C'è un ponte tra Negrar e il Brasile

Intervista a fratel Noivar Brustolin, direttore dell’ospedale Divina Providência di Marituba con cui da molti anni il Sacro Cuore ha avviato programmi di collaborazione

Siamo alle porte della foresta amazzonica, alla periferia della città di Belèm. Lo stato è quello del Parà, nel nord-est del Brasile. Qui sorge Marituba, un tempo colonia di lebbrosi e oggi città di centotrentamila abitanti in continua espansione, alle prese con gravi problemi di povertà e criminalità. A Marituba è presente una grande missione dell’Opera Don Calabria con scuole, attività pastorali e attività sanitarie. Tra queste ultime è da annoverare l’ospedale Divina Providência, fondato nel 1997, con cui da oltre dieci anni l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar ha avviato programmi di aiuto e collaborazione.

Nei giorni scorsi è stato a Negrar fratel Noivar Brustolin, da sei anni direttore del Divina Providência e religioso brasiliano dell’Opera Don Calabria. Lo abbiamo intervistato, chiedendogli di presentare il contesto nel quale si trova l’ospedale di Marituba e di parlarci della collaborazione con il Sacro Cuore Don Calabria.

 

Buongiorno fratel Noivar. Cosa può dirci della realtà in cui sorge l’ospedale?

L’ospedale sorge a Marituba, un comune a 20 km dalla capitale del Parà, cioè Belèm. All’inizio questo luogo era una colonia per lebbrosi e solo una ventina d’anni fa è diventato un vero e proprio comune. Oggi Marituba è in continua espansione ed è arrivata ad avere 130mila abitanti. La maggior parte di loro non sono nativi di qui, ma provengono dall’interno del Parà.

 

Com’è nato l’ospedale?

L’ospedale è nato soprattutto per iniziativa di mons. Aristide Pirovano, un vescovo italiano che ha donato la propria vita per i lebbrosi di questi luoghi. Mons. Pirovano, prima di morire, aveva fortemente voluto un ospedale per garantire l’accesso a cure di qualità ai lebbrosi e ai loro familiari, che erano sempre stati emarginati dalla società brasiliana. Poi il sogno è diventato realtà grazie alla collaborazione dell’Opera Don Calabria che fin dall’inizio degli anni Novanta era presente a Marituba in appoggio a mons. Pirovano. Una bella mano è arrivata poi, anche per la successiva crescita dell’ospedale, dall’associazione “Amici di mons. Pirovano” che ha sede a Erba (Como).

 

Ma oggi il Divina Providência offre cure a tutta la popolazione e non solo ai lebbrosi…

Certamente. È nato con un’attenzione particolare ai lebbrosi, ma oggi è punto di riferimento per tutta la popolazione del comune di Marituba e di altri 35 comuni che altrimenti non avrebbero un ospedale dove mandare i propri abitanti. Abbiamo 130 posti letto, di cui 90 sono convenzionati per il servizio pubblico brasiliano, mentre i restanti sono riservati a coloro che aderiscono ai piani di salute privati, che sono molto diffusi in Brasile. I collaboratori dell’ospedale sono 500, di cui 120 medici.

 

Com’è strutturato l’ospedale?

Ci sono quattro aree di base: pediatria, ostetricia e ginecologia, medicina, chirurgia generale. Poi ci sono alcuni reparti particolarmente sviluppati per rispondere ai bisogni del territorio. Ad esempio si fa un grosso lavoro per quel che riguarda la traumatologia, perché da noi arrivano moltissime vittime di incidenti stradali, in quanto Marituba si trova lungo l’unica grande autostrada che porta a Belèm. Gli interventi in questo campo sono 100-120 ogni mese.

 

Quali sono le altre aree sviluppate in base ai bisogni del territorio?

Per esempio è molto importante la maternità. Noi siamo l’unico ospedale della zona in cui sono sempre presenti un’ostetrica e un anestesista, per cui tantissime mamme della regione vengono a partorire da noi. Attualmente facciamo circa 250 parti al mese. Un altro servizio molto importante è quello di emodialisi, avviato grazie alla collaborazione dell’ospedale di Negrar, servizio che prima di noi mancava completamente nella regione. Attualmente abbiamo 132 pazienti, con 25 macchine. I pazienti vengono un giorno sì e un giorno no all’ospedale, arrivando anche da comuni molto lontani. In un caso c’è una corriera che viene ogni altro giorno da quasi 300 km con 15-20 pazienti. Poi ci sono molti altri servizi, dall’urologia all’oculistica, dalla neurochirurgia all’otorinolaringoiatria…

 

Può parlarci della collaborazione con l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar?

Sono più di 10 anni che l’ospedale Divina Providência vive un rapporto di collaborazione con Negrar, da quando un gruppo di medici si sono messi a disposizione per collaborare con Marituba. In particolare sono due i settori da cui è partita questa collaborazione, ovvero la pneumologia con il dott. Carlo Pomari e la neurologia con il dott. Claudio Bianconi, insieme ai rispettivi collaboratori. Sono venuti là, hanno visto i fabbisogni, hanno aiutato nell’aggiornamento delle attrezzature, nella formazione del personale, nella pianificazione delle attività…

 

Nel tempo la collaborazione è andata crescendo…

Sì, anche grazie all’aiuto dell’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana) e del Centro di Formazione e Solidarietà sorto nell’ospedale di Negrar. Ogni anno ci sono stati scambi di personale, con molti medici e infermieri che dall’Italia sono venuti ad aiutare da noi a Marituba, in varie aree. La collaborazione si è poi allargata alle università, ad esempio c’è una convenzione tra l’ateneo di Parma (attraverso il dott. Casalini) e l’università federale del Parà per favorire gli interscambi formativi.

 

Quali risultati sta portando questo rapporto tra Negrar e Marituba?

I risultati sono tanti, ma vorrei sottolineare soprattutto come questo rapporto sia stato e sia tuttora un grosso stimolo alla formazione e alla crescita per il nostro personale. Per questo negli ultimi anni l’ospedale Divina Providência ha potuto fare un grande salto nella qualità delle prestazioni sanitarie, allargando costantemente i servizi offerti in stretta relazione ai bisogni della regione.

 

E ora?

Naturalmente speriamo che questa collaborazione possa proseguire e rafforzarsi sempre di più per migliorare il servizio che offriamo qui alla popolazione. Riguardo ai nostri progetti, attualmente stiamo allargando il centro ostetrico e stiamo pensando di creare un centro di parto naturale, per garantire un trattamento sempre più umanizzato alle madri. E poi c’è il sogno della rianimazione neonatale. Inoltre è prevista la costruzione di un centro clinico e di formazione per chi viene qui a fare stage e a formarsi.


Vacanze esotiche, ma in piena salute

Unico Servizio presente nella provincia, tratta anche le metastasi ossee dei tumori prostatici. Sono in fase di avvio protocolli per la cura delle neoplasie mammarie e di quelle neuroendrocrine del pancreas e dell’intestino

La Terapia Radiometabolica, la cui attività è iniziata nel settembre dello scorso anno, ha avviato nuovi protocolli terapeutici per i tumori differenziati della tiroide. Inoltre da alcuni mesi il Servizio, che fa parte della Medicina Nucleare diretta dal dottor Matteo Salgarello, ha iniziato a trattare, con terapie alfa-emittenti, le metastasi ossee dei tumori prostatici ormono-resistenti.

Partiranno a breve due trial di Fase 2 per il trattamento delle metastasi ossee nelle neoplasie mammarie con terapie alfa-emittenti. Inoltre i protocolli per le cure radiometaboliche relative alle neoplasie neuroendocrine del pancreas e dell’intestino verranno a breve sottoposte all’attenzione del Comitato etico provinciale.

La terapia radiometabolica consiste nel trattamento, prevalentemente di malattie tumorali, con radiofarmaci somministrati per bocca o endovena. Alcuni radiofarmaci necessitano di un complesso processo di sintesi chimica che a Negrar è realizzato nell’adiacente radiofarmacia, con l’acquisto dall’esterno del solo elemento radioattivo.

Ad oggi il Servizio del Sacro Cuore Don Calabria, l’unico presente nel Veronese, ha curato con Iodio 131 un centinaio di pazienti affetti da tumore alla tiroide già sottoposti ad intervento chirurgico. Pazienti che, per il trattamento, fino a pochi mesi fa avrebbero dovuto recarsi fuori provincia.

Utilizzando farmaci radioattivi, la legislazione italiana per l’erogazione delle terapie radiometaboliche, prevede che l’ospedale sia munito di una serie di strutture e tecnologie atte a tutelare la salute degli operatori e l’ambiente.

A questo scopo il Sacro Cuore Don Calabria ha realizzato una sezione di degenza protetta con quattro posti letto. Le due “stanze gemelle” hanno muri della larghezza di 60 centimetri e possiedono un sistema di gestione controllata degli scarichi per l’azzeramento della radioattività immessa nella rete fognaria.

Durante la degenza (che può variare dai due a 4 giorni) i pazienti sono videosorvegliati dal personale sanitario 24 ore su 24 e possono disporre di televisore, collegamento wireless, telefono e anche di un Ipad con lo scopo di ridurre al minimo i contatti con il personale e rendere meno stressante la degenza in “isolamento”.


Dal personale ospedaliero un aiuto alle missioni

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I fondi di una sottoscrizione promossa tra i collaboratori della Cittadella della Carità sono stati inviati nelle Filippine per un progetto di prevenzione contro la tubercolosi

Cinquemilacinquecento euro per garantire un ciclo semestrale di cure a 50 malati di tubercolosi di Manila, nelle Filippine. E altri duemila euro per sostenere interventi di aiuto in Nepal dopo il disastroso terremoto dello scorso maggio. Sono questi i risultati della sottoscrizione di solidarietà promossa tra i collaboratori dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e di tutta la Cittadella della Carità di Negrar in occasione della quaresima 2015. I fondi sono stati raccolti attraverso offerte dirette e soprattutto sotto forma di ore lavoro donate volontariamente dal personale dell’ospedale.

Non è la prima iniziativa di questo tipo al Sacro Cuore, dal momento che anche in passato erano state attivate forme di aiuto in occasione di eventi particolari, come il terremoto in Emilia del 2012. “Siamo molto contenti del successo dell’iniziativa e contiamo di riproporla in futuro per aiutare altri progetti missionari”, dice don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale e religioso dell’Opera Don Calabria.

I fondi raccolti sono stati indirizzati all’associazione “Don Calabria Missioni Sostegno Sanità Onlus”, ente dell’Opera Don Calabria che si occupa dei progetti missionari gestiti dall’Opera nel mondo. Come detto, la maggior parte della somma è stata destinata al progetto di prevenzione e cura della tubercolosi nella missione calabriana di Manila, promosso proprio da “Don Calabria Missioni”.

Nella capitale filippina l’Opera Don Calabria è presente da 25 anni in un grande quartiere denominato Tay Tay – Rizal, all’estrema periferia della città. Qui i missionari hanno una parrocchia, una scuola per 600 bambini e la clinica “Francesco Perez” che fornisce prestazioni ambulatoriali ai più poveri. Una delle emergenze sanitarie segnalate dai missionari nella zona è rappresentata proprio dalla tubercolosi: moltissime persone sono malate e solo pochi possono permettersi di seguire un intero ciclo di cure. Con i fondi donati dal personale ospedaliero, 50 persone del quartiere potranno essere seguite e curate nella clinica Perez.

Dal momento che il progetto di prevenzione della tbc prevedeva un contributo di cinquemilacinquecento euro, mentre i fondi raccolti al Sacro Cuore sono stati pari a settemilaseicento euro, si è deciso di destinare il rimanente a un altro progetto missionario di solidarietà. Perciò i duemila euro avanzati sono stati indirizzati, sempre attraverso “Don Calabria Missioni”, alla ONG Pro.Sa Onlus, associazione facente capo alla Provincia Lombardo Veneta dei Padri Camilliani. I fondi sono stati quindi destinati ai progetti di aiuto dei Camilliani in Nepal dopo il recente terremoto.


Terapia Radiometabolica: non solo tumori della tiroide

Unico Servizio presente nella provincia, tratta anche le metastasi ossee dei tumori prostatici. Sono in fase di avvio protocolli per la cura delle neoplasie mammarie e di quelle neuroendrocrine del pancreas e dell’intestino

La Terapia Radiometabolica, la cui attività è iniziata nel settembre dello scorso anno, ha avviato nuovi protocolli terapeutici per i tumori differenziati della tiroide. Inoltre da alcuni mesi il Servizio, che fa parte della Medicina Nucleare diretta dal dottor Matteo Salgarello, ha iniziato a trattare, con terapie alfa-emittenti, le metastasi ossee dei tumori prostatici ormono-resistenti.

Partiranno a breve due trial di Fase 2 per il trattamento delle metastasi ossee nelle neoplasie mammarie con terapie alfa-emittenti. Inoltre i protocolli per le cure radiometaboliche relative alle neoplasie neuroendocrine del pancreas e dell’intestino verranno a breve sottoposte all’attenzione del Comitato etico provinciale.

La terapia radiometabolica consiste nel trattamento, prevalentemente di malattie tumorali, con radiofarmaci somministrati per bocca o endovena. Alcuni radiofarmaci necessitano di un complesso processo di sintesi chimica che a Negrar è realizzato nell’adiacente radiofarmacia, con l’acquisto dall’esterno del solo elemento radioattivo.

Ad oggi il Servizio del Sacro Cuore Don Calabria, l’unico presente nel Veronese, ha curato con Iodio 131 un centinaio di pazienti affetti da tumore alla tiroide già sottoposti ad intervento chirurgico. Pazienti che, per il trattamento, fino a pochi mesi fa avrebbero dovuto recarsi fuori provincia.

Utilizzando farmaci radioattivi, la legislazione italiana per l’erogazione delle terapie radiometaboliche, prevede che l’ospedale sia munito di una serie di strutture e tecnologie atte a tutelare la salute degli operatori e l’ambiente.

A questo scopo il Sacro Cuore Don Calabria ha realizzato una sezione di degenza protetta con quattro posti letto. Le due “stanze gemelle” hanno muri della larghezza di 60 centimetri e possiedono un sistema di gestione controllata degli scarichi per l’azzeramento della radioattività immessa nella rete fognaria.

Durante la degenza (che può variare dai due a 4 giorni) i pazienti sono videosorvegliati dal personale sanitario 24 ore su 24 e possono disporre di televisore, collegamento wireless, telefono e anche di un Ipad con lo scopo di ridurre al minimo i contatti con il personale e rendere meno stressante la degenza in “isolamento”.


Con Calypso la radioterapia va a bersaglio

La dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’U.O. di Geriatria, spiega quali sono le categorie più a rischio e cosa si può fare per ridurre i disagi durante le ondate di calore

Perchè gli anziani sono considerati a rischio ogni volta che c’è un’ondata di calore come quella che stiamo vivendo? In cosa consiste esattamente questo rischio? E quali sono i comportamenti da seguire per godersi l’estate senza troppi patemi anche durante la terza età? Abbiamo posto queste ed altre domande alla dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità Operativa di Geriatria all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

Dottoressa, tutti gli anziani sono a rischio quando c’è un’ondata di calore?
Bisogna intendersi sul termine “anziani”. Diciamo che le persone maggiormente a rischio sono quelle che hanno più di 75 anni e presentano già condizioni precarie di salute per altri motivi. Viceversa, persone con meno di 75 anni, che stanno bene e sono mediamente attive, corrono più o meno gli stessi rischi di un qualsiasi altro adulto.

Quali condizioni patologiche rendono l’anziano più vulnerabile al caldo?
Senz’altro deve stare più attento chi soffre di cardiopatia o di patologie croniche a livello polmonare o renale. Anche chi ha problemi di decadimento cognitivo o Parkinson è facilmente soggetto a disidratazione. Ma il discorso vale in generale per tutti coloro che non sono pienamente autosufficienti, trovandosi magari in situazioni di mobilità ridotta e con terapie farmacologiche pesanti da seguire.

Ci sono motivi fisiologici che portano gli anziani a soffrire particolarmente il caldo?
I motivi sono sostanzialmente due: da un lato l’anziano sente meno lo stimolo della sete, dall’altro ha una sudorazione inadeguata a regolare correttamente la temperatura corporea quando fa molto caldo. Tra l’altro spesso questa condizione diventa un circolo vizioso, perché bevendo poco, si suda poco e così la temperatura corporea sale mentre il corpo si disidrata sempre di più.

Quali comportamenti bisogna seguire per ridurre i rischi?
Il primo antidoto alla disidratazione è una dieta equilibrata, con molta frutta e verdura di stagione. In tal senso vanno bene anche le spremute, i succhi, così come i gelati con i pezzettoni di frutta dentro. Poi bisogna bere a intervalli regolari, adeguando il consumo di liquidi alla sudorazione. È importante stare in luoghi freschi e non uscire nelle ore più calde.

Aria condizionata: sì o no?
Direi che anche gli anziani vanno abituati a usare il condizionatore in casa, mantenendo una temperatura intorno ai 26 gradi e riducendo il livello di umidità. L’importante è che il condizionamento sia usato in modo costante e non a momenti, perchè non vanno bene nemmeno gli sbalzi di temperatura. Anche l’abbigliamento è da tenere in considerazione: abiti larghi in cotone e lino sono da preferire ad abiti più pesanti che talvolta gli anziani usano d’estate.

Quali sono i sintomi di disidratazione o di un eventuale colpo di calore?
I sintomi di un malessere da caldo sono vari. Generalmente partono leggeri e poi vanno in crescendo. Si va dai crampi alla stanchezza, dal calo di pressione alle vertigini. Altri sintomi sono l’eccessiva sonnolenza, la sensazione di bocca asciutta, la cefalea, talvolta uno stato confusionale. Poi, con l’aggravamento, si hanno aumento della temperatura corporea, battito accelerato, agitazione crescente, pressione sempre più bassa, talvolta alterazione dello stato di coscienza.

Cosa fare quando ci si accorge che un anziano ha un malore da caldo?
Bisogna anzitutto tenere l’anziano in luogo fresco e fargli spugnature, bagnandolo con pezzette umide. Poi è necessario fargli assorbire liquidi, anche sotto forma di purea di frutta. Nei casi più gravi, o quando l’anziano ha difficoltà a deglutire e quindi a reintegrare i liquidi persi, è necessario chiamare il medico di base. In quel caso si dovrà procedere con le flebo. Se poi ci sono ulteriori complicazioni, la strada più opportuna potrà essere quella del Pronto Soccorso.

Ci sono invece dei comportamenti da evitare?
In caso di febbre dovuta a colpo di calore non va bene usare il paracetamolo, in quanto inefficace e a rischio di effetti collaterali. Non va bene nemmeno cercare refrigerio dal caldo con i ventilatori, specie se la temperatura supera i 32 gradi. Infatti l’aria asciuga il sudore che servirebbe al corpo per riequilibrare la temperatura. Sudando meno, la temperatura corporea rimane in realtà più alta, quindi si ottiene l’effetto contrario a quello desiderato.

Cosa consiglia a chi si prende cura di anziani a rischio?
La cosa fondamentale per chi si prende cura di un anziano, specie se non autosufficiente, è dargli da bere a orari fissi, in modo da non dimenticarsi. E poi tenere sotto controllo la temperatura delle stanze. È bene ricordare che può bastare un solo pomeriggio caldo per causare disidratazione e colpo di calore in un anziano. Chiaramente il rischio aumenta con la maggior durata delle ondate di calore, perché l’eventuale disidratazione, se non adeguatamente integrata, prosegue per più giorni.

Vedete molti casi qui in geriatria al Sacro Cuore?
Durante l’estate arrivano qui diversi casi di anziani sofferenti per il caldo. Molti di loro vengono mandati qui dal Pronto Soccorso, soprattutto nei casi più gravi, dove il quadro clinico generale è complicato da altre patologie. Nei casi più lievi, invece, l’anziano viene curato direttamente al Pronto Soccorso con una terapia basata sulla reidratazione con flebo.


Anziani e caldo, consigli pratici per evitare i malesseri

La dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’U.O. di Geriatria, spiega quali sono le categorie più a rischio e cosa si può fare per ridurre i disagi durante le ondate di calore

Perchè gli anziani sono considerati a rischio ogni volta che c’è un’ondata di calore come quella che stiamo vivendo? In cosa consiste esattamente questo rischio? E quali sono i comportamenti da seguire per godersi l’estate senza troppi patemi anche durante la terza età? Abbiamo posto queste ed altre domande alla dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità Operativa di Geriatria all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

Dottoressa, tutti gli anziani sono a rischio quando c’è un’ondata di calore?
Bisogna intendersi sul termine “anziani”. Diciamo che le persone maggiormente a rischio sono quelle che hanno più di 75 anni e presentano già condizioni precarie di salute per altri motivi. Viceversa, persone con meno di 75 anni, che stanno bene e sono mediamente attive, corrono più o meno gli stessi rischi di un qualsiasi altro adulto.

Quali condizioni patologiche rendono l’anziano più vulnerabile al caldo?
Senz’altro deve stare più attento chi soffre di cardiopatia o di patologie croniche a livello polmonare o renale. Anche chi ha problemi di decadimento cognitivo o Parkinson è facilmente soggetto a disidratazione. Ma il discorso vale in generale per tutti coloro che non sono pienamente autosufficienti, trovandosi magari in situazioni di mobilità ridotta e con terapie farmacologiche pesanti da seguire.

Ci sono motivi fisiologici che portano gli anziani a soffrire particolarmente il caldo?
I motivi sono sostanzialmente due: da un lato l’anziano sente meno lo stimolo della sete, dall’altro ha una sudorazione inadeguata a regolare correttamente la temperatura corporea quando fa molto caldo. Tra l’altro spesso questa condizione diventa un circolo vizioso, perché bevendo poco, si suda poco e così la temperatura corporea sale mentre il corpo si disidrata sempre di più.

Quali comportamenti bisogna seguire per ridurre i rischi?
Il primo antidoto alla disidratazione è una dieta equilibrata, con molta frutta e verdura di stagione. In tal senso vanno bene anche le spremute, i succhi, così come i gelati con i pezzettoni di frutta dentro. Poi bisogna bere a intervalli regolari, adeguando il consumo di liquidi alla sudorazione. È importante stare in luoghi freschi e non uscire nelle ore più calde.

Aria condizionata: sì o no?
Direi che anche gli anziani vanno abituati a usare il condizionatore in casa, mantenendo una temperatura intorno ai 26 gradi e riducendo il livello di umidità. L’importante è che il condizionamento sia usato in modo costante e non a momenti, perchè non vanno bene nemmeno gli sbalzi di temperatura. Anche l’abbigliamento è da tenere in considerazione: abiti larghi in cotone e lino sono da preferire ad abiti più pesanti che talvolta gli anziani usano d’estate.

Quali sono i sintomi di disidratazione o di un eventuale colpo di calore?
I sintomi di un malessere da caldo sono vari. Generalmente partono leggeri e poi vanno in crescendo. Si va dai crampi alla stanchezza, dal calo di pressione alle vertigini. Altri sintomi sono l’eccessiva sonnolenza, la sensazione di bocca asciutta, la cefalea, talvolta uno stato confusionale. Poi, con l’aggravamento, si hanno aumento della temperatura corporea, battito accelerato, agitazione crescente, pressione sempre più bassa, talvolta alterazione dello stato di coscienza.

Cosa fare quando ci si accorge che un anziano ha un malore da caldo?
Bisogna anzitutto tenere l’anziano in luogo fresco e fargli spugnature, bagnandolo con pezzette umide. Poi è necessario fargli assorbire liquidi, anche sotto forma di purea di frutta. Nei casi più gravi, o quando l’anziano ha difficoltà a deglutire e quindi a reintegrare i liquidi persi, è necessario chiamare il medico di base. In quel caso si dovrà procedere con le flebo. Se poi ci sono ulteriori complicazioni, la strada più opportuna potrà essere quella del Pronto Soccorso.

Ci sono invece dei comportamenti da evitare?
In caso di febbre dovuta a colpo di calore non va bene usare il paracetamolo, in quanto inefficace e a rischio di effetti collaterali. Non va bene nemmeno cercare refrigerio dal caldo con i ventilatori, specie se la temperatura supera i 32 gradi. Infatti l’aria asciuga il sudore che servirebbe al corpo per riequilibrare la temperatura. Sudando meno, la temperatura corporea rimane in realtà più alta, quindi si ottiene l’effetto contrario a quello desiderato.

Cosa consiglia a chi si prende cura di anziani a rischio?
La cosa fondamentale per chi si prende cura di un anziano, specie se non autosufficiente, è dargli da bere a orari fissi, in modo da non dimenticarsi. E poi tenere sotto controllo la temperatura delle stanze. È bene ricordare che può bastare un solo pomeriggio caldo per causare disidratazione e colpo di calore in un anziano. Chiaramente il rischio aumenta con la maggior durata delle ondate di calore, perché l’eventuale disidratazione, se non adeguatamente integrata, prosegue per più giorni.

Vedete molti casi qui in geriatria al Sacro Cuore?
Durante l’estate arrivano qui diversi casi di anziani sofferenti per il caldo. Molti di loro vengono mandati qui dal Pronto Soccorso, soprattutto nei casi più gravi, dove il quadro clinico generale è complicato da altre patologie. Nei casi più lievi, invece, l’anziano viene curato direttamente al Pronto Soccorso con una terapia basata sulla reidratazione con flebo.


Mastectomia e ricostruzione nello stesso intervento

Una nuova tecnica che grazie a una membrana di origine animale consente la mastectomia e la ricostruzione della mammella nello stesso intervento

La ricostruzione definitiva del seno contemporaneamente all’intervento di mastectomia, grazie a una membrana di derma rigenerato di origine suina o bovina. È la tecnica chirurgica usata da più di un anno dalla Chirurgia Plastica dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretta dal dottor Cesare Cristofoli, in collaborazione con la Chirurgia Senologica, coordinata dal dottor Alberto Massocco (rispettivamente a destra e sinistra nella Photo Gallery). Quello calabriano è uno dei primi centri in Italia ad adottare e perfezionare questo tipo di intervento.

Un vantaggio enorme per la paziente dal punto di vista psicologico che in una sola seduta operatoria viene sottoposta ad un intervento radicale per l’asportazione del tumore e nello stesso tempo non sperimenta la privazione della sua integrità fisica ed estetica.

La tecnica classica prevede che dopo la mastectomia, alla paziente sia inserito un espansore per rendere la tasca dove troverà alloggio la protesi futura al di sotto della cute della mammella – formata dal muscolo pettorale, dalla fascia del muscolo obliquo esterno e da una parte del piccolo pettorale – abbastanza ampia e stabile nel tempo. Quest’ultima viene inserita in un secondo intervento, a distanza di un tempo variabile dai 3 ai 6 mesi a seconda che siano necessari o meno cicli di radio e/o di chemioterapia. “La membrana invece – spiega il dottor Cristofoli – ci permette di creare, agganciandola al muscolo pettorale, una tasca idonea alla protesi nello stesso intervento in cui avviene l’asportazione del tumore”.

Una soluzione che consente alla paziente, dopo quindici giorni dall’intervento, di tornare alla vita precedente alla diagnosi del tumore, con una buona resa estetica, senza cicatrici evidenti. La membrana inoltre è completamente compatibile ed integrabile con l’organismo umano, in quanto si tratta sì di un derma che deriva dai feti suini o bovini, ma totalmente decellularizzato.

“È un intervento a cui per ora possono essere sottoposte solo le pazienti che hanno un seno di piccole o medie dimensione – sottolinea il chirurgo – e che non necessitano di radioterapia. Anche se non escludiamo che in futuro ormai prossimo con membrane più ampie e con il perfezionamento della procedura chirurgica possiamo venire incontro anche a quelle donne che hanno un seno più abbondante o che si debbano sottoporre alla radioterapia”.

La nuova tecnica si è dimostrata un’arma in più anche in quei casi in cui si sono verificate delle complicanze dopo l’intervento di ricostruzione con espansore o protesi o dei danni causati all’impianto dalla radioterapia. «La ricostruzione mammaria con il derma rigenerato si integra in modo particolare con l’intervento di mastectomia con conservazione del complesso areola-capezzolo» sottolinea il dottor Massocco. Questa tecnica consente, in caso di mammelle dalla dimensione contenuta e quando la neoplasia non è situata in stretta vicinanza del capezzolo, di conservare quest’ultimo raggiungendo così risultati ottimi sia dal punto di vista oncologico che da quello estetico.


Don Luigi Ferrari è tornato alla Casa del Padre

Il sacerdote dell’Opera Don Calabria era stato cappellano alla Cittadella della Carità dal 2005 al 2007

La scorsa notte, all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è morto don Luigi Ferrari, sacerdote Povero Servo della Divina Provvidenza. Aveva 76 anni ed era malato da tempo. Don Luigi era stato cappellano alla Cittadella della Carità di Negrar dal 2005 al 2007. Era tornato a Negrar nel 2012 come ospite di Casa Clero, dopo che le sue condizioni di salute erano peggiorate.

Don Ferrari, veronese di Salionze, era entrato nell’Opera nel 1959 ed era sacerdote dal 1964. Ha prestato servizio in molte Case calabriane. In particolare ha lavorato per oltre 25 anni nelle parrocchie dell’Opera a Napoli e Lamezia Terme, dove lo ricordano ancora in tanti con grande affetto. Negli anni più recenti, prima di passare a Casa Clero, ha fatto parte della comunità di Casa Madre a San Zeno in Monte.

I funerali si svolgeranno sabato 4 luglio proprio a San Zeno in Monte alle 10,00.


In prima linea contro la violenza sui minori

Al Sacro Cuore si è parlato dei sintomi che aiutano il personale sanitario a riconoscere casi di maltrattamento nei bambini più piccoli

Trauma cranico, fratture costali, ecchimosi sul collo o in altri punti “protetti” del corpo, ustioni, emorragia della retina. Ma anche racconti confusi da parte dei genitori, magari non coerenti con il reale quadro clinico del minore. Sono tanti i segnali che dovrebbero indurre particolare attenzione nel personale sanitario chiamato a soccorrere un bambino, specie se in tenera età. “Spie” di una possibile situazione di maltrattamento. Proprio questi segnali sono stati al centro di un incontro di formazione svoltosi il 22 giugno presso l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. L’appuntamento scientifico, promosso dal direttore del Dipartimento di Diagnostica per immagini, Giovanni Carbognin, ha visto la partecipazione di numerosi specialisti.

La prima parte è stata dedicata all’approfondimento della cosiddetta “sindrome da scuotimento”, ovvero una varietà di segni e sintomi, in bambini sotto l’anno di età, dovuti allo scuotimento o altri traumi, che possono portare alla rottura di vasi sanguigni del cervello e della retina.

In realtà, come emerso nell’intervento iniziale della dottoressa Barbara Parolini (Istituto Clinico Sant’Anna), nessuno in Italia sa esattamente quanti bambini piccoli vengano maltrattati. Infatti non risultano dati ufficiali né archivi omogenei su questo tema, almeno per quanto riguarda l’età compresa fra zero e tre anni. Eppure il maltrattamento è riconosciuto come la seconda causa di lesione o di morte entro i primi sei mesi di vita dei bambini, dopo la sindrome della morte in culla. Ed è la seconda causa di morte anche tra i bambini da 1 a 5 anni, dopo gli incidenti.

L’estrema difficoltà ad avere dati precisi deriva dal fatto che in molti casi è problematico accertare la violenza, proprio in ragione della tenera età della vittima, il che fa pensare che moltissimi casi restino sommersi. Tuttavia spesso ci sono dei segnali di maltrattamento ben riconoscibili soprattutto nel quadro clinico del bambino. E questo pone il personale sanitario in prima linea nella lotta al fenomeno, come sottolineato nel suo intervento dal direttore del Pronto Soccorso negrarese, dottor Maurizio Pozzani.

Si tratta di una grande responsabilità per medici e infermieri, tanto più che alcune ricerche condotte negli Stati Uniti attestano che il 20% dei bambini morti per maltrattamenti sono stati visti da personale sanitario nel mese precedente il decesso. Per quanto riguarda il Pronto Soccorso del Sacro Cuore, nel 2013 sono stati 3 i minori vittime di maltrattamento, su un totale di 27, mentre nel 2014 il numero è salito a 5 su un totale di 22. Sono stati invece undici i ragazzi con meno di 18 anni vittime di violenza assistita, cioè “spettatori” di maltrattamenti ai danni di familiari perpetrati da altri congiunti.

A seguire, la pediatra Carla Pizzini (Sacro Cuore Don Calabria) ha delineato un preciso inquadramento clinico dei casi di maltrattamento, ampliando il discorso alle varie forme di violenza riscontrabili a danno di bambini: maltrattamento fisico, trascuratezza, maltrattamento emotivo e psicologico, abusi sessuali. Giuliano Stramare, oculista dello stesso ospedale ha evidenziato come alcuni traumi oculari siano indicativi di violenza sui bambini, specie a seguito di scuotimento.

Particolarmente apprezzato è stato l’intervento del dottor Giulio Zuccoli, direttore della Neuroradiologia al Children Hospital di Pittsburgh (Usa), che ha aggiornato i presenti sulle più moderne tecniche radiologiche per individuare i segnali della sindrome del bambino maltrattato.

La seconda parte dell’incontro ha visto il contributo del neurochirurgo Carlo Mazza, seguito da una discussione sugli aspetti medico-legali e giurisprudenziali della questione, con interventi del medico legale Elisabetta Zaglia (Ulss 20) e del giudice del Tribunale di Verona, Sandro Sperandio. In particolare il magistrato ha sottolineato l’esigenza di una maggior collaborazione fra tutti gli attori coinvolti tale da far emergere i casi di violenza.


Nuova Risonanza Magnetica a prova di claustrofobia

Il Dipartimento di Diagnostica per immagini ha acquisito la terza Risonanza Magnetica da 1,5 Tesla, particolarmente adatta a chi soffre di claustrofobia

Il Dipartimento di diagnostica per immagini, diretto dal dottor Giovanni Carbogni, ha acquisito una terza Risonanza Magnetica.
Si tratta di una RM (Philips Ingenia) è ad alto campo magnetico (1,5 Tesla) che, in questa fascia, è considerata la più evoluta apparecchiatura disponibile al momento sul mercato.
Innanzitutto presenta delle caratteristiche che rendono l’esame per il paziente meno disagevole. Infatti dispone di un “gantry”, ovvero il foro di apertura della macchina dove è posizionata la persona, del diametro di 70 centimetri. L’apertura particolarmente ampia insieme a un innovativo sistema di illuminazione in grado di ridurre la tensione emotiva è adatto soprattutto ai soggetti claustrofobici e “oversize” (ancora oggi, circa il 5% delle persone si rifiuta di sottoporsi all’indagine nel momento del posizionamento all’interno della macchina).
Il modello Ingenia di Philips è innovativo perché è la prima Risonanza Magnetica in cui il segnale acquisito per ottenere le immagini viene trasmesso dalla macchina alla consolle di elaborazione non più attraverso il classico sistema di cavi (analogico), ma mediante fibre ottiche/digitali. Questo comporta una minore dispersione di informazioni, quindi immagini più nitide e la possibilità di eseguire l’esame in tempi più rapidi, anche grazie a “performances” particolarmente elevate del magnete.
La nuova Risonanza va ad affiancarsi alle altre due già presenti nel Dipartimento di Diagnostica per Immagini (entrambe ad alto campo, da 1,5 Tesla). Sarà impiegata particolarmente per esami dell’apparato osteoarticolare e cardiovascolare.
Il Dipartimento di Diagnostica per immagini effettua circa 70 Risonanze Magnetiche al giorno.