Dare "scacco matto" al dolore oncologico si può

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S’intitola “Scacco matto al dolore in dieci mosse” il progetto elaborato dall’Oncologia Medica che prevede il coinvolgimento di più specialisti al fine di controllare il dolore nel paziente oncologico

Il controllo del dolore è un elemento fondamentale del trattamento del paziente oncologico e richiede un approccio multidisciplinare “al fine di sollevare la persona ammalata da una condizione che annulla la vita e non permette di pensare ad altro, se non alla propria sofferenza”, afferma il dottor Roberto Magarotto, responsabile della Sezione Cure Palliative dell’Oncologia Medica.

 

A questo scopo l’Unità Operativa diretta dalla dottoressa Stefania Gori ha elaborato un progetto dal titolo “Scacco matto al dolore in dieci mosse”, che sarà presentato nel corso del convegno “Il dolore nel paziente oncologico: dalla fisiopatologia al trattamento”, in programma mercoledì 10 aprile all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi programma).

 

“Il dolore è una condizione che può accompagnare il paziente oncologico in tutto il percorso della malattia – spiega il dottor Magarotto -. Può essere più frequente in alcune neoplasie, è quasi sempre presente nella fase metastatica, soprattutto se colpisce le ossa, e in quella terminale. Oggi disponiamo di molti farmaci e con meno effetti collaterali rispetto a quelli del passato, ma non sempre la terapia medica è sufficiente. Spesso è necessario l’intervento di altri specialisti“.

 

Il controllo del dolore inizia dalla sua valutazione da parte del paziente. “Con la legge 38 del 2010 sulle cure palliative e la terapia del dolore, la valutazione del dolore è stata introdotta tra i parametri obbligatori da registrare assieme alla diuresi, temperatura, alvo, pressione arteriosa e frequenza cardiaca – prosegue il dottor Magarotto – . Il nostro reparto aveva già iniziato con questa prassi, chiedendo al paziente ricoverato il grado di intensità del dolore (da 1 a 10) nel corso della giornata e nel momento della riacutizzazione. Questo prima della somministrazione della terapia e dopo, per capire quanto i farmaci siano stati efficaci e le eventuali criticità. Tra queste la componente emotiva che spesso amplifica la comunicazione del dolore da parte del paziente e pertanto deve essere anch’essa valutata”.

 

“La particolarità della malattia tumorale scatena stati emotivi molto intensi nel paziente ma anche nei familiari che vivono condizioni psicologiche ambivalenti tra il desiderio di rassicurazione e il peso di fingere un’altra realtà – interviene il dottor Giuseppe Deledda, responsabile del Servizio di Psicologia Clinica -. La sofferenza psicologica del “sistema famiglia” influisce in modo determinante anche sulla percezione del dolore da parte del paziente. La possibilità del paziente e dei familiari di confrontarsi con lo psicologo per cercare un nuovo equilibrio consente anche agli oncologi di intervenire in modo ancora più efficace “.

 

Un ruolo fondamentale nel monitoraggio del dolore lo assume il personale infermieristico a contatto costante con il paziente e parte attiva al meeting quotidiano con i medici. Durante l’incontro la rivalutazione del paziente con dolore è condivisa da tutta l’équipe oncologica. Giorno per giorno viene discusso come rimodulare la terapia antalgica del singolo paziente .

Quando ci troviamo in di fronte a metastasi ossee – prosegue il medico – la sola terapia medica non basta in quanto il dolore viene scatenato anche dal movimento e dal carico del peso sulla struttura ossea. In questo caso viene coinvolto l‘ortopedico e/o il radioterapista oncologoL’adozione di presidi ortopedici e/o di trattamenti radioterapici antalgici insieme ai farmaci hanno spesso successo nel riportare il paziente all’autonomia di movimento”.

 

“Ma sono anche altri gli specialisti oltre agli oncologi che hanno un ruolo nella terapia del dolore: gli anestesisti, per esempio, nell’applicazione di accessi venosi stabili (Midline- PICC-CVC )afferma Magarotto -. Nei pazienti che hanno difficoltà a deglutire la terapia orale, l’adozione di dispositivi che consentono accessi venosi periferici e centrali a medio-lungo termine sono necessari affinché il dolore del paziente venga trattato adeguatamente con tutte le possibilità farmacologiche a disposizione”.

 

Gli specialisti antalgici, invece, intervengono per il dolore poco responsivo agli oppioidi o con caratteristiche specifiche di infiltrazione locale e i neurologi sono coinvolti quando il dolore è di natura neuropatica.“In presenza di dolore cronico può verificarsi un meccanismo a livello del sistema nervoso centrale in base al quale, anche in mancanza di una reiterazione di una intensa causa specifica, il paziente continua a sentire dolore ed, anzi, la sofferenza aumenta: in questi casi farmaci di tipo antiepilettico a giusto dosaggio possono spegnere questo effetto paradosso”, conclude il dottor Magarotto.


Il dottor Molon revisore a Bruxelles di un progetto europeo di cardiologia

Il medico fa parte dell’elenco degli esperti di alto livello selezionati dalla Commissione Europea per la valutazione di programmi relativi alle politiche sanitarie dell’Europa

Il dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura Semplice di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione, è stato chiamato nelle scorse settimane a Bruxelles a far parte di un pool di esperti internazionali incaricati di valutare un progetto vincitore di un bando del Programma Horizon 2020.

 

Il progetto si chiama RITMOCORE (http://www.ritmocore-ppi.eu) ed è finanziato nell’ambito del bando H2020 “PPI for deployment and scaling up of ICT solutions for active an healthy ageing” (Acquisizione pubblica per lo schieramento e l’estensione delle soluzioni delle Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione per un Invecchiamento Attivo e Salutare). http://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/opportunities/h2020/topics/sc1-pm-13-2016.html .

 

Il progetto mira ad affrontare l’evoluzione nel trattamento dei pazienti che utilizzino o abbiano bisogno di utilizzare un pacemaker impiantabile (PM). L’approccio proposto ha come scopo difatti la promozione di un modello di assistenza che includa: la responsabilizzazione dei medici di medicina generale e l’integrazione dei percorsi di cura attraverso una adeguata condivisione delle informazioni; il monitoraggio remoto dei pacemaker; il monitoraggio domestico dei segni vitali mediante dispositivi portatili (App); l’attivazione del paziente ed incremento dell’allineamento degli obiettivi delle varie parti in gioco (providers, medici, manager ospedalieri, pazienti). Inoltre vi è la previsione di un Centro di supporto per il monitoraggio remoto dei pacemaker, la erogazione di un set predefinito di informazioni a tutte le parti interessate (stakeholders) ed ai professionisti coinvolti nel percorso terapeutico, l’integrazione e classificazione di qualità dei dispositivi, anche portatili, in grado di monitorare a casa i predetti segni vitali e di supporto per la attivazione dei pazienti.Il servizio si basa sul cosiddetto ‘risk sharing’, la condivisione del rischio.

 

I partner del consorzio progettuale, oggetto della revisione, rappresentano alcune strutture ospedaliere leader nell’ambito dell’assistenza cardiologica: il Sant Pau di Barcellona (Spagna), il Liverpool Heart and Chest NHS Hospital (UK), l’Elisabeth-TweeSteden Hospital (Olanda) ed il Fondo Sanitario Regionale delle Marche, rappresentato dall’Ospedale di Fermo.

 

In sintesi il progetto revisionato punta ad un incremento della qualità dell’assistenza, monitorando le performance dei pacemaker con un miglior utilizzo di tutti i dati registrati ed una conseguente responsabilizzazione anche del paziente.

 

Il dottor Molon è stato selezionato in qualità di revisore da parte della sezione “E-Health, Wellbeing and Ageing” (Sanità elettronica, benessere ed invecchiamento) della Direzione Generale delle Reti di comunicazione, dei contenuti e delle tecnologie (DG CONNECT) della Commissione Europea con sede a Bruxelles https://ec.europa.eu/info/departments/communications-networks-content-and-technology_it , in virtù della sua registrazione nel ‘Database degli esperti’ della stessa Commission (https://ec.europa.eu/research/participants/portal/desktop/en/experts/index.html)..Tale elenco consente ai medici registrati di essere contattati per valutare le proposte, monitorare le azioni ed occuparsi della preparazione, attuazione o valutazione dei programmi e delle politiche sanitarie del Vecchio Continente. Previo attento esame della Commissione Europea vengono quindi selezionati esperti di alto livello nel rispettivo campo di competenza per incarichi valutativi e di revisione.

Enrico Andreoli


Nodulo al seno: spesso non è un tumore

Per la maggior parte delle patologie benigne, il rischio che si sviluppino in tumore è nullo o molto basso, ma è necessaria tuttavia una diagnosi accurata per stabilire il trattamento più idoneo, chirurgico o follow up

La scoperta di nodulo al seno genera sempre grande ansia. Ma non in tutti i casi si tratta di un tumore. Spesso trascurati dal punto di vista scientifico, i noduli benigni rappresentano tuttavia il 90% circa delle condizioni che portano a eseguire una visita senologica o un esame strumentale al seno, essendo talvolta palpabili dalla paziente.

 

“Le patologie della mammella che rientrano nel campo della benignità sono innumerevoli ed eterogenee tra di loro. Possono interessare varie fasi della vita della donna, anche se sono più frequenti tra i 25 e i 50 anni”, spiega il dottor Alberto Massocco, responsabile della Chirurgia senologica.

 

Quali sono le cause delle lesioni benigne?

Le cause eziologiche di queste patologie non sono sempre note. Possono essere dovute a un non normale sviluppo del processo evolutivo della mammella. Inoltre possono dipendere da stimoli ormonali fisiologici o iatrogeni (per esempio l’azione di determinati farmaci) o da involuzioni del tessuto ghiandolare o da fenomeni infiammatori…

 

Come avviene la diagnosi?

La diagnosi è frutto dell’unione dei risultati dell’anamnesi, dell’esame clinico e degli accertamenti strumentali. Oltre a quelli di primo livello (ecografia/mammografia), in alcuni casi possono essere necessari esami diagnostici più complessi come la Risonanza Magnetica mammaria, la duttogalattografia (una mammografia con mezzo di contrasto per osservare i dotti galattofari, i cosiddetti “canali del latte”. ndr), oppure esami citologici o microistologici dopo il prelievo di cellule o tessuto (agoaspirato/agobiopsia).

 

Sono lesioni che possono evolvere in tumori?

Per la maggior parte delle patologie benigne, il rischio che si sviluppino in tumore è nullo o molto basso. Alcune di esse, tuttavia, hanno un potenziale evolutivo intrinseco o possono essere associate a patologia tumorale maligna in percentuali molto differenti tra di loro. Da qui la necessità di fare una corretta diagnosi che spesso si associa a esami cito/istologici (agoaspirato/ agobiopsia).

 

Come vengono trattate?

Ci sono essenzialmente due opzioni diagnostiche: il controllo periodico della lesione o l’intervento chirurgico. La scelta di intervenire o meno chirurgicamente è dettata dal tipo e dalla dimensione della lesione, dalla sua evoluzione nel tempo, dall’ansia che la presenza del nodulo genera nella paziente o da ragioni prettamente estetiche.

 

L’ansia è una componente non trascurabile

Uno dei compiti fondamentali del senologo è quello di rassicurare la paziente che nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a una lesione benigna. In presenza di tipologie particolari è importante valutare il rischio di evoluzione maligna per procedere con il migliore trattamento.


Malesseri da ora legale: ecco come prevenirli

Il passaggio dall’ora solare a quella legale è una piccola alterazione dei nostri ritmi biologici: ecco alcuni accorgimenti per non risentire nei primi giorni di quell’ora di meno di sonno, che a volte diventano due…

E’ tempo di ora legale. Alle 2 del mattino di domenica 31 marzo le lancette dell’orologio dovranno essere spostate avanti di un’ora. Il che significa 60 minuti di luce in più alla sera, ma un’ora di sonno in meno. Così pochi minuti possono influire sul nostro ritmo sono-veglia, rendendoci le giornate difficili? Un certo malessere è possibile, secondo il dottor Gianluca Rossato, responsabile del Centro di Medicina del sonno.

 

Il passaggio all’ora legale è di fatto un’alterazione delle nostre abitudini – spiega il neurologo -. Il nostro cervello, dunque il nostro corpo, è tarato naturalmente su un certo orario e ha bisogno di qualche giorno per adattarsi al cambiamento. Le ore di privazione del sonno possono essere due perché ci alziamo un’ora prima ma, in genere, andiamo a letto un’ora dopo. Questo sfasamento può avere effetti negativi in termini di minore concentrazione nei giorni seguenti all’ingresso dell’ora legale“.

 

Tuttavia, sottolinea il dottor Rossato, domenica, primo giorno di ora legale, si possono mettere in atto alcuni accorgimenti per adattarsi in fretta a questo cambiamento dei ritmi biologici

• Alzarsi sempre alla stessa ora e non un’ora più tardi, senza badare che se ci alziamo alle 9 in realtà, “per il sole”, sono le 8.

• Trascorrere la giornata all’aperto o praticare dell’attività fisica che implichi dispendio di energie in modo di arrivare a sera sufficientemente stanchi per addormentarsi all’ora usuale.

• E’ bene mantenere lo stesso orario di cena.

• Domenica sera è lecito fare uno strappo alla regola e concedersi una cena gustosa e un po’ abbondante, un fattore che può favorire il sonno anticipato

• La regola invece da non abbandonare mai se si vuole dormire bene, indipendentemente dall’ora legale, è quella di spegnare nelle ore precedenti il sonno, tablet e smartphone. Essi emanano una luce a cosiddetta frequenza blu, la stessa del sole. Si tratta di una luce chiara, che provoca l’arresto della secrezione di melatonina, l’ormone che regola il ciclo sonno-veglia. Più si tengono questi dispositivi a distanze ravvicinate, più il sonno rischia di essere compromesso.


La cura dei denti in gravidanza fa bene anche al bambino

Sabato 13 aprile gli igienisti dentali del Centro Odontostomatologico Ospedale Sacro Cuore Don Calabria incontreranno le future mamme per dare indicazioni su come mantenere in salute la propria bocca durante la gravidanza

Durante la gravidanza, a causa di cambiamenti ormonali, si verificano delle modificazioni a livello del cavo orale che comportano una maggiore suscettibilità per le carie e le malattie gengivali. E’ importante che la futura mamma prevenga o tenga sotto controllo queste patologie che possono influire anche sulla salute del nascituro. Infatti, secondo recenti studi scientifici, le infezioni severe generalizzate a livello del cavo orale della madre possono essere un fattore di rischio di parto prematuro.

 

La salute orale della donna in gravidanza e del bambino è al centro dell’incontro che si terrà sabato 13 aprile alle 10 al Centro Diagnostico Terapeutico di via San Marco 121 a Verona.L’appuntamento rientra nel progetto di prevenzione dentale rivolto alle future mamme, coordinato dalla dottoressa Lucia Bombasini con il gruppo degli igienisti dentali del Centro Odontostomatologico Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto da dottor Stefano Orio.

 

La dottoressa Bombasini – igienista dentale e docente a contratto all’Università di Verona – affronterà temi quali il sanguinamento delle gengive e la carie in gravidanza, la cura dentale durante la gestazione, l’importanza dei controlli odontoiatrici e dell’igiene orale professionale. Ma anche la carie da biberon e l’igiene orale domiciliare nelle varie fasi della vita.


Per partecipare all’evento è necessaria l’iscrizione al numero 045.6014650


Il linfedema nel paziente oncologico: l'importanza della fisioterapia

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Il ristagno patologico di liquidi negli arti superiori o inferiori si manifesta soprattuto a seguito di interventi chirurgici oncologici con svutamento linfonodale allargato, come nel caso della mastectomia. Se ne parla in un convegno venerdì 29 marzo

Il linfedema è il ristagno patologico di liquidi nei tessuti, dovuto ad un’insufficienza del sistema linfatico. Si presenta come un gonfiore anomalo agli arti superiori ed inferiori, più spesso in modo asimmetrico, (cioè colpisce un solo arto per volta). Può essere di natura congenita, ma nella gran parte dei casi è un dovuto ad interventi chirurgici oncologici che richiedono svuotamenti linfonodali allargati, come, per esempio, la mastectomia o gli interventi addomino-pelvici.

 

Di linfedema si parlerà venerdì 29 marzo all’Hotel Villa Quaranta di Pescantina (Verona) in un convegno promosso dal dottor Paolo Tamellini, responsabile dell’Unità operativa di Flebologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e responsabile regionale veneto della Società Italiana di Flebologia (SIF). (programma allegato) La patologia verrà analizzata dal punto di vista dell’internista e del chirurgo, ma soprattutto verrà rilevato quanto sia importante un trattamento fisioterapico adeguato per impedire un processo fibrotico dei tessuti, tale da rendere l’edema irreversibile e invalidante.

 

Nell’ambito del Cancer Care Center per la presa in carico del paziente oncologico, l’IRCCS di Negrar dispone di un Ambulatorio settimanale dedicato al linfedema, che afferisce al Servizio di Medicina Fisica e Riabilitativa, diretto dal dottor Renato AvesaniVi accedono soprattutto le donne sottoposte a mastectomia, in collaborazione con l’Unità senologica. Ma vengono trattati anche gli esiti da chirurgia oncologica sia ginecologica che urologica. Quindi anche gli uomini, che hanno subito l’asportazione della prostata. Il trattamento prevede dieci sedute di linfodrenaggio manuale seguito dal bendaggio elastocompressivo all’arto interessato con il quale il paziente torna a casa per ritornare il giorno dopo ed eseguire l’identico procedimento. Sono consigliabili almeno due cicli all’anno, per la terapia di mantenimento.

 

Ma perché si forma il linfedema? “Il sistema linfatico è costituito da una serie di vasi e capillari che hanno il compito di drenare la linfa e riportarla nel circolo venoso – spiega il dottor Tamellini (nella foto) -. Quando questo sistema ‘idraulico’ non funziona in modo adeguato, il liquido linfatico si accumula nei tessuti formando dei gonfiori, gli edemi”.

 

Da cosa è causata l’insufficienza del sistema linfatico?

Il malfunzionamento del sistema linfatico può avere cause congenite, ma nella maggior parte dei casi è di natura acquista. In particolare gli interventi chirurgici oncologici richiedono l’asportazione dei linfonodi quando sono intaccati da cellule neoplastiche. I linfonodi sono una sorta di ‘stazioni’ del sistema linfatico con il compito di smistare la linfa e di attivare la risposta immunitaria. Quando vengono asportati, il sistema viene danneggiato e si crea un ristagno di liquidi. L’esempio più comune riguarda le donne sottoposte a mastectomia che presentano un rigonfiamento del braccio in corrispondenza del seno asportato, a causa dello svuotamento linfonodale ascellare. Oggi linfedemi come questi sono meno frequenti rispetto a un tempo grazie a interventi senologici più conservativi e all’introduzione della tecnica del linfonodo sentinella: solo quando quest’ultimo è positivo si procede con lo svuotamento linfonodale allargato.

 

E’ un problema che riguarda solo le donne operate al seno?

No. Si stima che il linfedema si presenta nel 20-40% dei casi dopo un intervento chirurgico oncologico, in particolare ginecologico o, anche negli uomini, urologico. In questi casi gli arti colpiti sono quelli inferiori per l’asportazione dei linfonodi pelvici. Anche la radioterapia può essere all’origine di un linfedema, perché può causare la fibrosi nei tessuti.

 

Qual è la terapia indicata?

La fisioterapia. In particolare il linfodrenaggio che tramite una compressione manuale ‘riattiva’ i vasi linfatici affinché svolgano la funzione di drenaggio. Si tratta di una patologia cronica, che si ripresenta ciclicamente e richiede quindi una terapia di attacco e di mantenimento. Si tratta di un problema serio che non deve essere trascurato. La linfa che ristagna nei tessuti contiene plasma , globuli bianchi e proteine. Quest’ultime in parte degradono, in parte provocano un ispessimento fibrotico dei tessuti, indurendo l’edema e rendendolo irreversibile e fortemente invalidante. A questi stadi il linfedema spesso non è più trattabile con la fisioterapia ed è necessario – quando è possibile – ricorrere all’intervento chirurgico.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Tubercolosi: il problema emergente della farmaco-resistenza

Il 24 marzo è la Giornata mondiale della tubercolosi che è ancora oggi, tra le malattie infettive, la prima causa di morte. Diminuiscono i nuovi casi e i decessi nel mondo ma l’obiettivo OMS di arginare l’epidemia entro il 2030 è ancora lontano

Centotrentasette anni fa, il medico tedesco Robert Koch scopriva il Mycobacterium tuberculosis, agente eziologico della tubercolosi (TB). Era il 24 marzo, data scelta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) per celebrare la Giornata della TB, patologia che è ancora oggi, fra le malattie infettive, la prima causa di morte nel mondo: si stima c he nel 2017 siano stati 1,6 milioni i decessi, a fronte di 10 milioni di nuovi casi. Numeri in progressiva diminuzione, che fanno ben sperare, ma che richiedono ancora una soglia di attenzione molto alta da parte di tutti i Paesi.

La TB nel mondo e in Italia

“Due terzi dei casi mondiali si concentrano in soli otto Paesi: India, Cina, Indonesia, Filippine, Pakistan, Nigeria, Bangladesh e Sud Africa”, afferma la dottoressa Paola Rodari, infettivologa e ricercatrice del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali, diretto dal professor Zeno Bisoffi. L’Italia è da anni considerato un Paese a bassa incidenza: nel 2017 sono stati notificati 3.944 nuovi casi, con un’incidenza di 6,5 casi ogni 100mila abitanti. A Negrar vengono seguiti ogni anno circa una trentina di pazienti.

La forma polmonare è quella più diffusa

La TB si trasmette da persona a persona attraverso l’ariaCirca un quarto della popolazione mondiale ha un’infezione tubercolare latente (cioè è venuta a contatto con micobatteriop della TB) e può potenzialmente sviluppare la malattia nell’arco della vita. Il micobatterio può colpire qualsiasi organo, ma la forma più diffusa è quella polmonare. In questo caso la malattia si può manifestare con tosse persistente, stanchezza marcata, perdita di peso e febbricola.

Malattia curabile: il problema della farmaco-resistenza

La TB è una malattia curabile e i farmaci fondamentali nella terapia di prima linea sono la rifampicina e l’isoniazide. Purtroppo la resistenza a questi farmaci è un problema emergente, il che obbliga all’utilizzo di farmaci di seconda linea. Si tratta di principi attivi che implicano trattamenti più lunghi, più complessi e con rilevanti effetti collaterali”, spiega la dottoressa Rodari. I Paesi più interessati alla farmaco-resistenza sono India, Cina e Russia: questi tre Paesi da soli notificano quasi la metà dei casi di resistenza. “La resistenza ai farmaci emerge per diverse ragioni – prosegue – ma in particolare quando la terapia viene somministrata in modo inappropriato, sia a causa di una non corretta prescrizione da parte degli operatori sanitari, o per la scarsa qualità dei farmaci (problema enorme e di difficile soluzione nei Paesi a risorse limitate) o ancora per unscarsa aderenza alla terapia da parte dei pazienti”.

 

OMS: arginare l’epidemia entro il 2030

L’OMS ha lanciato nel 2014 la End TB Strategy, con l’obiettivo di arginare l’epidemia entro il 2030, sollecitando i governanti a mettere in campo tutte le strategie possibili per una diminuzione progressiva dei casi di infezione. “Si tratta di un obiettivo molto ambizioso: la strategia punta ad una riduzione dei decessi del 90% e dei nuovi casi dell’80% tra il 2015 e il 2030 – afferma il medico -. In questo senso, è fondamentale puntare alla diagnosi precoce della malattia”.

 

Non è la malattia dei migranti

La tubercolosi è una delle malattie oggetto di “leggende metropolitane”. Non di rado viene spacciata tra le patologie già debellate da tempo in Italia, ma il cui ritorno è dovuto al fenomeno dell’immigrazione. “Ci sono sempre stati casi di TB nel nostro Paese – precisa la dottoressa -. Ciò che è importante sottolineare è che all’intensificarsi del flusso migratorio non corrisponde un aumento di nuove infezioni tra i nostri connazionali. I casi nella popolazione italiana riguardano soprattutto gli anziani, venuti in contatto con il micobatterio in gioventù. La riattivazione della malattia con la vecchiaia è spesso conseguenza del calo fisiologico delle difese immunitarie, oltre che alla compresenza di patologie croniche o terapie immunosoppressive”. Molto più giovani sono invece i pazienti migranti. “Nel caso dei migranti la riattivazione può essere legata allo stress del processo migratorio e alle precarie condizioni sociali che queste persone di trovano ad affrontare nel Paese ospite”, conclude Rodari


Mal di pancia nei bambini: non sempre si tratta di intolleranze

E’ un sintomo comune nell’infanzia. Quando persiste è necessario effettuare esami specifici per verificare la presenza di intolleranze o allergie ma anche per non eliminare inutilmente dalla dieta alimenti preziosi per la crescita

Il mal di pancia accompagna spesso la giornata dei bambini, allarmando, quando persiste, i genitori, preoccupati di eventuali allergie o intolleranze. O di patologie ben più gravi. “I disturbi intestinali sono frequenti in età pediatrica: non solo dolori addominali, ma anche vomito, rigurgito, inappetenza, meteorismo intestinale, senso di fastidio a livello gastrico, intestino che alterna periodi di stipsi a periodi di diarrea”, conferma il dottor Antonio Deganello, direttore della Pediatria. Spesso sono fenomeni che si risolvono da soli o con la prescrizione di una terapia, ma “quando, superate eventuali cause acute (enterite o infezioni virali), questi sintomi persistono per settimane è consigliabile rivolgersi al pediatra per effettuare accertamenti specifici al fine di escludere o confermare la presenza di intolleranze o di allergie alimentari. Questo anche per evitare diete fai da te, eliminando inutilmente cibi preziosi per la crescita del bambino, come il pane o il latte”.

 

Quali sono le intolleranze più frequenti?

L’intolleranza al lattosio (lo zucchero contenuto nel latte), alle proteine del latte vaccino, la celiachia e la gluten sensivity sono sicuramente le intolleranze che diagnostichiamo più spesso nei bambini con sintomi gastrointestinali.

 

Cosa differenzia la celiachia dalla gluten sensivity?

Le accomunano solo i sintomi. La celiachia è legata a una progressiva infiammazione della mucosa dell’intestino causata dalla gliadina, proteina presente nel glutine del frumento e di altri cereali. Si tratta di una patologia autoimmune che si diagnostica rilevando precisi markers nel sangue e in un secondo momento con la biopsia intestinale. “L’ipersensibilità al glutine” si manifesta con gli stessi sintomi della celiachia, ma non comporta nessun danno alla mucosa e l’unica diagnosi possibile è quella clinica. Si procede eliminando per un certo periodo dalla dieta prodotti con il glutine. Una volta verificata la scomparsa dei sintomi, si reintroducono gli alimenti ‘sotto accusa’. Se i sintomi ritornano, significa che la causa scatenante dei disturbi a livello gastrico è proprio il glutine. Si chiama prova di eliminazione e scatenamento e viene effettuata anche per altri cibi.

 

Spesso si confondono le intolleranze con le allergie

Sono due tipi differenti di reazioni avverse a determinati cibi. Le intolleranze sono legate spesso alla carenza di enzimi. Come l’intolleranza al lattosio, che è causata dalla carenza o dalla mancanza dell’enzima lattasi che non consente la corretta digeribilità dello zucchero contenuto nel latte. Oppure a patologie autoimmuni come la celiachia. E ancora le intolleranze possono essere dovute all’ipersensibilità ad un cibo, come la gluten sensitivity, ma non solo questa. Le allergie, invece, possono essere ben codificate con le prove allergiche cutanee o con la determinazione nel sangue delle immunoglobuline E per vari alimenti: allergia al latte, all’uovo, al grano… Quando abbiamo di fronte un bambino con determinati problemi avviamo una serie di indagini per escludere intolleranze e allergie, ma non sempre è possibile stabilire con certezza se siamo in presenza delle une o delle altre. Bisogna talvolta eliminare dalla dieta il cibo che si nota “storicamente” fastidioso ma si deve tener presente che nella maggior parte dei casi i dolori addominali ricorrenti sono di natura funzionale.

 

Cosa significa?

Sono causati da irritabilità colica costituzionale. Crampi improvvisi, spasmi, diarrea dopo mangiato o dopo una forte emozione non hanno nulla a che fare con patologie specifiche (esofagite o gastriti), intolleranze e allergie, ma sono reazioni funzionali di quel colon.

 

Registra un aumento di intolleranze o allergie?

Negli anni son cresciuti numericamente i casi di celiachia e di gluten sensivity. Il motivo probabilmente è dovuto ad una maggiore assunzione di glutine. Infatti i grani attualmente in commercio sono più ricchi di glutine rispetto a quelli di 30 anni fa. Inoltre il glutine viene introdotto con dosi maggiori nella panificazione perché rende l’alimento più buono e perché favorisce la lievitazione. Questo aumento della presenza del glutine può scatenare la malattia in soggetti geneticamente predisposti.

 

E per l’intolleranza al lattosio?

Aumenta fisiologicamente con l’età, in quanto la funzione della lattasi viene meno progressivamente. Soprattutto se si interrompe o si riduce drasticamente l’assunzione di latte e dei suoi derivati. Infatti l’enzima che digerisce il lattosio si trova sulla superficie dei villi intestinali ed è substrato dipendente. Se introduciamo lattosio, la lattasi si attiva, si produce e si mantiene stabile. Se non beviamo più latte o non mangiamo più formaggio avviene il contrario e quando li riprendiamo si scatena la diarrea.

 

Spesso si sente dire che il glutine fa male sempre, anche quando non si è celiaci, e il latte è un alimento per soli neonati

ualsiasi età, assunto naturalmente nelle giuste dosi in una dieta equiChe il glutine faccia male in qualunque caso è una leggenda metropolitana, non è provato da studi scientifici. Il latte è un alimento completo, ricco di calcio, e ben bilanciato tra carboidrati, proteine e lipidi. Fa bene a qlibrata.

(da L’Altro Giornale-Febbraio 2019)


A Verona si incontrano i responsabili delle missioni calabriane nel mondo

Si conclude oggi l’incontro dei Delegati con il Consiglio Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, riuniti a San Zeno in Monte per iniziare l’organizzazione del Capitolo della Congregazione che si terrà il prossimo anno

Si conclude oggi l’incontro dei responsabili di tutte le missioni dell’Opera Don Calabria nel mondo. I Delegati, come sono chiamati nel linguaggio ecclesiastico, si sono riuniti a San Zeno in Monte presso la Casa Madre dell’Opera insieme al Consiglio Generale per iniziare la programmazione del XII Capitolo della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, che si terrà nella primavera del prossimo anno.

 

Durante l’assemblea, iniziata martedì 12 marzo, sono stati affrontati in particolare due argomenti. Anzitutto si è parlato del metodo di lavoro collegiale con il quale si cercherà di coinvolgere tutta la Famiglia calabriana, religiosi e laici, nella preparazione del Capitolo. In secondo luogo ci si è confrontati sul tema della rilettura del Carisma calabriano alla luce delle sfide dei tempi attuali, con l’obiettivo di individuare quello che sarà il filo conduttore di tutto il percorso capitolare.

 

I Poveri Servi della Divina Provvidenza sono organizzati in sei Delegazioni e una Missione. Le Delegazioni rappresentate nell’incontro di questi giorni sono le seguenti:

– Delegazione San Giovanni Calabria (Italia, Portogallo e Romania – Delegato don Ivo Pasa)

– Delegazione Nossa Senhora Aparecida (Brasile – Delegato don Gilberto Bertolini)

– Delegazione Maria Inmaculada (Argentina, Uruguay e Paraguay – Delegato don Fernando Speranza)

– Delegazione Mama Muxima (Angola – Delegato don Timoteo Hamuyela)

– Delegazione Ish Kripa (India – Delegato don Manoj Ethirvelil)

– Delegazione Mary Mother of the Poor (Filippine – Delegato don Rey Olan)

– Missione St. Joseph (Kenya – Responsabile fratel Olinto Bet)

 

Oltre ai Delegati è presente il Consiglio Generale con il Casante padre Miguel Tofful, l’economo generale fratel Gedovar Nazzari, che è anche presidente dell’ospedale di Negrar, fratel Matteo Rinaldi, don Luciano Squizzato e don Abraham Odalany. Alcuni momenti dell’assemblea hanno visto inoltre la partecipazione delle Sorelle Povere Serve della Divina Provvidenza.

 

Nel mondo l’Opera Don Calabria può contare su oltre 300 religiosi e 100 religiose, oltre a quasi 9mila collaboratori laici. Le attività portate avanti sono in ambito pastorale (oltre 70 fra parrocchie, seminari e case di spiritualità), socio-educativo (più di 150 fra scuole, centri diurni, centri di accoglienza, case famiglia…), sanitario e socio-sanitario (4 ospedali, fra i quali il Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, oltre a diverse attività ambulatoriali).

 

Il Capitolo Generale, la cui organizzazione è al centro dell’assemblea di questi giorni, si svolge ogni sei anni ed è il momento di massima espressione collegiale nella vita di una Congregazione. Ha una funzione di verifica, di programmazione e di regolamentazione dell’istituto. Inoltre durante il Capitolo si procede all’elezione del Superiore Generale e del suo Consiglio.


"Come va il tuo respiro": è in miglioramento quello dei veronesi

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Lo studio epidemiologico sulla salute respiratoria dei veronesi ha rilevato una situazione stabile o in lieve miglioramento rispetto a otto anni fa: venerdì 15 marzo in un convegno saranno illustrati i dati completi della ricerca

Sono risultati sorprendenti ed incoraggianti quelli rilevati dallo studio “Come va il tuo respiro” (vedi articolo), l’indagine epidemiologica sulla salute respiratoria dei veronesi condotto dalla Pneumologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar in collaborazione con il Comune scaligero e l’Ulss 9. Lo stesso campione statisticamente significativo di cittadini oggetto otto anni fa dello studio “Scopri il tuo respiro”, è stato “richiamato” a verificare la salute del propri polmoni che è risultata stabile o addirittura in lieve miglioramento.

 

E’ quanto hanno illustrato questa mattina tutti gli attori dello studio in una conferenza stampa nella sede del Comune di Verona a cui sono intervenuti Marco Padovani, assessore alle Strade e Giardini, decentramento e Servizi tecnici circoscrizionali; Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria; Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia della stessa struttura; Massimo Guerriero, biostatistico e Denise Signorelli, direttore sanitario dell’ULSS 9. E’ intervenuto anche Adriano Tomba, segretario generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni, che assieme a Chiesi Italia, Agsm e VeronaFiere ha supportato economicamente lo studio. I dati completi della ricerca saranno presentati in un convegno aperto alla cittadinanza che si terrà venerdì 15 marzo alle 17 presso il Palazzo della Gran Guardia, a Verona (vedi programma).

 

“Questo è un lavoro partito anni fa e che ora ha un’importante valenza sanitaria oltre che scientifica – ha detto l’assessore Padovani-. I dati sono incoraggianti, perché dimostrano quanto sia fondamentale la prevenzione e come i cittadini siano attenti alla propria salute. Numeri importanti anche per l’Amministrazione, impegnata con iniziative e progetti per promuovere tra i cittadini comportamenti e stili di vita virtuosi”.

 

La situazione otto anni fa
L’indagine del 2010-2011 – pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Respiratory Medicine – ha rilevato che quasi dieci veronesi su 100 erano affetti da BPCO (Broncopneumopatia cronico ostruttiva), mentre 6 veronesi su 100 da asma bronchiale, dato in linea con le altre città europee.

 

Il nuovo studio
Dei 1.236 arruolati otto anni fa, per il nuovo studio “Come va il tuo respiro”, erano potenzialmente contattabili 919 cittadini in quanto 317 sono risultati non più residenti a Verona o defunti. Sono stati invece 646 coloro che hanno risposto al richiamo del 2018, generando un elevato tasso di adesione alla proposta (pari al 70.3%) e garantendo quindi la possibilità di effettuare confronti statistici temporali molto accurati e fornire dati oggettivi “pesanti”, usufruibili dalla politica sanitaria e dagli enti territoriali che si occupano di salute pubblica, come ha sottolineato Massimo Guerriero, biostatistico e professore incaricato dell’Università di Verona, che si è occupato dell’analisi dei dati.

 

Calano i fumatori
Rispetto a quanto rilevato dallo studio precedente, i fumatori sono calati del 5%, dato altamente significativo dell’impatto che queste iniziative possono avere non solo dal punto di vista della ricerca scientifica, ma anche da quello sociale e sanitario: l’80% dei tumori al polmone, infatti, è provocato dal fumo di sigaretta che è anche un importante fattore di rischio di altre neoplasie e delle patologie cardio-vascolari, principali cause di morte per malattia al mondo.

 

… e la prevalenza delle patologie respiratorie cronico-ostruttive
Il nuovo studio ha inoltre rilevato, tramite la spirometria e la compilazione di un questionario, che la prevalenza delle patologie cronico ostruttive rispetto al 2010-11 è stabile o in lieve calo. Anche i sintomi respiratori – come tosse, catarro e dispnea – sono in diminuzione. Tra questi, merita particolare attenzione il sintomo della tosse cronica che mostra la prevalenza più elevata tra i sintomi respiratori (circa 1 soggetto ogni quattro).

 

Cresce la qualità dell’aria? E’ un’ipotesi
E per quanto riguarda l’inquinamento dell’aria? Lo studio non aveva come obiettivo quello di stabilire quanto l’inquinamento abbia influito in questi otto anni sulla salute dei veronesi, si è limitato a rilevare i sintomi sanitari e, come nel caso del fumo, a registrare le modifiche dello stile di vita. Tuttavia visto che è da tempo assodato che la cattiva qualità dell’aria è un grave fattore di rischio per molte patologie, il fatto che dallo studio non sia emerso un aggravarsi della salute respiratoria dei veronesi potrebbe indicare che per quanto riguarda i provvedimenti adottati in questi anni contro lo smog si è sulla strada giusta. “Il fumo e l’inquinamento sono le principali cause delle malattie respiratorie – ha detto il dottor Carlo Pomari, direttore della Pneumologia di Negrar-. Il merito della loro diminuzione va riconosciuto sicuramente ai cittadini, che rispetto ai decenni scorsi sono molto più sensibili e attenti a come migliorare la qualità della loro vita, ma anche agli enti locali, le cui linee politiche hanno ricadute anche sul settore sanitario”.

 

Collaborazione tra diverse realtà amministrative e sanitarie
L’aspetto della collaborazione virtuosa tra molteplici realtà presenti sul territorio che caratterizza questo studio è stato sottolineato dal dottor Mario Piccinini, amministratore delegato dell’IRCCS di Negrar. “Ognuna ha collaborato con le proprie competenze, ma tutte a servizio del bene comune, in questo caso la salute dei cittadini veronesi. La collaborazione, la sinergia, la multidisciplinarietà, per usare un termine impiegato spesso in medicina, è il modus operandi da cui non si può prescindere in questa epoca così complessa. Voglio quindi ringraziare tutti gli artefici di questo studio e credo di interpretare il pensiero di tutti nell’auspicare che collaborazioni come queste siano sempre più numerose”.

Prosegue l’indagine con una nuova fase
L’indagine “Come va il tuo respiro” procede con una nuova fase, che durerà 24 mesi, come ha spiegato la dottoressa Denise Signorelli, direttore sanitario dell’Ulss 9. L’obiettivo dei prossimi due anni sarà quello analizzare il consumo di risorse per ciascuno dei 1.236 cittadini reclutati nel 2010-2011, in termini di uso di farmaci, di accesso al Pronto Soccorso e alle prestazioni ambulatoriali, e per quanto riguarda i ricoveri. Questo non per contrarre le spese, ma per trovare il migliore sistema possibile che consenta una diagnosi precoce e quindi un altrettanto precoce accesso ai farmaci per bloccare la progressione della malattia.

 

Una ricerca che fa cultura della prevenzione
Ha concluso gli interventi Andriano Tomba, segretario generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni: “Questa ricerca non orienta solo l’amministratore pubblico nelle cose da fare per migliorare l’aria, ma orienta noi come cittadini. Il cambiamento dei comportamenti non può essere mai frutto di un’imposizione, la quale creerebbe inevitabilmente tanti evasori, ma è legata a una decisione che richiama la responsabilità dei singoli. Questa ricerca fa cultura, e la cultura genera convinzioni e le convinzioni generano decisioni e solo le decisioni portano ai cambiamenti.