L'IRCCS di Negrar Centro per la cura della poliposi nasale
L’Otorinolaringoiatria effettua all’anno oltre 300 asportazioni chirurgiche: una casistica per la quale ha ottenuto dalla Regione l’autorizzazione alla somministrazione di un anticorpo monoclonale Dupilumab che imprima una svolta nella cura della malattia, caratterizzata da incontrollate recidive di polipi nasali
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar si riconferma uno dei centri di riferimento veneti per la cura della poliposi nasale ottenendo dalla Regione l’autorizzazione alla prescrizione del Dupilumab, un anticorpo monoclonale che contrasta il riformarsi incontrollato dei polipi anche dopo l’asportazione chirurgica.
La poliposi nasale, ovvero la sinusite cronica poliposa, è una delle malattie più comuni del sistema respiratorio, colpendo circa l’1% della popolazione.
Essa si presenta con delle sacche morbide di colorito grigio-rosa o giallastro (polipi) che originano nei seni paranasali (le grandi cavità sopra e sotto le orbite) e da lì sporgono dentro il naso, impendendo meccanicamente la respirazione e la percezione degli odori.
Se non in casi rari, i polipi non tendono a degenerare in forme tumorali. Tuttavia la sinusite cronica poliposa può essere considerata la più grave fra tutte le patologie benigne del naso, in quanto si caratterizza per la sua resistenza ai trattamenti e per le sue frequenti recidive che condizionano pesantemente la vita del paziente.
“Il paziente con sinusite cronica poliposa viene di solito trattato chirurgicamente con un intervento mini-invasivo in video-endoscopia. Purtroppo in molti casi le neoformazioni si ripresentano”, spiega il dottor Sergio Albanese, direttore dell’Otorinolaringoiatria. “Il Dupilumab va ad agire proprio sul meccanismo infiammatorio che genera i polipi, impendendo così la recidiva”.
L’Unità operativa del dottor Albanese esegue all’anno circa 330 interventi chirurgici per poliposi nasale, molti dei quali su pazienti provenienti da altre regioni, casistica grazie alla quale ha ottenuto l’autorizzazione a prescrivere il farmaco biotecnologico, che richiede innanzitutto un’ampia esperienza nella diagnosi e nel trattamento della patologia.
“Il Dupilumab segna una vera e propria svolta nella cura della malattia – prosegue il chirurgo ORL -. Per contrastare le recidive, fino ad oggi avevamo a disposizione solo il cortisone. Sebbene efficace, questo farmaco nei trattamenti a lungo termine ha delle controindicazioni perché potrebbe causare, per esempio, scompensi glicemici e pressori, anche a livello dell’occhio, aumentando così il rischio di glaucoma”. L’anticorpo monoclonale invece non presenta queste criticità nell’uso prolungato ed ha un ulteriore pregio: “Due pazienti su tre affetti da poliposi nasale soffrono anche di disturbi polmonari di tipo asmatico, che migliorano notevolmente dopo la terapia con il nuovo farmaco, consentendo spesso la riduzione o la sospensione della terapia specifica”, afferma di dottor Albanese.
Il Dupilumab si somministra tramite iniezione sottocutanea ogni 15 giorni: “E’ bene sottolineare che non tutti i pazienti sono candidati al trattamento – conclude il medico -. Esistono infatti rigidi criteri per la prescrizione, dovuti anche agli alti costi del farmaco”.
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Addio a don Pietro Cunegatti che fu per 12 anni Casante dell'Opera Don Calabria
Lo scorso 25 giugno è deceduto don Pietro Cunegatti, religioso di don Calabria che fu Casante dell’Opera dal 1984 al 1996. Nel suo ruolo di Superiore fu lui ad accogliere Papa Giovanni Paolo II durante la visita dell’aprile 1988 alla Cittadella della Carità. Da qualche tempo era ospite presso Casa Clero a Negrar.
Don Pietro Cunegatti è deceduto lo scorso 25 giugno, all’età di 82 anni. Era stato il quarto successore di don Calabria alla guida dell’Opera, eletto come Casante nel sesto Capitolo Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza nel 1984, confermato poi nel 1990. Da Superiore Generale aveva accolto Papa Giovanni Paolo II durante la storica visita alla Cittadella della Carità in occasione della beatificazione di don Calabria, nel 1988.
Durante la sua lunga e intensa vita religiosa don Cunegatti fu anche responsabile delle missioni calabriane in America Latina, inoltre ebbe una parte importante nell’inizio della presenza dell’Opera nelle Filippine e in India. Dal 2004 al 2008 fu eletto Provinciale della Provincia Europea dell’Opera. Negli ultimi anni prestava il suo servizio presso la comunità dell’abbazia di Maguzzano.
Ricordiamo don Pietro con affetto e gratitudine per la sua testimonianza di religioso Povero Servo. Per saperne di più su di lui è possibile consultare il sito dell’Opera a questo link: https://www.doncalabria.it/news/don-pietro-cunegatti-289/.
Nella foto qui sotto: don Pietro insieme al Papa e all’allora presidente dell’ospedale fratel Francesco Guidorizzi a Negrar il 17 aprile 1988
I Nuovi Anticoagulanti Orali: opportunità e limiti terapeutici
Il “Sacro Cuore Don Calabria” è parte attiva del progetto ADONIS della Società Italiana di Flebologia che ha lo scopo di sensibilizzare i medici all’uso appropriato dei NAO (Nuovi Anticoagulanti Orali) o ADO (Anticoagulanti Diretti Orali). Sabato 3 luglio il convegno a Verona
Fa tappa a Verona, coinvolgendo direttamente il “Sacro Cuore Don Calabria”, il progetto ADONIS patrocinato dalla SIF -Società Italiana di Flebologia, che ha lo scopo di sensibilizzare i medici all’uso appropriato dei NAO (Nuovi Anticoagulanti Orali) o ADO (Anticoagulanti Diretti Orali). Si tratta di farmaci introdotti circa una decina di anni fa, che hanno impresso una vera e propria svolta nella cura della patologia trombotica. Oggi sono entrati ampiamente nell’uso quotidiano, sebbene limitati da rigidi criteri prescrittivi.
Il progetto ADONIS (Anticoagulanti Diretti Orali Needs In Hospital Strategies) tocca le maggiori provincie del Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia. Per Verona è stato scelto l’ospedale di Negrar, sebbene il convegno si terrà sabato 3 luglio all’Hotel Crowne Plaza, nel capoluogo scaligero. La partecipazione è gratuita e può essere in presenza o on line (programma e modalità di iscrizione).
Tra gli organizzatori, il dottor Paolo Tamellini, presidente della Società Italiana di Flebologia del Triveneto e responsabile dell’Unità Operativa Semplice di Flebologia dell’IRCCS di Negrar, da poco certificata Centro Flebologico Avanzato SIF.
Dottor Tamellini, cosa sono i farmaci anticoagulanti?
“Si tratta di principi attivi salvavita che, come dice il nome, inibiscono la coagulazione del sangue, al fine di evitare che si formino dei trombi. I principali ambiti di impiego sono la patologia trombotica venosa e quella cardiologica, nella fattispecie la fibrillazione atriale e le aritmie importanti. Due sessioni del convegno tratteranno proprio dell’utilizzo di questi farmaci nei due ambiti con la partecipazione di specialisti, anche dell’ospedale di Negrar.
Perché si parla di nuovi anticoagulanti orali?
Fino a pochi anni fa i farmaci anticoagulanti si dividevano in due grosse famiglie: l’eparina e i suoi derivati e gli inibitori della vitamina K (Anti-vitK o AVK). I primi vengono usati per via iniettiva (endovena o sottocute) in genere per terapie a breve-medio termine. I secondi, invece, vengono assunti per bocca e agiscono non direttamente sulla coagulazione del sangue, ma sul “carburante” che rende possibile la coagulazione, cioè la vitamina K. Questa è essenziale per la sintesi della protrombina e degli altri fattori di coagulazione, senza la quale l’organismo non riesce ad innescare il processo di emostasi. Tra gli Anti-vit K il più noto è il Coumadin: un farmaco economico e molto efficace. Ma con dei grossi limiti.
Quali?
Innanzitutto tra l’assunzione e l’attività del farmaco passa un lasso di tempo anche di tre giorni (latenza terapeutica). In secondo luogo i vecchi anticoagulanti si definiscono ‘farmaci poco maneggevoli’, perché l’intervallo terapeutico tra la dose efficace e quella tossica è strettissimo. Basta un dosaggio di poco sbagliato, perché il farmaco non sia efficace o al contrario risulti pericolosamente sovradosato. Per questo chi assume il Coumadin deve effettuare frequenti controlli del sangue, che, a regime, sono al massimo ogni 10 giorni. Con evidenti disagi per il paziente e costi per il SSN.
Quali sono invece i vantaggi dati dai NAO?
Innanzitutto sono anticoagulanti diretti, cioè inibiscono direttamente determinati fattori della coagulazione del sangue, pertanto la loro attività non risente di tutto ciò che può interferire con la sintesi epatica delle proteine della coagulazione. Hanno inoltre un’immediata efficacia, che avviene al massimo dopo poche ore dalla somministrazione. Infine non richiedono controlli continui, perché una volta prescritto il dosaggio, il paziente prosegue con la sua terapia. Tuttavia non sono privi di problemi.
Quali sono?
Solo recentemente sono stati messi in commercio i farmaci antidoti con cui intervenire in caso di dosaggio eccessivo. Un aspetto importante è che le limitazioni di prescrizione, consentita solamente a medici abilitati e mediante compilazione di piano terapeutico, hanno di fatto impedito o certamente rallentato la diffusione di questi farmaci, così che ancora oggi questi non risultano adeguatamente conosciuti dalla classe medica. In altre parole – ed è il tema su cui vengono puntati i riflettori del convegno – esistono ancora delle “zone grigie” relative al loro corretto impiego, affrontate in maniera non univoca dalla diverse realtà ospedaliere. Il progetto ADONIS ha proprio l’obiettivo di trovare una linea procedurale condivisa nella gestione globale del paziente candidato al trattamento anticoagulante, in accordo con le indicazioni ministeriali e a tutto vantaggio del paziente.
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Radioterapia in una sola seduta: a Negrar i primi due casi in Italia
Al “Sacro Cuore Don Calabria”, la nuova frontiera di cura radioterapica contro i tumori: per la prima volta in Italia trattate in un’unica seduta, senza effetti collaterali (nonostante l’alta concentrazione di radiazioni) metastasi di cancro del colon e della prostata. Finora era possibile solo per l’encefalo, come spiega il professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica Avanzata
All’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) sono stati trattati per la prima volta in Italia due pazienti affetti da metastasi di tumore del colon e della prostata, utilizzando un protocollo che prevede una sola seduta di radioterapia, contro le decine previste dalle metodiche precedenti.
Finora simili trattamenti erano limitati al cervello, in quanto la mobilità degli organi addominali e pelvici — provocata dal respiro, dalla digestione o da altre funzioni — rendeva impossibile infondere una dose di radiazioni tale da provocare danni irreversibili alle cellule tumorali, senza però interessare il tessuto sano.
Il limite è stato superato grazie alla dotazione tecnologica del “Sacro Cuore Don Calabria”, unica nel nostro Paese, e tra le 25 presenti al mondo, che il Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto da Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia, utilizza da circa due anni.
“Unity”, questo è il nome del macchinario, è un acceleratore lineare integrato con una Risonanza Magnetica ad alto campo, la stessa utilizzata a scopo diagnostico. L’alta definizione delle immagini prodotte dalla RM consente di individuare in corso di seduta anche il minimo spostamento della lesione, in relazione al quale orientare il fascio di radiazioni. Questo permette al radio-oncologo di utilizzare una dose di radiazioni ionizzanti anche 20 volte superiore rispetto quella di una seduta tradizionale con la sicurezza di limitarla al solo tumore, che progressivamente, a causa delle radiazioni, si trasforma in una massa necrotica.
“Dal 2019 con “Unity” abbiamo eseguito circa 3mila trattamenti per un totale di 350 pazienti. La straordinaria precisione dell’irradiazione ci ha permesso di aumentare sensibilmente la dose riducendo di conseguenza il numero di sedute per ogni ciclo di cura. In particolare per il tumore della prostata siamo passati da 30 a 5 sedute — spiega il professor Alongi -. I promettenti risultati e gli effetti collaterali irrilevanti ci hanno spinto quindi ad andare oltre, anche alla luce delle progressive conoscenze sul comportamento delle cellule tumorali colpite da radiazioni. Infatti diversi studi in vitro e in vivo dimostrano che l’effetto “tumoricida” è maggiore con una alta dose di radiazioni erogata una volta sola rispetto alla stessa dose frazionata in più momenti. Abbiamo iniziato così a trattare con una sola seduta metastasi linfonodali dell’addome e delle pelvi in pazienti selezionati – prosegue -. Successivamente ci spingeremo in altri distretti anatomici come il fegato (in caso di una o poche metastasi) con la stessa finalità: eradicare i focolai di malattia, con la sola radioterapia o in combinazione alle terapie farmacologiche, e migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici”.
Qualità della vita che deriva anche dai grandi vantaggi pratici che il paziente può godere. “Una sola seduta radioterapica è la soluzione ideale per i pazienti che si spostano da sedi lontane, dall’Italia ma anche dall’estero. Ma rappresenta anche un risparmio per il sistema sanitario, riducendo costi diretti ed indiretti della terapia e abbattendo le liste di attesa con la possibilità di trattare molti più pazienti. Questo però — conclude il professor Alongi — non significa che sia più semplice. Anzi, il trattamento radioterapico in singola seduta è frutto di un lavoro di équipe, cioè del radioterapista oncologo, del fisico sanitario, di tecnici ed infermieri che, in tempo reale, devono coordinarsi per tutte le fasi del trattamento concentrate in un solo momento”.
Importanti riconoscimenti alla dottoressa Pertile e al dottor Ceccaroni
Alla dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica, è stato conferito nelle scorse settimane il Premio “Angelo Ferro”, mentre venerdì 25 giugno il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’Ostetricia e Ginecologia, ritirerà nella sua città natale, Cesena, il Premio Malatesta Novello
L’inizio d’estate consegna dei prestigiosi riconoscimenti a due chirurghi d’eccellenza dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: alla dottoressa Grazia Pertile è stato conferito nelle scorse settimane il Premio “Angelo Ferro”, mentre venerdì 25 giugno il dottor Marcello Ceccaroni ritirerà nella sua città natale, Cesena, il Premio Malatesta Novello.
La dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Unità Operativa di Oculistica, è stata insignita del premio – istituito in ricordo di Angelo Ferro, già presidente della Fondazione Opera Immacolata Concezione (OIC) – in virtù del suo costante impegno nella ricerca oculistica, in particolare nel progetto made in Italy della retina artificiale.
Il Premio “Angelo Ferro” è assegnato dalla Fondazione Lucia Guderzo di Loreggia (Padova), la cui mission è fare ricerca nel settore delle tecnologie compensative e realizzare progetti per la piena scolarizzazione delle persone non vedenti. Al riconoscimento collabora la Lega del Filo d’Oro, punto di riferimento per le persone sordocieche e le loro famiglie. Da qui l’assegnazione del premio a persone, con disabilità e non che si contraddistinguono nello studio, nella ricerca medica, nell’informazione e nell’impegno socio-culturale.
Insieme alla dottoressa Pertile sono state premiate l’avvocato Antonella Cappabianca, la dottoressa Francesca Donnarumma, la maestra Mirella Roman Pasian e la giornalista del Sole24ore Maria Luisa Colledani.
A coloro che invece tengono alto nel mondo il nome della città romagnola è dedicato il premio intitolato al Signore di Cesena, Malatesta Novello, che salì al potere all’età di 11 anni, governando fino a 47 anni, quando lo colse una morte prematura. Era il 20 novembre 1465, giorno solitamente scelto dall’Amministrazione per consegnare il premio ai vincitori nella meravigliosa cornice della biblioteca malatestiana.
Purtroppo la pandemia ha costretto gli organizzatori a rimandare la cerimonia dell’edizione 2020 (la quattordicesima), così il dottor Marcello Ceccaroni, direttore dell’Unità Operativa di Ginecologia e Ostetricia, ritirerà il premio il 25 giugno nel chiostro di San Francesco di Cesena.
Con Ceccaroni, uno dei massimi esperti mondiali di terapia chirurgica e non dell’endometriosi, saranno presenti gli altri due vincitori: la manager internazionale Francesca Bellettini – presidente e chief executive officer di Yves Saint Laurent e presidente della Camera della moda femminile francese – e l’ingegnere biomeccanico Alberto Sensini del Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale in Meccanica Avanzata e Materiali dell’Università di Bologna.
La terna dei vincitori è stata scelta dalla giuria tra circa 1300 candidature volontarie presentate dai cittadini cesenati.
Enrico Andreoli
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La nostra ricerca in pillole: la retina artificiale
LA NOSTRA RICERCA IN PILLOLE. La dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, presenta il progetto della retina artificiale planare e liquida, sviluppato interamente in Italia
La retina artificiale liquida: la ricerca in Oculistica apre prospettive concrete per coloro che hanno perso la vista a causa di malattie genetiche. Un progetto tutto italiano che vede protagonista la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar
Covid 19: ai guariti basta una sola dose di vaccino. Anche dopo 10 mesi dall'infezione
Lo studio del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia sull’efficacia del vaccino effettuato sugli operatori sanitari dell’Irccs ospedale Sacro Cuore Don Calabria. La risposta anticorpale al vaccino in chi è stato contagiato da SARS COV2 è maggiore quanto più è il tempo trascorso dall’infezione. Una singola dose pare sufficiente a chi ha contratto il virus, indipendentemente da quanto tempo è passato dall’infezione
Uno studio condotto dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, pubblicato sulla rivista Clinical Microbiology and Infection (clicca), ha dimostrato che negli operatori sanitari con precedente infezione la risposta anticorpale dopo una sola dose di vaccino è significativamente più alta rispetto a quella ottenuta dopo due dosi negli operatori mai colpiti dal virus. Anche dopo dieci mesi dal contagio, ovvero il tempo intercorso dai primi operatori contagiati alla conclusione dello studio.
Per non sprecare preziose dosi di vaccino, i ricercatori del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia, coordinati dal professor Zeno Bisoffi, invitano perciò a vaccinare con una sola dose chiunque abbia avuto il Covid-19, sebbene l’infezione sia avvenuta oltre i 6 mesi prima (dal 22 luglio il ministero ha posto il limite entro un anno, ndr), limite finora raccomandato dal Ministero della Salute, oltre il quale è indicato il richiamo.
Lo studio è stato condotto fra gennaio e marzo 2021, quando circa 2000 operatori sanitari dell’ospedale veronese sono stati sottoposti alla vaccinazione anti-Covid con Pfizer-BioNTech; agli aderenti sono stati dosati gli anticorpi contro SARS-CoV-2 al momento della prima e della seconda dose e poi una terza volta dopo 2/3 settimane dall’ultima inoculazione. “Abbiamo dosato varie classi di anticorpi e in special modo gli anticorpi IgG quantitativi che comprendono quelli neutralizzanti ovvero gli anticorpi che con una certa approssimazione misurano la risposta al vaccino – spiega Bisoffi, che è anche professore associato all’Università di Verona – Dei 1935 partecipanti, 232 avevano una storia di infezione documentata: proprio in quest’ultimi il titolo anticorpale medio dopo una sola somministrazione di vaccino era significativamente più alto rispetto a quello rilevato in chi non aveva mai contratto il virus e aveva ricevuto due dosi di vaccino. Questo conferma le osservazioni di altri ricercatori ma su numeri inferiori e corrobora la decisione di procedere con un’unica somministrazione in chi ha già avuto il Covid-19”. A oggi però questa scelta è stata limitata ai 6 mesi dopo l’infezione: nei casi in cui sia trascorso più tempo viene prevista una seconda dose di vaccino, come accade per chi non ha mai incontrato il virus.
I dati raccolti dai ricercatori veronesi dimostrano che la seconda dose non è necessaria, anzi: “Con sorpresa abbiamo osservato che la risposta anticorpale era tanto più forte quanto più tempo era trascorso dall’infezione; la risposta è più consistente anche in chi è più giovane, nelle donne e in chi ha avuto un Covid-19 con sintomi – aggiunge Bisoffi – Tutto ciò indica che una singola dose di vaccino a mRNA è comunque sufficiente in chi ha contratto il nuovo Coronavirus indipendentemente dal tempo trascorso dall’infezione. Considerando che non possiamo permetterci di sprecare preziose dosi di vaccino – conclude l’infettivologo – il criterio della vaccinazione monodose soltanto entro i 6 mesi dal contagio potrebbe essere rivisto per far sì che chi ha avuto Covid-19 riceva un’unica dose, sempre. L’obiettivo adesso è verificare questi dati in una popolazione che sia stata vaccinata dopo tempi ancora più lunghi dall’infezione, per corroborare ulteriormente l’indicazione”.
Il trattamento della spasticità provocata dall'ictus
L’attività dell’Ambulatorio di gestione della spasticità, un fenomeno che subentra dopo l’ictus e che al “Sacro Cuore” viene affrontato con l’infiltrazione di tossina botulinica o di un farmaco galenico chiamato fenolo
La paralisi o plegia degli arti causata da ictus, ma anche da traumi cranici e midollari, può comportare il fenomeno della spasticità, cioè l’aumento anomalo del tono muscolare determinato dalla lesione del sistema nervoso centrale. Questo costituisce una forte limitazione al recupero funzionale degli arti.
Nell’ambito del Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dalla dottoressa Elena Rossato, opera l’Ambulatorio di gestione della spasticità, condotto dalla dottoressa Elisabetta Verzini e dal dottor Federico Ferrari (nella foto), a cui hanno accesso sia pazienti ricoverati che ambulatoriali. La maggior parte presenta esiti di ictus.
“La presa in carico del paziente con spasticità prevede un percorso a step determinato dalla condizione del paziente stesso – spiegano i due medici fisiatri – Tralasciando la spasticità generalizzata, per la quale si rende spesso necessaria la somministrazione di farmaci per bocca o per via intratecale (cioè direttamente nel liquor spinale), nella spasticità focale, cioè localizzata ad esempio a una gamba o a una mano, ci si avvale della terapia infiltrativa eco-guidata con tossina botulinica a livello intra-muscolare”.
Come è noto il botulino ha un effetto paralizzante, “ma in questo caso agiamo su muscoli che hanno già perso la loro funzione, o comunque la svolgono in modo anomalo”. Lo scopo è quello di rilassare tali muscoli o tentare, nel caso di residua attività motoria, di “ripristinare l’equilibrio tra gruppi muscolari che normalmente svolgono attività opposte, riducendo così il rischio di sviluppare rigidità articolari”.
Le infiltrazioni muscolari con tossina hanno tuttavia dei limiti: l’effetto del farmaco è di circa 3-6 mesi; per problemi di tossicità non è possibile superare determinati dosaggi; la tossina inoltre non ha efficacia nel caso si sia sviluppata una retrazione muscolare.
“In questi casi si ricorre ad un iter diagnostico che consiste nell’inoculazione sotto guida ecografica ed elettrostimolatoria di un anestetico locale a livello del nervo che controlla i muscoli spastici – proseguono i medici -. Nel caso di risposta al test, viene utilizza la tossina botulinica a un dosaggio più alto (se è possibile) o il fenolo, un farmaco prodotto dalla nostra Farmacia ospedaliera il cui effetto ha una durata fino a 9-12 mesi”, spiegano ancora la dottoressa Verzini e il dottor Ferrari. “Il fenolo viene iniettato a livello peri-nervoso e determina una riduzione della spasticità in tutti i muscoli afferenti a quel nervo. Così facendo si ottiene spesso una risposta molto ‘netta’ sul fenomeno spastico che permette di ottenere per esempio a livello dell’arto inferiore il cambiamento delle caratteristiche del cammino o a livello dell’arto superiore l’estensione del gomito. Importante in questi pazienti associare un training riabilitativo post-trattamento farmacologico.
Se il test invece è negativo, invece, è necessario il consulto con l’ortopedico per valutare interventi di chirurgia funzionale. L’intervento farmacologico è invece previsto quando verifica una riduzione dei segni clinici di spasticità.
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La nostra ricerca in pillole: la ricerca per la cura dell'endometriosi
LA NOSTRA RICERCA IN PILLOLE. Ricerca sulle tecniche chirurgiche per ‘estirpare’ la malattia, ma anche ricerca farmacologica. Il dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, presenta il contributo scientifico dato dalla sua équipe per la cura dell’endometriosi
L’endometriosi è una patologia che solo in Italia colpisce 3 milioni di donne, condizionando pesantemente la loro qualità di vita. Fare ricerca clinica è fondamentale per lo sviluppo di terapie, farmacologiche e non, sempre più efficaci contro questa malattia che è anche la prima causa di sterilità. Il dottor Marcello Ceccaroni illustra il contributo alla ricerca sull’endometriosi e sulla ginecologia oncologica dato dall’Unità Operativa di Gianecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria da lui diretta.
Ricerca e cura sono un binomio imprescindibile, per il quale ognuno di noi può contribuire. Come? Devolvendo il 5permille. Perché? INSIEME NELLA RICERCA PIU’ FORTI NELLA CURA
Una festa del Sacro Cuore guardando al futuro con concreta speranza
Questa mattina l’Ospedale di Negrar ha celebrato la Festa patronale del Sacro Cuore, con la Messa presieduta dal Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti. La dimissione dell’ultimo paziente Covid in terapia intensiva nei giorni scorsi, il numero dei pazienti ancora presenti nell’area non critica (ad oggi 9) e la campagna vaccinale ormai avviata, sono tutti elementi che accendono una concreta speranza.
Si è respirata un’aria di fiducia nel futuro alla Festa del Sacro Cuore che si è celebrata questa mattina all’IRCCS di Negrar. Dopo un anno e mezzo in cui l’emergenza Covid è stata al centro dell’attività dell’Ospedale, la festa patronale è stata connotata dal ricordo di quello che è stato, dai ringraziamenti per il grande lavoro svolto, ma pure dallo sguardo fiducioso verso ciò che sarà. La dimissione dell’ultimo paziente Covid in terapia intensiva nei giorni scorsi, il numero dei pazienti ancora presenti nell’area non critica (ad oggi 9) e la campagna vaccinale ormai avviata, sono tutti elementi che accendono una concreta speranza.
Il cuore della festa è stata la Messa all’aperto, presieduta dal Vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, e concelebrata da padre Miguel Tofful e don Ivo Pasa, rispettivamente superiore generale e delegato per l’Europa dell’Opera Don Calabria. Con loro anche don Waldemar Longo, vicepresidente dell’Ospedale che ha introdotto la celebrazione con le parole scritte da San Giovanni Calabria nel suo diario il 30 novembre del 1944. ‘Sono qui, nella cara e benedetta Casa del Sacro Cuore di Negrar, Casa grande nel pensiero divino e che sarà lucerna di grande bene per la povera umanità sofferente, se i suoi membri vivranno e respireranno lo spirito puro e genuino dell’Opera.
“Il nostro Santo fondatore ha scritto questi pensieri a pochi mesi dall’avvio dell’ospedale – ha detto don Waldemar -. Quando era una piccola realtà con un medico sempre presente, fr. Antonio Consolaro, e uno che veniva due volte alla settimana, il dottor Bartolo Zanuso. Da queste parole possiamo trarre due considerazioni. Innanzitutto che la Cittadella della Carità è grande, non solo per lo sviluppo esterno ma soprattutto perché nel pensiero di Dio deve essere Lucerna per il modo di trattare l’ammalato. Inoltre la condizione per cui essere Lucerna è che cerchiamo di avvalerci delle migliori risorse umane, cioè le migliori professionalità e strumenti, senza tralasciare lo spirito puro e genuino dell’Opera che è il Vangelo messo in pratica nella vita quotidiana e nel nostro operato nei confronti dell’ammalato”
“La devozione al ‘Sacro Cuore’ si è un po’ persa nelle comunità parrocchiali – ha detto il Vescovo aprendo la celebrazione eucaristica -. Fortunatamente non in questo Ospedale che è stato affidato da San Giovanni Calabria al Sacro Cuore di Gesù. Prego per tutti i degenti e per i sanitari, perché questa struttura brilli sempre come esempio di grande professionalità e di altissima umanità nel nome del Signore”.
A fine celebrazione ha preso la parola l’amministratore delegato Mario Piccinini. “La Festa del Sacro Cuore da sempre la nostra festa, la festa di tutti noi, nessuno escluso, che viviamo ogni giorno il nostro Ospedale – ha detto rivolgendosi agli operatori -. In ogni festa che si rispetti non può mancare il momento dei ringraziamenti: grazie per il vostro costante ed inesauribile impegno nel raggiungimento del nostro unico obiettivo: la salute e il benessere del paziente. Questo ospedale ha una forza unica e invidiabile: i collaboratori. Competenti e motivati, sempre, anche in situazioni drammatiche quali sono state le varie ondate della pandemia da Covid. Se si è potuto offrire ai quasi mille pazienti ricoverati a causa del virus l’assistenza migliore possibile, lo si deve agli operatori in prima linea – ha concluso – ma anche allo sforzo corale di tutti, senza il quale non sarebbe stato possibile affrontare un’emergenza senza precedenti”.
Ai ringraziamenti si è unito il Presidente del “Sacro Cuore Don Calabria”, fratel Gedovar Nazzari, presente insieme al direttore amministrativo, Claudio Cracco, e al dottor Fabrizio Nicolis, direttore sanitario.
Nelle foto alcuni momenti della celebrazione