Covid 19, nuove norme sulla quarantena e sull'isolamento

Il nuovo decreto legge in vigore dallo scorso 31 dicembre cambia in maniera sostanziale le norme che regolano la quarantena e l’isolamento. La vaccinazione completa con la dose booster consente una vita sociale e lavorativa (indossando la mascherina FFP2) anche a seguito di un contatto stretto con un positivo. Sette e non dieci i giorni di isolamento in caso di positività.

Riportiamo di seguito le nuove norme sulla quarantena e sull’isolamento fiduciario causa Covid 19 previste dal decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 229 ed entrate in vigore il 31 dicembre 2021.

IN CASO DI CONTATTO STRETTO* CON SOGGETTO CONFERMATO POSITIVO AL COVID-19

Il decreto prevede che la quarantena preventiva NON si applichi

  • alle persone che hanno completato il ciclo vaccinale “primario” (senza “terza dose” o “booster) da 120 giorni o meno;
  • alle persone che sono guarite dal COVID-19 da 120 giorni o meno;
  • alle persone che hanno ricevuto la dose di richiamo del vaccino (cosiddetta “terza dose” o “booster”).

A tutte queste categorie di persone si applica una AUTO-SORVEGLIANZA (auto-monitoraggio quotidiano dei sintomi: febbre, raffreddore, tosse…) con OBBLIGO DI INDOSSARE LA MASCHERINA FFP2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al soggetto positivo al COVID-19 (quindi l’undicesimo giorno dall’ultimo contatto). È prevista l’effettuazione di un test antigenico rapido o molecolare per la rilevazione dell’antigene Sars-Cov-2 alla prima comparsa dei sintomi e, se ancora presenti al quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto. .

Il decreto prevede che la quarantena preventiva si applichi nel seguente modo

  • 5 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti asintomatici che abbiamo completato il ciclo vaccinale primario (senza “terza dose” o “booster) da più di 120 giorni e che abbiano comunque un green pass rafforzato valido. Al quinto giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
  • 10 giorni dall’ultima esposizione: ai soggetti non vaccinati o che non abbiano completato il ciclo vaccinale primario o che abbiano completato il ciclo vaccinale primario da meno di 14 giorni. Al decimo giorno obbligo di un test molecolare o antigenico negativo.
IN CASO DI POSITIVITA’ AL COVID 19

Il decreto prevede che l’isolamento venga applicato nel seguente modo:

  • 7 giorni: per i soggetti contagiati che abbiano precedentemente ricevuto la dose booster o che abbiano completato il ciclo vaccinale da meno di 120 giorni o che siano aguariti da meno di 120 giorni. L’isolamento termina al 7 giorno purché siano sempre stati asintomatici o risultino asintomatici da almeno 3 giorni e alla condizione che, al termine di tale periodo, risulti eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.
  • 10 giorni per i soggetti contagiati non vaccinati, vaccinati con un ciclo primario incompleto, vaccinati con ciclo primario completo da meno di 14 giorni o vaccinati con ciclo vaccinale completo da più di 120 giorni. A conclusione del periodo deve essere eseguito un test molecolare o antigenico con risultato negativo.

 

* definizione di “contatto stretto”

  • una persona che vive nella stessa casa di un caso COVID-19
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso COVID-19 (per esempio la stretta di mano)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso COVID19 (ad esempio toccare a mani nude fazzoletti di carta usati)
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di almeno 15 minuti
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (ad esempio aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso COVID-19 in assenza di DPI idonei
  • un operatore sanitario o altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso COVID-19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei
  • una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.

Gli operatori sanitari, sulla base di valutazioni individuali del rischio, possono ritenere che alcune persone, a prescindere dalla durata e dal setting in cui è avvenuto il contatto, abbiano avuto un’esposizione ad alto rischio.

(fonte Ministero della salute: clicca qui)


Dolore cronico e psicoterapia: il modello ACT è il più efficace

il National Institute for Clinical Excellence (NICE) “premia” il modello di psicoterapia applicato da sempre dal servizio di Pasicologia clinica per la gestione del dolore cronico oncologico, emicranico o causato dall’endometriosi

Giuseppe Deledda, responsabile Psicologia Clinica IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Dr. Giuseppe Deledda

Il modello ACT – Acceptance and Commitment Therapy – è la psicoterapia più efficace per la gestione del dolore cronico. A dirlo è il National Institute for Clinical Excellence (NICE), l’agenzia indipendente britannica il cui mandato è quello di fornire, su evidenze scientifiche, linee guida agli operatori sanitari al fine del raggiungimento dei migliori standard possibili nella cura dei pazienti. Una grande soddisfazione per il Servizio di Psicologia Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di cui è responsabile il dottor Giuseppe Deledda, che da sempre applica il modello ACT nella presa in carico dei pazienti affetti da dolore cronico.

“Si tratta di una prestigiosa conferma della bontà del nostro approccio terapeutico al dolore cronico come per esempio il dolore oncologico, quello emicranico o causato dall’endometriosi, solo per citare la tipologia dei pazienti che segue il nostro Servizio – spiega il dottor Deledda -. Le linee guida di NICE si basano su trial clinici, che hanno dimostrato quanto il modello ACT agisca positivamente, non tanto sul dolore ‘puro’, quello causato dalla patologia, quanto su quello ‘sporco’”.

Un termine usato quest’ultimo per indicare la sofferenza psicologica che viene ad innestarsi quando la sofferenza fisica condiziona la qualità di vita. “Il paziente affetto da dolore cronico in genere soffre di depressione, ansia, disturbi del sonno, rabbia che amplificano inevitabilmente il dolore fisico, abbassando la soglia di sopportazione – riprende lo psicologo – ACT agisce su questi aspetti portando il paziente ad abbandonare quelle strategie di evitamento che l’essere umano mette in atto istintivamente di fronte a qualcosa che non sa come controllare, ma che esse stesse sono fonti di sofferenza. Un esempio? Evito di frequentare le persone perché a causa del dolore io sono un peso. Questo non fa altro che aumentare il mio senso di solitudine, di non essere amato, esacerbando anche la sofferenza fisica. Ma spesso sono i nostri pensieri che ci attribuiscono il ruolo di ‘peso’ non la realtà dei fatti”.

Come indica l’acronimo ACT, la terapia vuole portare all’accettazione, una parola difficile da affermare di fronte a una persona che soffre. “Accettazione non significa rassegnazione o fatalismo, ma consapevolezza del nostro presente che comprende il dolore ma non deve essere visto attraverso di esso. Aiutare il paziente a muoversi verso ciò che è importante, verso ciò che ha valore per la persona stessa nonostante il dolore, è ciò che si prefigge questo modello di psicoterapia”.

Un modello che secondo le line guida NICE aiuta anche il paziente a una maggiore adesione terapeutica e aumenta l’efficacia del farmaco. “La depressione o la rabbia innestano anche un senso di sfiducia nei confronti della terapia che si sta seguendo: ‘Il dolore rimane quindi a cosa serve?’. La psicoterapia agendo sul dolore sporco, agisce sulla percezione del dolore primario e aumenta la consapevolezza sulla necessità di aderire correttamente alla terapia. Se i farmaci vengono assunti correttamente, aumentano la loro efficacia”, afferma il dottor Deledda.

“La malattia, come il dolore, possono rappresentare momenti in cui sperimentiamo emozioni indesiderate, pensieri inquietanti, vissuti d’impotenza e di perdita delle autonomie, per cui non è sempre facile vivere e muoversi coerentemente con i propri valori – riprede il psicologo -. Il percorso terapeutico si ripropone di rimanere in una posizione d’ascolto e di accoglienza della sofferenza, per poi ricercare un nuovo repertorio di azioni, psicologiche e fisiche, coerenti con i valori identificati. La terapia si snoda, quindi, attraverso un percorso che si sviluppa mediante i sei processi del modello ACT (accettazione dell’esperienza, defusione, contatto con il momento presente, senso di continuità con il sé, contatto con i propri valori e azione impegnata), applicati nel contesto del dolore cronico.


Lo sport paralimpico ritorna in ospedale con il tiro con l'arco

Ritornano presso il Dipartimento di Riabilitazione le iniziative dedicate allo sport con il Comitato Italiano Paralimpico, una collaborazione nata nel 2018. Si è iniziato con il tiro con l’arco, ma seguiranno altre discipline sportive. Perché lo sport è parte integrante del processo riabilitativo e un’occasione di reinserimento nella vita sociale

Luigi in gioventù ha giocato a calcio ed era un appassionato di nuoto. Mai si sarebbe immaginato che a 68 anni avrebbe provato anche il tiro con l’arco e per lo più mentre si trovava ricoverato in ospedale. Invece è accaduto e non per un regalo di Natale, ma grazie alle ripresa dell’attività sportivo-riabilitativa all’interno del Dipartimento di Riabilitazione in convenzione con il Cip, il Comitato italiano paralimpico, interrotta a causa della pandemia.

La giornata “sportiva” si è svolta poco prima di Natale negli spazi del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, dove ogni giorno i pazienti, degenti e non, con lesioni midollari o cerebrali, dovute a traumi oppure a patologie, svolgono attività riabilitativa. Sei di loro hanno aderito all’iniziativa con l’istruttrice Carla Pravato degli “Arcieri Sanbonifacesi”, Società sportiva di tiro con l’arco della provincia di Verona. Carla è istruttore di secondo livello, iscritta all’albo, con specializzazione per il settore giovanile e paralimpico.Le modalità di insegnamento sono le stesse sia per un normodotato sia per un disabile. Anche la posizione è la stessa. La sola differenza è che nel secondo caso utilizziamo degli ausili per adattare il gesto alla condizione della persona”, sottolinea Pravato. “Il tiro con l’arco è una disciplina sportiva considerata riabilitativa per il reinserimento non solo nel mondo dello sport ma anche in quello sociale. Questo in ospedale è un primo approccio, una volta dimesso il paziente può continuare l’attività presso una delle tante società sportive esistenti”.

La convenzione tra il Dipartimento di Riabilitazione dell’IRCCS di Negrar e il Cip è stata stipulata nel 2018. “Grazie ad essa istruttori del Comitato si affiancano ai terapisti nel far sperimentare nella fase ospedaliera lo scenario dello sport adattato alla loro disabilità”, afferma la dottoressa Rossato. “Inoltre, dove è necessario, il Cip fornisce anche la strumentazione necessaria per la pratica sportiva scelta. Lo sport diventa così elemento del processo riabilitativo sia dal punto di vista motorio che relazionale”.

Il connubio sport e riabilitazione ha una lunga tradizione a Negrar, anche prima della convenzione con il Cip, tanto che l’ospedale è stato in molti casi una fucina di campioni. Per fare solo alcuni nomi: Federico Falco (campione mondiale di tennis tavolo), Michela Brunelli (campione europeo di tennis tavolo e medaglia di bronzo alle ultime paralimpiadi), Sofia Forneris (nazionale di tiro con l’arco), Federico Crosara (nazionale di tennistavolo), Stefano Pasini (handbike)… e tanti altri, che, nonostante le lesioni che li hanno resi paraplegici o tetraplegici, sono riusciti ad affermarsi nello sport.

“Abbiamo iniziato con il tiro con l’arco, ma è nostra intenzione è proseguire con altri sport quando avremo individuato gli ambienti idonei” sottolinea Giovanni Brunelli, fisioterapista del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa. “Il tiro con l’arco è ideale per esercitare il controllo del tronco, rafforzare gli arti superiori e la capacità oculo-motoria rispetto al gesto atletico. Tra i nostri pazienti ci sono molte persone giovani: per loro lo sport significa ritorno alla vita, l’opportunità di esprimersi fisicamente andando oltre i loro presunti limiti”.


2021: video-diario di un anno intenso e ricco di emozioni al "Sacro Cuore"

In questo video abbiamo raccolto le immagini e gli eventi che hanno segnato questo 2021 per l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Un anno intenso, ancora pesantemente segnato dalla pandemia, nel quale i nostri operatori sono stati nuovamente in prima linea nella lotta al virus ma anche nella cura di tanti pazienti affetti dalle altre patologie che di certo non sono sparite al cospetto del Covid. Questo piccolo video-diario vuole essere un ringraziamento per il lavoro fatto e un’occasione per fare a tutti i nostri lettori i migliori auguri di un sereno 2022, ricordando che il nuovo anno sarà doppiamente speciale perchè celebreremo il centenario del “Sacro Cuore”.

* Foto di copertina: Udali


Da una storia centenaria i nostri migliori auguri di Buon Natale e di un Sereno Anno Nuovo

Nel 1922 saranno esattamente 100 anni dalla nascita dell’ospedale “Sacro Cuore”. Nell’augurare Buon Natale e un Sereno Anno Nuovo vogliamo ripercorrere insieme a voi questa storia centenaria e straordinaria, tramite le immagini delle tappe più significative

È un anno speciale quello che l’Ospedale di Negrar si sta preparando a vivere. Era infatti il 1922 quando nacque la Casa del Sacro Cuore, la prima cellula dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. Era un piccolo ricovero dedicato agli anziani del paese, voluto dal parroco don Angelo Sempreboni e in cui don Giovanni Calabria vide qualcosa “destinata a diventare grande”.

In occasione del Santo Natale vogliamo porgere i nostri migliori auguri proprio ripercorrendo la storia centenaria e straordinaria del “Sacro Cuore Don Calabria”, tramite le immagini che ritraggono le tappe fondamentali di un lungo cammino di uno sviluppo strutturale e tecnologico reso possibile grazie al lavoro e all’abnegazione di tanti collaboratori.
E anche dei molti cittadini che con il loro affetto e sostegno hanno contribuito al raggiungimento dell’attuale struttura.
Il presepe ritratto nella foto si trova davanti all’ingresso dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Gli ospiti della Cittadella della Carità festeggiano il Natale con l'Ordine di Malta

L’Ordine di Malta ha consegnato agli ospiti delle strutture socio-sanitarie della Cittadella della Carità 300 “Scatole di Natale”, un progetto realizzato con tanti volontari singoli o appartenenti ad associazioni di Verona, Vicenza e Trento. All’interno una sorpresa “calda”, “dolce”, “giocosa” e “di bellezza”…

Natale per gli ospiti della Cittadella della Carità di Negrar è arrivato con una settimana di anticipo. A portare i doni, non un generico Babbo Natale bensì i cavalieri dell’Ordine di Malta, della delegazione di Verona, Vicenza e Trento.

Domenica pomeriggio 19 dicembre in un clima di festa gli ospiti di Casa Perez, Casa Clero e Casa Nogarè – le strutture socio-sanitarie che affiancano l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria – hanno ricevuto 300 scatole di Natale, frutto di un progetto nato in Francia (Boîtes de Noël) ed esportato in Italia l’anno scorso dalla milanese Marion Pizzato.

Come spesso accade, il bene si moltiplica e l’iniziativa, con un passa parola sui social, si è diramata in altre province, compresa quella veronese, coinvolgendo tantissimi volontari singoli e appartenenti a varie associazioni. Ad essi il compito di improvvisarsi aiutanti di Babbo Natale, usando una semplice scatola da scarpe, adeguatamente adornata, dove collocare qualcosa di “caldo” (guanti, sciarpe, maglioni…), qualcosa di “goloso” (biscotti, cioccolatini, dolci…), un passatempo e un prodotto di igiene/bellezza. Il tutto completato da un bigliettino di auguri. Per quanto riguarda le strutture di Negrar, la consegna è stata affidata, appunto, agli aderenti dell’Ordine di Malta da sempre impegnati in opera umanitarie e progetti sociali.

In rappresentanza di una delle istituzioni più antiche della cristianità, domenica era presente il delegato Saverio Adilardi e l’ambasciatore Paolo Borin accolti dal presidente della Cittadella della Carità, fratel Gedovar Nazzari, dal direttore sanitario dell’area socio-sanitaria, Davide Brunelli, dal responsabile amministrativo Paolo Ferrari e dalla coordinatrice infermieristica Rosalba Dall’Olio. Gli operatori hanno allietato il pomeriggio con musica e cori natalizi.

“Il progetto ‘Scatole di Natale’ è perfettamente coerente con la mission del nostro Ordine che da mille anni resta fedele al proprio carisma: difesa della fede e servizio ai poveri e ai sofferenti – ha detto il dottor Adilardi -. Carisma che si concretizza attraverso il lavoro di volontariato dei nostri aderenti in strutture socio-sanitarie residenziali, come le Case della Cittadella della Carità, dove gli operatori si prendono cura amorevolmente non solo degli anziani ma anche di persone con disabilità mentale”.

Ringrazio di cuore le persone che hanno reso possibile il progetto e in particolare gli aderenti all’Ordine di Malta – ha sottolineato il presidente Nazzari –. A Natale accogliamo il Dio Bambino, che ha scelto la fragilità dei piccoli per mostrare la sua Potenza. Ogni volta che ci prendiamo cura dei nostri fratelli più fragili ci prendiamo cura di quel Bambino. Ringrazio anche tutti gli operatori della delle nostre strutture socio-sanitarie che hanno reso possibile un pomeriggio di calore familiare e per la dedizione con cui ogni giorno svolgono il loro lavoro”.


Onda

"Il Sacro Cuore" entra nella rete di Onda: ospedale a misura di donna

Onda

Il riconoscimento dei “Bollini Rosa” viene dato dalla Fondazione Onda – l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere  – agli ospedali italiani particolarmente attenti alla salute “in rosa” con percorsi di prevenzione, di diagnosi e di cura dedicati alle malattie femminili più diffuse e a quelle più complesse.

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è un ospedale “vicino alle donne”. A stabilirlo con l’assegnazione dei Bollini Rosa, la Fondazione Onda – l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere – che dal 2007 conferisce il riconoscimento agli ospedali particolarmente attenti alla salute “in rosa” con percorsi di prevenzione, di diagnosi e di cura dedicati alle malattie femminili più diffuse e a quelle più complesse. E anche alle patologie che riguardano trasversalmente uomini e donne, ma in un’ottica di genere.

Con il “Sacro Cuore Don Calabria” sono stati premiati altri 353 ospedali italiani, 19 in più rispetto al biennio precedente. “La 10a edizione dei Bollini Rosa ha visto la partecipazione di 363 ospedali italiani e il patrocinio di 27 enti e società scientifiche” afferma Francesca Merzagora, presidente Fondazione Onda. “I 354 ospedali premiati costituiscono una rete di scambio di esperienze e di prassi virtuose, un canale di divulgazione scientifica per promuovere l’aggiornamento dei medici e degli operatori sanitari e per la popolazione l’opportunità di poter scegliere il luogo di cura più idoneo alle proprie necessità, nonché di fruire di servizi gratuiti in occasione di giornate dedicate a specifiche patologie, con l’obbiettivo di sensibilizzare e avvicinare a diagnosi e cure appropriate”.

“Si tratta dell’ulteriore riconoscimento dell’attenzione che la nostra struttura dedica alla salute femminile”, afferma il direttore sanitario, Fabrizio Nicolis, “Le ultime schede ospedaliere regionali hanno indicato il “Sacro Cuore Don Calabria” centro di riferimento per la cura dell’endometriosi (con il 68% dei pazienti provenienti da fuori Veneto). Inoltre la nostra senologia è riconosciuta, sempre dalla Regione, come Breast Unit, disponendo di tutte le specialità per la diagnosi e la cura del tumore mammario, tra le quali il Servizio di oncopsicologia con sedute di gruppo per le donne con neoplasia al seno e la riabilitazione post intervento”.

La valutazione delle strutture ospedaliere e l’assegnazione dei Bollini Rosa – che ha validità dal 1 gennaio 2022 al 31 gennaio 2023 – è avvenuta tramite un questionario di candidatura composto da oltre 400 domande, ciascuna con un valore prestabilito, suddivise in 15 aree specialistiche più una sezione dedicata alla gestione dei casi di violenza sulle donne e sugli operatori sanitari. Un apposito Advisory Board, presieduto da Walter Ricciardi, docente di Igiene e Sanità Pubblica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, ha validato i bollini conseguiti dagli ospedali a seguito del calcolo del punteggio totale ottenuto nella candidatura, tenendo in considerazione anche gli elementi qualitativi di particolare rilevanza non valutati tramite il questionario (servizi e percorsi speciali, iniziative e progetti particolari…).


I ricercatori del Sacro Cuore: ivermectina inefficace contro il Covid anche ad alte dosi

L’IRCCS di Negrar ha coordinato il primo studio italiano che ha visto la somministrazione dell’antiparassitario con il più alto dosaggio mai usato finora su pazienti positivi al SARS COV2. Ma il risultato ha evidenziato la sua inefficacia, pertanto è ingiustificato l’uso dell’ivermectina come terapia nella fase iniziale del Covid o in alternativa al vaccino

Prof. Zeno Bisoffi

L’ivermectina non è un’opzione per il trattamento del Covid 19, anche se utilizzata in fase precoce e con il più alto dosaggio mai usato finora sui pazienti positivi al SARS-CoV-2. Arriva dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) un contributo importante al dibattito sull’efficacia dell’antiparassitario, spesso elencato, senza evidenza scientifica, tra i farmaci da impiegare nella cura del nuovo Coronavirus o, addirittura, come alternativa al vaccino, tanto da alimentare teorie complottiste per il suo mancato impiego e intossicazioni per uso improprio denunciate dalla FDA negli Stati Uniti.

E’ stato infatti pubblicato su Preprints with the Lancet lo studio clinico di fase II “Treatment of COVID-19. COVER (COVid iVERmectin)”, coordinato dall’IRCCS di Negrar in collaborazione con l’Istituto Mario Negri e a cui hanno partecipato l’Ospedale Sacco di Milano, l’Ospedale Sant’Orsola di Bologna e l’Ospedale Covid di Rovereto (vedi studio)

Si tratta di un trial clinico randomizzato, no profit, in doppio cieco che ha coinvolto 93 pazienti positivi al SARS-CoV-2 asintomatici o con sintomi lievi. L’obiettivo dei ricercatori era quello di verificare se l’impiego del farmaco ad alto dosaggio somministrato precocemente portasse alla riduzione della carica virale rispetto ai pazienti che ricevevano il placebo e quindi potenzialmente alla diminuzione delle ospedalizzazioni, delle complicanze gravi e della mortalità.

La ricerca ha preso le mosse dallo studio “in vitro” di ricercatori australiani, che dimostrava una grande efficacia dell’ivermectina nell’eliminare rapidamente il virus da colture cellulari in laboratorio, ma solo con concentrazioni elevate di farmaco.

“Gli studi relativi a Covid 19 e ivermectina sono tantissimi nel mondo, ma tutti hanno impiegato dosaggi relativamente bassi, incompatibili con quanto rilevato dai ricercatori australiani”, afferma il professor Zeno Bisoffi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar.

“Come tropicalisti abbiamo una grande conoscenza su questo farmaco che è efficace per molte malattie parassitarie come la strongiloidosi o la oncocercosi (la cosiddetta “cecità fluviale”). Ma è soprattutto un farmaco generalmente ben tollerato, caratteristica che ci ha permesso di somministrare con sicurezza a due gruppi distinti (il terzo ha avuto il placebo) un dosaggio rispettivamente di 600 e di 1200 microgrammi per chilo per cinque giorni contro i 200/400 microgrammi utilizzati per altre patologie in una dose unica”.

“Il primo risultato di rilievo è che lo studio non ha registrato eventi avversi gravi nemmeno nel gruppo con dosaggio più alto; si tratta di un dato importante anche per l’eventuale impiego dell’ivermectina in altre patologie qualora fosse necessario”, prosegue. “Tuttavia circa un terzo dei pazienti ha interrotto il trattamento prima della quinta dose a causa di disturbi lievi o moderati – sottolinea l’infettivologo -. Defezioni prevedibili perché si trattava di pazienti che seppur positivi erano in discreta salute e anche il più piccolo malessere poteva rappresentare causa di fastidio”.

 

Per quanto riguarda la carica virale media al settimo giorno, “è innegabile un valore più basso nei soggetti trattati con ivermectina ad alte dosi rispetto a quelli che hanno assunto il placebo. Ma poiché la differenza non è risultata statisticamente significativa, non possiamo escludere che il trend negativo possa essere dovuto più al caso che non al farmaco”.

Pertanto, conclude il professor Bisoffi, “i nostri risultati non incoraggiano l’esecuzione di trial clinici con questo dosaggio su campioni più numerosi. I dati peraltro confermano quanto emerso dalle metanalisi, per esempio della Cochrane Review, condotte sulle sperimentazioni cliniche realizzate con metodologie rigorose e su campioni sufficientemente ampi, che nei mesi scorsi hanno portato sia FDA sia EMA a pronunciarsi contro l’uso di questo antiparassitario come terapia contro il Covid-19 in mancanza di dati solidi sulla sua efficacia”


Suor Mantovani presto santa: il suo Istuituto contribuì alla storia centenaria del "Sacro Cuore"

Il prossimo 15 maggio, suor Domenica Mantovani sarà proclamata santa. La storia del suo Istituto religioso delle Piccole Suore della Sacra Famiglia – fondato con il Beato Giuseppe Nascimbeni – si è intrecciata con quella centenaria dell’ospedale Sacro Cuore, nell’assistenza ai malati. Ancora oggi la piccola comunità di suore è una presenza preziosa per la “Cittadella della Carità”.

Madre Maria Domenica Mantovani sarà proclamata Santa il prossimo 15 maggio. Una grande gioia per l’Istituto delle Piccole Suore della Sacra Famiglia di cui è stata fondatrice (nel 1892) assieme al Beato Giuseppe Nascimbeni e prima Madre Generale. Ma anche per la Cittadella della Carità dove le religiose sono presenti fin dalla nascita del primo nucleo, rappresentato dal Ricovero per anziani, voluto da don Angelo Sempreboni.

Fu lo stesso parroco di Negrar a chiedere a don Nascimbeni, in una lettera del 2 maggio 1918, “quattro delle sue buone suore. Non potendo quattro si potrebbe fare tre…”, per lavorare in parrocchia, nella scuola materna e quella del lavoro femminile. Gli rispose la stessa madre Mantovani, che pochi giorni dopo inviò in paese le consorelle. L’11 novembre di quattro anni dopo le suore iniziarono il loro servizio anche presso il Ricovero, inaugurato pochi giorni prima.

La Madre Generale fu anche protagonista di un rifiuto che aprì la strada all’ingresso della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza nella Cittadella della Carità. Nonostante già nel 1931 la struttura che, affiancata al Ricovero, doveva diventare ospedale fosse pronta, le autorità civili non concedevano l’autorizzazione. Ben presto fu chiaro che tanto ritardo non era dovuto a questioni tecniche o burocratiche ma all’ostilità dei militanti fascisti del paese nei confronti di don Sempreboni, tacciato di essere un nemico del regime. Pur di aprire l’ospedale per la sua gente, il parroco decise quindi di fare un passo indietro e di cedere la gestione del complesso a un Istituto religioso. Chiese innanzitutto a quello delle Piccole Suore della Sacra Famiglia, ma madre Mantovani declinò l’offerta.

La presenza delle suore di Castelletto di Brenzone (località del Garda dove venne fondato l’Istituto e dove ha sede la Casa Madre) non venne mai meno al Sacro Cuore fornendo negli anni un contributo prezioso nell’ambito dell’assistenza infermieristica ai malati. Nel suo libro “Storia dell’Opera Don Calabria 11/3”, Mario Gecchele riporta che dal 1922 al 13 marzo 2004 hanno svolto servizio a Negrar ben 211 suore.

Oggi la piccola comunità, impegnata soprattutto nella pastorale ospedaliera, è composta dalla superiora Suor Rosa Santina (al secolo Maria Vigolo), suor Bernardetta (al secolo Lucia Brunelli), suor Lucia Raffaello (al secolo Luciana), suor Brandina Brunelli e suor Teresa Ausilia Dalla Pozza.


Qui Texas: il novembre "rock" del dottor Marcello Ceccaroni

Il dottor Marcello Ceccaroni è stato protagonista del 50° Congresso mondiale dell’AAGL (Austin, Texas, dal 14 al 17 novembre): unico italiano nel Comitato scientifico del meeting annuale, è stato insignito del Premio “John F. Steege Mentorship Award 2021”, riconoscimento  conferito per la prima volta a un medico del nostro Paese e a un non americano. E per finire la standing ovation dei mille presenti in sala  dopo la lezione magistrale dal titolo:  “La rivoluzione rock della chirurgia laparoscopica”, dove Bob Dylan diventa l’icona che meglio identifica la laparoscopia. Ma Austin non vale Firenze e le sale settorie di Leonardo da Vinci…

E’ stato un novembre prezioso, da conservare nel libro dei ricordi, quello che si è appena concluso per il dottor Marcello Ceccaroni, Direttore del Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia, uno dei maggiori esperti internazionali di Endometriosi.

Dr, Marcello Ceccaroni

Tutto si è svolto negli States, ad Austin (Texas) dove dal 14 al 17 novembre ha avuto luogo il 50° Congresso dell’AAGL (American Association of Gynecologic Laparoscopists), la più importante associazione a livello mondiale di chirurgia laparoscopica ginecologica. Per la seconda volta (la prima è stata nel 2018) il dottor Ceccaroni è stato nominato – unico italiano – componente del Comitato scientifico del meeting annuale.

Ma per il chirurgo di origini cesenati, le emozioni americane a Austin si sono moltiplicate. Nell’ambito del congresso è stato insignito con il Premio “John F. Steege Mentorship Award 2021”, riconoscimento che la Fondazione AAGL ha conferito per la prima volta a un italiano e a un non americano.

“Per la nostra disciplina questo premio è paragonabile al “Pulitzer” – afferma il dottor Ceccaroni -. Perché è sì legato alla persona e alle sue doti chirurgiche, ma soprattutto identifica il mentore, il maestro. Pertanto è una prestigiosa attestazione del valore di ISSA (International School of Surgical Anatomy) che ho fondato e che porto avanti con i miei assistenti. In 12 anni, grazie a questa scuola, abbiamo svolto attività umanitarie, assegnato borse di studio e soprattutto insegnato a oltre un migliaio di chirurghi in tutto il mondo l’anatomia chirurgica e le tecniche laparoscopiche. A maggio, per esempio, saremo a New York, alla Columbia University dove riprenderemo la collaborazione, interrotta a causa della pandemia. La cifra che da sempre ci contraddistingue è l’insegnamento su cadavere, ma da alcuni anni grazie alle nuove tecnologie possiamo effettuare una chirurgia in diretta e trasmetterla in qualsiasi Paese”.

Troppo facile scrivere a questo punto “non c’è due senza tre”. Perché al premio prestigioso si è aggiunta anche la standing ovation dei mille presenti in sala (“cosa rara in un congresso dell’AAGL”) dopo la lezione magistrale tenuta dal dottor Ceccaroni nella sessione plenaria. Già il titolo è tutto un programma per un meeting di medicina: “La rivoluzione rock della chirurgia laparoscopica”, dove rEvolution era scritto con la E maiuscola per sottolineare quanto rivoluzione sia sinonimo di evoluzione. “Il rock è stato un pretesto narrativo per parlare della laparoscopia non solo dal punto di vista tecnico ma anche culturale e filosofico, in quanto tra la chirurgia mininvasiva e il genere musicale ci sono, a mio avviso, analogie importanti”, spiega il dottor Ceccaroni.

Per esempio hanno subito lo stesso trattamento dall’establishment. “Sia la laparoscopia che il rock all’inizio sono stati perseguitati – racconta -. Come la BBC non mandava in onda certi brani, perché era considerata la musica del diavolo, alcuni laparoscopisti sono stati sottoposti a esami radiologici strumentali per verificare che non fossero matti o non avessero malattie degenerative. Perché introdurre uno strumento ottico in cavità addominale (non c’erano le telecamere a fibre ottiche di oggi) era considerato dalla chirurgia tradizionale un gesto eretico nello stesso modo in cui il rock veniva visto dalla cultura musicale dominante. Tuttavia, piaccia o no, il rock ha condizionato i costumi come la laparoscopia, perché oggi chi deve sottoporsi a intervento chirurgico spera di poterlo fare con una tecnica mininvasiva”. 

Qual è l’icona del rock secondo lei che rappresenta la laparoscopia? “Senza dubbio Bob Dylan – risponde -. Nella mia lezione magistrale ho riportato l’episodio (avvalendomi anche di filmati d’epoca) del Festival Folk del 1964 a Newport, quando Dylan viene osannato dal pubblico per la sua esecuzione di Mr tambourine man con il solo accompagnamento della chitarra acustica. Esattamente un anno dopo lo stesso pubblico lo fischia, perché ha osato introdurre la chitarra elettrica. Il tutto si ripete pochi mesi dopo a Manchester, dove lo chiamano “giuda”, coprendolo di fischi. Ma nel 2008 per Dylan arriva il Premio Pulitzer e nel 2016 il Nobel per la Letteratura a dimostrazione che era dalla parte della ragione, perché pur cambiando i paradigmi comunicativi, il messaggio non ha perso il suo valore. La laparoscopia è un po’ tutto questo: è stata ostacolata per aver capovolto la visione della chirurgia, ma alla fine si è imposta oggettivamente sulla chirurgia tradizionale”. Questo anche per merito della sua natura ‘generosa’. “Quella telecamera che inseriamo tramite un minuscolo taglio nell’addome consente di far uscire il sapere chirurgico dal chiuso della sala operatoria e condividerlo con il mondo. Oggi anche nei Paesi in via di sviluppo troviamo eccellenti chirurghi laparoscopici, grazie alla condivisione che ci permette la tecnologia”.

Altra analogia, ma questa volta con l’emancipazione della donna. “I pionieri di questa chirurgia sono stati ginecologi e l’uso di tecniche mininvasive sono la cifra un approccio diverso al corpo della donna, più rispettoso. Oggi parliamo per esempio di chirurgia nerve-sparing, che ha come obiettivo l’eradicazione della malattia (endometriosi o tumore) ma preservando le funzioni pelviche della donna, quindi la sua qualità di vita. Questo senza l’emancipazione femminile non sarebbe stato possibile”.

Ma Austin non vale Firenze. Quel giorno del maggio del 2019 quando, sempre in occasione del congresso dell’AAGL e soprattutto dei 500 anni dalla morte di Leonardo Da Vinci, il dottor Ceccaroni ebbe l’onore di effettuare una lezione di anatomia chirurgica nei sale sotterranee dell’ospedale Santa Maria Nuova mai aperte prima, dove il genio fiorentino effettuava la dissezione dei cadaveri. “Quell’emozione non è paragonabile a nulla. Quell’evento ha dato il giusto valore a molti aspetti della mia vita professionale e privata. Dopo 500 anni le sale di Leonardo sono state aperte per la prima volta e io ho potuto effettuare una lezione. Come i primi chirurghi che praticavano la laparoscopia, anche Leonardo era ostacolato per le sue dissezioni dei cadaveri. Le sale erano sotterranee: grazie a un laparoscopio ciò che lui ha iniziato ha varcato la superfice ed è andato in tutto il mondo”.

elena.zuppini@sacrocuore.it