extra UE) e finanziato dall’Unione Europea con lo scopo di trovare soluzioni rapide e innovative per la gestione della pandemia da Covid19. Questi campioni verranno analizzati dal laboratorio dell’Università di Anversa (Belgio).

Allo stato attuale non possiamo definire con certezza un livello minimo di anticorpi per ottenere una copertura vaccinale ottimale – spiega la professoressa Tacconelli -. Se lo sapessimo, per esempio, potremmo selezionare i soggetti che hanno bisogno urgente di un richiamo vaccinale o di una dose aggiuntiva. Studiare l’immunità cellulo-mediata, altra arma con cui il nostro organismo si difende da agenti patogeni, in questa coorte, integrata nella coorte Europea di ORCHESTRA, permetterà di aumentare le nostre conoscenze a beneficio della popolazione e dei piani strategici vaccinali.”

COMITATO SCIENTIFICO DELLO STUDIO

Coordinatori: Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, e Massimo Guerriero, biostatistico ed epidemiologo.

Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e professore associato di Malattie Infettive e Tropicali dell’Università di Verona

Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Azienda ospedaliero universitaria di Verona

Albino Poli, direttore del Dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica dell’Università di Verona

Evelina Tacconelli, direttore della Sezione Malattie Infettive dell’Università di Verona


Diabete: vita sana e controlli periodici per prevenire una malattia dalle gravi complicazioni

Alla vigilia della Giornata mondiale del diabete il dottor Luciano Zenari, responsabile del Centro diabetologico, fa il punto su una patologia che in Italia colpisce oltre 3 milioni di soggetti diagnosticati. L’importanza di stili di vita sani e degli esami periodici del glucosio, che, se elevato, deve essere mantenuto sotto controllo per non cadere in gravi complicazioni.

Una sete intesa (polidipsia) che provoca un costante bisogno di bere e la necessità di urinare frequentemente (poliuria), soprattutto nelle ore notturne. Spesso insorge anche una forte stanchezza (astenia), un calo ponderale importante e un’alterazione della vista.

Sono questi i sintomi con cui si presenta il diabete o l’iperglicemia e che dovrebbero mettere in guardia in particolare coloro che hanno una familiarità per la patologia e/o problemi di sovrappeso.

PERCHE’ IL GLUCOSIO ALTO PROVOCA SETE
Dottore Luciano Zenari, direttore Diabetologia Irccs Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Dr. Luciano Zenari

“A livello renale noi siamo dotati di una sorta di ‘sfioratore’ per cui quando la glicemia supera i 180 mg/dl (il livello ottimale è < 100 mg/dl a digiuno), lo zucchero passa nelle urine e trascina con sé l’acqua. Questo è il motivo per cui chi sta sviluppando la malattia lamenta bocca secca e impastata, bisogno frequente di urinare e un calo ponderale importante”, spiega il dottor Luciano Zenari, responsabile del Servizio diabetologico di Negrar. A questo si possono associare anche problemi alla vista con alterazione della capacità visiva e infezioni genito-urinarie.

ESAMI DEL SANGUE PERIODICI

“Tuttavia non si dovrebbe scoprire dai sintomi di avere il glucosio alto, perché è buona norma (non solo per il diabete) sottoporsi periodicamente alle analisi del sangue, almeno una volta ogni anno (a partire da 40 anni)”, sottolinea il dottor Zenari alla vigila della Giornata mondiale del diabete, che si celebra il 14 novembre

Nel 2015 si stimava che le persone affette da iperglicemia nel mondo fossero 415 milioni con una proiezione che toccava i 642 milioni nel 2040. In Italia ci sono oltre 3 milioni di soggetti alle prese con questa patologia, ma a questi si deve sommare un altro milione e mezzo di persone inconsapevoli di soffrire di eccesso di glucosio nel sangue.

DIABETE MELLITO DI TIPO 1 E 2

Si tratta nella grande maggioranza dei casi di diabete mellito di tipo 2, la forma di iperglicemia che insorge in età adulta (tra i 50 e i 60 anni), spesso dovuta alla combinazione di predisposizione genetica (per questo è importante la familiarità) che favorisce l’insulino-resistenza ed errati stili di vita (obesità, sedentarietà, alimentazione con eccesso di cereali e zuccheri semplici…). Circa il 10% dei casi, invece, riguarda il diabete mellito di tipo 1, o giovanile, una patologia autoimmune che vede il sistema immunitario aggredire e distruggere le isole pancreatiche, produttrici dell’insulina endogena.

“Oggi è meno frequente rispetto al passato per un diabetico di tipo 2 deve ricorrere alla somministrazione di insulina – sottolinea il dottor Zenari -. Questo grazie a farmaci efficaci e ormai consolidati, a regimi alimentari personalizzati e alla diffusione su territorio di Centri diabetici che prendono in carico i pazienti (a Negrar sono circa 5mila), curando la malattia, ma soprattutto prevenendo e/o ritardando le gravi complicazioni, la ragione principale per cui è essenziale tenere sono controllo la patologia.

LA GRAVITA’ DELLE COMPLICAZIONI SE IL DIABETE NON E’ SOTTO CONTROLLO

Il diabete è infatti la prima causa di cecità non traumatica; la prima causa di dialisi (l’80% dei dializzati è diabetico); chi soffre di iperglicemia ha un rischio da 2 a 4 volte maggiore di avere una cardiopatia ischemica e doppio di incorrere in un’ischemia cerebrale; infine l’eccesso di glucosio è la prima causa di amputazione degli arti inferiori non traumatica (piede diabetico). Non dimentichiamo inoltre che “per tutte queste ragioni e per un’immunodeficienza di fondo i diabetici sono malati cronici a rischio di incorrere in forme gravi di Covid-19 – sottolinea il medico -. Da qui l’enorme importanza della vaccinazione, a cui i nostri pazienti hanno risposto in massa”.

LE ARMI FARMACOLOGICHE CHE OGGI DISPONIAMO

La ricerca farmacologica negli ultimi vent’anni ha fatto passi da gigante nell’ambito della cura del diabete. Ci sono novità all’orizzonte? “Per il diabete di tipo 2 abbiamo già farmaci molto efficaci- risponde il dottor Zenari -. La forma di iperglicemia più diffusa riconosce la sua base più importante nel sovrappeso, in quanto, a differenza di un sentire diffuso, il tessuto adiposo, soprattutto quello addominale, favorisce la resistenza all’azione dell’ormone insulina. Infatti vengono usati farmaci cosiddetti GPL-1 agonisti, che oltre a ridurre la glicemia, hanno un effetto anoressante, cioè tolgono la sensazione della fame, e quindi aiutano il paziente ad aderire al programma dietetico ipocalorico. Invece i farmaci della classe SGLT-2 inibitori inducono la perdita del glucosio nelle urine e per questo favoriscono il miglioramento della glicemia e il calo ponderale. Inoltre, per queste due classi di farmaci, sono evidenti dati di protezione cardiovascolare e renale che confermano la riduzione della mortalità e della progressione di queste complicazioni.

INFUSIONE DI CELLULE STAMINALI: IL TRAGUARDO E’ VICINO

Sono invece prossime delle importanti novità terapeutiche per la cura del diabete mellito 1. “E’ in corso uno studio clinico presso l’Università di Padova che ha come obiettivo la sostituzione della capacità secretiva attraverso un sistema di infusione di cellule Beta pancreatiche incapsulate senza quindi bisogno del trapianto d’organo. Il progetto sponsorizzato dalla Regione Veneto vuole arrivare entro il 2024 a proporre una terapia sostitutiva della somministrazione quotidiana di insulina negli adulti e successivamente anche nei bambini, conclude il dottor Zenari.


IColon, la app "chirurgica" unica in Italia, sviluppata al "Sacro Cuore"

Si tratta della prima ed al momento unica esperienza italiana di utilizzo di una mobile app che accompagna il paziente nelle fasi del protocollo ERAS durante le fasi pre e post-operatorie, mantenendolo sempre in contatto diretto con l’equipe chirurgica. Il protocollo dello studio in corso è stato pubblicato su BMJ Open

E’ stato pubblicato sulla rivista British Medical Journal (BMJ) Open (clicca qui) il protocollo dello studio in corso presso il reparto di Chirurgia Generale, diretto dal dottor Giacomo Ruffo, in merito all’utilizzo, da parte dei pazienti sottoposti a chirurgia colorettale, di una

Giacomo Ruffo direttore della Chirurgia generale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria presenta l'APP per la chirurgia colorettale
Il dr. Ruffo con la app sullo smartphone

specifica app, iColon, durante l’intero periodo perioperatorio. 

iColon è un’applicazione gratuita scaricabile su smartphone e tablet che accompagna il paziente sottoposto a chirurgia colorettale durante le fasi di preparazione all’intervento chirurgico e dopo lo stesso nel rientro a domicilio.
L’applicazione è stata progettata dalla Chirurgia Generale in collaborazione con il gruppo multidisciplinare e multispecialistico (anestesisti, farmacisti, dietisti, fisiatri e fisioterapisti) che segue l’applicazione del protocollo ERAS – Enhanced Recovery after Surgery – ed è nata dall’esigenza di stimolare e seguire in modo attivo ed attento il paziente durante tutto il periodo perioperatorio.
Si tratta della prima ed al momento unica esperienza italiana di utilizzo di una mobile app che accompagna il paziente durante le fasi pre e post-operatorie mantenendolo sempre in contatto diretto con l’equipe chirurgica.

iColon è organizzata, come il protocollo ERAS, in tre fasi: la fase preoperatoria, la fase del ricovero e la fase del rientro a domicilio dopo la dimissione. Ad ognuna di queste fasi corrispondono dei contenuti informativi che educano il paziente sul percorso perioperatorio rendendolo in tal modo più partecipe e coinvolt. Inoltre è previsto un diario giornaliero che il paziente è invitato a compilare inviando un feedback ai medici dell’equipe che seguiranno il percorso di ogni paziente su una apposita piattaforma digitale.Il razionale dello studio nasce dell’idea che fornendo una mobile app come iColon l’aderenza da parte del paziente agli items attivi del protocollo ERAS possa aumentare.

Il primo obiettivo co-primario è valutare la percentuale di utilizzo dell’applicazione iColon da parte dei pazienti. Il secondo obiettivo co-primario è valutare la compliance dei pazienti agli items attivi del protocollo ERAS. Gli obiettivi secondari includono la valutazione dei vari parametri raccolti dall’applicazione stessa quali durata del ricovero, tasso di readmission a trenta giorni, complicanze postoperatorie e soddisfazione del paziente per le cure ricevute con particolare riferimento all’utilizzo di iColon.