La Cittadella della Carità vicino ai terremotati
Grazie soprattutto al dono da parte degli operatori di alcune ore lavorative, sono stati raccolti 30mila euro in favore delle popolazioni colpite dal sisma. Quando don Calabria intervenne nel Polesine alluvionato…
Anche in occasione del terremoto che ha colpito l’Italia Centrale, la generosità degli operatori della Cittadella della Carità di Negrar non si è fatta attendere. Grazie in particolare alle ore lavorative donate dai dipendenti sono stati raccolti 30mila euro. Tale somma sarà consegnata alla Caritas diocesana in contatto costante con le Caritas dei luoghi terremotati, impegnate a provvedere alle necessità più urgenti della gente locale privata di tutto a causa di uno sciame sismico iniziato lo scorso 24 agosto e che continua tuttora.
Questa è solo l’ultima delle iniziative di solidarietà a cui hanno aderito i collaboratori dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, di Casa Perez, di Casa Nogarè e di Casa Clero. E’ infatti una consuetudine che si ripete ogni volta che una catastrofe naturale colpisce l’Italia o altri Paesi del mondo. Inoltre nei momenti forti dell’Anno Liturgico (Avvento e Quaresima) vengono raccolte le offerte per le tante missioni dell’Opera Calabriana, in particolare per gli ospedali “gemellati” con quello di Negrar che si trovano a Marituba (Brasile) e a Luanda (Angola).
Una consuetudine con radici lontante, nell’eredità del Santo fondatore. Anche nel novembre del 1951 l’Italia venne sconvolta da un evento catastrofico: l’alluvione del Polesine le cui acque si portarono via la vita di oltre cento persone, lasciandone altre centinaia di migliaia senza una casa. In quell’occasione San Giovanni Calabria non si tirò indietro di fronte alla sofferenza di tanti italiani. Infatti aprì le porte della Casa per bambini poveri di Ferrara che aveva fondato solo nell’agosto dello stesso anno su invito dell’arcivescovo Ruggero Bovelli. Tra quelle mura ospitò per diversi mesi 150 minori sfollati, di età compresa tra i 6 e i 14 anni. Molti religiosi e novizi furono mandati dal sacerdote veronese ad aiutare chi aveva perso tutto, unendosi allo sforzo di solidarietà intrapreso da tutto il Paese.
Da allora l’Opera calabriana entrò nel cuore dei ferraresi, molti dei quali ricordano ancora oggi quell’atto di amore verso i più giovani.
(nella Gallery due foto pubblicate sulla rivista calabriana L’Amico nel 1952 e che ritraggono i ragazzi ospitati nella struttura di Ferrara)
Strabismo e bambini, bisogna intervenire per tempo
Il Sacro Cuore è uno dei pochi centri dove si pratica la chirurgia dello strabismo anche in età pediatrica. Un approccio che, in molti casi, permette di correggere questo disturbo e ridurre nel lungo termine il rischio di perdere funzionalità visiva
Lo strabismo è un disturbo della vista che riguarda il 2-4 % della popolazione. In molti casi insorge in età pediatrica, anche in bambini molto piccoli e quindi è fondamentale intervenire in modo tempestivo per correggere il problema e, in molti casi, eliminarlo.“Anche perché lo strabismo non è solo una questione estetica, ma è associato a un difetto della vista che talvolta può diventare irreversibile se non si interviene per tempo“, dice il dottor Giuliano Stramare (vedi foto), oftalmologo specializzato nel trattamento dello strabismo presso l’Unità Operativa di Oculistica del Sacro Cuore, diretta dalla dottoressa Grazia Pertile.
LA CHIRURGIA DELLO STRABISMO NEI BAMBINI
Il Sacro Cuore è uno dei pochi centri dove, fra i vari trattamenti possibili per curare questa patologia, è disponibile l’opzione chirurgica anche per i bambini. “La terapia chirurgica è la più indicata per risolvere alcuni tipi di strabismo e dà una prognosi migliore nel lungo termine, specialmente per la tipologia definita esotropia essenziale infantile – prosegue il dottor Stramare – Per questo, una volta effettuate le visite preliminari, è importante intervenire al più presto, talvolta anche su pazienti che hanno solo 2 anni. Si tratta di un’operazione relativamente semplice. Le difficoltà sono date più che altro dalla gestione del pre e post-operatorio, vista la giovanissima età di alcuni pazienti. Per questo non sono molti i centri attrezzati per effettuare la chirurgia dello strabismo sui bambini”.
PER I GENITORI
Cosa fare, dunque, quando si nota l’insorgere di strabismo, specialmente in un bambino? Conviene attendere o intervenire? In realtà fino all’età di 6 mesi un’eventuale leggera deviazione di un occhio rispetto al punto di fissazione non deve destare particolare allarme. Se invece questo difetto perdura dopo i 6 mesi, è bene che i genitori si attivino per fare una visita oculistica. Viceversa, in assenza di strabismo, gli oculisti consigliano di fare la prima visita intorno ai 3 anni. Diverso il discorso per alcune categorie considerate a rischio: nati prematuri, bimbi affetti da sindromi genetiche o che sono incorsi in patologie perinatali. In questi casi il monitoraggio per strabismo parte da subito.
Ad ogni modo è importante fare una valutazione e iniziare un trattamento il prima possibile. Infatti uno strabismo trascurato nel bambino, per quanto lieve, spesso è associato all’ambliopia, ovvero ovvero la perdita progressiva di capacità visiva nell’occhio che lavora meno (occhio pigro).
LA VISITA
Durante le visite iniziali sono fondamentali le valutazioni dell’oftalmologo e dell’ortottista. Sta a loro definire l’angolo di strabismo, valutare i problemi visivi ad esso associati e soprattutto stabilire il trattamento più adeguato nei tempi opportuni. “Alcuni tipi di strabismo vengono molto ridotti con la prescrizione di occhiali adeguati – prosegue Stramare – Talvolta il disturbo si risolve con la crescita (strabismo accomodativo). Ma nella maggioranza dei casi l’intervento chirurgico dà le maggiori chance di soluzione del problema”. In realtà non sempre è risolutivo il primo intervento. A volte è necessario farne più di uno perché nella crescita gli occhi possono spostarsi nuovamente. “Tuttavia anche in questo caso è preferibile fare due piccoli interventi in età pediatrica, piuttosto che attendere e intervenire solo più tardi. Questo perché nei bambini la plasticità del cervello permette all’occhio di adattarsi molto meglio ad una vista corretta dopo l’intervento”.
L’INTERVENTO SUI BAMBINI
Al Sacro Cuore vengono effettuati ogni anno poco meno di un centinaio di interventi di chirurgia dello strabismo, in grande maggioranza su pazienti in età pediatrica. Il bambino viene ricoverato in pediatria la mattina stessa dell’operazione. L’intervento viene fatto in anestesia generale e ha una durata compresa fra i 30 e i 60 minuti. Proprio la breve durata permette al paziente un recupero molto rapido dall’anestesia, tanto che il bambino operato viene dimesso già al mattino successivo. Il decorso dell’operazione è generalmente indolore e a livello farmacologico viene prescritto solo un collirio antibiotico. Generalmente non serve l’uso della benda sull’occhio operato. Dopo una settimana è possibile il ritorno del bimbo a scuola o all’asilo. I controlli post operatori si effettuano a distanza di una settimana e poi una volta al mese. Naturalmente i controlli sono fondamentali perchè il bambino è in crescita e il problema potrebbe ripresentarsi nel tempo.
Il dottor Stramare sottolinea che “per la piena riuscita dell’operazione è fondamentale la sinergia tra tutti i soggetti coinvolti: oftalmologo, ortottista, anestesista che deve avere esperienza con i bambini, lo strumentista di sala operatoria el’intero reparto pediatrico. Il gioco di squadra e la buona organizzazione sono indispensabili”.
INTERVENIRE SUGLI ADULTI
L’approccio chirurgico allo strabismo si può attuare anche nell’adulto. In questo caso l’intervento viene fatto in anestesia locale ed è importante che il paziente mantenga il tono muscolare dell’occhio durante l’operazione, in modo che il chirurgo possa esercitare un controllo intraoperatorio e riposizionare correttamente l’occhio. Nell’adulto la prognosi dopo l’intervento è meno favorevole che nel bambino, perché spesso l’occhio su cui si interviene ha già perso nel tempo parte della propria funzionalità. Inoltre negli adulti c’è il rischio di diplopia, cioè il “vederci doppio” dovuto al fatto che il cervello non è più in grado di eliminare l’immagine proveniente dall’occhio deviato.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
"Il conte è morto": la straordinaria storia di Francesco Perez
Un video racconta la vita di questo grande personaggio che aiutò don Calabria nella fondazione della sua Opera. A lui oggi sono dedicati la sala convegni e una residenza socio-sanitaria all’interno della Cittadella della Carità
Chi era Francesco Perez? Come aveva conosciuto don Calabria? Perché alla figura del Perez sono dedicati alcuni ambienti all’interno della Cittadella della Carità di Negrar?
Quella del conte Francesco Perez è una storia senza tempo. Un uomo nobile, ricco e stimato, che all’inizio del Novecento vende tutti i suoi molti averi per seguire don Calabria nell’assistenza agli ammalati e ai fanciulli abbandonati. È il 1909 e da quel momento fratel Perez diventa povero tra i poveri. E sarà sempre un pilastro dell’Opera fondata da don Calabria fino alla morte nel 1937 (vedi video sulla vita di Francesco Perez).
Oggi a lui sono dedicati due importanti ambienti nella Cittadella della Carità. Si tratta della Sala Convegni “Francesco Perez” e della “Casa Perez”, una struttura socio-sanitaria che comprende una Casa di riposo per persone non autosufficienti con problemi sociali e psichiatrici cronici (con 85 posti letto) e una Residenza sanitaria assistenziale per persone con problemi sociali e psichiatrici che richiedono un alto impegno sanitario (24 posti letto).
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Vaccini: tra evidenze scientifiche e grandi leggende
Ai vaccini si deve l’estinzione o il controllo di malattie che solo pochi anni fa mietevano morti e menomazioni. Eppure in Italia è in pericolosa diminuzione la copertura vaccinale. Perché tanta paura? Rispondono il pediatra, l’infettivologo e la geriatra
Hanno cambiato con gli antibiotici i destini dell’umanità, eppure sui vaccini è calata una coltre di diffidenza. Il Veneto (dove dal 2008 è stato sospeso l’obbligo) è passato in pochi anni da una copertura vaccinale del 98% ad appena il 91% (in Italia la media è del 93.4%). Percentuale al di sotto di quel 95% che garantisce la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè la situazione che si verifica quando la vaccinazione di una parte significativa della popolazione tutela anche coloro che, a causa di particolari patologie, non possono sottoporsi al vaccino. Se la soglia di copertura dovesse diminuire fino all’85% o meno alcune malattie come la polio, il tetano e la difterite, di cui da anni non si registrano o si registrano solo pochi casi in Italia, ritornerebbero anche nel nostro Paese. La diffidenza non colpisce solo i vaccini che vengono somministrati nei primi anni di vita. Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale (avviata in questi giorni sul territorio nazionale) la copertura in Veneto nella passata stagione ha interessato solo il 14,6% della popolazione.
Ma perché i vaccini fanno così paura?
Il pediatra
“Poiché molte malattie infettive per cui si moriva un tempo non ci sono più, il timore che provocavano si è spostato sulle complicanze da vaccino, dimenticando che a sconfiggere quelle malattie è stata proprio la vaccinazione di massa avviata tra gli anni Cinquanta e Sessanta”, afferma il dottor Antonio Deganello (foto 1), direttore dell’Unità Operativa di Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”.
Complicanze, sottolinea ancora il medico, che “non si possono negare. Ma se noi andiamo ad analizzare i dati della Regione Veneto negli ultimi 20 anni sono stati somministrati circa 29milioni e 200mila vaccini. Alla luce di questi numeri si sono verificate 400 complicanze, di cui circa 80 locali (cioè ascessi). Le altre consistono in shock anafilattici (che si sono risolti immediatamente in quanto si consiglia di restare in sala d’aspetto per 15-20 minuti dopo la somministrazione del vaccino) e purtroppo in problemi neurologici”.
Sono proprio gli effetti collaterali a danno del sistema neurologico che suscitano i maggiori timori. Come la millantata correlazione tra il vaccino contro il morbillo (patologia infettiva che può provocare anche polmoniti ed encefaliti letali) e l’autismo. “Non vi è nessuna evidenza scientifica che attesti una correlazione tra questo tipo di vaccino e l’autismo – chiarisce il dottor Deganello -. Lo studio di Jeremy Wakefild che voleva provarla si è dimostrato un falso scientifico e il dottore è stato radiato dall’Ordine dei medici britannico. La correlazione è stata negata anche dalla Cassazione italiana nel 2002 nell’ambito di un procedimento di risarcimento”.
Molti studi scientifici hanno poi dimostrato l’inesistente legame tra il mercurio, contenuto fino al 2002 in alcuni tipi di vaccino, e l’autismo.
“E’ dimostrato scientificamente che i benefici introdotti dai vaccini sono enormemente più rilevanti delle complicanze legate ad essi – conclude il pediatra -. Come medico sono favorevole a tutti i vaccini in particolare a quelli che proteggono da malattie molto gravi come la polio, il tetano, la difterite, il morbillo, la meningite, di cui solo qualche anno fa vedevamo anche qui a Negrar due casi al mese. Se per mantenere una copertura vaccinale efficace fosse necessario rintrodurre l’obbligatorietà, torniamo ad essa”.
L’infettivologo
“Negli ultimi decenni vi è stato un cambiamento epocale in sanità – afferma il dottor Andrea Angheben (foto 2), medico infettivologo del Centro per le Malattie Tropicali di Negrar -. Si è passati da un concetto di salute che privilegiava l’aspetto comunitario a un concetto che invece pone l’accento solo sul singolo, anche se questo può avere ripercussioni sulla comunità. Il sempre più diffuso timore per i vaccini è l’esempio emblematico di questo passaggio”.
Secondo il medico, “il vaccino va considerato come un farmaco, nell’accezione che comunemente diamo a questo termine. Come è assurdo essere contrari ai farmaci in senso generale solo perché possono avere degli effetti collaterali, è altrettanto superficiale dichiararsi contrari a tutti i vaccini. Perché ci sono vaccini e vaccini. Alcuni possono avere degli avventi avversi banali, altri più significativi pur nell’estrema rarità”.
Non dimentichiamo poi che alcuni vaccini hanno cambiato i destini dell’umanità come quello contro il tetano, la polio o la difterite, “per i quali io sono per l’obbligatorietà, come nel caso del vaccino per l’epatite B. La vaccinazione contro quest’ultima malattia è stata introdotta negli anni Ottanta e oggi abbiamo alcune generazioni immuni al virus così come alcune categorie (per esempio gli operatori sanitari) a cui è offerta la vaccinazione per il rischio professionale. Arrivando a una copertura vaccinale elevata – prosegue il dottor Angheben – otterremo la scomparsa di questo virus che è una delle cause del carcinoma epatico. Noi del Centro per la Malattie Tropicali non di rado ci troviamo a curare ragazzi africani colpiti da tumore al fegato dovuto all’epatite B, contratta per contatto sessuale o più frequentemente per trasmissione materno-fetale”.
Quello contro l’epatite B è inserito in Veneto tra i vaccini “raccomandabili” (ex obbligatori) assieme all’antipolio, l’antitetanica e l’antidifterite. Mentre la Regione ha posto tra i consigliati i vaccini contro la pertosse, l’Haemophilus influenzae B, il morbillo, la parotite, la rosolia, la varicella, il meningococco C e lo pneumococco.
“Non obbligherei tout court una mamma a sottoporre il suo bambino ad una vaccinazione come ad esempio quella contro il morbillo – sottolinea l’infettivologo – ma le farei comprendere però che suo figlio avrà meno probabilità di essere infettato dal virus, perché tante altre madri hanno accettato di far vaccinare i loro figli. Dobbiamo capire che oltre alla protezione di noi stessi, qualcosa dobbiamo dare anche alla comunità…”.
E sulla diffidenza contro i vaccini il dottor Angheben aggiunge: “Purtroppo si sta accreditando una visione complottista che vedrebbe un accordo tra gli operatori e i dirigenti del “Sistema salute” e le multinazionali farmaceutiche per l’organizzazione di remunerative campagne vaccinali, a scapito della sicurezza del cittadino. Visione subito smentita – conclude – se si approfondisce l’argomento perché c’è piena conformità tra i programmi vaccinali delle Regioni e le evidenze accumulate da decenni nella letteratura scientifica”.
La geriatra
Un vaccino che viene sottovalutato riguardo alla sua efficacia è quello contro l’influenza. In base al Piano sanitario nazionale e al Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014, l’obiettivo è il raggiungimento di una copertura vaccinale della popolazione anziana del 75%. In Veneto nella stagione 2015-2016 è stata del 54% , una percentuale simile alla stagione precedente, con un calo progressivo a partire dal 2010-2011 dove il tasso era del 68,9%.
“Non hanno di certo aiutato le notizie nel 2014 di presunti decessi dovuti al vaccino. Morti per le quali non è stata mai provata una correlazione diretta con il vaccino stesso – spiega la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità operativa di Geriatriadell’ospedale calabriano (foto 3) -. È inevitabile che nell’ambito di una popolazione anziana si verifichino dei decessi, il vaccino non c’entra”.
Molti non hanno fiducia in questa pratica preventiva, “perché dopo la somministrazione a volte subentra una piccola sindrome influenzale, che può durare anche tre giorni. Ecco allora la classica frase: ‘Prima del vaccino stavo bene’. Ma quella insorta è una condizione ben definita, breve e sopportabile, non paragonabile all’influenza vera e propria che può sfociare in complicanze a volte gravi”.
In Veneto dalla stagione 2009-2010 a quella 2015-2016 si sono verificati complessivamente 87 decessi, 124 casi gravi e 502 ricoveri in ospedale riconducibili all’influenza. A rischio sono soprattutto “gli anziani con comorbilità, importanti malattie cardiache, respiratorie e quelli affetti da diabete, in particolare se vivono a contatto con i bambini o frequentano luoghi affollati. Ma è una vaccinazione necessaria anche per i bambini e gli adulti con qualche patologia e le donne gravide (www.salute.gov.it)”. Il vaccino è anche raccomandato a tutti coloro che lavorano in strutture sanitarie, per evitare di trasmettere il virus ai malati e garantire la presenza sul posto di lavoro in caso di epidemia. Ma resta una raccomandazione poco ascoltata…
“Tutti gli anziani dovrebbero vaccinarsi e farlo al più presto – conclude la dottoressa Turcato – e dovrebbe richiedere al medico di base anche la vaccinazione antipneumococcica contro la polmonite che si deve effettuare ogni cinque anni. Mai vaccinarsi quando è in atto una patologia acuta, anche un banale raffreddore o poche linee di febbre”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Giornata mondiale dell'ictus: lo Stroke Center del "Sacro Cuore"
Il 29 ottobre è dedicato alla grave patologia dell’ictus. Lo Stroke Center di Negrar è un’organizzazione intraospedaliera per la presa in carico tempestiva ed adeguata del paziente, ma si occupa anche di prevenzione
Il 29 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’ictus, che colpisce solo in Italia 200mila persone all’anno, 9mila nel Veneto.Terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, l’ictus rimane la maggior causa di disabilità: su circa 1 milione di persone sopravvissute all’evento acuto, il 30%, sempre nel nostro Paese, presenta una qualità di vita gravemente compromessa che incide, anche economicamente, sulle famiglie e sulla comunità.
Lo Stroke Center del Sacro Cuore
Nel 2001 l’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria ha creato lo Stroke Center, un’organizzazione pluridisciplinare dedicata al trattamento dei pazienti colpiti da ischemia cerebrale. Grazie al coordinamento tra i reparti di Neurologia, Terapia Intensiva, Medicina e Geriatria – dove sono stati riservati letti dedicati – il Pronto Soccorso, la Radiologia, il Laboratorio analisi, la Cardiologia e la Chirurgia vascolare il paziente viene preso in carico fino alla riabilitazione con un approccio tempestivo ed adeguato. Secondo un protocollo che prevede l’esame Tac entro 20 minuti dall’arrivo del paziente al Pronto Soccorso. In presenza di indicazioni, viene poi eseguita la trombolisi, conclusa la quale il paziente viene ricoverato in Terapia Intensiva. Se non ci sono indicazioni per la somministrazione del farmaco la destinazione del paziente è la Neurologia o un reparto di area internistica. Lo Stroke Center, che tratta ogni anno 200 pazienti, è molto attivo anche sul fronte della prevenzione dell’evento ischemico, grazie a una stretta collaborazione con la Cardiologia per la diagnosi e la terapia della fibrillazione atriale, una delle principali cause dell’ictus.
Lo stroke
Ma cos’è l’ictus? “Si tratta di un danno vascolare che si ripercuote sul cervello – spiega il neurologo Alessandro Adami, responsabile scientifico dello Stroke Center – La causa è spesso riconducibile a un trombo, che nel 30-40% dei casi si forma nel cuore per embolizzare in seguito nel cervello, provocando l’arresto improvviso della circolazione sanguigna e creando, di conseguenza, gravi danni nel tessuto cerebrale interessato. Nei restanti casi, l’origine non è determinata. Questi sono pazienti che hanno un’alta percentuale di recidiva, ma sui quali si sta focalizzando la ricerca farmacologica, in quanto l’Aspirina non sembra più sufficiente”.
La terapia
Ad oggi la terapia d’elezione per ridurre i danni dello stroke resta la trombolisi sistemica, un trattamento farmacologico somministrato per via endovenosa che ha lo scopo di sciogliere l’embolo. In Veneto si pratica solo nel centri di primo e secondo livello attivi 24 ore su 24, tra cui quello di Negrar. “L’arco temporale ideale nel quale intervenire con la trombolisi è entro le quattro ore e mezza dall’intervento – sottolinea il dottor Adami -. Per questo è fondamentale che già al Pronto Soccorso sia presente personale sanitario preparato a formulare una prima diagnosi, caratteristica questa di uno Stroke Center“. Quando la trombolisi non è indicata, il paziente viene sottoposto a una terapia di sostegno e in casi selezionati alla trombectomia, cioè all’inserimento di un catetere nell’arteria cerebrale interessata al fine di eliminare “meccanicamente” il trombo. Una procedura praticata in Italia a “macchia di leopardo”, che è stata al centro della tavola rotonda del II Convegno neurovascolare del Garda per la prevenzione del cardioembolismo cerebrale, organizzato a Desenzano, il 14 ottobre, dallo stesso dottor Adami e dal dottor Giorgio Silvestrelli, direttore della Stroke Unit del “Carlo Poma” di Mantova. Un confronto tra tre differenti regioni, anche dal punto di vista della configurazione territoriale (Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige), da cui è emerso che il trattamento dell’ictus richiede una risposta specialistica e organizzativa che non può non rientrare nella programmazione sanitaria delle Regioni.
La prevenzione
L’ictus non è sempre un evento ineluttabile. Una delle cause principali è la fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco nella maggior parte dei casi purtroppo asintomatico. “Nei pazienti anziani con ipertensione arteriosa, diabete o insufficienza cardiaca la fibrillazione atriale provoca all’interno del cuore coaguli di sangue che possono essere causa di ictus cerebrali”, spiega il dottor Guido Canali, responsabile del Servizio di Emodinamica del “Sacro Cuore Don Calabria”. Per evitarlo si ricorre alla somministrazione di anticoagulanti, ma non sempre è possibile per la presenza di controindicazioni. “In questi casi procediamo con la chiusura dell’auricola sinistra, quella parte del cuore in cui si forma il 90% dei trombi. Il follow up dei pazienti trattati dimostra che l’intervento è una valida alternativa ai farmaci anticoagulanti“. Dal 2012 l’équipe formata dal dottor Canali, dalla cardiologa Laura Lanzoni e dal dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, hanno eseguito 60 interventi, numeri che fanno di Negrar uno dei centri leader in Italia. La stessa équipe è stata chiamata nelle scorse settimane a tenere un corso regionale organizzato dal Centro di simulazione Practice che ha sede nell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. “La parte finale del corso si è tenuta a Negrar, dove i partecipanti hanno assistito alla procedura su due pazienti – conclude il dottor Canali -. Si tratta di un intervento in anestesia generale e sotto controllo ecocardiografico trans esofageo. Con la puntura di una vena dell’inguine attraverso il sistema venoso si arriva nell’atrio destro e quindi, mediante puntura transettale, cioè praticando un piccolo foro a livello del setto interatriale, viene posizionata un dispositivo occlusore nell’auricola sinistra“.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Colite ulcerosa e Morbo di Crohn: incontro tra medici e pazienti
Sabato 29 ottobre il “Sacro Cuore Don Calabria” ospiterà l’incontro autunnale promosso dal Centro per le malattie retto-intestinali e l’associazione AMICI. Tra i temi affrontati la sostenibilità economica per il Ssn dei farmaci biologici
Si tiene questo sabato 29 ottobre l’appuntamento autunnale che vede insieme il Centro multispecialistico per le malattie retto-intestinali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il cui responsabile è il dottor Andrea Geccherle, e l‘Associazione Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (AMICI).
Nella sala convegni Fr. Perez, a partire dalle 9.30, medici e farmacisti faranno il punto sul trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohn) che colpiscono in Italia circa 200mila persone, duemila solo nel Veronese con un’incidenza annua di 80 nuovi casi ogni milione di abitanti.
Si tratta soprattutto di pazienti molto giovani (dai 15 ai 45 anni) che a causa della patologia intestinale vedono compromessa pesantemente la loro vita personale e professionale con risvolti sul piano sociale e sul Sistema sanitario nazionale.
Sia la colite ulcerosa che il morbo di Crohn si manifestano con diarrea, forti dolori addominali, febbre, anemia, malassorbimento e quindi dimagrimento. Tutti sintomi di un’abnorme reazione immunologica da parte dell’intestino nei confronti di antigeni, come per esempio i batteri normalmente presenti nell’intestino stesso. Tuttavia la causa di questa reazione è ancora sconosciuta.
A migliorare la vita dei pazienti sono intervenuti negli ultimi anni i farmaci biologici, ottenuti dall’ingegneria genetica, che saranno al centro dell’incontro di sabato. “Stiamo vivendo un paradosso – commenta Nadia Lippa, delegata provinciale di AMICI, che aprirà il convegno in sala Perez -. Da una parte aumentano i pazienti che necessitano di un trattamento biologico. Ma dall’altra a causa dell’alto costo dei farmaci, i Centri veneti autorizzati al trattamento si trovano a fronteggiare con fatica un tetto di spesa fissato dalla Regione che rischia di non garantire le cure adeguate ad ogni paziente“. Tutto questo, mentre sul mercato stanno arrivando nuovi farmaci che potrebbero migliorare ulteriormente la vita di coloro che sono affetti dalle patologie croniche intestinali, come spiegheranno durante l’incontro le specialiste in Gastroenterologia Angela Variola e Arianna Massella.
Un’alternativa meno costosa sono i biosimilari, cioè farmaci che hanno la stessa sicurezza e la stessa efficacia del farmaco biologico originatore precedentemente brevettato e messo in commercio. Il brevetto ha una durata di 20 anni, dopo di che tutte le conoscenze sono a disposizione di altri produttori per realizzare, appunto, i biosimilari. Di questi farmaci parlerà la dottoressa Teresa Zuppini, direttore della Farmacia dell’ospedale di Negrar.
Seguirà l’intervento del dottor Antonio Marchetta, responsabile del Servizio di Reumatologia, che tratterà del tema delle malattie reumatiche come una delle conseguenze delle patologie infiammatorie croniche dell’intestino che spesso oltre a colpire l’apparato gastrointestinale interessano altri distretti.
Infatti quello multidisciplinare resta l’approccio vincente per la diagnosi e la cura di queste malattie. Il Centro di Negrar, che segue circa 1.300 pazienti, vede la collaborazione di un gastroenterologo, di un chirurgo, di un reumatologo, di un oculista e di un dermatologo.
Cancro al seno: quando è un test genetico a prevenirlo
Abbiamo imparato il loro nome dopo il caso di Angelina Jolie. Alle alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 sono imputabili i due terzi delle forme di tumore mammario ereditario. Al Sacro Cuore è possibile sottoporsi al test genetico: ecco per chi è indicato
Il mese di ottobre è tradizionalmente dedicato alla prevenzione del tumore al seno, che nei Paesi occidentali è la neoplasia più frequente nel sesso femminile. In Italia colpisce circa una donna su dieci (si stima che siano 50mila i nuovi casi in Italia per il 2016).
Prevenzione significa stile di vita sano e adesione ai programmi di screening (dai 50 ai 69 anni) o esami periodici nelle fascia di età giovanile. Ma prevenzione significa anche test genetico, là dove vi siano indicazioni che il tumore non è frutto della casualità, ma deriva da una storia familiare.
Presso il Dipartimento di Oncologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dalla dottoressa Stefania Gori, è operativo un Servizio di consulenza genetica oncologica, la cui responsabile è il medico genetista Silvia Mazzola.
Il Servizio di counseling genetico
Lo scopo del Servizio è quello di individuare l’eventuale natura ereditaria del tumore e quindi di proporre il test alla paziente al fine, se dovesse risultare positivo, di pianificare il trattamento futuro della neoplasia e di considerare la possibilità di estendere l’indagine ad altri membri della famiglia. Il Servizio si avvale, nel caso di richiesta da parte della paziente, della consulenza del Servizio di Psicologia clinica, diretto dal dottor Giuseppe Deledda.
I geni BRCA1 e BRCA2
Si valuta che circa il 5-7% di tutti i casi di cancro mammario siano ereditari, cioè dovuti a mutazioni ereditate da uno o da entrambi i genitori. Gli studi finora condotti hanno portato alla conoscenza che l’alterazione dei geni BRCA1 e BRCA2 sono responsabili dei due terzi delle forme di tumore mammario ereditario. E’ nota la vicenda dell’attrice Angelina Jolie, la quale essendo portatrice di questa mutazione si è sottoposta annessectomia bilaterale (cioè all’asportazione di tube ed ovaie) e a mastectomia bilaterale, pur essendo sana, per non ammalarsi di tumore in queste sedi come era avvenuto ad alcune donne della sua famiglia.
Cosa comporta la mutazione di questi geni
Una donna sana con la mutazione di questi geni ha il rischio stimato del 50-80% di sviluppare cancro mammario e del 20-40% di ammalarsi di tumore alle ovaie durante la sua vita. Da questo rischio non sono esenti gli uomini portatori della mutazione, sebbene l’incidenza del cancro mammario maschile sia molto bassa. Anche gli uomini, però, possono trasmette l’alterazione genetica alle figlie femmine. Avere una mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2 significa avere un rischio aumentato di ammalarsi durante la propria vita, ma NON la certezza di ammalarsi: questo concetto deve essere ben chiaro.
A chi è rivolta l’indagine genetica
Il test genetico viene effettuato su un campione di sangue della paziente affetta da carcinoma mammario, di cui viene analizzato il DNA. L’indagine è indicata per le pazienti che appartengono a una famiglia in cui sono numerosi i casi di cancro mammario oppure in cui siano stati diagnosticati carcinomi mammari in giovane età. Se il test evidenzia una mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2, allora viene esteso anche ai familiari sani. L’indagine è sempre preceduta da un colloquio con il medico genetista, che informa la paziente sull’utilità di eseguire il test sia per lei sia per le sue familiari al fine di raggiungere una decisione del tutto consapevole.
Se il test identifica la mutazione
In pazienti con diagnosi di carcinoma mammario oppure in donne sane con mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2, vengono proposti percorsi adeguati per la gestione del singolo caso. Può essere indicato un programma di stretta sorveglianza, con una serie di esami periodici, per identificare l’eventuale insorgere del tumore in fase precoce. Oppure la chirurgia profilattica con l’asportazione degli organi che potrebbero essere colpiti (mammella e ovaie).
Per ulteriori informazioni è disponibile il numero verde del Cancer Care Center: 800 143 143.
elena.zuppini@sacrocuore.it
Non solo Zika: le sfide della medicina per chi viaggia
Gli aggiornamenti sul virus Zika e sul vaccino contro la Dengue saranno al centro del corso di Medicina dei Viaggiatori in programma dal 24 al 28 ottobre, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali
Quali sono i reali rischi che corrono i viaggiatori recandosi nei Paesi dove è presente il virus Zika? A che punto siamo con i vaccini contro malattie che stanno provocando vere e proprie pandemie come la dengue o la West Nile? E ancora, come seguire a livello sanitario i migranti che tornano in patria a visitare amici e parenti dopo molto tempo trascorso in Italia?
Sono questi alcuni dei temi che verranno affrontati nel corso di Medicina dei Viaggi e dei Viaggiatori, rivolto a chi lavora in questo settore, che si terrà dal 24 al 28 ottobre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Il corso, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali diretto dal dottor Zeno Bisoffi, è giunto alla nona edizione e vedrà la partecipazione tra gli altri di Leo Visser, presidente eletto della prestigiosa “International Society of Travel Medicine” (vedi programma corso).
“Sul virus Zika l’attenzione resta molto alta – dice il dottor Andrea Rossanese, coordinatore scientifico del corso e responsabile dell’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Sacro Cuore -. In particolare si è scoperto che questo virus, dopo aver contagiato un uomo, può restare nel suo liquido seminale per due mesi. Ciò significa che un viaggiatore, dopo essere tornato da una zona a rischio, può contagiare la sua compagna anche dopo molte settimane e questo rappresenta un problema se la donna resta incinta perché Zika può provocare gravi danni al feto”. Gli studi hanno stabilito infatti una correlazione tra il virus e la microcefalia nei neonati.
Il problema, sottolinea il dottor Rossanese, richiede ancora più attenzione perché nella maggioranza dei casi la persona contagiata da Zika resta asintomatica. “Per tale motivo l’OMS consiglia di attendere sei mesi per un eventuale concepimento dopo un’esposizione al virus da parte dell’uomo, mentre la donna si libera del virus in tempi un po’ più rapidi e due mesi sono sufficienti”.
Per quanto riguarda il tema dei vaccini, l’attenzione sarà puntata sulla dengue. Il dottor Visser parlerà infatti dei risultati dell’utilizzo su larga scala del vaccino contro questa malattia, attuato per la prima volta in Messico.
Nei cinque giorni di corso saranno affrontati molti altri temi legati alla medicina dei viaggi. Si parlerà ad esempio di quali attenzioni mediche vanno dedicate a particolari categorie di viaggiatori, come gli sportivi di alto livello che si spostano per una competizione, le donne in gravidanza e allattamento o i soggetti immunodepressi. Una sorta di medicina dei viaggiatori “su misura”, in linea con l’esigenza di rispondere a bisogni sempre più precisi e specifici a seconda del viaggio che si va a intraprendere.
Proprio l’attenzione “personalizzata” al viaggiatore e al tipo di viaggio è al centro del lavoro effettuato dall’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Sacro Cuore, che ogni anno fornisce circa mille consulenze a viaggiatori di vario tipo: turisti, lavoratori, missionari, cooperanti, studenti in partenza per un periodo all’estero, migranti che tornano temporaneamente in patria.
Al corso saranno presenti anche i rappresentanti della Società Italiana di Medicina dei Viaggi e della Faculty of Travel Medicine di Glasgow. “Dobbiamo puntare ad un dialogo in rete sempre più efficace tra gli enti scientifici che operano in questo settore – conclude il dott. Rossanese – e questo corso è un’occasione in tal senso. Anche perché la sfida, nella medicina dei viaggiatori come in altri settori, è avere un approccio definito “One Health”, ovvero una visione complessiva sul tema della salute, capace di mettere in relazione la persona con la società, il clima e l’ambiente nel quale si trova a vivere e interagire”.
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Nascere al Sacro Cuore: Open Day di Ostetricia
Sabato 22 ottobre al Centro diagnostico-terapeutico Ospedale Sacro Cuore (Verona) le ostetriche del Punto Nascita di Negrar saranno a disposizione delle future e neomamme per un’intera giornata dedicata al meraviglioso evento della nascita
Sarà una giornata dedicata al meraviglioso evento della nascita e alle prime settimane di vita del bambino quello che si svolgerà sabato 22 ottobre dalle 10-17 al Centro diagnostico terapeutico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco 121, a Verona.
Le ostetriche dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria saranno a disposizione dei futuri e dei neogenitori per illustrare i servizi del Centro dedicati alla mamma e al neonato e il Punto Nascita di Negrar, dove all’anno vengono alla luce circa mille bambini.
L’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, dispone di quattro accoglienti sale travaglio-parto, di cui una dotata della vasca per il travaglio e il parto in acqua. Durante l’assistenza viene posta particolare attenzione alle posizioni preferite dalla partoriente e si può effettuare, gratuitamente, 24 ore su 24, per tutto l’arco dell’anno, il parto indolore (anestesia epidurale). Adiacenti al reparto si trovano le sale operatorie di cui una dedicata al parto cesareo.
Durante l’Open Day di Ostetricia, sarà possibile visitare gli spazi allestiti in via San Marco dove si svolgono i corsi di accompagnamento alla nascita, i gruppi e la ginnastica dopo-parto e il massaggio infantile.
La maternità protagonista anche dell’arte. Il percorso dei visitatori sarà accompagnato dalla mostra fotografica di Livia Salviati e dall’esibizione, a fine giornata, delle ballerine Camilla Ferrarese, Michela Oldin e Ginetta Mercati della compagnia di danza Sisina Augusta.
Sarà offerto un buffet.
Per informazioni: 045.6014844; e-mail: ostetriche.sanmarco@sacrocuore.it
Inaugurate le nuove degenze di Geriatria e Malattie Tropicali
Questa mattina in occasione della festa di S. Giovanni Calabria sono stati inaugurati i lavori di ristrutturazione del quarto piano dello stabile dedicato al Santo veronese. La Medicina Tropicale è stata dotata di stanze a medio e alto isolamento
Due reparti completamente rinnovati, pensati per il benessere e per il comfort del paziente e dotati di tutti i dispositivi tecnologici necessari per il tipo di assistenza a cui sono dedicati. E’ questo il risultato della ristrutturazione del quarto piano dell’ospedale Don Calabria di Negrar, che ospita l’Unità Operativa di Geriatria e le degenze del Centro per le Malattie Tropicali.
Ad inaugurarli questa mattina è stata la benedizione del superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, padre Miguel Tofful, in occasione della tradizionale Festa di San Giovanni Calabria fondatore della Cittadella della Carità, di cui fa parte l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi video dell’inaugurazione e interviste).
“Credo che questo piano, dove ci troviamo, sarebbe stato particolarmente caro a don Calabria – ha detto il presidente dell’ospedale, fratel Gedovar Nazzari -. La Medicina Tropicale si occupa delle malattie originarie dei Paesi in via di sviluppo, quindi dei poveri del mondo e dei migranti. Le cosiddette malattie dimenticate dall’opinione pubblica e dagli investimenti della scienza e dell’industria farmaceutica. La Geriatria tratta altre povertà: la fragilità dei nostri anziani che spesso, oltre a essere colpiti dai mali della vecchiaia, soffrono di un’altra brutta malattia, la solitudine. Vengono anche loro dimenticati, anche se potrebbero dare ancora molto alla nostra comunità”.
Ad illustrare i contenuti della ristrutturazione è stato l’amministrazione delegato Mario Piccinini, che ha sottolineato in particolare la realizzazione di un reparto di Malattie Tropicali dotato di stanze a medio e alto isolamento. “Le nove stanze sono predisposte per l’isolamento respiratorio, cioè possono diventare a pressione negativa, ovvero più bassa rispetto ai locali adiacenti, impedendo così all’agente patogeno di diffondersi all’esterno della stanza stessa – ha illustrato – Inoltre è stata realizzata per ogni stanza di degenza un’anticamera-filtro che separa l’esterno dal locale dove si trova il paziente”. Due stanze singole sono riservate per l’alto isolamento, cioè predisposte per malattie virali ad elevata contagiosità anche da contatto. Si differenziano per l’ampia anticamera-filtro che dispone di un’entrata e di un’uscita separate. L’operatore entra nello “spazio pulito” per le procedure igieniche e per la vestizione. Uscito dalla stanza del paziente, il medico o l’infermiere entra nello “spazio sporco” dove si sveste prima di ritornare in reparto.
“La maggior parte dei casi che trattiamo non sono contagiosi – ha detto il dottor Zeno Bisoffi, direttore del Centro delle Malattie Tropicali, una delle eccellenze italiane in questo campo -. Allora qualcuno potrebbe chiedersi perché un investimento simile nel nostro ospedale. La spiegazione si trova nel fatto che esiste un rischio, seppur remoto di infezioni gravi ad alta contagiosità. Ebola ci ha insegnato che malattie simili possono arrivare anche in Europa. Magari non si presenteranno mai da noi, ma è necessario essere preparati a questa evenienza. E ritengo che questo investimento qualifichi ulteriormente il “Sacro Cuore Don Calabria” come servizio pubblico”.
Per il reparto di Geriatria la ristrutturazione ha realizzato 14 stanze completamente rinnovate (una sola da tre letti) e alcuni spazi comuni, come un soggiorno dove i familiari possono incontrare i degenti e aiutarli a camminare, grazie alla presenza di attrezzature dedicate. “Voglio pensare questi nuovi ambienti– ha affermato la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità Operativa – come l’immagine di una geriatria, in senso di specialità medica, rinnovata. Oggi il geriatra non è più il “medico dei vecchi”, che si prende cura esclusivamente del paziente fragile arrivato nella fase finale della sua vita. Con l’aumento della vita media e con una chirurgia che interviene con successo anche su coloro che un tempo erano considerati i grandi vecchi, il geriatra assume, con la sua peculiarità di saper valutare in modo multidimensionale il paziente, un ruolo di stretto collaboratore di altri specialisti per supportali nel processo di cura dell’anziano e aiutarlo a recuperare il benessere e l’autonomia che aveva prima della malattia”.
All’inaugurazione è intervenuto anche Pietro Girardi, direttore generale dell’Ulss 20 e commissario straordinario della Ulss 21 e 22. “Ringrazio questo ospedale come dirigente sanitario per l’attività che svolge, ma anche come cittadino. Perché questi due reparti rappresentano il futuro dell’assistenza sanitaria. La nostra società sta invecchiando e con le migrazioni è inevitabile dover trattare anche malattie non endemiche”.