"Cotti in fragranza": arrivano al Sacro Cuore i biscotti "anti-mafia"

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I frollini “Buonicore”, ora in vendita al bar dell’ospedale, sono realizzati dai ragazzi detenuti nel carcere minorile di Palermo, nell’ambito di un progetto ideato dall’Opera Don Calabria e sostenuto dall’Associazione Nazionale Magistrati

Buccia di mandarino di Ciaculli proveniente da un terreno confiscato alla mafia, farina bio molita a pietra, latte e burro a chilometri 0, zucchero integrale di canna Muscovado, lievito biologico… Sono gli ingredienti di alta qualità dei biscotti Buonicore, un frollino secco tipico della tradizione siciliana. Ma soprattutto, da alcuni mesi questi sono gli ingredienti che stanno cambiando la vita a un gruppo di ragazzi detenuti nel carcere minorile di Palermo (vedi foto). Tutto grazie al progetto “Cotti in fragranza”, nato nell’area sociale dell’Opera Don Calabria e realizzato attraverso la cooperativa sociale Rigenerazioni Onlus, con la collaborazione dell’Associazione Nazionale Magistrati di Palermo, che ha donato il forno, e della Fondazione San Zeno (vedi sito del progetto).

 

Ora i biscotti Buonicore sono in vendita anche al bar dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, dopo che durante le festività natalizie sono stati donati a tutto il personale ospedaliero. Si tratta di un gesto di solidarietà e vicinanza per un progetto “buono” in tutti i sensi, nel quale l’Opera calabriana si propone di promuovere un riscatto sociale che passa dalla formazione, dal lavoro di qualità e dall’attenzione alla persona: valori che valgono tanto per le attività sociali quanto per quelle sanitarie gestite dalla Congregazione (vedi scheda sull’area sociale dell’Opera Don Calabria).

 

L’idea di partenza del progetto “Cotti in fragranza” è anche una sfida. È possibile impiantare un’impresa dentro un carcere minorile, insegnare ai ragazzi un mestiere, pagare gli stipendi e fare un prodotto di qualità che permetta di stare sul mercato?

 

Al momento i risultati sono sbalorditivi. Il laboratorio di pasticceria è stato inaugurato dentro il carcere minorile Malaspina di Palermo nel settembre 2016 e ad oggi vi lavorano cinque ragazzi detenuti, assunti dopo essersi specializzati con un corso di formazione professionale in carcere. Ogni mattina escono dalla cella, percorrono i trenta metri per arrivare al laboratorio e iniziano il loro turno di 7 ore di lavoro. A guidarli c’è Nicola, un abile maestro pasticcere che con la sua professionalità è anche un vero e proprio educatore (all’inaugurazione era presente anche il presidente del Senato on. Pietro Grasso).

 

Attualmente il forno produce circa 300kg di biscotti al mandarino ogni settimana e di fatto l’intera produzione viene venduta. La start-up “calabriana” ha sviluppato accordi commerciali con vari locali e punti vendita anche prestigiosi. Da alcuni mesi, inoltre, è partito un importante accordo con Conad che sta distribuendo i biscotti nei suoi megastore in Sicilia, con la prospettiva di estendere l’offerta a livello nazionale.

 

L’obiettivo principale del progetto è riempire la pena dei ragazzi, cioè fare in modo che quando usciranno abbiano imparato un mestiere vero e possano quindi avere una possibilità concreta di scegliere una vita onesta”, dice Alessandro Padovani, responsabile dell’area sociale dell’Opera calabriana in Europa. “Questa è un’attività vera – aggiunge – ed è anche per questo che i ragazzi seguono insieme a noi tutte le fasi del lavoro, compresi gli accordi commerciali e i rapporti con i clienti. L’idea è che l’impresa stia in piedi perché lavora bene e non perché la gente fa beneficienza”.

 

Una storia, quella di “Cotti in fragranza”, che è l’intreccio di tante storie. Per prima cosa ci sono i mandarini, anzi le bucce di mandarino di Ciaculli, che arrivano da un terreno confiscato alla mafia, grazie a un accordo con l’associazione Jus Vitae che su quel terreno ha realizzato un fattoria didattica. Poi c’è Nicola, il pasticcere-educatore del laboratorio. Da qualche anno è sulla sedia a rotelle a causa di un incidente che lo ha allontanato dal suo bar pasticceria. Le vie della Provvidenza lo hanno portato a insegnare in un corso promosso dall’Inail nella comunità per tossicodipendenti gestita a Trabia dall’Opera Don Calabria. Da qui il salto per il laboratorio di “Cotti in fragranza” è stato breve. Infine ci sono loro, i giovani pasticceri detenuti. Ci sono le loro storie di ragazzi che stanno imparando un mestiere per il “dopo”. Qualcuno ha già figli e con lo stipendio guadagnato può pagare l’asilo per loro. Piccole grandi conquiste che fanno intravedere una vita diversa, una possibilità di riscatto.

 

“Visto il successo di questi primi mesi abbiamo in mente alcune idee per ampliare il progetto – prosegue Padovani – In particolare stiamo progettando di realizzare un laboratorio esterno al carcere, con l’idea di aumentare la produzione e permettere a qualche ragazzo di uscire dal carcere per il tempo del lavoro, naturalmente se verranno accordati i permessi dal giudice”. In questo modo sarà possibile vendere direttamente i biscotti al pubblico, cosa attualmente impossibile in carcere. Inoltre si sta progettando il lancio di nuovi prodotti di pasticceria dolce e salata.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


La Chirurgia mini-invasiva che libera le "gambe" dall'endometriosi

Il “Sacro Cuore” è uno dei pochi centri a livello internazionale ad effettuare interventi di neurochirurgia laparoscopica dell’endometriosi, malattia per cui il 25 marzo ricorre la quarta Giornata mondiale di sensibilizzazione

Il dolore alla gamba spesso è insopportabile, nemmeno i farmaci riescono a controllarlo. Sembra una sciatalgia che si acuisce durante il ciclo mestruale, talmente forte da impedire di guidare l’auto o da rendere necessario l’uso della stampella.

Sono i racconti di molte donne che giungono all’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni (foto), dopo essere state rimpallate da medico a medico per un problema dai falsi connotati ortopedici, non sapendo invece che il loro calvario era causato dall’endometriosi, patologia ginecologica di cui il 25 marzo ricorre la quarta Giornata mondiale di sensibilizzazione.

Quello di Negrar è un Centro di riferimento internazionale per la cura dell’endometriosi e primo Centro al mondo per numero di interventi chirurgici per endometriosi severa (cioè con la resezione dei legamenti uterini, dell’intestino o della vescica), circa 1.500 all’anno. (vedi articolo e video)

Le pazienti con problemi agli arti inferiori sono fortunatamente una piccola percentuale dei 3 milioni di donne che in Italia soffrono di endometriosi, 175 milioni nel mondo, con un’incidenza pari a quella del diabete.

Per loro l’endometrio (cioè il tessuto che si sfalda durante la mestruazione e che ha come sede naturale l’utero) non ha invaso solo le ovaie, le tube, l’intestino o l’apparato urinario, ma preme sui nervi che hanno origine nella parte terminale della colonna vertebrale, come il nervo sciatico, il plesso sacrale o il nervo pudendo, causando dolore e per questo una limitata mobilità dell’arto inferiore.

“Seguendo gli insegnamenti del professor Marc Possover, pioniere di queste tecniche, sette anni fa abbiamo iniziato i primi interventi di neurochirurgia laparoscopica dell’endometriosi e a breve pubblicheremo i risultati di uno studio scientifico che ha coinvolto 300 pazienti – spiega il dottor Ceccaroni -. Insieme al suo centro di Zurigo, siamo uno dei pochissimi centri al mondo a praticare questi interventi con tecniche mini-invasive. In genere questo tipo di chirurgia è tradizionalmente affrontata dal neurochirurgo ma con metodi non laparoscopici e senza curare contestualmente anche l’endometriosi infiltrante gli organi pelvici circostanti. A questo si aggiunge che sono pochissimi i centri al mondo, dove il neurochirurgo opera i nervi periferici e ancora meno quelli che si occupano dei nervi della pelvi. L’esperienza acquisita nel tempo a Negrar, riguardo la diagnosi e la cura dell’endometriosi, è stata arricchita dall’approfondimento della neuroanatomia pelvica, per cui il nostro è riconosciuto, come uno dei centri di eccellenza, che è stato in grado di trasformare il vecchio concetto di ‘anatomia chirurgica’ in quello più moderno di ‘chirurgia anatomica'”.

Dallo studio è emerso che esistono una serie di patologie infiltranti che creano una distorsione dei tessuti della pelvi. “L’effetto è quello di una colata di colla che si indurisce”, semplifica il primario. Oltre all’endometriosi, che rappresenta circa l’80% delle pazienti sintomatiche, a Negrar abbiamo operato anche donne con esiti da trattamento di radioterapia per tumore al retto o affette da alcuni tumori dei nervi periferici, considerate non operabili in altri ospedali. Alcune pazienti erano affette da malformazioni vascolari che intrappolano il nervo, dando vita alla cosiddetta sindrome del muscolo piriforme. E’ una tecnica che noi abbiamo iniziato ad applicare per l’endometriosi, ma che si è verificata valida anche per altre problematiche”.

La neurochirurgia laparoscopica dell’endometriosi prevede due tipi di intervento. “In genere procediamo con una decompressione nervosa laparascopica che mettiamo in atto quando il nervo viene compresso da un nodulo endometriosico – spiega Ceccaroni -. Se invece il nervo è anche infiltrato dal tessuto effettuiamo la neurolisi, una sorta di pulizia profonda del nervo stesso”.

I risultati sono sorprendenti: “Già dal giorno seguente all’intervento la paziente avverte di aver migliorato la mobilità dell’arto. Per alcune è necessario un lungo percorso riabilitativo, con fisiatri, fisioterapisti e terapisti del dolore, per restituire al muscolo il ripristino della sua forza e del suo tono e alla gamba la sua funzionalità“.

Nonostante siano interventi complessi, le complicanze sono trascurabili rispetto ai vantaggi: solo il 25% sviluppa una neurite (infiammazione del nervo), ma è un problema che si risolve in poco tempo, con le adeguate terapie. D’altro canto, l’aggravamento della patologia ed il suo progredire, possono in alcuni casi determinare lesioni irreversibili che portano alla perdita dell’uso di un arto inferiore o dolori cronici invalidanti, refrattari a qualsiasi tipo di terapia “.

Mentre il tasso di recidiva è del 7% , lo stesso per qualsiasi intervento di endometriosi. “Non è detto che la malattia si ripresenti a livello dei nervi – chiarisce il medico – E non è neppure automatico che si debba procedere dopo anni con un altro intervento. In molti casi l’endometriosi è curabile farmacologicamente, con una terapia ormonale”.

(Potrebbe interessare:”Il calore che cura l’adenomiosi“)

elena.zuppini@sacrocuore.it


La tubercolosi al tempo dei grandi flussi migratori

Venerdì 24 marzo si celebra la Giornata mondiale per la lotta alla tubercolosi che ancora oggi miete quasi due milioni di vittime all’anno. Una malattia contro la quale è impegnato in prima linea anche il Centro per le Malattie Tropicali di Negrar

Esiste un rischio che la tubercolosi torni a diffondersi in Italia dopo oltre 60 anni in cui la sua incidenza è costantemente calata? Quali sono i legami tra questa malattia e l’aumento dei migranti che percorrono la rotta del Mediterraneo? E ancora: sono giustificati gli allarmismi che di tanto in tanto rimbalzano sui media per la scoperta di qualche nuovo caso di TB? L’occasione per fare il punto della situazione è la giornata mondiale contro questa malattia, che si celebra venerdì 24 marzo.

 

La tubercolosi è tuttora considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come uno dei “big killer”, ovvero una delle malattie che fanno più vittime al mondo. Secondo le stime dell’OMS, nel 2015 più di dieci milioni di persone si sono ammalate, mentre quasi due milioni sono morte di TB, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo in Asia e Africa. In Italia i dati parlano di 3700 nuovi casi notificati, vale a dire una media di dieci al giorno, con oltre 350 decessi. Alcuni casi di tubercolosi sono trattati anche al Sacro Cuore presso il Centro per le Malattie Tropicali, dove nel 2016 ci sono stati 38 ricoveri per questa patologia.

 

“L’Italia è fra i Paesi a più bassa incidenza di TB, con circa 5 casi ogni 100mila abitanti – dice la dottoressa Paola Rodari (vedi foto), medico infettivologo e ricercatrice presso il CMT, diretto dal dottor Zeno Bisoffi – Le diagnosi di TB sono equamente distribuite tra i migranti e gli italiani. Nel primo caso si tratta di persone che hanno contratto l’infezione nel loro Paese di origine e che sviluppano la malattia da noi, anche a causa dello sradicamento sociale a cui sono sottoposte; tra gli italiani si ammalano soprattutto gli anziani, che sono entrati in contatto con i micobatteri quando erano giovani e ora sviluppano la malattia perché le difese immunitarie tendono ad indebolirsi con l’avanzare dell’età”.

 

Le possibilità che la tubercolosi possa diffondersi di pari passo con l’aumento dei migranti sono invece considerate molto basse. “La TB può interessare qualsiasi organo, ma è contagiosa solo se sono colpiti i polmoni – prosegue Rodari – tuttavia, anche in questo caso, il contagio può avvenire solo a seguito di un contatto stretto con una persona malata, come condividere una stanza non ventilata per almeno 8 ore. Tra l’altro già negli scorsi anni sono stati pubblicati in Europa degli studi che dimostrano che i ceppi di micobatteri che causano la malattia nella popolazione locale sono diversi da quelli dei migranti, a conferma del fatto che spesso la paura di alcune malattie non ha un fondamento logico”.

 

In realtà solo il 10% delle persone che contraggono l’infezione tubercolare sviluppano la malattia attiva nel corso della vita. Il restante 90% non ha nessun sintomo e non è contagioso. In entrambi i casi, infezione latente o malattia attiva, risulta comunque fondamentale una diagnosi precoce, in quanto esistono trattamenti che permettono di curare e tenere sotto controllo la TB. Per questo si dovrebbe attuare una politica di screening capillare sulla popolazione a rischio, a cominciare dai migranti richiedenti asilo, che al loro arrivo in Italia vengono sottoposti a controlli nelle strutture specializzate tra le quali anche il Sacro Cuore.

 

Qualora ad un paziente venga diagnosticata la malattia attiva a localizzazione polmonare, si procede al ricovero in regime di isolamento. In tal senso il reparto di Malattie Tropicali del Sacro Cuore, da poco rinnovato, dispone di 7 stanze doppie a medio isolamento e due stanze singole ad alto isolamento per un totale di 16 posti letto. L’isolamento respiratorio è garantito dalla pressione controllata nelle stanze: in sostanza la pressione all’interno è negativa (ovvero più bassa nella stanza del paziente rispetto ai locali adiacenti) impedendo così all’agente patogeno di diffondersi all’esterno della stanza stessa. Inoltre ogni stanza è dotata di un’anticamera-filtro che separa l’esterno dall’accesso al locale. Anche le porte sono controllate elettronicamente (vedi presentazione del nuovo reparto).

 

“La terapia nella fase acuta della malattia consiste in un cocktail di quattro farmaci somministrati per due mesi. In seguito la cura prosegue per almeno quattro mesi con due farmaci. Per contro, l’infezione latente viene individuata con un esame del sangue: in questo caso la terapia consiste in un solo farmaco e permette di prevenire il successivo sviluppo della malattia”, aggiunge la dottoressa Rodari.

 

Allargando lo sguardo al problema TB a livello mondiale, nel 2015 l’OMS ha varato il piano “End TB”, che viene rilanciato anche in occasione della giornata mondiale di quest’anno. Tale piano si pone l’obiettivo di diminuire del 95% i decessi e del 90% il numero di ammalati entro il 2035. Risultati che l’OMS vuole raggiungere principalmente garantendo l’accesso alla diagnosi e alla cura per milioni di persone nei Paesi poveri. Non a caso la tubercolosi è considerata una malattia strettamente legata alla povertà, perché diversamente sarebbe stata già sconfitta grazie all’efficacia delle cure disponibili.

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Alla Pediatria la maglia della Tezenis: un canestro di generosità

Giorgio Boscagin, capitano della Tezenis Scaligera Basket, ha consegnato al reparto di Pediatria la maglia autografata da tutta la squadra, dono della storica famiglia dell’Amarone, Quintarelli

Questa mattina l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria ha avuto un visita speciale: quella del capitano della Tezenis Scaligera Basket, Giorgio Boscagin che ha consegnato al reparto di Pediatria la maglia con gli autografi dei giocatori, dono della famiglia Quintarelli, storica produttrice dell’Amarone.

Il capitano l’ha affidata ad Andrea in rappresentanza di tutti i piccoli ospiti presenti al quarto piano del “Sacro Cuore”, diretto dal dottor Antonio Deganello.

Boscagin, originario di Caldiero, in questi giorni è stato un assiduo visitatore dell’ospedale di Negrar: infatti lo scorso 2 marzo nel reparto di Ginecologia e Ostetricia è nato Leonardo, primogenito del cestista veronese.

La consegna della maglia è l’ultimo anello di una catena di generosità. Infatti la famiglia Quintarelli l’ha avuta in premio per aver staccato l’assegno più alto all’asta di beneficenza che si è svolta sabato scorso a Villa Mosconi Bertani in occasione della seconda edizione della “Vetrina Amarone”.

Grazie alla manifestazione, promossa dal Comune di Negrar e dalla Pro Loco Salgari, sono stati raccolti oltre 5mila euro che andranno a finanziare alcuni progetti a Cittareale, a pochi chilometri da Amatrice, colpita duramente dal terremoto.

Alla famiglia Quintarelli e all'”ambasciatore” Giorgio Boscagin un grazie di cuore da parte di tutto l’ospedale e dai piccoli ospiti del reparto di Pediatria.


Sempre più vicina la sperimentazione sull'uomo della retina artificiale

Pubblicati sulla rivista “Nature Materials” gli eccellenti risultati dell’impianto del dispositivo sui ratti ciechi. A breve la sperimentazione preclinica sull’uomo che sarà effettuata dalla dottoressa Grazia Pertile all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria

Un recupero funzionale efficace per oltre 10 mesi, senza infiammazione e senza degradazione del materiale della protesi. Sono i risultati dell’impianto della prima retina artificiale organica tutta made in Italy su ratti ciechi, pubblicati sulla rivista internazionale “Nature Materials”. Risultati che avvicinano ulteriormente la sperimentazione sull’uomo, prevista entro la seconda metà di quest’anno, al Sacro Cuore Don Calabria, nel Dipartimento di Oftalmologia, diretto dalla dottoressa Grazia Pertile (vedi foto della dottoressa Pertile e della sua equipe).

Allo studio multidisciplinare partecipano oltre all’Oculistica di Negrar, l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova – con il Centro di Neuroscienze e Tecnologie Sinaptiche (NSYN) e Centro di Nanoscienze e Tecnologie (CNST) ­ Innovhub-SSI Milano e l’Università dell’Aquila (vedi video della partecipazione della dottoressa Pertile a Telethon su Raiuno lo scorso 16 dicembre).

La retina artificiale è stata impiantata in ratti ciechi del ceppo RCS, portatore di una mutazione spontanea in uno dei geni implicati nella Retinite pigmentosa umana, una malattia degenerativa della retina che porta alla cecità in età giovanile.

La retina artificiale è stata in grado di ripristinare il riflesso pupillare, le risposte corticali elettriche e metaboliche agli stimoli luminosi, la capacità di discriminazione spaziale (acuità visiva) e l’orientamento degli animali nell’ambiente guidato dalla luce. Questo importante recupero funzionale è rimasto efficace per oltre 10 mesi dopo l’impianto del dispositivo, senza causare infiammazione dei tessuti retinici o a degradazione dei materiali costituenti la protesi.

“Questo approccio – precisa il professor Fabio Benfenati, direttore del Centro IIT-NSYN di Genova- rappresenta un’importante alternativa ai metodi utilizzati fino ad oggi per ripristinare la capacità fotorecettiva dei neuroni. Rispetto ai due modelli di retina artificiale attualmente disponibili basati sulla tecnica del silicio, il nostro prototipo presenta indubbi vantaggi quali la spiccata tollerabilità, la lunga durata e totale autonomia di funzionamento, senza avere la necessità di una sorgente esterna di energia. Questi vantaggi ‘strutturali’ sono accompagnati da un ripristino della funzione visiva non solo per quanto riguarda la sensibilità alla luce, ma anche l’acuità visiva e l’attività metabolica della corteccia visiva.”

La retina artificiale è un polimero semiconduttore organico che si comporta in modo simile ai coni e bastoncelli, le cellule retiniche che naturalmente rispondono agli stimoli luminosi della retina. Si chiama P3HT ed è un semiconduttore utilizzato comunemente nelle celle solari, con una struttura a base di carbonio che risulta essere molto biocompatibile. Una volta impiantato sotto la retina, il polimero è in grado di catturare il segnale luminoso e trasformarlo in impulso elettrico, per poi inviarlo al cervello dove viene codificato in immagine.

Negli animali in cui è stata sperimentata, la retina con degenerazione dei fotorecettori, una volta a contatto con il polimero, recupera la sua fotosensibilità a livelli di luminosità paragonabili alla luce diurna e genera segnali elettrici che vengono inviati al nervo ottico in modo molto simile a quanto si verifica in una retina normale.

“L’utilizzo di questo materiale organico semiconduttore è stato decisivo nel superare diversi problemi – afferma il professor Guglielmo Lanzani, direttore del Centro IIT-CNST di Milano  Il fatto di essere organico lo rende soffice, leggero e flessibile, garantendo un’ottima biocompatibilità ed evitando complicazioni ai tessuti circostanti a garanzia di una lunga durata di funzionamento. Inoltre, i polimeri organici hanno la capacità di trasmettere impulsi elettronici e ionici senza grande dispersione di calore, che potrebbe causare ulteriori danni in una retina già oggetto di un processo degenerativo.”

“Speriamo di riuscire a replicare sull’uomo gli eccellenti risultati ottenuti su modelli animali – afferma la dottoressa Grazia Pertile, direttore del Dipartimento di Oftalmologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria – L’obiettivo è quello di ripristinare parzialmente la vista in pazienti resi ciechi dalla degenerazione dei fotorecettori che si verifica in numerose malattie genetiche della retina come ad esempio la retinite pigmentosa. Contiamo di poter effettuare la prima sperimentazione sull’uomo nella seconda metà di quest’anno e raccogliere i risultati preliminari nel corso del 2018. Questo impianto potrebbe rappresentare una svolta nel trattamento di patologie retiniche estremamente invalidanti”.

Lo studio è stato reso possibile grazie al finanziamento dell’IIT, della Fondazione Telethon, del Ministero della Salute e di Fondazioni private.


Ipertrofia prostatica: intervento più sicuro con il laser

E’ indicato in particolare per coloro che assumono farmaci anticoagulanti o antiaggreganti in quanto il laser diminuisce notevolmente il rischio di sanguinamento, come spiega il direttore dell’Urologia, Stefano Cavalleri

Grazie al laser, l’ipertrofia prostatica benigna può essere trattata in piena sicurezza anche in pazienti che assumono anticoagulanti.

Finora sono una ventina gli uomini che si sono sottoposti a enucleazione endoscopica di prostata con laser presso l’Urologia, diretta dal professor Stefano Cavalleri. Un intervento eseguito in anestesia spinale con dimissioni entro le 24-48 ore.

“L‘ipertrofia prostatica benigna è di certo la malattia urologica più diffusa e lo sarà sempre di più visto l’aumento della vita media – prosegue il professor Cavalleri -. Colpisce l’80% degli uomini che hanno superato i 50 anni e consiste nell’ingrossamento (adenoma) della parte centrale della prostata a causa di modificazioni ormonali. Il paziente manifesta difficoltà a svuotare la vescica fino al blocco della minzione con il ricorso urgente all’applicazione del catetere“.

Proprio a causa dell’età, molti pazienti che soffrono di ipertrofia benigna sono affetti da malattie cardiovascolari, patologie del sangue o sono portatori di stent coronarici, quindi costretti ad assumere farmaci anticoagulanti o antiaggreganti. Essendo la prostata un organo molto vascolarizzato, l’intervento tradizionale, in laparoscopia o in endoscopia, comporta per queste persone il rischio di forte sanguinamento.

“Il laser al Tullio consente d’intervenire senza che il paziente debba sospendere la terapia – prosegue l’urologo – e sostituirla con farmaci in grado di migliorare il sanguinamento senza però garantire una completa copertura sul fronte cardiaco”.

Il trattamento con il laser avviene sempre per via endoscopica“risalendo attraverso il pene e l’uretra fino alla prostata – descrive l’urologo.- Qui vengono visualizzati i lobi prostatici ingrossati che possono essere enucleati e quindi asportati oppure vaporizzati grazie alla elevata energia del laser. Riducendo al massimo il sanguinamento. Infatti il laser ha una grande capacità di coagulare sia il tessuto che i vasi sanguigni”.

Il decorso post operatorio del trattamento con il laser è migliore rispetto alla resezione endoscopica: il paziente, che durante l’intervento è completamente sveglio, può lasciare l’ospedale dopo una sola notte di degenza, acquista immediatamente le normali funzioni urinarie e viene lasciato libero dal catetere dopo 12 ore anziché 48 come avviene per i trattamenti tradizionali.

elena.zuppini@sacrocuore.it


Lavori in corso: portineria e ritiro referti sono trasferiti a Casa Perez

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La portineria Don Calabria è stata chiusa e trasferita presso Casa Perez in seguito all’inizio dei lavori propedeutici per la nuova Palazzina “Uffici e Servizi”. All’interno tutte le indicazioni

A causa dei lavori propedeutici per la realizzazione della nuova Palazzina “Uffici e Servizi”, la portineria Don Calabria (a metà di viale Rizzardi) è stata chiusa e trasferita presso Casa Perez dove sarà possibile ritirare anche i referti. Rimane aperta la portineria dell’ospedale Sacro Cuore.

Per arrivare a Casa Perez dalla portineria del Don Calabria si deve tornare indietro lungo il viale alberato fino alla rotonda e qui prendere la prima deviazione a destra. Casa Perez è subito sulla destra (vedi foto).

Sono state affisse alcune segnalazioni per indicare il nuovo percorso pedonale e carrabile (vedi mappa).


Infarto miocardico acuto: il "Sacro Cuore" tra i più virtuosi d'Italia

Il dottor Guido Canali risponde a tutte le domande sull’infarto miocardico acuto e sul suo trattamento, riguardo al quale l’Agenas indica l’ospedale di Negrar tra le strutture con i migliori risultati

Come si riconoscono i sintomi dell’infarto miocardico acuto? Cosa si deve fare quando insorgono? Che cos’è l’angioplastica? A tutte queste e ad altre domande risponde il dottor Guido Canali, responsabile della Cardiologia interventistica, nella quale lo scorso anno sono state eseguite 850 coronarografie (l’esame diagnostico che precede l’angioplastica) e 310 angioplastiche, di cui 150 in urgenza (vedi video).

La Cardiologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal professor Enrico Barbieri, è operativa h24 per tutto l’arco dell’anno. Questo significa che entro mezzora dall’arrivo del paziente il personale è pronto nelle sale di Emodinamica per l’intervento.

Secondo i dati Agenas 2016 (Agenzia regionale per i servizi sanitari) per quanto riguarda il trattamento dell’infarto miocardico acuto l’ospedale di Negrar è uno dei migliori in ItaliaNel 2015 la mortalità a 30 giorni è stata del 7,96% contro la media nazionale del 9,03%. Mentre la proporzione di pazienti con infarto miocardico acuto trattati con angioplastica entro due giorni è del 75,95% contro una media nazionale del 43,32%.

“L’infarto acuto del miocardio – spiega il dottor Canali – si distingue in infarto con ST sopraslivellato (STEMI), che va sempre trattato nel minor tempo possibile dall’esordio dei sintomi in quanto ci troviamo di fronte ad un’occlusione completa della coronaria, e l’infarto NON ST sopraslivellati (NSTEMI). Quest’ultimo solitamente non presenta un’occlusione completa della coronaria ma una subocclusione che può essere più o meno importante. I pazienti di questo gruppo vanno trattati con coronarografia e angioplastica o subito o entro 48/72 ore in base all’andamento clinico. In questo gruppo possono anche esserci pazienti che, sempre per motivi clinici, non subiranno una coronaronarografia ma solo un trattamento medico”.


Il Sacro Cuore è sempre più "europeo"

‘ospedale di Negrar, unico nel Veneto, ha ottenuto l’accreditamento presso il Gruppo Informale degli Uffici di Rappresentanza Italiani a Bruxelles (GIURI). Si tratta di un importante punto d’appoggio per la partecipazione ai bandi in materia sanitaria

L’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria compie un nuovo passo verso l’Europa. E’ dello scorso mese di dicembre, infatti, l’avvenuto accreditamento della struttura scaligera presso il GIURI, il Gruppo Informale degli Uffici di Rappresentanza Italiani a Bruxelles.

 

L’organismo riunisce gli uffici italiani operanti nella ‘Capitale dell’Unione Europea’ e attivi nel campo della Ricerca e Innovazione. Ne fanno parte centri di ricerca, pubbliche amministrazioni centrali e regionali, associazioni di categoria, intermediari finanziari, istituti bancari e molte altre realtà. L’obiettivo di questo gruppo è facilitare e migliorare lo scambio di informazioni e la cooperazione tra i propri membri con particolare attenzione al Programma Quadro sulla Ricerca ed Innovazione dell’UE, denominato Horizon 2020.

 

Grazie a questo accredito, l’ospedale di Negrar sarà aggiornato con la massima tempestività sui bandi di imminente uscita in tema di sanità, oltreché sulle nuove politiche di salute della Commissione Europea. Inoltre il GIURI può fornire un supporto operativo nella progettazione per partecipare ai bandi europei, in quanto è coordinato dall’Agenzia per la Promozione della Ricerca Europea (APRE), che è il Punto di Contatto Nazionale per l’8° Programma Quadro Europeo sulla Ricerca ed Innovazione, appunto HORIZON 2020 (ed è quindi l’ente di riferimento per ricevere supporto nella stesura dei progetti e nella partecipazione ai bandi).

 

Il Sacro Cuore, ad oggi, è l’unico Ospedale veneto iscritto al Gruppo, il quale comprende altresì importanti strutture sanitarie e diversi IRCSS italiani.

 

Enrico Andreoli


"Il lavoro prezioso degli operatori e del personale di servizio"

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In occasione della 25ma Giornata Mondiale del Malato danno la loro testimonianza le Piccole Suore della Sacra Famiglia che da 95 anni prestano la loro opera alla Cittadella della Carità di Negrar

Aiutare il malato, oggi, significa prendersi cura di lui come persona nella sua globalità. Per questo, oltre alla parte sanitaria di cui si occupano medici e infermieri, è fondamentale il lavoro degli operatori socio-sanitari e di tutto il personale che, con il proprio servizio, aiuta l’ospedale ad accompagnare chi soffre. Ne è convinta suor Lucia Serena, superiora della comunità delle Piccole Suore della Sacra Famiglia che aiutano ad assistere gli ammalati al Sacro Cuore. “Vedo ogni giorno degli esempi molto belli, direi quasi eroici, – dice – di operatori che con amore si dedicano a malati anche molto gravi, nel silenzio e con il sorriso”.

La testimonianza di suor Lucia e delle sue consorelle arriva in occasione della 25ma Giornata Mondiale del Malato, che si celebra sabato 11 febbraio (vedi discorso di Papa Francesco). Una festa che papa Francesco ha voluto rendere ancora più significativa promuovendo la presentazione della nuova Carta degli Operatori Sanitari realizzata dal Pontificio Consiglio che si occupa della pastorale sanitaria. La Giornata del Malato viene celebrata anche alla Cittadella della Carità con una S. Messa sabato alle ore 16.30 presso la cappella dell’ospedale Don Calabria, organizzata dal Consiglio di pastorale ospedaliera in collaborazione con l’Unitalsi e con la parrocchia di Negrar (vedi programma).

 

Le Piccole Suore della Sacra Famiglia, congregazione fondata dal beato Giuseppe Nascimbeni e dalla beata Maria Mantovani, prestano servizio al Sacro Cuore fin dalla sua fondazione 95 anni fa (vedi foto). Erano loro ad occuparsi di tutti i servizi in quello che era originariamente un ricovero per anziani poveri, fondato dal parroco di Negrar don Angelo Sempreboni nel 1922. Infermiere e cuoche, addette al guardaroba e assistenti notturne: la loro presenza era ovunque. Le suore rimasero al loro posto anche dopo l’arrivo di don Calabria nel 1933 e continuarono ad occuparsi dei vari servizi, compresi quelli infermieristici, dopo che il ricovero del Sacro Cuore diventò un ospedale vero e proprio.

 

Oggi le suore in servizio alla Cittadella della Carità sono sei. Oltre a suor Lucia, ci sono suor Carla e suor Bernardetta che prestano servizio a Negrar da oltre 40 anni. E poi suor Pia, suor Rosa e un’altra suor Lucia (vedi foto). La loro comunità risiede al terzo piano di Casa Clero. Da qualche tempo non si occupano più dei servizi infermieristici, ma lavorano nella pastorale ospedaliera, dedicandosi in particolare alla visita degli ammalati nei reparti e collaborando nell’animazione e nella preparazione delle celebrazioni. Tuttora ci sono invece tre suore carmelitane che lavorano come infermiere nei reparti.

 

“Il servizio nella pastorale è impegnativo – racconta suor Lucia – Credo che la cosa fondamentale sia entrare in punta di piedi, cercando di instaurare un rapporto umano di vicinanza con chi soffre. Gran parte del nostro lavoro consiste nella capacità di ascoltare gli ammalati e i loro cari, con rispetto e cercando di dare loro un messaggio di speranza”.

 

L’opera pastorale viene svolta in tutte le strutture della Cittadella: Casa Clero, Casa Nogarè, Casa Perez, ospedale Don Calabria e Sacro Cuore. Un lavoro che dà l’opportunità di prendersi cura degli ammalati in modo integrale. “L’ospedale è cambiato molto, oggi la parte tecnologica ha fatto passi da gigante ed è importantissima – conclude suor Lucia – ora la sfida per tutto il personale, noi comprese, è quella di integrare la parte tecnica con quella umana e pastorale. E su questo torno a sottolineare l’importanza degli operatori e del personale di servizio che può davvero collaborare con infermieri e medici nel valorizzare il paziente come persona, facendolo sentire accolto e accompagnato nella sua malattia. Questo mi sembra un messaggio di grande attualità per questa Giornata Mondiale del Malato”.

matteo.cavejari@sacrocuore.it