8 Marzo: la donna alleata della salute

Le donne sono più attente alla prevenzione degli uomini e con il loro esempio possono essere preziose alleate della cultura della salute. Ma ogni età ha la sua prevenzione: i principali esami e vaccini che ogni donna dovrebbe fare nel corso della vita

La prevenzione è donna. Un’indagine realizzata da Ipsos per la Fondazione Pro ha rilevato che per un uomo che effettua controlli periodici ci sono 30 donne che abitualmente lo fanno. La donna quindi è una preziosa alleata nella diffusione della cultura della salute con la capacità, grazie al suo esempio, di sensibilizzare anche il mondo maschile nella cura del proprio stato di benessere. Prima di tutto con un corretto stili di vita. Nell’ambito solo oncologico, circa il 40% dei tumori potrebbe essere evitato seguendo un’alimentazione corretta (dieta mediterranea), tenendo sotto controllo il peso, eliminando il fumo e assumendo dosi moderate di alcol. Accompagnando il tutto da costante attività fisica.

Di prevenzione al femminile ha parlato stamattina anche la dottoressa Stefani Gori, direttore dell’Oncologia Medica e presidente di AIOM, che è stata ospite alla nota trasmissione di Raiuno “Unomattina” (vedi video).

 

Ma quali sono gli step della prevenzione nelle varie età della vita femminile?

• Tra i 25 e i 64 anni: Pap-Test per la prevenzione del cancro del collo dell’utero che nel nostro Paese è offerto gratuitamente nell’ambito di uno screening con chiamata ogni tre anni. Data la rilevanza nel causare questo tipo di neoplasia del virus del papilloma umano, in alcune regioni, il Pap-Test è stato sostituito con lo screening che si basa sulla ricerca del Dna del virus HPV. L’esame deve essere effettuato non prima dei 30 anni e ripetuto ogni 5 anni. L’esecuzione del test è poco invasiva e ben tollerata. Come per il Pap-Test prevede l’applicazione dello speculum vaginale ed il prelievo di materiale in corrispondenza della cervice uterina che sarà poi esaminato. (vedi articolo)

• Tra i 50 e 69 anniricerca del sangue occulto nelle feci per la prevenzione o la diagnosi precoce del tumore del colon retto. Anche questo esame rientra nello screening gratuito con chiamata ogni due anni. Eventuali tracce di sangue possono essere un indizio della presenza di forme tumorali o di polipi che in futuro possono trasformarsi in neoplasie. In questo caso è indispensabile eseguire l’esame di secondo livello che è la colonscopia (vedi articolo)

• 50-69 anni: screening per la diagnosi precoce del tumore al seno, che prevede l’esecuzione di una mammografia ogni due anni. In alcune regioni è stata allargata la fascia di età: dai 45 ai 74 anni con periodicità annuale nelle donne sotto i 50 anni. Per le donne che hanno in famiglia casi di tumore al seno è bene consultare il proprio medico per iniziare prima dell’età prevista per lo screening i controlli senologici (ecografia e/o mammografia, vedi articolo).

Nella Video Galley l’intervista della dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica e presidente dell’AIOM, a Rai UnoMattina (trasmissione di venerdì 8 marzo 2019), dove spiega l’importanza di sottoporsi a controlli senologici periodici.

 

Vaccinazioni

• Morbillo, parotite, rosolia e varicella sono malattie infettive che se contratte in gravidanza possono causare aborti, malformazioni del feto e complicanze nell’adulto (in particolare nella donna incinta) più gravi rispetto al bambino. La pertosse contratta nei primi mesi di vita del bambino può essere molto grave e perfino mortale e la fonte di infezione è frequentemente la madre. Per tutte queste malattie (e per altre) è indicata la vaccinazione in previsione o durante la gravidanza. Anche la vaccinazione contro l’influenza è importante, perché può portare a delle complicanze respiratorie gravi, che possono condurre al ricovero in ospedale, soprattutto durante il secondo e il terzo trimestre di gravidanza e il primo mese dopo il parto.

• Strumento di prevenzione anche oncologica sono le vaccinazioni contro i vari ceppi del papilloma virus (Hpv) e dell’epatite BL‘HPV la causa principale del tumore al collo dell’utero, ma è responsabile anche del cancro alla vulva, alla vagina, all’ano, al pene, alla bocca e alla faringe. E’ quindi un fattore di rischio importante sia per la donna che per l’uomo. Infatti il vaccino è offerto gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale ai ragazzi e alle ragazze nel corso del dodicesimo anno di vita. Il virus dell’epatite B, invece, è un fattore di rischio del tumore al fegato


Quando il tumore mammario si presenta nell'uomo

Il tumore mammario maschile è una neoplasia rara e nel 10% dei casi è causato dalla mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2: negli uomini sani con familiari femminili affette da questa mutazione sono indicati lo screening genetico ed esami periodici

Un nodulo alla mammella che si fa sentire sotto la doccia. Una secrezione sospetta che esce dal capezzolo. Sono tutti segnali a cui le donne hanno imparato a prestare attenzione e che hanno permesso a molte di sottoporsi alle cure quando il tumore era ancora nella fase iniziale. Ma sono segnali che anche l’uomo dovrebbe prendere in considerazione, perché il tumore mammario è una patologia prevalentemente femminile, ma interessa, anche se raramente, il sesso maschile.

 

La mammella infatti non è una un organo ghiandolare presente solo nella donna. Nelle prime fasi di vita la quantità di tessuto mammario nelle femmine e nei maschi è più o meno la stessa. E’ con la pubertà che la situazione cambia: gli ormoni femminili prodotti dalle ovaie (estrogeni) ingrandiscono la ghiandola nelle donne, mentre quelli maschili (testosterone) tengono sotto controllo la crescita della stessa negli uomini. La scarsità di tessuto mammario sommata alla poca esposizione agli estrogeni comporta una minore diffusione del tumore al seno nell’uomo.

 

Cinquecento casi all’anno

Si stima, infatti, che in Italia circa lo 0,5-1% dei casi di neoplasie mammarie interessino il sesso maschile, percentuale che si traduce in 500 casi all’anno contro gli oltre 52mila nella donna (dati AIOM-AIRTUM 2018). Proprio per la sua rarità il tumore al seno nell’uomo è ancora poco studiato e la maggior parte degli studi pubblicati hanno preso in considerazione un numero limitato di pazienti.

 

Diagnosi tardiva
A differenza di quanto accade per le donne, l’assenza di un programma di screening e la scarsa consapevolezza del problema da parte del sesso maschile contribuiscono a far sì che la diagnosi del tumore mammario nell’uomo avvenga in una fase avanzata rispetto al carcinoma femminile. Tuttavia la prognosi e la sopravvivenza a parità di stadio sono sovrapponibili al tumore mammario nella donna.

 

I sintomi

E’ molto importante che anche l’uomo non sottovaluti alcuni sintomi”, sottolinea la dottoressa Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica e presidente degli Oncologi italiani (photo gallery 1). “Proprio per la scarsità di tessuto mammario, il tumore si presenta frequentemente come un nodulo indolore dietro l’areola del capezzolo – prosegue -. Oppure può comparire una retrazione del capezzolo o un’ulcerazione dello stesso con la secrezione di sangue.Ma bisogna essere attenti anche ad un eventuale ingrossamento dei linfonodi dell’ascella“.

 

Fattori di rischio

Mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2.Quelli genetici sono i maggiori fattori di rischio per il cancro al seno maschile. Circa il 10% delle neoplasie mammarie nell’uomo è correlato alla presenza di mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Pertanto per gli uomini sani con parenti femminili colpite da tumore al seno o alle ovaie, portatrici dalla mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 è indicato sottoporsi allo screening genetico per verificare la presenza della mutazione ed esami periodici (vedi articolo).

Maggiore produzione di ormoni femminili. Altro fattore di rischio è l’alterazione del metabolismo ormonale, (rapporto tra estrogeni e testosterone) che si può verificare in alcune patologieLa stessa obesità può favorire infatti un’alterazione ormonale in quanto nel tessuto adiposo possono essere prodotti i precursori degli ormoni estrogeni.

Età e cure radioterapiche. Altro fattore di rischio è l’età – la gran parte di queste neoplasie viene diagnosticata intorno ai 70 anni – e pregresse cure radioterapiche a livello toracico.

 

Esami diagnostici
Accertamenti diagnostici Gli accertamenti diagnostici sono gli stessi del tumore femminile: ecografia mammaria e mammografia, e biopsia tramite agoaspirato.

Terapia chirurgica

La mastectomia è il trattamento chirurgico indicato per tutti i casi di tumore mammario maschile”, spiega il dottor Alberto Massocco, responsabile della Chirurgia senologica e presidente della Lega Italiana Lotta contro i tumori di Verona (photo gallery 2). “Nel nostro ospedale procediamo di prassi e durante lo stesso intervento alla biopsia del linfonodo sentinella e in caso di diagnosi positiva all’asportazione di tutti i linfonodi ascellari”.

 

Terapie farmacologiche

“Per i trattamenti non chirurgici si seguono le medesime indicazioni del carcinoma mammario femminile sia per quanto riguarda la radioterapia (vedi articolo) sia per la chemioterapia neoadiuvante(prima della chirurgia per diminuire il volume della nodulo tumorale, ndr) e adiuvante (dopo l’intervento per prevenire eventuali recidive a livello locale o metastasi su altri organi, ndr). Anche l‘ormonoterapiapuò essere un’opzione terapeutica efficace, in quanto la maggior parte dei tumori mammari maschili sono formati da cellule con i recettori per gli ormoni estrogeni e progesterone”, conclude la dottoressa Gori.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Otite infantile: la chirurgia per guarirla

Il 3 marzo è la Giornata internazionale dell’orecchio e dell’udito. Una delle cause più frequenti di sordità è l’otite durante l’infanzia: come riconoscerla quando non si manifesta con dolore e febbre e come intervenire

E’ una delle malattie più comuni dell’infanzia, che, se non curata tempestivamente, può essere causa di danni permanenti al timpano. Si tratta dell’otite, un’infiammazione dell’orecchio medio provocata essenzialmente da batteri nasali, che persistono, per esempio, dopo un raffreddore.

 


La forma più frequente è quella catarrale, che si presenta senza sintomi, se non quello della sordità a un orecchio o ad entrambi
. Una condizione difficile da esprimere soprattutto quando il bambino è molto piccolo. “Quindi è fondamentale che i genitori prestino molta attenzione alla risposta del loro figli agli stimoli uditivi e alla respirazione. Sarebbe anche auspicabile che nelle scuole primarie si ritornasse ad effettuare gli screening audiometrici per intercettare precocemente il problema”, afferma il dottor Sergio Albanese, direttore dell’Otorinolaringoiatria, in occasione della Giornata internazionale dell’udito e dell’orecchio che si celebra ogni anno il 3 marzo.

 

Sono infatti due le forme con cui si manifesta l’otite. La forma violenta, che provoca dolore, febbre anche alta e perforazione del timpano accompagnata da fuoriuscita di pus. E la forma catarrale. il cui unico sintomo è appunto la sordità. “Entrambe sono pericolose – sottolinea il dottor Albanese -. La prima perché le continue perforazioni del timpano possono portare a danni permanenti alla meccanica dell’orecchio. Nella forma catarrale, invece, il muco può ristagnare fino a solidificarsi con timpanosclerosi (irrigidimento della membrana timpanica con conseguente indebolimento dell’udito, ndr) non più correggibile chirurgicamente”.

 

“Oltre a porre attenzione alla capacità uditiva del bambino, è importante osservare come respira perché il più delle volte i problemi dell’orecchio derivano da quelli del naso, come adenoidi o riniti, virali o batteriche “, afferma il dottor Alberto Fraccaroli, responsabile dell’Orl pediatrica. “Il primo approccio terapeutico dell’otite è la terapia medica con la somministrazione di antibiotici e decongestionanti, accompagnata da lavaggi per mantenere il naso libero dal muco – prosegue -. Se tale terapia non è sufficiente si interviene chirurgicamente“.

 

La terapia chirurgica consiste nell’asportazione delle adenoidi e nella miringotomia con drenaggio trans timpanico. “Si effettua una piccola incisione del timpano, si aspira il muco e si inserisce un tubicino di ventilazione che permette il riassorbimento del muco. “Il tutto avviene in sala operatoria e in anestesia generale”, precisa il dottor Albanese.

 

“L’approccio combinato di terapia medica e chirurgica, quando necessaria, porta ad ottimi risultati – conclude il dottor Fraccaroli – Un nostro studio su 100 bambini trattati ha rilevato che solo in un caso il bimbo non ha recuperato completamente l’udito”.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Malattie del sonno: prosegue la collaborazione tra il "Sacro Cuore" e A22

Si è concluso recentemente il progetto dell’Autostrada del Brennero “Qualità del sonno qualità del lavoro” con la consulenza anche per la seconda edizione del Centro di Medicina del sonno di Negrar: esaminati il 10% dei dipendenti della Società

Si è concluso recentemente un nuovo progetto di collaborazione tra il Centro di Medicina del Sonno, di cui è responsabile il dottor Gianluca Rossato, e l’Autostrada del Brennero. Dopo la partnership nella campagna #nonmoriredisonno (vedi articolo) durante la quale è stata indagata la prevalenza della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno (OSAS) degli autotrasportatori che transitano sulla A22, la Società autostradale e il Centro di Negrar hanno portato a termine la seconda edizione dell’iniziativa “Qualità del sonno e qualità del lavoro”.

 

“Nel programma di formazione dei dipendenti, la Società Autostrada del Brennero, attraverso il Servizio di Prevenzione e Protezione, ha deciso per il secondo anno di dedicare alcune ore all’importanza del sonno per la salute e la sicurezza sul lavoro, avvalendosi ancora della nostra collaborazione” spiega Davide Tonon, tecnico di neurofisiopatologia del Centro che ha seguito l’iniziativa.

 

“Il progetto è durato tre mesi (da novembre 2018 a gennaio 2019) – prosegue – dopo una serie di incontri con i dipendenti è stata avanzata la proposta, per chi lo desiderasse, di effettuare una polisonnografia (nella foto di copertina la preparazione di un paziente per l’esecuzione dell’esame in ospedale), l’esame per la diagnosi dei disturbi del sonno e in particolare dell’OSAS”. Hanno aderito alla seconda edizione della campagna, 26 persone alle quali è stato consegnato un polisonnigrafo portatile da utilizzare per una notte. Inoltre è stato chiesto loro di compilare un questionario sull’eccessiva sonnolenza diurna e un diario del sonno (vedi video che mostra come si esegue una polisonnografia).

 

“I dati registrati dalla polisonnografia sono stati inviati direttamente al nostro centro per la refertazione. La diagnosi è stata consegnata, nel rispetto della privacy, direttamente alla persona interessata, senza nessun contatto con l’azienda”, sottolinea Tonon. Nel corso delle due edizioni è stato studiato il 10% dei dipendenti totali della Società.

 

Dall’ultima indagine è emerso che il 15% dei dipendenti soffre di Sindrome delle apnee ostruttive del sonno, contro il 20% stimato sulla popolazione generale. “Ventisei persone non sono un campione statisticamente significativo – conclude il dottor Gianluca Rossato -. Ha valore perché rientra in un progetto di sensibilizzazione verso un problema che è causa di molti incidenti stradali mortali provocati da colpi di sonno. E’ importante che a effettuare questa iniziativa, per il secondo anno, sia una società autostradale, avvalendosi dell’esperienza pluriennale del nostro centro sui disturbi del sonno”.


Prende forma la facciata della nuova palazzina

Sono iniziati i lavori di posizionamento delle pareti perimetrali della nuova struttura. Le foto mostrano il rapido avanzamento dei lavori e i primi due segmenti esterni completati, mentre all’interno prosegue la sistemazione dell’impiantistica

Prende sempre più forma la palazzina che una volta completata diventerà l’ingresso unico dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Nei giorni scorsi gli operai hanno terminato la posa dei primi due segmenti del rivestimento esterno ed ora stanno procedendo al montaggio dell’intera copertura perimetrale (vedi photogallery).

Per quanto riguarda gli spazi interni, continuano i lavori di sistemazione degli impianti e sta partendo la posa dei pavimenti galleggianti. Una volta completati i pavimenti si procederà con le pareti mobili.

 

La nuova struttura ospiterà al piano terra la grande e unica hall dell’ospedale, dalla quale partiranno tutti i percorsi all’interno della struttura. Ai vari piani saranno realizzati il Centro Prelievi, gli ambulatori per visite ed esami pre-operatori, gli uffici amministrativi e quelli della direzione (vedi posa prima pietra).


L'Endoscopia digestiva scuola di formazione SIED di II livello

Il riconoscimento della Società Italiana di Endoscopia Digestiva è un ulteriore attestato dell’eccellenza raggiunta dal Servizio: medici da tutta Italia verranno a Negrar per apprendere le procedure diagnostico-interventistiche più avanzate

Dopo l’accreditamento nel 2018, la Società Italiana di Endoscopia Digestiva (SIED) (vedi articolo), ha conferito al Servizio di Endoscopia ed Ecoendoscopia (in photogallery l’équipe) un altro prestigioso riconoscimento. Il Servizio, che afferisce alla Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva, diretta dal dottor Paolo Bocus, è stato selezionato come Centro per la Scuola di Formazione Residenziale per la formazione di II livello.

 

Si tratta di nuova conferma della qualità raggiunta come centro di eccellenza per la diagnostica precoce e la terapia delle malattie e dei tumori gastrointestinali, del pancreas e delle vie biliari – commenta il dottor Bocus -. Questi riconoscimenti attestano la competenza di tutti gli operatori e l’eccellenza della strumentazione tecnologica che abbiamo in dotazione. Ma nello stesso tempo sono un’ulteriore garanzia per il paziente che sceglie la nostra struttura”.

 

Grazie al riconoscimento ottenuto, l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria svolgerà corsi di endoscopia diagnostica ed interventistica per medici gastroenterologi ed endoscopisti di altre realtà ospedaliere italiane. In particolare i medici di Negrar la colangiopancreatografia endoscopica retrograda (ERCP), un esame per comprendere e trattare eventuali ostacoli al normale deflusso della bile; l‘Ecoendoscopia (EUS), l’ecografia endoscopica diagnostica ed operativa che ha, tra le altre indicazioni, anche la stadiazione dei tumori del tubo digerente; la resezione endoscopia e la dissezione endoscopica della mucosa e/o sottomucosa (EMR-ESD) che permette il trattamento endoscopico di lesioni neoplastiche e preneoplastiche dell’apparato digerente; il posizionamento di protesi per le stenosi benigne e maligne di esofago, duodeno, colon e vie biliari; endoscopia del giunto gastroesofageo e dei disturbi motori dell’esofagotrattamento endoscopico delle complicanze chirurgiche.

 

Il Servizio di Endoscopia e Ecoendoscopia digestiva esegue circa 8.500 interventi all’anno. Il Centro si avvale di quattro sale endoscopiche operative dalle 8.30 alle 15.30 cinque giorni alla settimana. E’ inoltre operativo un Servizio di reperibilità H24. Nel 2018 sono stati effettuati 379 interventi in emergenza/urgenza di cui 131 durante il week-end e fuori orario di servizio (notturno, prefestivo e festivo).


Corso-educational di Neuroradiologia con... diritto di voto

Con l’evento in programma il 22 febbraio, la Radiologia di Negrar si conferma un centro anche di Neuroradiologia, per la diagnosi delle patologie del sistema nervoso centrale in collaborazione con la Neurologia e la Medicina Nucleare

La formula è un po’ insolita per un corso-educational in Neuroradiologia, ma sicuramente efficace nel coinvolgere i partecipanti. Venerdì 22 febbraio all’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria si terrà un evento scientifico dedicato a radiologi, neuroradiologi, neurologi e neurochirurghi che prima di entrare in sala verranno dotati di un sistema di votazione elettronica, il cosiddetto Televoter. “Con questo strumento parteciperanno attivamente all’analisi razionale di casi clinici reali, iniziando dalla corretta programmazione degli accertamenti strumentali”, spiegano i dottori Giovanni Carbognin e Alberto Beltramello, rispettivamente direttore e consulente neuroradiologo della Radiologia di Negrar, responsabili scientifici dell’evento.

 

Nel corso delle cinque sessioni della giornata, giovani medici di alcune Radiologie e Neuroradiologie del Triveneto presenteranno alcuni casi che riguarderanno le principali malattie del distretto cranico-encefalico e vertebro-midollare. I presenti in sala saranno invitati ad indicare con il Televoter, tra le ipotesi, i vari step che ritengono fondamentali per risolvere il caso clinico. “E’ un’occasione innanzitutto per testare la preparazione di base dei presenti – sottolinea il dottor Carbognin – e per rilevare in ogni caso specifico gli elementi principe che portano a formulare una corretta diagnosi”.

Alcuni casi riguardano pazienti transitati dalla Radiologia del “Sacro Cuore Don Calabria”, che grazie a dotazioni tecnologiche di ultima generazione e di un team giovane e dinamico è diventata un centro diagnostico anche per patologie del sistema nervoso centrale, non solo tumorali, ma anche neurodegenerative e cerebro-vascolari. Nel 2018 sono stati eseguiti oltre 12.800 esami strumentali di Neuroradiologia (RM e TAC).

“Disponiamo di tre Risonanze magnetiche ad alto campo (1,5 Teslavedi articolo) e di una TAC (vedi articolo), in particolare, che in casi selezionati si sta dimostrando una valida alternativa alla RM, come rilevano alcuni studi scientifici che abbiamo pubblicato – sottolinea il dottor Carbognin -. Noi siamo, per così dire, il “braccio diagnostico” di un percorso di presa in carico di pazienti con sospetta malattia neurodegenerativa o colpiti da ictus. Percorso che comprende la Neurologia con lo Stroke Center e l’Unità di Valutazione Alzheimer e la Medicina Nucleare”.

Non a caso la giornata formativa prevede anche due letture magistrali, “come esempio del metodo multidisciplinare adottato dal nostro ospedale in ogni campo medico”, rileva il direttore della Radiologia. La prima prevede l’intervento del dottor Matteo Salgarello, direttore della Medicina Nucleare, che parlerà dei radiofarmaci utilizzati nella diagnostica PET per le patologie del sistema nervoso centrale, molti dei quali vengono prodotti dalla Radiofarmacia ospedaliera dotata di Ciclotrone. L’altra lettura sarà tenuta dal dottor Andrea Angheben, infettivologo del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali. “L’incremento di viaggi all’estero e il fenomeno dell’immigrazione – conclude il dottor Beltramello – porta nei nostri ospedali patologie endemiche in zone tropicali che possono colpire il sistema nervoso centrale e che quindi sono una sfida anche per il neuroradiologo”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale del malato: servire chi è nella malattia è servire Dio

In occasione della XXVII Giornata mondiale del malato la riflessione di fratel Gedovar Nazzari, presidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria: “Nel servizio al malato acquista significato una struttura religiosa e calabriana come la nostra”

L’11 febbraio la Chiesa celebra in tutto il mondo la Giornata del malato. Una data significativa che coincide con il giorno in cui nel 1858 a Lourdes la Madonna apparve per la prima volta alla giovane Bernadette. A istituire questa festa nel 1993 fu San Giovanni Paolo II, il Pontefice polacco che ha vissuto concretamente e mostrato al mondo il significato teologico della sofferenza dovuta alla malattia. Il dolore, l’invalidità, la dipendenza da altri anche nelle più banali attività quotidiane come partecipazione alla sofferenza redentrice di Cristo sulla croce.

 

E’ un compito arduo il modo in cui la teologia cristiana ci chiede di vivere la malattia. Quando ci ammaliamo seriamente l’umanità tutta in noi si ribella, chiedendosi perché la vita la sottopone a una così dura prova. Lo stesso accade quando si ammala una persona a noi cara. La fede nella bontà di Dio è un mantello che ci avvolge e ci rassicura e la preghiera un balsamo che lenisce le ferite. La vicinanza di Dio non fa sentire mai soli.

 

Una vicinanza che si fa reale attraverso lo strumento dell’amore e della tenerezza di chi assiste il malato. Peggiore della malattia è la condizione di viverla nella solitudine. Conoscono bene questo dramma le famiglie con malati psichiatrici o affetti da patologie neurodegenerative che nel tempo vedono allontanarsi le persone, anche i parenti più stretti. La malattia fa paura, è umano cancellarla anche dai nostri pensieri, ma fa parte della vita, e può entrare in quella di ciascuno di noi.

 

La Giornata mondiale del malato è un’occasione di riflessione sulla fragilità umana, su quanto diventiamo poveri quando veniamo privati del nostro bene più grande, la salute. Ma anche sulla forza interiore che possediamo e che ci rende capaci di vivere la malattia come un’opportunità cristiana e umana. Quante persone raccontano come la malattia abbia cambiato la loro vita, come abbia reso più salda la loro fede o come grazie ad essa abbiano riscoperto l’amore di Dio insieme a valori che avevano messo in secondo piano!

 

Ma questa Giornata è soprattutto un momento in cui riflettere sul nostro compito come uomini e come donne, e in particolare come cristiani, di fronte alle persone malate. E’ un compito di servizio. Perché se “tutte le volte che avete fatto qualcosa a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo avete fatto a me! (Mt 25,40), allora il volto del malato è il volto di Dio. E’ quindi nel servire il malato che acquista significato un ospedale religioso e calabriano come il “Sacro Cuore Don Calabria”.

 

Un servizio che si esplica offrendo al paziente le migliori terapie oggi disponibili e nel prendersi cura della globalità della persona dal punto di vista medico, psicologico e spirituale. In modo particolare quando più nessuna cura è efficace. Anche come operatori sanitari siamo chiamati ad essere Samaritani, perché è nel prendersi cura del prossimo più fragile, immagine di Cristo, che si realizza in pienezza la nostra umanità.

Fr. Gedovar Nazzari

Presidente dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria


Cure dignitose e accompagnamento ai familiari nella quotidianità degli stati vegetativi

Oggi si celebra la nona Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, a dieci anni esatti dalla scomparsa di Eluana Englaro. Anche a Negrar ogni giorno si affronta questa grave disabilità in Riabilitazione e nella Speciale Unità di Accoglienza Permanente

Esattamente dieci anni fa, il 9 febbraio 2009, moriva Eluana Englaro dopo 17 anni trascorsi in stato vegetativo a causa di un incidente stradale avvenuto quando lei aveva 21 anni, nel 1992. Dal 2011 il 9 febbraio è diventata la Giornata Nazionale degli Stati Vegetativi, giunta quest’anno alla nona edizione.

 

Si tratta di una ricorrenza che tocca da vicino anche la Cittadella della Carità di Negrar, che fu tra le prime realtà in Veneto ad occuparsi direttamente di questi pazienti. Era il 2001, infatti, quando presso Casa Nogarè venne creata una Speciale Unità di Accoglienza Permanente (SUAP) con 12 posti letto dedicati proprio a persone in stato vegetativo o di minima responsività. Inoltre il fatto di avere una Unità di Riabilitazione Intensiva all’interno dell’ospedale comporta che ogni anno vengano presi in carico alcuni pazienti che si ritrovano in stato vegetativo a seguito di gravi lesioni acquisite al cervello per traumi o per eventi di origine vascolare o cardiaca.

 

“In realtà nel tempo abbiamo riscontrato un calo nel numero di nuovi pazienti in stato vegetativo – puntualizza il dottor Renato Avesani, direttore del Dipartimento di Riabilitazione – In particolare si è ridotto il numero di persone con esiti di trauma cranico, mentre in proporzione sono di più coloro che subiscono danni gravissimi al cervello dopo arresto cardiaco o emorragie cerebrali. In ogni caso i numeri sono significativi, in quanto su circa 80 pazienti ricoverati ogni anno nella nostra Riabilitazione Intensiva, il 10% dà esiti di stato vegetativo o di minima responsività“.

 

Cambiando le origini del danno, cambia anche il profilo d’età di chi ne viene colpito. Infatti nel tempo si è assistito ad una diminuzione dei pazienti giovani, grazie in particolare a misure efficaci prese per aumentare la sicurezza sulle strade, mentre l’età media degli stati vegetativi che vengono presi in carico al Sacro Cuore Don Calabria supera ormai i 50 anni.

 

Per tutti questi pazienti esiste una doppia linea di presa in carico: quella rivolta al miglioramento clinico, alla stabilizzazione delle condizioni neurologiche, alla prevenzione dei danni da immobilizzazione e quella rivolta all’accompagnamento dei familiari e alle scelte di vita successive all’ospedalizzazione. E’ quindi assolutamente opportuno che i pazienti rimangano per i primi mesi ricoverati in Riabilitazione, soprattutto per accertarsi della diagnosi. A questo proposito la vera condizione di stato vegetativo è piuttosto rara, mentre è piu’ facile che i pazienti si stabilizzino nella condizione di “minima responsività”. E’ questa una situazione che implica comunque una totale dipendenza ma che si differenzia per una variabile, pur sempre molto ridotta, possibilità di relazione.

 

Il vero problema di queste persone gravemente disabili non sta nella diagnosi o nella cura. Sta invece nella gestione della cronicità, essendo sempre piu’ difficile la domiciliazione. “Anzitutto c’è da dire che i posti nelle residenze che fanno accoglienza permanente sono insufficienti – sottolinea il dottor Avesani – Il loro numero è fermo da molti anni, a fronte di un turn over assai lento per cui i nuovi malati faticano molto a trovare un posto dopo che vengono dimessi dall’ospedale. Quando poi il paziente è un migrante, magari irregolare- perchè il problema può riguardare anche loro- allora il dramma è doppio e si fa un’enorme fatica a trovare uno sbocco dopo l’ospedale”.

 

Paradossalmente l’emergenza consiste quindi nella gestione della cronicità, mentre appare più lineare il percorso nella fase iniziale della diagnosi e della cura dopo che una persona ha subito un trauma o un’emorragia grave. La quotidianità di questi pazienti è fatta di accudimento, assistenza, cure e percorsi di stimolazione, ad esempio attraverso la musica, per valorizzare la dignità di personeche non hanno più la capacità di interagire con l’ambiente esterno se non in piccolissima parte nei casi di “minima responsività”. “Certamente sono stati fatti dei passi avanti nella qualità del prendersi cura degli stati vegetativi – conclude il direttore della Riabilitazione – ma tutti vorremmo assistere un giorno a progressi nella ricerca per dare anche prospettive migliori nella prognosi. C’è in fondo un dovere etico di tenere alta l’attenzione su questo problema che rimane attuale nonostante se ne parli meno. Questo lo si deve alle persone colpite da questa gravissima disabilità e ai loro familiari che hanno davvero bisogno di tutto il sostegno possibile per affrontare un percorso molto lungo e difficile al fianco dei loro cari malati”.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Il microbiota: il secondo cervello del nostro organismo

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Il ruolo delle cellule batteriche nella genesi delle malattie più diffuse è ormai un dato di fatto: un congresso multispecialistico a Verona delinea le prospettive terapeutiche future che derivano dall’interazione del microbiota con gli altri organi

Il nostro corpo è dotato di un organo che le tradizionali tavole di anatomia non hanno mai illustrato, ma dal quale dipende la nostra salute psico-fisica. E’ il microbiota, termine con cui viene identificata la popolazione batterica presente nel nostro intestino, dove vivono 1000 specie batteriche possibili, almeno 160 in ogni individuo. Proprio per la biomassa di 1,5 chilogrammi formata da 100 trilioni di cellule batteriche, il microbiota è considerato a tutti gli effetti un organo, capace di presiedere a funzioni dell’intestino e dell’intero organismo.

 

Riguardo al microbiota si è concentrato da alcuni anni l’interesse delle discipline mediche più disparate: dalla gastroenterologia alla psicologia, passando per la neurologia, l’urologia e la ginecologia. Per un motivo comune: gli studi scientifici hanno dimostrato che l’alterazione della popolazione batterica dell’intestino scatena processi, come l’infiammazione, che sono all’origine della malattie più diffuse.

 

Proprio sulla correlazione tra benessere del microbiota e salute degli altri organi giovedì 14 (pomeriggio) e venerdì 15 febbraio si confronteranno in un convegno a Verona specialisti provenienti da varie realtà ospedaliere e universitarie italiane ed internazionali.L’incontro scientifico (accreditato per medici, farmacisti, dietisti, biologi e psicologi) è stato organizzatoal Palazzo della Gran Guardia dal dottor Guido Arcaro, direttore della Medicina generale dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, e dalla dottoressa Manuela Fortuna, gastroenterologa della medesima struttura (programma in allegato).

 

“Parleremo di patologia infiammatoria e oncologica intestinale, di allergie, di malattie neurologiche e psichiatriche nell’adulto e nel bambino in relazione alla funzione del microbiota – spiega il dottor Arcaro -. L’obiettivo è quello di fornire uno sguardo multidisciplinare sull’argomento per chiarirne la complessa interazione con diversi organi e funzioni al fine di sfruttarne le potenzialità terapeutiche”.

 

Dottor Arcaro, che ruolo ha il microbiota?

Il microbiota ha innanzitutto un ruolo protettivo nel mantenere l’integrità anatomo -funzionale della parete intestinale. Da un lato contribuisce ad impedire l’ingresso di sostanze patogene provenienti dal lume intestinale. Dall’altro ha funzioni metaboliche fondamentali. Per esempio è popolato da specie batteriche che hanno proprietà di fermentazione saccarolitica, cioè di digestione di carboidrati complessi, mettendo così a disposizione dell’organismo elementi energetici che altrimenti non sarebbero assorbibili. Come, ma non solo, gli acidi grassi a catena corta, SCFA, che provvedono al 5-10% del fabbisogno totale di energia di cui necessita il nostro corpo. Ma il lavoro di sinergia tra il microbiota e l’intestino non si ferma qui.

Quali sono le altre funzioni del microbiota?

Esso interviene nella produzione di una serie di molecole che svolgono un ruolo fondamentale nei processi fisiopatologici delle malattie più comuni, processi come l’infiammazione, lo stress ossidativo e la capacità di risposta immunitaria verso agenti esterni. A microbiota alterato, per esempio, corrisponde nel neonato un maggior rischio di patologia allergica. In considerazione poi della quantità e della eterogeneità delle malattie in cui svolge un ruolo l’infiammazione – l’aterosclerosi, le patologie oncologiche, quelle neurodegenerative come l’Alzheimer… – risulta evidente il perché dell’attenzione che oggi viene data al microbiota.

 

Perché c’è una correlazione tra microbiota ed infiammazione?

Il microbiota per diverse cause può subire un’alterazione (o disbiosi) del numero di cellule batteriche o un’alterazione della proporzione delle specie batteriche fra loro. E questo favorisce o protegge dall’infiammazione. La prevalenza di specie proteolitiche, cioè con proprietà di digestione delle proteine, comporta una maggiore liberazione di sostanze pro-infiammazione. Accade invece il contrario se a prevalere sono specie batteriche capaci della fermentazione saccarolitica.

 

Quali sono le cause che provocano la disbiosi?

Possono essere una dieta ricca di proteine e grassi; oppure un utilizzo improprio di antibiotici; uno stato patologico dell’intestino, come nel caso delle malattie infiammatorie croniche intestinali; la stessa età e lo stress.

 

Perché il microbiota viene definito “il secondo cervello”?

La collaborazione tra intestino e microbiota libera nel sangue delle sostanze che agiscono sul tono dell’umore e sulla salute delle cellule nervose cerebrali, come il triptofano, la seratonina, GABA e BDNF. Non dimentichiamo poi che gli studi riconoscono nello stato infiammatorio un ruolo nella genesi della depressione oltre che delle più importanti malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e la sclerosi multipla. Durante il convegno parleremo anche del legame tra disbiosi del microbiota del neonato e autismo.

 

Quali sono le potenzialità della scoperta della correlazione tra disbiosi del microbiota e l’origine di molte malattie?

Le potenzialità sono molte. Oggi grazie a tecniche di sequenziamento genico sulle feci possiamo stabilire esattamente il rapporto in percentuale tra le diverse specie presenti nel microbiota di ogni singolo individuo. L’obiettivo è quello di agire con probiotici (quelli che comunemente vengono chiamati fermenti lattici) specifici, calibrati, in grado di modulare favorevolmente i più importanti processi di malattia.

elena.zuppini@sacrocuore.it