Chirurgia laparoscopica anche per i tumori ginecologici avanzati

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Interventi radicali sul tumore con tecniche mini-invasive che consentono una rapida ripresa della donna: l’esperienza della Ginecologia del ‘Sacro Cuore’ sarà illustrata in convegno questo sabato

La presa in carico delle pazienti affette da tumori ginecologici è al centro del convegno che si terrà questo sabato 26 maggio nella sala congressi della Cantina della Valpolicella di Negrar. Organizzato dal dottor Marcello Ceccaroni (in primo piano nella foto di copertina), direttore del Dipartimento per la tutela della salute e la qualità della vita della donna della Ginecologia e Ostetricia del ‘Sacro Cuore Don Calabria’, l’incontro scientifico ha un duplice obiettivo: fare il punto sull’attività dell’ospedale di Negrar nell’ambito della ginecologia oncologica e fornire ai ginecologi ambulatoriali del territorio gli elementi diagnostici per indirizzare in caso di necessità le donne ai Centri oncologici di riferimento, come il nosocomio calabriano.

 

“Dal 2016 siamo strutturati formalmente come un Cancer Care Center – spiega il dottor Ceccaroni – e come tale disponiamo di tutte le specialità per la diagnosi, il trattamento e il follow up della donna affetta da neoplasia ginecologiaInfatti al convegno saranno presenti i direttori delle Unità operative che nella logica della multidisciplinarietà intervengono nel trattamento della paziente oncologica: Ginecologia, Oncologia, Radiologia, Anatomia Patologica, Chirurgia Generale, Urologia, Medicina Nucleare e Radioterapia. Ma avremo anche come relatori specialisti dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano e del Sant’Orsola di Bologna“. (vedi programma)

 

Dottor Ceccaroni, quali sono i tumori ginecologici più diffusi?

Sicuramente il tumore dell’ovaio e quelli dell’utero, i quali, a loro volta, si suddividono in tumore della cervice e dell’endometrio, cioè il tessuto che riveste l’utero Le neoplasie dell’ovaio e dell’endometrio colpiscono in media le donne intorno ai 55-65 anni. Le prime registrano in Italia 4mila casi all’anno, le seconde 5mila. Il tumore della cervice, invece, colpisce maggiormente tra 35 e i 55 anni con un’incidenza di 27 casi ogni 100mila donne. Non molto tempo fa le cifre erano diverse.

 

In che senso?

Il pap test introdotto come screening ha radicalmente cambiato la storia del tumore alla cervice dell’utero nei Paesi sviluppati dove, fino a pochi anni fa, era il tipo di tumore più diffuso tra la popolazione femminile. Rilevando le lesioni in fase precancerosa, il pap test consente di intervenire prima che si formi il tumore. In futuro potremmo avere un numero ancora inferiore di casi, grazie all’introduzione in Italia nel programma di vaccinazione del vaccino contro l’HPV, virus responsabile di questa forma di cancro. Oggi purtroppo vediamo tumori avanzati al collo dell’utero nella donne provenienti dai Paesi in via di sviluppo dove la prevenzione è inesistente.

 

Il convegno è diviso in tre sessioni, la prima è riservata appunto alla prevenzione e alla diagnosi precoce. Per il tumore all’endometrio e all’ovaio come avviene?

Per il cancro all’endometrio, la prevenzione e la diagnosi precoce si effettua per via isteroscopica, cioè con l’introduzione attraverso il collo dell’utero di una videocamera miniaturizzata che permette di localizzare eventuali lesioni sospette ed nel caso procedere con una biopsia. La diagnosi isteroscopica è molto importante, ma lo è altrettanto quella ecografica. Anche per il tumore all’ovaio, il più aggressivo delle tre forme tumorali che raramente è possibile diagnosticare in stadi precoci perché non dà sintomi precisi. Durante il convegno vedremo quali sono i criteri ecografici per considerare sospetta una cisti ovarica.

 

Nella prevenzione del tumore ovarico, la genetica sta diventando fondamentale, soprattutto nel caso dei tumori ereditari.

Da più di un anno il nostro ospedale effettua il test genetico per la ricerca delle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2, coinvolti nell’ereditarietà del tumore alle ovaio e al seno. Al test non vengono sottoposte tutte le donne, ma solo le pazienti che appartengono a categorie a rischio per storia familiare o personale e dopo un’attenta valutazione da parte del genetista oncologo. Stabilire la presenza della mutazione è molto importante per la donna malata al fine di un eventuale utilizzo terapeutico di peculiari farmaci per cui la mutazione BRCA rappresenta un fattore predittivo di risposta al trattamento. Ma anche per le parenti più strette (madre, figlie e nipoti) per le quali si può stabilire un programma di prevenzione personalizzato.

 

Il trattamento chirurgico è invece protagonista della seconda sessione del convegno

La Ginecologia che dirigo oggi è in grado di proporre la chirurgia laparoscopica, quindi mini-invasiva, anche per certi specifici sottogruppi di pazienti con tumori avanzati all’ovaio. Ma nello stesso tempo applichiamo tecniche, come il linfonodo sentinella, che consentono di effettuare chirurgie conservative o di modulare la radicalità chirurgica. Ad esempio per conservare l’apparato produttivo in pazienti giovani e con tumori iniziali. Applichiamo anche tecniche nerve-sparing, ossia che consentono una radicalità chirurgica del tumore, risparmiando le fibre nervose che regolano le funzioni vescicali, intestinali, sessuali, con conseguente miglioramento della qualità di vita post-operatoria. Tecniche per cui il nostro è uno dei centri più conosciuti a livello internazionale.

La chirurgia laparoscopica per il cancro all’ovaio ha la stessa efficacia di quella tradizionale in termini di asportazione del tumore e di sopravvivenza?

Sì e lo abbiamo dimostrato anche in uno studio prospettico che abbiamo presentato alla comunità scientifica internazionale e pubblicato lo scorso ottobre su “Surgical Endoscopy”. Con la laparoscopia si raggiungono gli stessi obiettivi ma con notevoli vantaggi: una paziente che ha subito un intervento laparoscopico dopo tre giorni può essere sottoposta a chemioterapia. Con la tecnica tradizionale, a cielo aperto, dopo un mese. Si guadagna tempo che significa sopravvivenza. Sono interventi complessi che nel nostro ospedale hanno radici in una grande tradizione laparoscopica, affinata anche grazie al trattamento chirurgico dell’endometriosi avanzata, di cui siamo centro di riferimento, e alla collaborazione multidisciplinare, fondamentale quando si tratta di interventi che interessano più distretti anatomici.

 

La tecnica del linfonodo sentinella, di cosa si tratta?

E’ la stessa che viene utilizzata per il tumore al seno. Negli interventi di carcinoma dell’endometrio si ricerca, tramite un procedimento che si serve di un colorante, il primo linfonodo che potrebbe essere interessato da cellule cancerose. Lo si asporta, da entrambi i lati della pelvi, e lo si fa analizzare in tempo reale. Se il risultato è negativo, si può evitare una linfoadenectomia, un procedimento chirurgico più demolitivo.

 

Il dopo intervento. Chirurgie complesse e terapie, come la radioterapia e la chemioterapia, lasciano in segno…

Ci sono molti aspetti da considerare del dopo intervento: la frequenza dei controlli, la gestione del dolore pelvico cronico, l’impatto fisico e psicologico della paziente giovane quando la menopausa è indotta e molto altro. Ogni paziente è una storia clinica e umana a sé che deve essere valutata attentamente per mettere in campo tutti gli interventi necessari – terapeutici, riabilitativi, nutrizionali, antalgici..- al fine dii garantire una buona qualità di vita.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


La sfida di comunicare il Carisma di don Calabria oggi

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È dedicato al tema della comunicazione il quarto incontro dei gestori dell’Opera Don Calabria, in programma il 24 e 25 maggio a Verona. Ospite d’eccezione padre Federico Lombardi, già direttore della Sala Stampa della Santa Sede

È dedicato alla comunicazione nelle organizzazioni nate da un carisma il quarto incontro rivolto ai gestori delle Case dell’Opera Don Calabria, che si terrà a Verona giovedì 24 e venerdì 25 maggio.

 

Promosso dalla Delegazione Europea San Giovanni Calabria e ospitato presso la Casa Madre dei Poveri Servi della Divina Provvidenza (via San Zeno in Monte), il convegno vuole essere un momento di riflessione e di formazione su come comunicare oggi una realtà, come quella calabriana, nata dall’azione profetica di un Santo senza venir meno alla sua autenticità.

 

Ospite d’eccezione della due giorni sarà padre Federico Lombardi,direttore della Sala Stampa della Santa Sede durante tutto il pontificato di Benedetto XVI e nei primi tre anni del pontificato di papa Francesco. Padre Lombardi interverrà con il confratello gesuita padre Flavio Emanuele Bottaro, già direttore dell’Ufficio Comunicazione della Provincia d’Italia della Compagnia di Gesù nel pomeriggio di giovedì sul tema del convegno.

 

Ad aprire i lavori nella mattinata di giovedì sarà invece il professor Mario Risso, preside della Facoltà di Economia dell’Università Nicolò Cusano di Roma e preside del Master in Digital Marketing presso lo stesso Ateneo. Il professor Risso terrà una relazione su “Comunicazione o marketing: quali sfide per le organizzazioni ecclesiastiche oggi”.

 

Gli interventi proseguiranno nella mattinata di venerdì con “esperienze a confronto”. In una tavola rotonda si confronteranno sul tema “Comunicare un carisma restando a passo con i tempi ma senza perdere l’anima”: il professor Gianni La Bella, dirigente della Comunità di Sant’Egidio, il dottor Silvano Pedrollo, fondatore e presidente della Pedrollo Spa, e padre Fabio Scarsato, direttore editoriale de “Messaggero di Sant’Antonio”, del “Messaggero dei ragazzi” e delle Edizioni Messaggero di Padova. L’incontro – a cui è possibile partecipare solo su invito – proseguirà con i lavori di Delegazione.


Tiroide, la piccola ghiandola che vigila sulla nostra salute

Fino al 27 maggio si tiene in tutto il mondo la Settimana della tiroide: al “Sacro Cuore” un team multispecialistico per la presa in carico del paziente tiroideo in particolare quello oncologico

E’ in corso in tutto il mondo fino 27 maggio la Settimana della tiroide, sei giorni dedicati all’informazione e alla prevenzione sulle più diffuse patologie che colpiscono la piccola ghiandola endocrina alla base del collo. Piccola, ma fondamentale per il nostro benessere e la nostra salute. Infatti quando non svolge appieno la sua funzione a risentirne è tutto l’organismo. Non a caso lo slogan coniato per la Settimana mondiale di quest’anno – promossa dalle principali società scientifiche che si occupano di patologie tiroidee con il patrocinio dell’Istituto Superiore della Sanità – recita: “Tiroide è energia”.

 

“La tiroide è fondamentale per il buon funzionamento del muscolo cardiaco e scheletrico, per il metabolismo osseo, lipidico e glucidico”, spiega il dottor Lino Furlani, responsabile del Servizio di Endocrinologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria“E’ infatti a capo dell’omeostasi energetica, cioè del mantenimento del giusto apporto di energia affinché tutta ‘la macchina-organismo’ possa lavorare al meglio. Infatti quando si verifica una condizione di carenza dell’ormone tiroideo (ipotiroidismo) tutti i processi vengono rallentati, al contrario nel momento in cui siamo in presenza di un eccesso di ormone (ipertiroidismo) tutto subisce un’accelerazione. Una conseguenza in questo caso sono le aritmie cardiache o un aggravarsi dell’osteoporosi “.

 

Ma quali sono le malattie della tiroide? Le più diffuse sono le patologie nodulari a cui seguono quelle funzionali (ipertiroidismo e ipotiroidismo) di origine autoimmune (morbo di Basedow e morbo di Hashimoto) e non (noduli autonomi più tipici dell’anziano). I noduli tiroidei sono riscontrati ecograficamente nel 50-60% della popolazione dopo i quarant’anni, ma solo nel 3% – 5% dei casi si tratta di tumori.

Quelle tiroidee sono patologie complesse – prosegue il dottor Furlani – che richiedono una presa in carico del paziente da parte di un team multispecialistico. Nel nostro ospedale è composto dall’endocrinologo, dal radiologo, dal chirurgo endocrino, dall’anatomopatologo, dall’oncologo e dal medico nucleare”. Con la presenza al ‘Sacro Cuore Don Calabria’ di un Servizio di Terapia Radiometabolica, riservata al trattamento post operatorio delle neoplasie, il paziente “tiroideo oncologico”, trova nella stessa struttura tutti i trattamenti necessari”. La chirurgia endocrina, di cui è responsabile il dottor Alessandro Sandrini, esegue all’anno circa 200 interventi sulla tiroide, per patologie meccaniche, i cosiddetti “gozzi nodulari e non”, per ipertiroidismo e nel 25%. Le tecniche impiegate sono mininvasive, con un tasso di complicanze il più delle volte transitorie

nella foto allegata il team multidisciplinare della tiroide: da sinistra i dottori Alberto Dellera (endocrinologo), Roberto Magarotto (oncologo) Alessandro Sandrini (chirurgo), Stefania Gori (oncologa) Giuseppe Bogina (anatomopatologo), Lino Furlani (endocrinologo), Matteo Salgarello (medico nucleare), Maria Pia Iagulli (endocrinologo), Stefano Rodella (radiologo), Andrea Guerriero (endocrinologo)

 

Come si prevengono le malattie della tiroide? Molto importante per la salute della ghiandola endocrina è l’assunzione del giusto apporto giornaliero di iodio. Questo è possibile consumando sale iodiato (in commercio anche nei supermercati), ma solo crudo, perché quello per esempio aggiunto all’acqua della pasta o della verdura perde il contenuto di iodio. Contengono iodio, inoltre, alimenti come il pesce, il latte e i suoi derivati. Per il sale e i latticini il consumo deve essere sempre moderato per non incorrere ad un aumento del colesterolo.

 

“L’assunzione di iodio è fondamentale in tutte le fasi della vita – sottolinea l’endocrinologo – ma in particolare in gravidanza, quando la madre, attraverso le urine, perde una quantità maggiore del minerale di quanto ne assuma. La carenza di iodio in gravidanza può provocare una condizione di ipotiroidismo materno o materno-fetale con conseguenti alterazioni dello sviluppo intellettivo e cognitivo del nascituro. Per questo è necessario che durante i nove mesi l’apporto di iodio avvenga tramite specifici integratori”.

 

Quando far controllare la propria tiroide? “In condizioni asintomatiche non è necessario un controllo sistematico della funzionalità tiroidea – risponde il dottor Furlani -. E’ invece raccomandabile farlo se in famiglia ci sono consanguinei affetti da ipertiroidismo, da ipotiroidismo, da Tiroiditi croniche o che hanno avuto una storia oncologica tiroidea. Inoltre se si è sottoposti a trattamenti oncologici o si assumono farmaci come l’amiodarone, per le aritmie cardiache. In questi casi, per una valutazione di screening, è sufficiente un solo esame del sangue: il TSH. Stanchezza eccessiva, ipersudorazione, tachicardia, disturbi del sonno, disturbi della funzione sessuale (in entrambi i sessi) o del ciclo mestruale, nelle donne, sono invece campanelli d’allarme di un possibile malfunzionamento della tiroide e richiedono un approfondimento”.

 

Un capitolo diverso sono i noduli tiroidei. Nella maggior parte dei casi vengono diagnosticati accidentalmente, il più delle volte in occasione dell’ecocolordoppler ai vasi del collo. “Un controllo ecografico è raccomandabile sempre quando c’è familiarità per le neoplasie tiroidee – sottolinea il medico -. L’esame ecografico è in primo step anche in presenza di noduli visibili o palpabili e se si hanno all’altezza della gola sensazioni di compressione. Se l’ecografia rileva un nodulo sospetto, il completamento della diagnosi avviene con l’agoaspirato, un’indagine minimamente invasiva che consente di analizzare la natura cellulare della formazione nodulare”.


Premio Federica, i malati oncologici si raccontano

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Domenica al Palazzo della Gran Guardia di Verona si terrà il Premio letterario “Federica” – Le parole della vita, che vede come protagonista il vissuto dei malati oncologici, dei loro familiari e degli operatori raccontato in prosa e in rima

Domenica 20 maggio l’Auditorium della Gran Guardia di Verona ospiterà la terza edizione del Premio letterario “Federica” – Le parole della vita. Giunto alla terza edizione, il Premio è dedicato ai pazienti affetti da tumore, ai loro familiari e agli operatori professionali del settore oncologico, unici protagonisti del pomeriggio (inizio alle 17) con i loro racconti e le loro poesie. Un premio speciale è stato assegnato alla fiction di Rai 1 Braccialetti rossi, che racconta le vicende ambientate in ospedale di un gruppo di ragazzi affetti da gravi patologie. A ritirare il premio sarà uno dei protagonisti principali, Carmine Boschini. (in allegato la locandina)

 

Ideato dalla dottoressa Stefania Gori, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e direttore dell’Oncologia Medica dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il Premio Federica è promosso dalla Fondazione Aiom in collaborazione con Verona per l’Arena.

 


Un evento che vuole innanzitutto ricordare una giovane donna, Federica Troisi, che ha combattuto la sua malattia con determinazione, continuando a scrivere, lavorare e progettare. Come lei tantissimi pazienti oncologici che ogni giorno non si arrendono alla malattia e usano la scrittura come ‘arma
terapeutica’ per guardare in faccia le emozioni senza esserne travolti e dare voce a un’esperienza tanto intima quanto possibile, in modo differente, per ciascuno di noi. Con loro i familiari e gli operatori oncologici che ogni giorno combattono la loro personale battaglia contro il cancro e hanno voluto raccontarla in prosa o in rima.

 

A fare da contorno alle premiazioni, alcuni momenti musicali con il clarinettista Nicola Giammarino, il chitarrista Francesco Buzzurro, il fisarmonicista Pietro Adragna, l’armonicista Giuseppe Milici e la cantante Alessandra Salerno. Conduce Chiara Giallonardo di Rai 1.

 

Ingresso libero fino ad esaurimento dei posti disponibili. Per informazioni: Fondazione Verona per l’Arena, info@veronaperlarena.it, tel. 045.592544.


La "rivoluzione" dei farmaci innovativi in Reumatologia

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I farmaci biologici e le ‘piccole molecole’ hanno cambiato completamente la vita di molti pazienti affetti dalle malattie reumatiche. Se ne parlerà sabato 19 maggio in un convegno organizzato al ‘Sacro Cuore’ dal Servizio di Reumatologia

Il termine guarigione è demandato a un futuro prossimo, a quando, grazie alla genetica, si potranno conoscere le cause all’origine delle malattie reumatiche, i meccanismi per cui il sistema immunitario riconosce come nemiche le cellule di articolazioni e di altri tessuti attaccandoli, causando così stati infiammatori degenerativi. Per ora la ingegneria genetica ha reso possibile la remissione della malattia anche per lunghi periodi grazie a farmaci innovativi, che agiscono efficacemente sulle artriti croniche (artrite reumatoide, artrite psoriasica e spondilite anchilosante), ma anche sulle connettiviti e sulle vasculiti.

 

Una “rivoluzione” importante iniziata 20 anni fa con i primi farmaci biotecnologici per una “famiglia di malattie” che interessano, in modo più o meno grave, milioni di persone, hanno un indice di incidenza e morbilità inferiore solo alle malattie cardiovascolari (dati OMS) e sono responsabili del 27% delle pensioni di invalidità.

 

Un aggiornamento sulle terapie delle malattie reumatiche, rivolto soprattutto ai medici di medicina generale, si terrà sabato 19 maggio presso l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, nell’ambito XI Seminario di Reumatologia in Valpolicella, organizzato dal Servizio di Reumatologia, di cui è responsabile il dottor Antonio Marchetta. (vedi allegato il programma).

 

Nel corso della mattinata verrà affrontato anche il tema delle connettiviti, malattie reumatiche sistemiche complesse come il LES (Lupus Eritematoso Sistemico), la Sclerodermia (la malattia dalle “mani bianche”, vedi articolo), la Sindrome di Sjogren e la Polimiosite. Ampio spazio verrà dato alla gestione del dolore in reumatologia, uno dei sintomi più invalidanti che caratterizzano queste patologie. In particolare la Fibromialgia (vedi articolo), che in Italia colpisce circa 2 milioni di persone, resa nota al grande pubblico dalla sfortunata Lady Gaga che ha dovuto interrompere i concerti perché “devastata dai dolori”.

 

Al Seminario parteciperanno come relatori oltre ai medici dell’Ospedale di Negrar, anche specialisti dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e dell’Ulss 9 insieme ad alcuni medici di medicina generale. Presenzierà all’apertura dei lavori anche l’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto.

 

Dottor Marchetta, è un momento di grande fermento nell’ambito terapeutico delle malattie reumatiche

Sono passati oltre 20 anni dall’avvento dei primi farmaci biotecnologici, cioè frutto dell’ingegneria genetica. Siamo partiti dagli anti-TNF (fattore di necrosi tumorale) per arrivare all’anti-interleuchina 6, l’anti-interleuchina 17, anti-CD 20 , Abatacept ed altri. Gran parte di questi sono anticorpi monoclonali con l’obiettivo di ‘spegnere’ l’infiammazione. Oggi tra i farmaci innovativi, di cui fanno parte i biotecnologi, annoveriamo anche le ‘piccole molecole’.

 

Cosa sono?

Sono proteine che agiscono a livello intracellulare con meccanismi completamente diversi dai farmaci biologici e proprio per questo rappresentano delle nuove opportunità terapeutiche per i pazienti che non hanno risposto al trattamento proprio con i biologici. Ma da protocollo, in casi specifici, possono essere usati anche in ‘prima linea’ dopo il fallimento con il farmaco sintetico methotrexate, senza passare dai biologici. Le ‘piccole molecole’ sono una grande novità anche perché a differenza dei biologici prevedono la somministrazione per via orale, e non solo parenterale (cioè sotto cute) o infusiva. Un notevole vantaggio per i pazienti.

 

Come è cambiato il trattamento dei pazienti con l’introduzione dei farmaci innovativi?

Nelle artriti croniche, si registrano molti casi di remissione della patologia, cioè il danno anatomico alle articolazioni e agli altri tessuti si arresta ed è documentabile radiograficamente. Parliamo di remissione anche per tempi molto lunghi. In questa fase, in cui il paziente sta bene, per l’artrite reumatoide e psoriasica si possono allungare i tempi di somministrazione o diminuire la dose del farmaco, influendo positivamente sugli effetti collaterali e sul contenimento dei costi di trattamento. Come è noto, proprio per la loro complessità, i farmaci innovativi sono una spesa importante nel bilancio regionale della Sanità. I costi stanno comunque diminuendo grazie anche all’immissione sul mercato di diverse molecole e all’introduzione dei biosimilari, i “generici” dei biologici.

 

I farmaci innovativi sono efficaci solo per le artriti croniche?

Non solo. Per le connettiviti e le vasculiti il Rituximab ( anti-CD 20) fornisce risultati soddisfacenti in patologie che fino a pochi anni fa dovevamo trattare con dosi massicce di cortisone e o con immunosoppressori, che hanno effetti collaterali importanti.

 

Quali capitoli restano aperti per quanto riguarda il trattamento di queste patologie?

La guarigione viene demandata a un futuro, penso, non molto lontano, quando riusciremo geneticamente ad intervenire sulla fonte dell’alterazione del sistema immunitario o nel momento in cui potremmo combinare l’utilizzo di più farmaci innovativi. Forse oggi la più grande sfida è la sclerodermia, una malattia reumatica ma con una fisiopatologia diversa dalle altre. Per momento disponiamo di armi terapeutiche che rallentano solo la progressione della patologia. Resta fondamentale la diagnosi precoce, non sottovalutando un sintomo clinico come il Fenomeno di Reynaud. Se le mani diventano bianche o blu per il freddo può essere un banale gelone, ma anche segno di una sclerodermia o di altre connettiviti, come il Lupus o la Sindrome di Sjogren. E’ necessario procedere sempre ad accertamenti diagnostici.

elena.zuppini@sacrocuore.it

 

Nella foto l’équipe del Servizio di Reumatologia, di cui è responsabile il dottor Antonio Marchetta (il primo da destra)


Essere infermiere oggi al "Sacro Cuore Don Calabria"

Il 12 maggio si celebra la Giornata internazionale dell’infermiere: un ruolo radicalmente cambiato negli ultimi anni. A Negrar sono 603 gli infermieri che ogni giorno contribuiscono in modo determinante alla cura del paziente con competenza e umanità

“Ci sono impronte che non si cancellano. Noi infermieri la nostra impronta sul sistema salute”. E’ lo slogan scelto dalla Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche (FNOPI) per la quarantesima Giornata internazionale dell’infermiere che si celebra il 12 maggio, giorno di nascita nel 1820 di Florence Nightingale, considerata la fondatrice delle Scienze infermieristiche moderne. La Giornata è stata istituita dall’International Council of Nurses, una Federazione di più di 130 associazioni nazionali infermieristiche che rappresentano più di 13 milioni di infermieri nel mondo. In allegato il poster della FNOPI e le celebrazioni a Verona.

 

Il 12 maggio di ogni anno è anche un’importante occasione per ricordare con gratitudine il prezioso lavoro quotidiano nonché l’impegno professionale ed umano dei nostri 603 tra infermiere ed infermieri della Cittadella della Carità.

 

La professione infermieristica negli ultimi trent’anni ha subito una trasformazione radicale assumendo sempre più un ruolo determinante in tutto il processo di prevenzione e di cura della persona.

“La svolta è stata possibile anche grazie all’introduzione del diploma accademico nel 1992 e alla definizione del Profilo Professionale degli infermieri del 1994 – spiega la dottoressa Regina Benedetti, dirigente del Servizio professioni sanitarie del “Sacro Cuore Don Calabria” -. Queste norme sono risultate i due pilastri fondamentali del processo di sviluppo della formazione culturale e professionale degli infermieri che accanto alla figura del medico garantiscono presenza attiva, competenza ed umanità alla persona. La recente trasformazione dei collegi professionali in Ordini datata 15 febbraio di quest’anno ha formalizzato il riconoscimento della professione infermieristica come professione intellettuale“.

 

Oggi nei luoghi di diagnosi e cura lavorano infermieri in possesso di Laurea triennale di 1° livello, di Laurea magistrale di 2° livello in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche, di Dottorato di ricerca, di Master di specializzazione di 1° e 2° livello nella clinica, nell’organizzazione e nella ricerca. Nell’elenco nazionale dei professionisti sanitari idonei alla nomina di direttore generale delle Ulss. e delle Aziende Ospedaliere sono presenti anche appartenenti alla professione infermieristica ed alcuni infermieri hanno già ricevuto l’incarico direzionale.

 

Nel nostro ospedale la competenza, frutto della formazione accademica, si unisce ai valori del carisma del nostro fondatore San Giovanni Calabria – conclude la dottoressa Benedetti -. Si tratta di un valore aggiunto che favorisce da parte degli infermieri di tutta la Cittadella della Carità un’accoglienza e un accompagnamento dei pazienti incentrato sull’umanizzazione delle cure e sull’attenzione a tutti i bisogni della persona, contribuendo far sì che la nostra struttura possa essere considerata e stimata nell’intero panorama sanitario“.

Nella foto di copertina: una rappresentanza degli infermieri del “Sacro Cuore Don Calabria”


Protesi bilaterale del ginocchio: perché è un vantaggio per il paziente

Un solo intervento, una sola anestesia e risultati posturali migliori. Il dottore Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia spiega una procedura indicata quando entrambe le ginocchia sono deformate dall’artrosi

Entrambe le ginocchia “come nuove” in un solo intervento. Si tratta della protesi bilaterale del ginocchio in one step. “Una procedura chirurgica innovativa di cui abbiamo la più alta casistica in Italia, circa un centinaio di interventi all’anno”, afferma il dottor Claudio Zorzi, direttore dell’Ortopedia e della Traumatologia del “Sacro Cuore Don Calabria”.

 

“L’artrosi, cioè il logoramento fisiologico, ma molto doloroso, delle articolazioni – spiega il dottor Zorzi – può colpire tutte e due le ginocchia, deformandole. Paradossalmente quando le ginocchia soffrono entrambe di valgismo (le classiche ginocchia a x) o varismo (le ginocchia si allontano verso l’esterno) viene mantenuta una certa simmetria del rachide e del bacino. Quando questa simmetria viene modificata con l’intervento di protesi a un solo ginocchio, in attesa che si agisca sull’altro (di solito passano dagli 8 ai 12 mesi di tempo) si verificano squilibri di carico a livello della schiena e del bacino. A volte molto dolorosi e difficilmente recuperabili in persone anziane”.

 

La protesi bilaterale del ginocchio, invece, prosegue l’ortopedico, consente “un allineamento immediato degli arti inferiori e in fase di riabilitazione costringe il paziente a imprimere lo stesso carico su entrambe le ginocchia, con un risultato posturale migliore”.

 

I vantaggi per ritornare a camminare correttamente senza conseguenze dolorose avvalendosi di un solo intervento, e quindi di una sola anestesia, sono molti. Ma quali sono i rischi di questo intervento?“La valutazione del rischio è di carattere generale più che ortopedico – risponde il dottor Zorzi -. E’ l’anestesista che in ultima battuta dà l’avallo a procedere. Ogni paziente deve essere valutato attentamente e in particolare i pazienti cardiopatici, con insufficienza respiratoria o cardiocircolatoria che potrebbero avere delle complicanze dovute anche a una maggiore perdita di sangue. Sono comunque interventi che devono essere eseguiti da chirurghi protesici esperti, molto veloci nell’esecuzione e in strutture adeguate. Per ogni protesi bilaterale noi allestiamo un letto di rianimazione sub intensiva, che non occupiamo se non si presentano della complicanze”.

 

La fase successiva all’intervento è quella della riabilitazione. “Presso la nostra struttura anche il paziente con protesi bilaterale il giorno dopo l’intervento viene fatto sedere in poltrona – sottolinea il chirurgo – e al terzo giorno inizia l’attività riabilitativa nella palestra del reparto con esercizi di flesso-estensione assistita. Dal sesto/settimo giorno (è soggettivo, in base al post operatorio, per ogni paziente) prendono il via dalle 2 o 3 settimane di riabilitazione, durante le quali, sempre all’interno del nostro ospedale, il paziente prende confidenza con le protesi e riprende una certa autonomia“.

 

La riabilitazione poi prosegue in strutture esterne o a domicilio sotto la guida di fisiatri e fisioterapisti. “E’ un momento del processo riabilitativo molto importante – continua – in quanto ha come obiettivo il recupero della propriocezione, la cui perdita momentanea è dovuta ai tagli che il chirurgo ortopedico attua sull’osso per inserire la protesi. La propriocezione non è altro che la capacità che noi abbiamo di percepire il nostro corpo nello spazio e che ci permette di muoverci in automatismo verso una direzione. Nei primi tempi con le protesi si ha come la sensazione di dover ‘pensare’ prima di fare un movimento. Ma tutto ritorna alla normalità verso la fine del terzo mese”. La guarigione completa avviene entro 8-10 mesi dall’intervento.

 

“La chirurgia protesica in generale contribuisce in modo determinante alla longevità e alla qualità della vita delle persone anziane – afferma il dottor Zorzi -. Ai miei pazienti che si manifestano reticenti ad affrontare l’intervento, dico sempre: ‘Un tempo chi doveva togliersi o perdeva i denti doveva fare con quelli che restavano. Mangiava male, digeriva male e moriva prima. Grazie alle protesi odontoiatriche oggi questo succede in rari casi. Lo stesso vale per le protesi ortopediche’. Tenere vivo l’apparato locomotore, mantiene in forma il cuore, favorisce la circolazione, anche quella del cervello, e la vita di relazione. Si vive più a lungo e meglio”.

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La nuova palazzina raggiunge il terzo piano

Si avvicina ormai al tetto la costruzione che, una volta ultimata, diventerà l’unico ingresso dell’ospedale da cui si dirameranno tutti i percorsi all’interno della struttura. Inoltre a breve inizieranno i lavori di impiantistica nei piani interrati

Ha raggiunto ormai il terzo e penultimo piano la nuova palazzina che, una volta ultimata, sarà l’unico accesso all’ospedale “Sacro Cuore-Don Calabria”. I lavori procedono dunque secondo i tempi stabiliti e, salvo imprevisti, fra circa due mesi la costruzione sarà arrivata al tetto. Nel frattempo è tutto pronto per iniziare la parte impiantistica nei piani interrati, dove ci saranno l’autorimessa, la centrale termica e quella elettrica (vedi foto del cantiere).

 

La palazzina ospiterà al piano terra la grande hall dell’ospedale, da dove si dirameranno tutti i percorsi all’interno della struttura sanitaria anche grazie al nuovo tunnel di collegamento con il tunnel già esistente tra Don Calabria e Sacro Cuore. Ai piani superiori della palazzina saranno collocati alcuni Servizi come il Centro prelievi e gli ambulatori per visite ed esami pre-operatori. Il terzo piano sarà riservato agli uffici amministrativi e tecnici oggi situati in parte nella palazzina d’ingresso del “Sacro Cuore” e per il resto dislocati in vari punti dell’ospedale. Al quarto piano saranno collocati infine la Presidenza, la Direzione Generale, quella Amministrativa e Sanitaria (vedi simulazione video della palazzina e della hall).

 

La nuova costruzione, la cui prima pietra è stata posata dal Presidente del Veneto Luca Zaia lo scorso 4 ottobre, rappresenta solo la tappa iniziale di un progetto di ampio respiro destinato a rivoluzionare l’immagine dell’ospedale. Infatti una volta terminata la fase 1, si procederà con l’ampliamento del Pronto Soccorso e la realizzazione del nuovo reparto di Oncologia, che sarà posto proprio sopra il PS. A livello viabilistico c’è in progetto la realizzazione di un parcheggio interrato multipiano che permetterà, attraverso gli ascensori, di accedere direttamente alla nuova hall dell’ospedale. In programma ci sono infine la realizzazione di un Centro ricerche per le Malattie Tropicali e di un Centro congressi da 500 posti, per una durata totale dei lavori prevista in circa 5 anni.


"Come va il tuo respiro?": una ricerca del "Sacro Cuore" coinvolgerà 1.200 veronesi

Prosegue l’indagine della Pneumologia sul respiro dei veronesi: dopo lo studio di otto anni fa, lo stesso campione rappresentativo della popolazione sarà richiamato per controllarne l’evoluzione della salute respiratoria

Questa mattina a Palazzo Barbieri, sede del Comune di Verona, si è tenuta la presentazione (vedi Photo Gallery) dell’iniziativa “Come va il tuo respiro?”, lo studio epidemiologico longitudinale sulla salute respiratoria dei veronesiL’indagine vede coinvolto l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il Comune scaligero, l’Aulss 9 con la collaborazione di Massimo Guerriero, biostatistico e docente di Statisica applicata all’Università di Verona. L’indagine ha il patrocinio della Regione Veneto e dell’Ordine dei Medici ed Odontoiatri di Verona e si avvale del contributo di Chiesi Italia, della Fondazione Cattolica Assicurazioni e di Agsm.

 

Saranno oltre 1200 i cittadini chiamati a sottoporsi gratuitamente a un esame sulla funzionalità respiratoria (spirometria), gli stessi che nel 2010-2011 avevano partecipato allo studio epidemiologico “Scopri il tuo respiro”, promosso dalla Pneumologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, diretta dal dottor Carlo Pomari.

 

L’indagine di otto anni fa – pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale Respiratory Medicine – essendo stata effettuata su un campione rappresentativo della popolazione veronese ha permesso di rilevare che quasi un veronese su dieci soffre di malattie respiratorie croniche, risultato in linea con le altre città europee. Il “richiamo” dello stesso campione di cittadini consentirà di studiare l’evoluzione della loro salute respiratoria, fornendo dati preziosi sugli stili di vita.

 

Ai cittadini coinvolti nello studio sarà inviata una lettera di invito da parte degli organizzatori, accompagnata da uno scritto personale del sindaco Sboarina, che sottolineerà la rilevanza dell’iniziativa. Anche i medici di medicina generale dei veronesi interessati riceveranno una informativa con la quale si chiederà di favorire la partecipazione dei loro assistiti all’indagine.

Per facilitare l’adesione, ai cittadini coinvolti verranno messe a disposizione quattro sedi, con la possibilità di scegliere in quale recarsi per sottoporsi ai test: il Centro diagnostico terapeutico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco 121 (presso il Centro Polifunzionale Don Calabria) e tre sedi dell’AULSS 9: via Poloni 1, via Del Capitel 13 e Ospedale di Marzana. I cittadini dovranno telefonare al numero indicato nella lettera di invito per prendere un appuntamento.

Alla conferenza stampa hanno partecipato Luca Coletto, assessore regionale alla Sanità, Federico Sboarina, sindaco di Verona, Marco Padovani, assessore alle Strade e Giardini, decentramento e Servizi tecnici circoscrizionali; Mario Piccinini, amministratore delegato dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria; Denise Signorelli, direttore sanitario dell’Aulss 9; Carlo Pomari, responsabile della Pneumologia del Sacro Cuore Don Calabria; Claudio Micheletto, direttore della Pneumologia dell’Ospedale Mater Salutis; Guido Polese, direttore della Pneumologia dell’Ospedale Orlandi di Bussolengo; Adriano Tomba, segretario generale della Fondazione Cattolica Assicurazioni; Michele Croce, presidente dell’AGSM; Antonio Di Fiore di Chiesi Italia


Le infezioni si combattono... con le mani pulite

Il 5 maggio è la Giornata mondiale del lavaggio delle mani, un gesto semplice quanto importante: se venisse praticato in maniera corretta si potrebbe evitare il 40% delle infezioni negli ambienti di cura. L’iniziativa del “Sacro Cuore Don Calabria”

Si stima che il 40% delle infezioni correlate alle pratiche assistenziali negli ambienti ospedalieri e di cura potrebbe essere evitato. Come? Con un semplice gesto: il lavaggio della mani. Una pratica la cui importanza viene ricordata ogni anno il 5 maggio con la Giornata mondiale per il lavaggio delle mani promossa dall’OMS e dal ministero della Salute e a cui aderisce anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

 

Il Comitato Infezioni ospedaliere dell’ospedale di Negrar promuove una campagna di sensibilizzazione che coinvolge tutto il personale sanitario e di conseguenza anche i pazienti che sono i primi destinatari delle buone pratiche messe in atto dagli operatori. Accanto ad una capillare promozione del lavaggio delle mani – resa possibile tra l’altro dalla diffusione dei dispensatori di gel idroalcoolico in tutta la struttura, e in particolare in ogni stanza di degenza – il 5 maggio medici e infermieri indosseranno durante l’orario di lavoro una spilla con la scritta: “Mani pulite sane sicure: non risparmiare il tempo per l’igiene (foto di copertina). Perché ciascun sanitario oltre al proprio ruolo di cura della salute altrui con tutte le responsabilità che ne conseguono, ha anche un compito educativo di promozione della salute e delle buone pratiche nei confronti del paziente, dei familiari degli assistiti e dei propri colleghi.

 

Le mani sono un “ricettacolo” di germi, solo in parte innocui, mentre altri, in particolare per chi lavora o è ricoverato in ospedale, possono essere patogeni se acquisiti da soggetti fragili o debilitati. Non stiamo parlando in sé di germi contagiosi, ma soprattutto di quei batteri a volte capaci di resistere a diverse classi di antibiotici, che possono entrare a far parte della flora cutanea, intestinale o respiratoria di un paziente e minacciarne la salute.

 

A contrastare ciò concorre primariamente un fattore: il lavaggio delle mani. Al contrario, una igiene non corretta e frequente delle mani fa sì che queste “distribuiscano” l’eventuale patogeno sulle varie superfici che ci circondano (telefoni, maniglie, tavoli, tastiere del computer, asciugamani, testiere dei letti eccetera) o altri oggetti e da qui possono essere trasmessi al naso, alla bocca o agli occhi del paziente.

 

I germi patogeni che si annidano sulla nostra pelle dunque possono essere responsabili di molte malattie, dalle più frequenti e meno gravi, come l’influenza e il raffreddore, a quelle più severe come le infezioni correlate all’assistenza (ICA). L’igiene delle mani è considerato un elemento fondamentale per prevenire tali infezioni.

Una verità che ci ha lasciato in eredità il triste caso del dottor Ignàc Semmelweiss, chirurgo e ostetrico ungherese che lavorava all’inizio dell’Ottocento a Vienna. Giovane medico dotato di acuta intelligenza, il dottor Semmelweiss rimase colpito dalla differenza (circa il 10%) di mortalità delle donne dopo il parto presso una divisione di ostetricia rispetto ad un’altra dove operava. Il fatto era risaputo, tanto che alcune donne rifiutavano di partorire presso il reparto con la peggiore fama. Semmelweiss studiò a lungo la cosa non riuscendo inizialmente a trovare una causa che spiegasse quanto stava accadendo. Fino al giorno in cui la morte di un collega e amico, che si era tagliato con il bisturi durante una autopsia, fece scattare nella mente di Semmelweiss la soluzione dell’arcano: nella divisione con più alta mortalità operavano medici che erano dediti anche alle autopsie, mentre in quella in cui la mortalità era più bassa lavoravano ostetriche dedicate esclusivamente alle partorienti. Deciso a risolvere il problema, Semmelweiss pretese che tutti i medici si lavassero le mani dopo le autopsie. Questo comportò in breve tempo una sensibile diminuzione mortalità puerperale. Prima ancora della scoperta dei batteri, Semmelweiss ne aveva intuito l’esistenza e applicando un gesto tanto ovvio quanto dimenticato, aveva trovato una misura di controllo efficace e duratura.

La storia tuttavia non ebbe un lieto fine: Semmelweiss non solo fu ignorato, ma anche venne ostacolato, perse il lavoro e non fu nominato professore come avrebbe meritato. Concluse la sua vita privo della stima dei colleghi e consumato dalle depressione in manicomio dove morì per le percosse di altri malati. Ma la sua intuizione salva e protegge ancora oggi la nostra e l’altrui salute.