Attenzione ai morsi di zecca: sono in crescita e con essi le patologie che ne derivano

Scarica l'allegato PDF

Esperti a confronto venerdì in un convegno del Centro per le Malattie Tropicali di Negrar sull’epidemiologia e le principali manifestazioni cliniche delle malattie trasmesse dalle zecche in Italia e in area tropicale.

Con l’inizio della bella stagione è in continuo aumento il numero delle persone che anche nel Veronese si recano al Pronto Soccorso lamentando un morso di zeccaall’ospedale di Negrar dall’aprile scorso fino al 21 giugno si sono registrati complessivamente in media quasi due accessi al giorno. Un fenomeno dovuto al proliferare delle zecche causato probabilmente dall’aumento della temperatura invernale che facilita così il prolungamento del ciclo vitale di questi aracnidi.

 

Parallelamente aumentano i casi di malattia di Lyme e di encefalite da zecca-TBE, le principali patologie trasmesse dalle zecche nel Triveneto, considerato dagli studi veterinari la zona in Italia con la maggiore presenza di zecche infette. Numeri in crescita ma sottostimati per patologie che se trascurate possono colpire il sistema nervoso centrale e altri organi principali, con conseguenze invalidanti.

 

Proprio l’approfondimento dell’epidemiologia e delle manifestazioni cliniche delle malattie trasmesse dal morso di zecca sono i principali obiettivi del convegno che si terrà venerdì 29 giugno alla Gran Guardia, organizzato dalla dottoressa Anna Beltrame del Centro per le Malattie Tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretto dal professor Zeno Bisoffi, centro di riferimento regionale, insieme all’ospedale di Belluno, per la malattia di Lyme.(vedi programma)

 

Il simposio si pone anche il fine di creare un gruppo di lavoro degli infettivologi del Triveneto per la stesura di un “vademecum” sulla gestione del morso di zecca e delle malattie che ne derivano. Ad oggi non esistono linee guida italiane che indichino una procedura unica su come togliere una zecca, su quali informazioni ed indicazioni dare a un paziente, quali terapie adottare nel caso di manifestazione dell’infezione nel momento acuto o nell’insorgenza di sintomi tardivi. Altro obiettivo del gruppo è creare una mappatura delle aree montane a rischio, ottenibile da studi effettuati analizzando le zecche ma anche dalle notifiche dei casi umani di malattia, grazie ad una collaborazione tra veterinari e medici.

 

Relatore d’eccezione del Congresso sarà il professor Didier Raoult, dell’Università Aix-Marseille di Marsiglia, il massimo esperto mondiale di rickettsiosi, patologia che si credeva fino a poco tempo fa diffusa in Italia solo nelle regioni centro-meridionali ed insulari per la presenza di zecche infette. Recentemente studi entomologici hanno rilevato zecche infette da altre rickettsie (il battere che provoca la rickettsiosi) anche nelle aree rurali del Triveneto, il cui morso causa sull’uomo manifestazioni cliniche completamente diverse da quelle finora conosciute.

 

Numerosa la presenza come relatori di specialisti provenienti dal Friuli Venezia Giulia dove a partire dal 2003 è stata avviata una capillare campagna di informazione-prevenzione tra la popolazione sulle conseguenze del morso di zecche e nel 2012 è stato introdotto gratuitamente per i residenti il vaccino per la TBE.

 

Il pomeriggio del 29 giugno sarà dedicato alla malattie trasmesse dalle zecche in area tropicale, un tema che coinvolge anche gli specialisti italiani visto l’incremento dei flussi turistici e migratori.


Il laser che cura le vene varicose senza bisturi

Il dottor Paolo Tamellini, chirurgo vascolare, spiega in un video in cosa consiste la tecnica laser per la cura delle disfunzioni funzionali della grande e della piccola safena

Non solo bisturi, ma quando è possibile la terapia chirurgica delle vene varicose (grande e piccola safena e rami collaterali) si serve di tecniche mini-invasive che consentono al paziente di ritornare a svolgere le normali attività quotidiane anche nelle ore immediatamente successive all’intervento, senza riportare antiestetiche cicatrici (vedi articolo).

Come la tecnica che utilizza il laser, spiegata nel video allegato dal dottor Paolo Tamellini, medico chirurgo della Chirurgia Vascolare, dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Antonio Janello.


In sala operatoria "guidando" un'automobilina elettrica

Si chiamano “Oto” e “Rino” e sono due automobiline elettriche con cui i bambini dell’Orl si recano in sala operatoria indossando una maglietta speciale del Parco Natura Viva: così la paura dell’intervento se ne va e tutto diventa un gioco

In sala operatoria con un insolito outfit, direbbero gli esperti di moda: una maglietta firmata Parco Natura Viva con ritratta la figura di un simpatico animale, accompagnati da medici ed infermieri con addosso una felpa dello stesso genere (nella PhotoGallery). Se poi in sala ci si arriva con una automobilina elettrica superaccessoriata anche un momento carico di tensione per qualsiasi età può diventare un gioco.

 

E’ quanto accade nell’Unità Operativa Complessa di Otorinolaringoiatria, diretta dal dottor Sergio Albanese, grazie alla collaborazione con l’oasi faunistica di Bussolengo e alla generosità della coordinatrice infermieristica Marina Vanzetta, da sempre anima del progetto dedicato ai giovanissimi pazienti ricoverati soprattutto per interventi di tonsillectomia, adenoidectomia e piccoli trattamenti chirurgici all’orecchio.

 

Un percorso iniziato nel 2008 e pensato affinché la permanenza in ospedale non diventi fonte di stress e di preoccupazione per i bambinima nemmeno per i loro genitori. Bambini che ogni anno si recano in tanti al quinto piano dell’ospedale Sacro Cuore: nel 2017 l’ORL ha effettuato 2.110 ricoveri, di cui 522 pediatrici.

 

“E’ un progetto che abbiamo avviato consegnando ai bambini durante la visita di programmazione dell’intervento dei libretti adatti alla loro età, in cui con un linguaggio semplice e con illustrazioni divertenti viene spiegato in cosa consiste il loro problema medico e come verrà affrontato”, spiega il dottor Alberto Fraccaroli, responsabile della Sezione di Chirurgia pediatrica dell’ORL.

 

Successivamente l’attenzione si è spostata sulle altre fasi del ricovero: l’applicazione di una crema anestetica per contrastare il dolore del prelievo di sangue nel corso del pre-ricovero; la possibilità di attendere le visite del chirurgo e dell’anestesista nella sala giochi allestita in reparto; la presenza dei genitori fino alla pre-sala operatoria; la degenza in stanze colorate con alle pareti disegni che ricordano il mare e la jungla; trattamenti di analgesia post operatoria per controllare il dolore; la visita dei clown in stanza nelle ore successive all’intervento.

 

E da poche settimane a tutto questo si sono aggiunte due automobiline elettriche dalla targa personalizzata, “Oto” e “Rino”, sulle quali i bambini “sfrecciano” fino in sala operatoria con addosso le magliette donate dal Parco Natura Viva, l’importante centro di tutela delle specie minacciate di estinzione.

“Ringrazio personalmente il direttore del Parco, Cesare Avesani, per la collaborazione a questa iniziativa e la coordinatrice infermieristica – sottolinea il dottor Albanese -. Il nostro intento è quello di rendere meno traumatica possibile la permanenza dei bambino in ospedale e quindi dei loro genitori. Sono mamma e papà che vivono maggiormente l’ansia del ricovero e dell’intervento. Per questo in reparto abbiamo allestito un cartellone fotografico che spiega dettagliatamente tutto il percorso fisico e temporale dalla stanza alla sala operatoria fino al ritorno in stanza del loro figlio. Questo consente loro di vivere più serenamente le ore di attesa che appaiono infinite“.


Nell'alternanza scuola-lavoro s'impara a salvare vite

Gli istruttori del Centro di Formazione IRC dell’Ospedale hanno formato 24 ragazzi di un liceo cittadino che a loro volta sono andati nelle scuole e nei grest ad insegnare le manovre di rianimazione cardipolmonare

L’ultimo appuntamento di questo inizio d’estate sarà domani, lunedì 18 giugno, al Grest della parrocchia di San Zeno, lo storico rione veronese. Gli istruttori del Centro di Formazione IRC (Italian Resuscitation Council) dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria faranno però solo da supervisori: ad insegnare le manovre di rianimazione cardiopolmonare ai ragazzini di quinta elementare e della prima e seconda media ci penseranno ventiquattro ragazzidella terza classe del Liceo Fracastoro che, nell’ambito di un progetto di alternanza scuola-lavoro, hanno ottenuto il brevetto di istruttori non sanitari di BLSD. Un acronimo che significa Basic Life Support and Defibrillation e indica quelle manovre salvavita, compreso l’uso del defibrillatore automatico, che se vengono attuate prontamente in caso di arresto cardiaco salvano appunto la vita.

 

I giovani istruttori non saranno alla loro prima esperienza: hanno già insegnato come si attua correttamente un massaggio cardiaco a un centinaio di studenti della scuola media di Parona e a cinquanta dell’Istituto comprensivo Pertini del Salval. Poi si sono recati nella parrocchia di Santa Maria Regina, in via Pancaldo, per “istruire” un centinaio di animatori del Grest, ragazzi che andavano dalla prima alla quarta superiore. Adesso è la volta del Grest di San Zeno.

Il progetto di alternanza scuola-lavoro in un ambito così particolare s’inserisce in un’iniziativa più ampia, promossa dalla campagna europea “Kids save live” (patrocinata dall’OMS) e che da anni è portata avanti in Italia all’IRC. “Il nostro intento è quello di introdurre l’insegnamento della rianimazione cardio-polmonare nei programmi scolastici delle scuole italiane – spiega il dottor Marco Boni, responsabile del Centro IRC di Negrar -. La letteratura medica spinge con forza a divulgare la cultura della rianimazione tra i ragazzi delle medie e delle superiori, per addestrare il maggior numero di persone a soccorrere le vittime dell’arresto cardiaco approntando le manovre rianimatorie di base nei primi attimi dell’evento”.

 

In Danimarca i corsi BLSD sono stati introdotti nelle scuole già nel 2001. Questo ha fatto sì che in dieci anni le rianimazioni con esisti positivi effettuate da testimoni dell’arresto cardiaco siano passate da una percentuale del 21,1% al 44,9%, triplicando così la sopravvivenza di tali pazienti (dal 2,9% al 10,2%). In Italia la percentuale di soccorso da parte di persone presenti sul luogo dell’evento è del 15%, nonostante il 70% degli arresti cardiaci avvenga in presenza di qualcuno. “L’arco di tempo per scongiurare il decesso o esiti altamente invalidanti provocati dall’arresto cardiaco è di tre o quattro minuti. Difficilmente l’ambulanza può giungere sul posto così velocemente”, sottolinea il dottor Boni.

 

Il progetto proposto al liceo Fracastoro prevedeva due step. Il primo finalizzato al conseguimento della certificazione ufficiale di un corso BLSD organizzato da istruttori IRC con il superamento di un test teorico finale e una prova pratica di rianimazione su manichino. Il secondo era rivolto ai ragazzi che in possesso dei requisiti minimi e sufficientemente motivati avessero voluto proseguire per diventare istruttori. Il perfezionamento del percorso di istruttori è proseguito con due affinacamenti a istruttori esperti in corsi ufficiali IRC per poi iniziare autonomamente ad istruire nelle scuole e nelle altre sedi. La durata dell’intero percorso per l’anno scolastico appena concluso era di 30 ore obbligatorie; altre 20 opzionali equamente divise per il prossimo anno scolastico e quello successivo.


Parte la causa di beatificazione di don Luigi Pedrollo

Domenica 17 giugno con una S. Messa a San Zeno in Monte si aprirà ufficialmente la fase diocesana dell’inchiesta per portare agli altari il primo successore di san Giovanni Calabria che ebbe un ruolo importante anche nello sviluppo del “Sacro Cuore”

Si apre ufficialmente la fase diocesana della causa di beatificazione di don Luigi Pedrollo, che fu per oltre 40 anni il più stretto collaboratore di don Calabria e dopo la sua morte ne raccolse il testimone alla guida dell’Opera da lui fondata. La cerimonia di apertura è prevista per la mattinata di venerdì 15 giugno in curia a Verona, alla presenza del vescovo mons. Giuseppe Zenti, del Superiore generale dell’Opera padre Miguel Tofful e dei membri designati dal vescovo per far parte del Tribunale diocesano.

 

L’apertura pubblica della causa avverrà invece domenica 17 giugno alle 10,30 con una S. Messa presieduta dal vescovo a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera.

 

Don Pedrollo fu chiamato a guidare l’Opera subito dopo la morte del fondatore, avvenuta nel dicembre 1954. Proprio sotto la sua guida venne costruito l’ospedale geriatrico dedicato a don Calabria. La prima pietra del geriatrico venne posta il 17 giugno 1955 dopo che il Consiglio generale presieduto da don Pedrollo diede l’approvazione definitiva. Negli anni successivi il primo successore di don Calabria seguì da vicino i progressi nei lavori a Negrar (vedi foto 1), fino all’inaugurazione avvenuta il 12 settembre 1958 con la benedizione dell’allora vescovo di Verona mons. Giovanni Urbani.

 

Negli anni trascorsi da Superiore generale, fino al 1967, don Pedrollo dimostrò grande carisma e capacità organizzativa. In particolare fu lui ad aprire l’Opera alle missioni, nel 1959, realizzando un antico sogno di don Calabria. Fu sempre lui, inoltre, a dare nuovo impulso all’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana), ente di cooperazione internazionale che ha tuttora la sede nella Cittadella della Carità (vedi foto 2).

 

“È una grande gioia l’apertura di questa causa – dice padre Miguel Tofful, Superiore generale della Congregazione calabriana – don Luigi Pedrollo ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita e poi nella continuazione dell’Opera. Ha incarnato la figura del prete “apostolico” così come l’aveva concepita don Calabria: umile, attento ai poveri, innamorato del Vangelo e con una fiducia incrollabile nella Provvidenza”.

 

La fase diocesana della causa di beatificazione prevede che i membri del tribunale designati dal vescovo, in questo caso guidati da don Tiziano Bonomi, prendano in esame i documenti scritti da don Pedrollo e ascoltino le testimonianze di chi lo ha conosciuto, così da verificare se abbia esercitato in modo eminente le virtù teologali e cardinali. Se alla fine il responsabile incaricato dal vescovo darà parere favorevole, tutto il materiale passerà a Roma all’esame della Congregazione delle Cause dei Santi. Se anche qui il parere sarà favorevole, il Papa potrà decidere che il Servo di Dio venga dichiarato Venerabile. A quel punto ci sarà la fase più delicata, in quanto per la beatificazione dovrà essere riconosciuto un evento miracoloso, come una guarigione inspiegabile, attribuibile all’intercessione del Venerabile.


TARE: la radioterapia intraepatica per la cura del tumore al fegato

Sfere radioattive somministrate direttamente nella lesione provocano la necrosi del tumore: al “Sacro Cuore” è stata creata un’équipe multidisciplinare per una procedura complessa, che necessita di dotazioni tecnologiche sofisticate di Medicina Nucleare

Tra i trattamenti loco-regionali per il tumore al fegato, la metodica più recente è la TARE (Trans-Arterial Radio-Embolization o radioembolizzazione epatica). Si tratta di una radioterapia intraepatica attuata attraverso la somministrazione direttamente nella lesione tumorale di microsfere insolubili di vetro addizionate con il radioisotopo Ittrio 90. Le microsfere emanano radiazioni Beta che provocano la necrosi delle cellule neoplastiche e quindi la distruzione del tumore.

 

Al “Sacro Cuore” un’équipe specializzata

La TARE è un procedura molto complessa, anche nella fase di preparazione, attuata solo in pochi centri italiani che dispongono di apparecchiature sofisticate di Medicina Nucleare (PET, Scintigrafia con TC e Scintigrafia Total Body) e di sale di Emodinamica autorizzate ad ospitare procedure con radiofarmaci. Richiede inoltre un’équipe multispecialistica che al “Sacro Cuore Don Calabria” è formata dal gastroenterologo-epatologo Alberto Masotto, dall’oncologo Alessandro Inno, dagli angiodinamisti Giuseppe Taddei e Eugenio Oliboni, dai medici nucleari Matteo Salgarello e Joniada Doraku, dai fisici medici Fabrizia Severi e Stefano Pasetto e, per i tumori neuroendocrini, dal chirurgo Letizia Boninsegna. Finora sono stati sottoposti a TARE, una trentina di pazienti, cinque dei quali affetti da metastasi originate da tumori neuroendocrini.

 

Per quali pazienti è indicataLa TARE

La TARE è indicata soprattutto nei casi selezionati, in base a linee guida internazionali, di tumore primitivo epatico (epatocarcinoma), in pazienti con trombosi portale (per cui non è possibile procedere con la chemioembolizzazione-TACE) o in pazienti sottoposti ad altri trattamenti loco-regionali dai quali non si sono avuti risultati positivi. Prima dell’introduzione della TARE, l’unica terapia possibile per questi pazienti era quella farmacologica con Sorafenib, la cui efficacia, in termini di sopravvivenza media è minore rispetto a quella registrata grazie alla TARE. Inoltre la TARE può essere utilizzata per i Colangiocarcinomi, tumori epatici che originano dalle cellule biliari, non operabili, e per le metastasi epatiche vascolarizzate non responsive alla chemioterapia e non operabili. Per quanto riguarda i tumori neuroendocrini, non tutti i pazienti possono accedere alla TARE, ma solo coloro che presentano metastasi epatiche ipervascolarizzate di dimensioni medio-grandi e possono avere beneficio da un trattamento localizzato sul fegato.

 

La TARE si attua in due fasi

Prima fase: la “mappatura”

Il paziente viene sottoposto all’interno delle sale di Emodinamica ad angiografia epatica, un procedimento intrarterioso, con accesso dall’arteria femorale e da questa al fegato tramite l’arteria epatica. Grazie a un microcatetare viene iniettato un mezzo di contrasto che ha lo scopo soprattutto di mettere in evidenza eventuali shunt epato-gastrici o epato-polmonari, cioè vasi che portano sangue dal fegato allo stomaco o dal fegato ai polmoni. In caso di presenza di shunt epato-gastrici, i vasi devono essere chiusi tramite delle spirali, per impedire che il radiofarmaco giunga allo stomaco provocando un’ulcera gastrica emorragica. In caso di shunt polmonari, invece, è fondamentale che il trattamento con TARE rimanga al di sotto di un determinato dosaggio di radiazioni per non provocare una polmonite attinica. L’esame con cui viene verificata la chiusura degli shunt intestinali o la presenza di quelli polmonari è la Scintigrafia Total Body con TC tramite l’infusione di Tecnezio 99. Eseguito questo esame, dalla Medicina Nucleare il paziente ritorna in Emodinamica dove viene “fotografata” l’esatta posizione del catetere, che sarà rispettata al momento dell’infusione del radiofarmaco. Il paziente viene poi dimesso e richiamato in ospedale dopo due settimane. Nel frattempo viene calcolata la dose del radiofarmaco. Poiché le microsfere addizionate con Ittrio 90 giungono a Negrar dal Canada, dove il radioisotopo viene prodotto da una centrale atomica, la dose importata deve tener conto del decadimento delle radiazione emesse dal radiofarmaco che intercorre dal momento della produzione fino a quello della somministrazione,

 


Seconda fase: infusione del radiofarmaco

L’infusione delle microsfere direttamente nelle lesione tumorale avviene sempre, tramite catetere, per via intrarteriosa. Effettuata la procedura di infusione, dalla sala di Emodinamica il paziente viene portato poi in Medicina Nucleare per essere sottoposto a PET al fine di verificare se il radiofarmaco ha raggiunto in modo corretto l’area tumorale. Il ricovero dopo il trattamento (due-tre giorni) non richiede isolamento, perché il radiofarmaco emana radiazioni che hanno una penetrazione tessutale di 2,5 millimetri, quindi non escono dal corpo del paziente stesso.

 

Effetti collaterali

La TARE non comporta particolari effetti collaterali, se non una sindrome di astenia che perdura per alcuni giorni ed è sopportata facilmente dal paziente.

Nella foto: da sinistra la dottoressa Joniada Doraku (medico nucleare), il dottor Stefano Pasetto (fisico medico), il dottor Alberto Masotto (epatologo), la dottoressa Letizia Boninsegna (chirurgo), il dottor Matteo Salgarello (medico nucleare), il dottor Giuseppe Taddei (angiodinamista), la dottoressa Fabrizia Severi (fisico medico) e il dottor Maurizio Corso (coordinatore del Servizio di Emodinamica)


Endometriosi profonda: quei segnali svelati dall'ecografia transvaginale

Scarica l'allegato PDF

Si tiene al “Sacro Cuore Don Calabria”, la seconda edizione del corso avanzato di Diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica per fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente la malattia

Se l’evoluzione in senso bi e tridimensionale dell’ecografia trasvaginale ha rivoluzionato la diagnostica dell’endometriosi profonda, a fare la differenza è ancora l’occhio attento dello specialista. A lui spetta il compito, aiutato dalla tecnica, di saper scorgere i “campanelli d’allarme” di un endometrio (la cui sede naturale è l’utero) infiltrato in organi come le ovaie, le tube, l’intestino, l’apparato urinario e perfino i nervi che hanno origine nella parte terminale della colonna vertebrale. Condizione che se protratta nel tempo richiede trattamenti chirurgici demolitivi, al fine di migliorare la qualità di vita della paziente, compromessa da anni di dolori invalidanti dovuti all’improprio sfaldamento del tessuto endometriale dentro l’addome e la pelvi durante le mestruazioni.

Proprio la corretta diagnostica ecografica di una malattia, che colpisce solo in Italia 3 milioni di donne, è al centro della seconda edizione del corso avanzato che si tiene venerdì 12 ottobre all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. La giornata di studio è organizzata dal dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, O.U.C. Ostetricia e Ginecologia-International School of Surgical Anatomy , di Negrar, e dal dottor Luca Savelli del Policlinico Universitario Sant’Orsola-Malpighi di Bologna.

 

Anche quest’anno il programma prevede gli interventi degli specialisti, seguiti da collegamenti in diretta con gli ambulatori di ecografia e con le sale operatorie, per favorire la correlazione tra gli aspetti ecografici e anatomici degli stessi casi. Tra i relatori anche la professoressa Lil Valentin, della Malmo University (Svezia), una delle più grandi ricercatrici mondiali nel campo dell’ecografia per la diagnosi di endometriosi ed oncologica (vedi programma).

 

“Il nostro obiettivo è quello di fornire anche allo specialista ambulatoriale gli strumenti per diagnosticare precocemente l’endometriosi profonda – sottolinea il dottor Ceccaroni -. Si tratta di una malattia complessa che molto spesso si ‘svela’ solo se si va oltre a una falsa apparenza di normalità dei tessuti. Se non fosse così, le stime non direbbero che trascorrono in media sette anni dalla comparsa dei primi sintomi alla diagnosi. In mezzo giorni e giorni di sofferenza, fertilità spesso compromessa e spese enormi per il servizio sanitario nazionale a causa di esami strumentali inutili, quando è sufficiente un’ecografia trasvaginale. Il nostro centro dispone della più alta casistica internazionale di interventi per endometriosi severa (1.500 all’anno) e il 70% delle pazienti che giungono da noi hanno avuto una diagnosi sbagliata o sono state considerate sane”.

 

Per migliorare la diagnostica dell’endometriosi, l’ospedale di Negrar ha acquisito un nuovo software (“Fly-Thru”) che, tramite l’elaborazione di immagini ottenute mediante l’ecografia 3D, consente la ricostruzione virtuale della cavità uterina senza ricorrere ad esami invasivi come l’isteroscopia. Tramite questa tecnica è possibile studiare anche il volume delle tube, la cui riduzione o aumento può essere un segnale di malattia endometrica.

Durante il corso verrà illustrata metodica dello studio ecografico per endometriosi con riferimento ai segni ecografici certi e ai cosi detti “soft markers” – segni sospetti per la presenza di endometriosi. Questi segni di endometriosi ovarica, profonda e peritoneale possono essere valutati secondo lo schema IDEA – proposto nello studio multicentrico internazionale nel quale è coinvolto anche il Dipartimento diretto dal dottor Ceccaroni – che studia il ruolo dell’ecografia nella diagnosi dell’endometriosi e nella sua stadiazione ecografica.


Metastasi spinali: il "Sacro Cuore" ospedale pilota in Europa con un'innovativa radioterapia

Inaugurato ufficialmente un nuovo sistema di radioterapia dedicato alle metastasi della colonna vertebrale che ha l’obiettivo non solo di ridurre il dolore, ma di eliminare le lesioni quindi di incidere sulla sopravvivenza del paziente

In occasione della Festa patronale del Sacro Cuore, che si celebra oggi, è stato inaugurato ufficialmente all’ospedale di Negrar un innovativo sistema di Radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale, utilizzato per la prima volta in Europa nell’aprile scorso proprio dalla Radioterapia Oncologica del Sacro Cuore, diretta dal professor Filippo Alongi.

Alla presentazione sono intervenuti il presidente dell’ospedale calabriano, fratel Gedovar Nazzari, l’amministratore delegato, dottor Mario Piccinini, il direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, e naturalmente il professor Alongi che ha illustrato il valore aggiunto di questo nuova terapia a cui sono già stati sottoposti dieci pazienti. Più tardi anche l’assessore alla Sanità della Regione Veneto, Luca Coletto, ha voluto rendersi conto di persona della nuova opportunità per molti pazienti con tumore avanzato.(nella video Gallery le interviste e nella PhotoGallery alcune immagini della mattinata).


Novalis-Elements Spine SRSL

L’innovativo trattamento si basa su un software – Novalis-Elements Spine SRS – integrato all’acceleratore lineare TrueBeam. Il sistema è in grado di ricostruire l’anatomia della vertebra colpita dalla lesione tumorale fondendo le immagini di TAC e Risonanza Magnetica, e quando è necessario anche quelle della PET. Ma la vera particolarità di questo software è che esso individua con precisione millimetrica il segmento malato della vertebra e la regione vertebrale dove potrebbe propagarsi la malattia, (comparti ossei della vertebra), procedimento che prima veniva realizzato “manualmente” dal medico specialista in Radioterapia. In altre parole Novalis-Elements Spine SRS amplia informaticamente le competenze dello specialista migliorando l’accuratezza del trattamento, in modo tale da permettere di concentrare sul target tumorale un’alta dose di radiazioni, senza interessare il midollo spinale, situato a pochi millimetri dalla metastasi. Una differenza sostanziale rispetto alla radioterapia tradizionale, che non consentendo una tale precisione si limita a un trattamento palliativo, cioè all’irradiazione a basse dosi dell’intera vertebra per prevenire (o ridurre) il sintomo dolore e la frattura vertebrale che potrebbe causare la metastasi e non per eliminare la lesione tumorale. L’irradiazione a basse dosi è necessaria per non danneggiare il midollo spinale e quindi non compromettere le terminazioni nervose che regolano la mobilità degli arti. Con il nuovo software la radioterapia diventa radiochirurgia, comportandosi come il bisturi del chirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva, senza richiedere nessuna forma di sedazione.

Cosa sono le metastasi alla colonna vertebrale

Le metastasi sono gruppi di cellule maligne che si staccano dal tumore originario e vanno, attraverso il sangue e le vie linfatiche, a collocarsi in organi diversi da quello dove si è formato il cancro. Le metastasi, nella maggior parte dei casi, sono tipiche delle fasi più avanzate della progressione del tumore che inizialmente è localizzato, cioè limitato all’organo dove si è formato. Un terzo dei pazienti nel corso della malattia metastatica presenta un coinvolgimento osseo, il 70% dei quali a livello della colonna vertebrale. In particolare le donne colpite da cancro alla mammella e gli uomini affetti da neoplasia prostatica. Dolore e cedimento vertebrale sono i maggiori sintomi, molto spesso invalidanti.

Per chi è indicato il trattamento

Il trattamento è riservato a pazienti selezionati, in buone condizioni generali e affetti al massimo da cinque metastasi (non necessariamente tutte collocate alla colonna) derivanti da un tumore primitivo già curato chirurgicamente e/o farmacologicamente.

Efficacia e risposta del trattamento

L’efficacia sintomatologica, cioè la remissione del sintomo dolore, può avvenire nell’immediato o dopo alcune settimane dalla fine del trattamento. Per quanto riguarda la risposta visualizzabile dalle immagini, si può valutare ripetendo una Risonanza Magnetica o una Pet a partire da 45/60 giorni dalla conclusione della terapia. I risultati dei primi trattamenti saranno presentati dal professor Alongi nel corso della Conferenza europea di Radiochirurgia che si terrà a settembre a Monaco di Baviera.

Il primo paziente

Ad applicare per prima in Europa l’innovativo trattamento è stata la Radioterapia Oncologica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal professor Filippo Alongi, professore associato all’Università di Brescia. Il primo paziente è un uomo con tumore alla prostata già trattato chirurgicamente e con in corso la terapia ormonale. Presentava una sola metastasi a livello lombare che è stata trattata con il nuovo sistema senza effetti collaterali.

La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria”

La Radioterapia Oncologica del “Sacro Cuore Don Calabria” tratta ogni anno un migliaio di pazienti, il 20% dei quali proviene da altre regioni, in particolare dalle regioni centro-meridionali, ma anche dalla Lombardia e dall’Emilia Romagna, realtà sanitarie qualificate. Si avvale di tre acceleratori lineari, tra cui il Truebeam, che consente l’applicazione di trattamenti ipofrazionati (con durata minore) irradiando alla massima intensità il tumore e risparmiando al tempo stesso i tessuti sani limitrofi. E’ stata la prima al mondo ad utilizzare un’innovativa tecnica di radiochirurgia (HyperArc) che consente di trattare contemporaneamente più metastasi cerebrali in soli dieci minuti. La Radioterapia Oncologica di Negrar è sede della scuola di Specializzazione in Radioterapia dell’Università di Brescia dove il direttore Alongi insegna come professore associato.


Dall'alcol alle sfere radioattive: i trattamenti locali del tumore epatico

L’Epatologia interventistica dispone di diversi trattamenti realizzati direttamente sull’organo malato, che vengono scelti a seconda delle condizioni del paziente e del numero/grandezza dei noduli tumorali

L’epatocarcinoma (HCC) è il tumore maligno più frequente del fegato, con un’incidenza nel mondo di 750mila nuovi casi all’anno. Solo in Italia nel 2017 sono stati registrati 13mila nuovi pazienti.

 

Per l’epatocarcinoma la medicina dispone di opzioni terapeutiche basate su procedure loco-regionali che hanno lo scopo, impiegate anche in modo combinato, di cronicizzare la malattia e aumentare la sopravvivenza che a cinque anni è ancora solo del 20%. Infatti l’epatocarcinoma è un tumore ad alta percentuale di recidiva. Da qui l’importanza del vaccino che si sta sperimentando anche al Sacro Cuore Don Calabria (vedi articolo).

 

Cause dell’epatocarcinoma

Il 70% di questi tumori è riconducibile a fattori di rischio noti e tra questi i più frequenti sono l’infezione da virus dell’epatite C, da virus dell’epatite B (per cui esiste il vaccino) e da abuso di sostanze alcoliche. Si stima che il 95% dei casi di epatocarcinoma deriva da complicanze della cirrosi epatica dovuta principalmente all’alcol, anche se stanno aumentando i tumori primitivi del fegato per steatosi (il cosiddetto fegato grasso) e per diabete.

 

I trattamenti loco-regionali

L’epatocarcinoma è raramente una malattia tumorale sistemica, presenta cioè localizzazioni extraepatiche solo in piccola percentuale di casi, inoltre non è responsiva alla chemioterapia. Ottimi risultati in termini di sopravvivenza si hanno con il trapianto epatico (nel 6% dei casi) e in buona percentuale con la resezione chirurgica del tumore (possibile solo nel 10-20% dei casi), ma quando il trapianto e la chirurgia non sono attuabili per il grado di malattia o per la condizione e l’età del paziente, vengono utilizzati i trattamenti loco- regionali .

 

L’Epatologia interventistica ha a disposizione le seguenti terapie loco-regionali che si dividono in:

1. Percutanee

a) PEI (Percutaneous Ethanol Injection o Alcolizzazione Epatica)

b) RFTA (Radiofrequency Thermal Ablation o termoablazione) con onde a radiofrequenza o a microonde

2. Intrarteriose

a) TACE (Transcatheter Arterial Chemoembolization o chemioembolizzazione epatica)

b) TARE (Trans Arterial Radio Embolization o radioembolizzazione epatica)

 

“Per il trattamento loco-regionale del tumore al fegato, l’epatologo, coadiuvato da un’équipe multidisciplinare, è una sorta di sarto che cuce l’abito su misura: la decisione terapeutica di impiegare quello o l’altro trattamento, oppure entrambi, è dettata da molti fattori come le condizioni del paziente, la dimensione e la localizzazione sul fegato del nodulo tumorale, o dei noduli, da eliminare”, afferma il dottor Alberto Masotto, responsabile della Struttura semplice di Epatologia interventistica della Gastroenterologia del Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Paolo Bocus. “L’obiettivo è quello di aumentare la sopravvivenza del paziente, intervenendo con tutte le armi terapeutiche a nostra disposizione affrontando il tumore come una malattia cronica”.

 

Alcolizzazione Epatica (PEI)

E’ una tecnica che consiste nell’iniezione percutanea di etanolo direttamente nel nodulo tumorale. Non richiede ospedalizzazione e viene eseguita in anestesia locale. Il numero delle sedute e la quantità totale di alcol iniettata varia in base alle dimensioni e alle caratteristiche della lesione e dalla compliance del paziente (capacità di sopportare la metodica). La PEI è indicata nella fase precoce o molto precoce della malattia, in pazienti non trattabili chirurgicamente (trapianto o resezione epatica) o con termoablazione. E’ efficace in presenza di un nodulo di al massimo 3 centimetri o 3 noduli inferiori ai 3 cm.

 

Termoablazione (RFTA)

Per ottenere la necrosi del nodulo tumorale, il trattamento sfrutta il calore provocato da onde a radiofrequenza (RF) o microonde. Al “Sacro Cuore Don Calabria” la termoablazione viene effettuata in sala operatoria con anestesia generale, sia per agire in ambiente sterile, sia per ottenere una ottima centratura della lesione. In generale il trattamento di termoablazione è indicato per pazienti in classe A o B di Child (un sistema di punteggio utilizzato per valutare la gravità delle epatopatie croniche, in particolar modo la cirrosi epatica) che non presentano metastasi a distanza, non hanno lesioni in vicinanza della colecisti e della capsula epatica. I risultati migliori si hanno con noduli fino a 3 centimetri per un massimo di 3 lesioni, ben identificabili ecograficamente.

 

Termoablazione con onde a radiofrequenza

La radiofrequenza è indicata per i tumori primitivi del fegato (epatocarcinoma), non localizzati in prossimità dei grossi vasi: la dispersione del calore causata dal sangue richiederebbe infatti un aumento della temperatura che avrebbe come effetto la carbonizzazione del tessuto. Molti studi clinici, invece, hanno evidenziato la scarsa efficacia della radiofrequenza per le metastasi originate da altri tumori. Le cause sono ancora sconosciute.

Termoablazione con microonde

Contrariamente dalla termoablazione a radiofrequenza, quella con microonde, in quanto più potente, può essere impiegata anche per le metastasi di altri tumori e per noduli in vicinanza dei vasi arteriosi. L’ago viene inserito non al centro della lesione, ma al limite della stessa andando a distribuire il calore (fino a 100°) in modo uniforme su tutta l’area tumorale. I tempi di esecuzione sono più brevi rispetto alla radiofrequenza, ma il trattamento con microonde può provocare la stenosi delle viene biliari anche a distanza di mesi e comporta un alto rischio di trombosi della vena porta e delle vene sovraepatiche.

 

TACE o chemioembolizzazione epatica

La chemioembolizzazione epatica è una procedura mini-invasiva che comporta l’infusione per via intrarteriosa di un farmaco antiblastico inserito in micro particelle (Hepasfere). La procedura è indicata per epatocarcinomi di stadio intermedio, non aggredibili con tecniche percutanee. Viene utilizzata anche come trattamento neo-adiuvante in attesa del trapianto.

La TACE è preceduta da un’angiografia epatica con liquido di contrasto per visualizzare la rete vascolare intraepatica dell’arteria epatica che irrora la massa tumorale. L’esame radiologico avviene, previa anestesia locale, con l’inserimento di un catetere a livello del linguine per raggiungere attraverso l’arteria femorale, l’arteria epatica. Una volta visualizzata la vascolarizzazione del nodulo neoplastico, con la stessa procedura vengono iniettate più selettivamente possibile delle microsfere “cariche” di farmaco chemioterapico (doxorubicina) che agiscono in duplice modo: da un lato provocano la chiusura dei vasi arteriosi determinando un ischemia parziale (nel fegato l’ossigeno arriva anche attraverso il sistema venoso portale), dall’altra rilasciano localmente il farmaco chemioterapico. Gli effetti collaterali sono paragonabili a quelli provocati dal farmaco antiblastico somministrato in vena (sintomatologia facilmente controllabile grazie ai farmaci), mentre il ricovero dura in media due giorni ed entro una settimana il paziente può riprendere l’attività quotidiana.

Il rischio maggiore della TACE rimane la trombosi della vena porta. Conseguenza, che, se si verifica, non consente la ripetizione del trattamento. Infatti la chemioembolizzazione può comportare l’ostruzione dell’arteria epatica, ma questo non compromette la funzionalità del fegato in quanto l’organo è vascolarizzato dalla vena porta e dal sistema dei vasi che afferiscono ad essa.

(segue con la TARE)


Venerdì 8 giugno la Cittadella della Carità in festa per il Sacro Cuore

Sarà presentato un innovativo trattamento di radioterapia per le metastasi alla colonna vertebrale con il quale l’ospedale di Negrar ha trattato il primo paziente in Europa

Venerdì 8 giugno l’ospedale di Negrar e tutta la Cittadella della Carità celebrano come da tradizione la festa patronale del Sacro Cuore. In occasione di questa importante ricorrenza sarà presentato un nuovo sistema di Radioterapia Oncologica per il trattamento delle metastasi alla colonna vertebrale, che è stato utilizzato per la prima volta in Europa proprio dal “Sacro Cuore Don Calabria”.

 

Dall’aprile scorso l’ospedale di Negrar ha infatti acquisito “Novalis-Elements Spine SRS”, un sistema integrato all’acceleratore lineare, che apre nuove prospettive terapeutiche per pazienti altrimenti candidabili solo a un trattamento palliativo. Con l’applicazione di alte dosi di radiazioni mirate con precisione millimetrica esclusivamente sulla lesione tumorale da colpire, preservando il midollo spinale, la Radioterapia si comporta come il bisturi del neurochirurgo, ma in maniera totalmente non invasiva.

 

L’obiettivo è un’azione radicale sulla metastasi, con risultati positivi non solo sulla eliminazione o riduzione del sintomo dolore e sulla prevenzione dei cedimenti vertebrali, come avviene con la radioterapia tradizionale. Ma mirando allo spegnimento del focolaio di malattia a livello della colonna vertebrale, il nuovo trattamento può incidere sul prolungamento della sopravvivenza del paziente con patologia oncologica avanzata.

 

L’innovativa tecnica sarà presentata alle autorità e alla stampa dal professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica e professore associato all’Università di Brescia, presso la Radioterapia Oncologia alla presenza dell’assessore regionale alla Sanità, Luca Coletto, e della direzione dell’ospedale (ore 11). Il Responsabile della Delegazione Europea dell’Opera Don Calabria, don Ivo Pasa, impartirà la benedizione inaugurale a cui seguirà la Messa presieduta dal vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, nella cappella del Sacro Cuore.