Oms: la rosolia non è più endemica in Italia, grazie alla vaccinazione
L’OMS ha annunciato che la rosolia non è più endemica in Italia. Un obiettivo, raggiunto grazie alla copertura vaccinale, che tuttavia non autorizza ad abbassare la guardia. Interruzione della trasmissione endemica non significa eradicazione della malattia, ma che nel nostro Paese si è creato il fenomeno dell’immunità di gregge per la patologia esantematica. Il virus della rosolia, molto pericoloso se contratto in gravidanza, circola ancora
Dopo i terribili anni dell’era Covid, arriva una bella notizia che non riguarda direttamente il famigerato virus Sars-Cov2, ma dimostra ancora una volta quanto i vaccini siano l’arma per eccellenza nella lotta contro i virus. Perché grazie al vaccino, oggi la rosolia non è più endemica in Italia. Ad annunciarlo nei giorni scorsi la Commissione di verifica regionale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per l’eliminazione delle patologia infettiva in Europa. Una malattia esantematica, generalmente lieve, ma se contratta in gravidanza può essere trasmessa al feto (rosolia congenita) con gravi conseguenze fisiche e cognitive ai danni del nascituro.
“Con una copertura vaccinale dei oltre l’80% il nostro Paese ha raggiunto l’immunità di gregge”, spiega il dottor Andrea Rossanese del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria. “Questo significa che se in una stanza delle dieci persone presenti, otto sono state vaccinate, anche le altre due sono protette dal rischio di ammalarsi”.
Un risultato ottenuto dopo oltre mezzo secolo (era il 1972) dall’introduzione del vaccino, che inizialmente veniva somministrato solo alle bambine prima della pubertà in vista di una futura gravidanza. Nei primi anni Novanta, quando è stato immesso sul mercato il vaccino combinato rosolia-parotite-morbillo, la profilassi vaccinale è stata estesa a tutti i nuovi nati, anche ai maschi, dopo il 14° mese di vita (con richiamo tra i 5 e i 6 anni) e nel 2017 è stata resa obbligatoria, con lo scopo, appunto, di bloccare la diffusione del virus,
“Il fatto che in Italia non si registrino casi di rosolia da almeno 12 mesi e che dal 2019 non sia stato notificato alcun caso di rosolia congenita, non ci autorizza ad abbassare la guardia”, sottolinea il dottor Rossanese. “Interruzione della trasmissione endemica, non significa eradicazione del virus, come per esempio è accaduto in tutto il mondo per il vaiolo, nel 1980, sempre grazie alla vaccinazione. Il virus della rosolia in Italia circola ancora, ma si è creato quel fenomeno (l’immunità di gregge) per cui anche chi non si è vaccinato o non ha acquisito l’immunità naturale è protetto. Ma se la copertura vaccinale scende sotto una determinata percentuale (l’80%) potremmo assistere a un aumento vertiginoso dei casi”.
Pertanto, continua Rossanese, “oltre al rispetto del calendario vaccinale per i nuovi nati, è particolarmente importante che le donne in età fertile, prima di iniziare una gravidanza, verifichino se si sono sottoposte a vaccino o hanno in passato contratto l’infezione. Nel caso contrario è altamente consigliabile procedere con la profilassi vaccinale. Lo stesso dovrebbero fare coloro che si recano all’estero per lavoro o per turismo: sono ancora tanti i Paesi in cui la rosolia è molto diffusa”.
Aneurisma dell’aorta addominale: l'anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto tradizionale
I primi interventi all’IRCCS di Negrar. “Inerte e atossica, consente il trattamento anche per pazienti con grave insufficienza renale per i quali era precluso l’intervento, a causa dello iodio, tossico per i reni, contenuto nel mezzo di contrasto tradizionale”, afferma il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare
L’utilizzo dell’anidride carbonica in alternativa al mezzo di contrasto iodato apre nuove prospettive per i pazienti ai quali era precluso l’intervento per aneurisma dell’aorta proprio a causa dello iodio tossico per i reni contenuto nel farmaco.
Nelle scorse settimane all’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria sono stati eseguiti i primi due trattamenti chirurgici vascolari utilizzando la Co2, su due pazienti affetti da aneurisma dell’aorta addominale con grave insufficienza renale cronica, a causa della quale la somministrazione del mezzo di contrasto iodato avrebbe comportato gravi complicanze.
Una procedura adottata in pochi centri d’Italia, in quanto richiede non solo una elevata expertise da parte del chirurgo vascolare, ma anche una tecnologia adeguata, fatta di una pompa in grado di iniettare determinati volumi di Co2, associata a un angiografo dotato di un particolare software dedicato a questo tipo di procedure.
“L’aneurisma dell’aorta è una dilatazione anomala dell’arteria che comporta un alto rischio di rottura della parete, un evento che quando avviene ha un indice di mortalità del 70-80%”, spiega il dottor Luca Garriboli, direttore della Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar. “Prima dell’inserimento della protesi attraverso l’arteria femorale, che va a creare un nuovo condotto per il flusso del sangue, impedendo a questo di fare pressione sulla parete, è necessario ‘scattare la fotografia’ dell’aneurisma, per determinare la sua posizione e la sua forma. Questo avviene attraverso un’angiografia, un esame radiologico che richiede il mezzo di contrasto al fine di rendere visibili ai raggi X i vasi sanguigni e le arterie malate”.
A causa dell’elevato numero atomico dello iodio contenuto nel farmaco, il mezzo di contrasto non è indicato per coloro che soffrono di insufficienza renale cronica. Ma non solo. “La sostanza iodiata viene eliminata attraverso i reni, pertanto comporta il rischio di insufficienza anche in pazienti con valori renali normali, in particolare se anziani. Inoltre – prosegue il dottor Garriboli – può influire sulla funzionalità tiroidea e non può essere impiegata in pazienti che hanno un’allergia manifesta al mezzo di contrasto. In alcuni di questi casi, per prevenire complicanze, vengono somministrati dei farmaci prima dell’esame angiografico, oppure ridotta la quantità di mezzo di contrasto e nelle situazioni più gravi di insufficienza renale cronica non si procede con l’intervento.
“L’anidride carbonica invece – riprende il primario – è una sostanza inerte e atossica che si diluisce velocemente nel sangue e una volta completato il ciclo ematico, viene eliminata attraverso i polmoni preservando i reni”
La Co2, iniettata in forma gassosa, nel sistema circolatorio produce una bolla che si espande sino ad occupare il lume del vaso e a spingere il sangue in tutte le ramificazioni. Utilizzando angiografi di ultima generazione in grado di eseguire raffinate tecniche di analisi digitale dell’immagine è possibile visualizzare l’albero circolatorio attraversato dalla CO2, creando i presupposti per eseguire l’intervento.
“L’impiego dell’anidride carbonica come mezzo di contrasto aggiunge un nuovo elemento di sviluppo delle procedure mini-invasive per il trattamento degli aneurismi dell’aorta – afferma Garriboli-. Negli ultimi 30 anni si è passati da interventi che richiedevano un mese di convalescenza a tecniche endovascolari per il posizionamento della protesi in anestesia locale. Con l’utilizzo della Co2 vengono a ridursi anche i giorni di degenza: il paziente viene dimesso il giorno dopo, mentre con il mezzo di contrasto tradizionale in presenza di variazioni pur minime della funzionalità renale si rende necessario un ricovero più prolungato”.
La Chirurgia Vascolare dell’IRCCS di Negrar esegue ogni anno circa 60-70 interventi per aneurisma dell’aorta addominale di cui il 70% con tecniche mini-invasive. “Con l’invecchiamento della popolazione la patologia è in progressivo aumento: oggi ha un’incidenza del 5% in soggetti maschi al di sopra dei 65 anni di età con fattori di rischio e del 2% in soggetti femminili. Purtroppo la rottura dell’aneurisma dell’aorta addominale è ancora un killer silente perché la dilatazione anomala dell’arteria viene il più delle volte diagnosticata in modo casuale. E’ necessario quindi lavorare di più sulla prevenzione: in presenza di fumo, obesità, colesterolo elevato e familiarità è bene sottoporsi ogni anno a un’ecografia di controllo”, conclude il primario.
L'IRCCS Sacro Cuore Don Calabria vince il Premio Verona Network 2023
Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
Doppio riconoscimento per l’Ospedale di Negrar: l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ricevuto il Premio assoluto Verona Network 2023 e il Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
La cerimonia di premiazione si è svolta ieri sera al Teatro Vittoria di Bosco Chiesanuova alla presenza di oltre 200 persone, tra cui molte autorità, sindaci del territorio e ospiti istituzionali.
Il giornalista Matteo Scolari, che ha condotto la serata assieme alla cantante Beatrice Pezzini, ha chiamato sul palco l’Amministratore Delegato Mario Piccinini, in rappresentanza dell’Ospedale, per la consegna, da parte di Luca Cenzato di BCC Verona e Vicenza, del Premio Verona Network 2023 Categoria Economia&Impresa.
Questa la motivazione: “Per aver creato un modello di cura sano, virtuoso, attento ai pazienti, al personale e a tutti i visitatori. Per il management, capace di generare utili per milioni di euro, reinvestiti nelle più avanzate tecnologie presenti sul mercato sanitario. Per l’attività di ricerca sulle principali patologie, sempre all’avanguardia e punto di riferimento a livello internazionale”.
“Essendo un ospedale privato dobbiamo usare bene i soldi dei cittadini: i nostri utili vengono sempre reinvestiti. Negli ultimi anni siamo cresciuti molto, investendo nell’ambito oncologico e delle malattie infettive e tropicali, oltre che nella medicina in generale. Ci fa molto piacere questo riconoscimento, perché non esiste grande ospedale senza grande territorio, e il nostro, quello della Lessinia, è un grande territorio», ha detto l’Amministratore Delegato.
A ritirare la targa del Premio assoluto Verona Network 2023 è stato invece l’intero staff dirigenziale dell’Ospedale: il Presidente fratel Gedovar Nazzari, accompagnato dal dottor Piccinini, dal Direttore Sanitario dottor Fabrizio Nicolis, dal Direttore Amministrativo dottor Claudio Cracco e dal Direttore Sanitario dell’Area socio-sanitaria, dottor Davide Brunelli.
“Il merito del Premio va a tutti i collaboratori di ieri e di oggi – hanno detto -. Solo grazie alla loro competenza e alla particolare cura che ogni giorno riservano alla persona del malato, e non solo alla malattia, l’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è diventata una realtà sanitaria di eccellenza. Cura che è anche ascolto del paziente, tante cose sono state realizzate proprio perché ad indicarci una carenza da colmare sono stati i nostri stessi malati”.
Gli altri riconoscimenti della serata sono stati assegnati al Comune di Peschiera del Garda (Categoria Enti), a Manifattura Italiana Cucirini Spa e Cantina Villa Medici (ex aequo Categoria Obiettivo Sostenibilità), al Montorio FC (Categoria Sport) e a Le Piazze dei Sapori 2023 (Categoria Eventi e Spettacolo).
Il premio, giunto alla 13esima edizione, è stato istituito dall’Associazione Verona Network, che riunisce diverse realtà tra enti, istituzioni e aziende, con lo scopo di farsi promotrice di occasioni di confronto in una logica propositiva per la città. Ad oggi Verona Network raccoglie oltre 60 primari soci istituzionali e altri importanti soggetti scaligeri in rappresentanza di 3000 operatori economici e oltre 50.000 cittadini veronesi.
Nelle passate edizioni il Premio assoluto Verona Network è andato alla Scaligera Basket (2022), all’Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri della Provincia di Verona (2021), alla professoressa Evelina Tacconelli (2020), titolare della cattedra di Malattie Infettive all’Università di Verona, agli studenti del iDB Tech-No-Logic Team che hanno partecipato e vinto la 20a edizione del FIRST* LEGO League World Championship di Houston con il progetto “Wemit” (2019), a Gianmarco Mazzi (2018), oggi sottosegretario del Ministero della Cultura, all’imprenditore Giuseppe Manni (2017). In passato con un altro nome dato al Premio, sono stati consegnati riconoscimenti agli imprenditori Sandro Veronesi, Giordano Veronesi e Mario Moretti Polegato.
Il sole: l'alleato speciale della pelle colpita da dermatite atopica
Dermatite atopica o eczema atopico. Si tratta di una patologia dermatologica molto diffusa che ha origine già dalla prima infanzia. Per le persone che ne soffrono, l’estate è la stagione in cui possono trarre maggiore giovamento, come spiega la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS di Negrar
Il sintomo principale è il prurito, che si accompagna o anticipa lesioni della pelle di differente gravità. E’ la dermatite atopica, conosciuta anche come eczema atopico, una patologia dermatologica molto diffusa: si stima infatti che il 20% dei neonati ne sia affetto.
La cute del soggetto atopico è caratterizzata da una infiammazione dovuta ad una iper reattività dell’organo- pelle legata ad un difetto immunologico che spesso è ereditato da uno dei due genitori o da entrambi. Lo stesso meccanismo genetico alterato è all’origine di altre patologie come la rinocongiuntivite allergica e l’asma bronchiale allergico. Di solito la dermatite compare in età neonatale e con andamento cronico recidivo tipico ricade stagionalmente in particolare in primavera ed autunno.
Ma ora è arrivata l’estate, stagione amica per molte malattie della pelle. Lo è anche per la dermatite atopica? Come comportarsi?
“Sicuramente il sole è un alleato della pelle atopica, naturalmente con la giusta protezione. La pelle di chi soffre di questa patologia è come se avesse delle barriere protettive difettose che lasciano passare sostanze, altrimenti lasciate all’esterno, che scatenano una reazione ‘abnorme’ del sistema immunitario. Per questo è importante proteggersi anche da fattori ambientali”, risponde la dottoressa Federica Tomelleri, responsabile del Servizio di dermatologia dell’IRCCS ospedale Sacro Cuore Don Calabria.
Il sintomo principale è il prurito
Esattamente. Esso che può manifestarsi anche prima delle lesioni cutanee le quali vanno da un lieve eritema alla lichenificazione (chiazze di pelle ispessita, indurita e pruriginosa) fino all’eritroderma, una grave infiammazione che interessa vaste aree del corpo.
Dove si localizza?
La localizzazione della dermatite varia con l’età. In età pediatrica le sedi più frequentemente colpite dall’eczema sono il volto, il cuoio capelluto, l’attaccatura del padiglione auricolare, le pieghe cubitali e i cavi poplitei. In età giovanile e adulta solitamente le zone del corpo maggiormente interessate diventano le palpebre, il decolletè collo, le pieghe cubitali, ma anche le mani e gli avambracci
I fattori ambientali possono scatenare una recidiva o un peggioramento della condizione del paziente?
Sicuramente. L’eccessiva igiene, con frequenti bagni o lavaggi, i saponi aggressivi, l’abbondante sudorazione, e il contatto con tessuti ruvidi o con la lana possono scatenare e/o peggiorare i sintomi. Anche il cambiamento di stagione e lo stress sono da includere tra i fattori negativi. Una delle cause principali della infiammazione e della cronicizzazione della dermatite atopica è la colonizzazione cutanea del batterio stafilococco aureo. La facilità di penetrazione di tutto ciò che arriva sulla pelle e la conseguente reazione infiammatoria immunitaria può modificare il sistema dei microrganismi che vivono sulla nostra pelle a favore di specie batteriche “cattive”, come lo stafilococco, che richiedono la somministrazione anche per bocca di antibiotici.
Come abbiamo detto, il sole è amico della pelle atopica. Ci sono dei solari particolari da adottare?
I filtri solari da privilegiare nei bambini sono quelli minerali a base di ossido di zinco e di titanio, ovviamente con la massima protezione 50 +. Talvolta l’esposizione al sole, la immersione in acqua salina o anche in quella della piscina (per la presenza di cloro e altre sostanze) possono procurare una maggiore irritazione temporanea, è consigliabile iniziare la vacanza estiva con la minor manifestazione possibile di dermatite.
La dermatite atopica si può curare e come?
Il primo approccio terapeutico alla malattia atopica cutanea solitamente viene effettuato dal medico pediatra. Quando la forma si manifesta in maniera un po’ persistente ed aggressiva entra in campo la dermatologia, che, a seconda della fascia di età e della gravità della malattia del paziente, consente di trovare la cura più opportuna. Il prurito, che è il sintomo principale, deve assolutamente essere migliorato. Le terapie locali spesso hanno un’ottima efficacia e vanno dagli emollienti lenitivi combinati a detergenti dedicati, alle terapie antibiotico cortisoniche in crema miscelate e gli immunomodulatori topici fino alle terapie antistaminiche per via generale. Queste ultime sicuramente da scegliere dopo i due anni di vita.
Tra i farmaci più recenti scaturiti dalla ricerca, l’anticorpo monoclonale, il dupilumab, somministrabile con iniezioni sottocutanee ogni due settimane ha dimostrato avere una grande efficacia già dopo il primo mese di utilizzo nel migliorare la dermatite atopica anche a lungo termine. Trovano sempre il loro collocamento terapeutico farmaci “storici” come il cortisone per via generale e la ciclosporina.
Partecipanti da tutto il mondo per la prima Summer School di Radioterapia adattativa
L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia adattativa Partecipanti da tutto il mondo e prestigiosi relatori internazionali
Nei giorni scorsi l’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria ha ospitato la prima edizione della Summer School di Radioterapia clinica adattativa, promossa dal Dipartimento di Radioterapia Oncologica Avanzata, diretto dal professor Filippo Alongi.
Al corso hanno partecipato una trentina tra radioterapisti oncologi e fisici sanitari provenienti da diversi Paesi del mondo.
Prestigioso il panel dei relatori internazionali, tra i quali il presidente eletto ESTRO, la Società europea di Radioterapia e Oncologia, Matthias Guckenberger dall’Università di Zurigo, e il past-president ASTRO (American Society for Radiation Oncology), Laura Dawson dal Princess Margaret Hospital di Toronto. I partecipanti hanno ascoltato le letture magistrali degli esperti e hanno potuto seguire i trattamenti in tempo reale sui pazienti, con l’utilizzo degli acceleratori lineari Ethos e Unity.
Cosa fare in caso di morso di zecca: in un video i consigli degli esperti
Rimuovere la zecca senza schiacciarla, compilare le note relative al tempo e al luogo in cui è avvenuto il morso, chiedere al medico l’impegnativa per un esame parassitologico specifico e infine osservare eventuali sintomi nelle 6 settimane successive. Sono queste le fasi da seguire quando si scopre di essere stati morsi da una zecca, così come illustrato dagli esperti del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali nel video qui sotto. Ecco dunque alcuni utili consigli accompagnati da un’accattivante infografica…
Intelligenza artificiale e metaverso: le nuove tecnologie per migliorare le cure del paziente con tumore al retto
Venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona si è tenuto il congresso internazionale sulla chirurgia del retto, organizzato dalla Chirurgia Generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. A confronto i maggiori chirurghi europei ed italiani sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia: intelligenza artificiale, realtà aumentata e metaverso
Si chiama radiomica, ed è il termine che indica l’impiego anche dell’intelligenza artificiale per elaborare la quantità enorme di dati prodotti dalle tecnologie di diagnostica (Tac e Risonanza Magnetica) che vanno oltre alle classiche immagini, al fine di ricavare “informazioni quantitative” in grado di predire se un tumore possa rispondere o meno a una determinata terapia. Per il paziente significa accedere da subito al trattamento più indicato, chirurgia, chemioterapia o radioterapia.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione in campo diagnostico, di cui si è parlato nel corso del congresso internazionale di chirurgia oncologica del retto che si è tenuto venerdì 23 giugno alla Biblioteca Capitolare di Verona, organizzato dalla Chirurgia Generale dell’IRCCS di Negrar, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. Sulla radiomica sono già in corso esperienze anche in Italia e la disciplina applicata alla chirurgia sarà oggetto di un Dottorato di ricerca nato dalla collaborazione tra l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria e l’Università di Verona.
Il simposio – il quinto dal 2016 e il primo dopo lo stop dovuto alla pandemia – ha visto i maggiori chirurghi del retto italiani ed europei a confronto sulle nuove frontiere tecnologiche applicate alla chirurgia, come, appunto, l’intelligenza artificiale, la realtà aumentata e virtuale, il metaverso.
Tra i relatori il professor Sergio Alfieri che da poco ha operato Papa Francesco e il cui centro detiene la più alta casistica italiana di interventi al colon-retto; i rappresentanti delle più importanti scuole europee di chirurgia laparoscopica colo-rettale (il professor Didier Mutter da Strasburgo) e di trattamento dei tumori del retto con tecnica trans-anale (il professor Jurriaan Tuynman da Amsterdam); i presidenti della Società Italiana di Chirurgia (SIC) e della Associazione Chirurghi Ospedalieri (ACOI), rispettivamente il professor Massimo Carlini e il dottor Marco Scatizzi.
Il tumore del retto, che colpisce l’ultimo tratto dell’apparato digerente e gastrointestinale, è una delle neoplasie più diffuse in Occidente. In Italia nel 2022 si sono registrare circa 14mila nuove diagnosi e la percentuale di sopravvivenza dopo 5 anni è di oltre il 60%. Un dato, quest’ultimo, raggiunto grazie all’estensione dei programmi di screening, all’evolversi delle tecniche chirurgiche, unitamente all’aumento delle conoscenze sulle caratteristiche molecolari e genetiche dei tumori e all’applicazione di nuove terapie mediche e radioterapiche.
“Da sempre il mondo della chirurgia del retto è un campo di innovazione tecnologica per merito della quale oggi possiamo parlare di “tailored surgery”, di “chirurgia su misura” – spiega il dottor Ruffo -. Disponiamo cioè di metodiche chirurgiche differenti adatte per ogni stadio e localizzazione di malattia. Dall’asportazione trans-rettale dei tumori allo stadio più precoce alla rimozione del retto e dei linfonodi circostanti, tramite laparoscopia e robotica, nel caso di malattia più estesa e a rischio di recidiva. Anche per le neoplasie localmente più avanzate, la chirurgia trova comunque indicazione come cura, e non solo con finalità palliativa”.
Oggi la chirurgia si trova di fronte alle nuove sfide dell’ultima frontiera tecnologica, in primis l’intelligenza artificiale, ma non solo. “Il chirurgo alla tecnologia ha sempre chiesto di fornirgli strumenti per aumentare ulteriormente l’efficacia del suo operato. – precisa Ruffo – L’evoluzione tecnologica attuale rappresenta un’enorme opportunità, non solo nell’ambito diagnostico con la radiomica e la genomica, ma anche a supporto dell’analisi sui rischi e benefici di un intervento o di una determinata procedura chirurgica. Molto spesso ci troviamo di fronte a pazienti con anatomie molto complesse: i modelli 3D ci aiutano a ricostruire esattamente, prima di entrare in sala operatoria, l’anatomia del paziente e il rapporto della lesione tumorale con gli organi circostanti a vantaggio di una maggior precisione e radicalità dell’intervento. Il metaverso, dove mondo reale e virtuale si incontrano, si prospetta come l’ambiente ideale dove i chirurghi possono applicare nuove procedure prima di applicarle sul paziente oppure dove due chirurghi a distanza possono condurre un intervento come se fossero nella stessa stanza”.
Naturalmente la tecnologia, seppur sempre più sofisticata, resta a servizio del chirurgo al quale non può mai sostituirsi. “E’ in atto un fermento di studi scientifici per testare su ampia scala l’efficacia, il valore aggiunto rispetto alle precedenti pratiche, i lati critici e la sostenibilità economica di queste nuove tecnologie – conclude il primario -. Tuttavia in sala operatoria l’attore principale resta sempre il chirurgo con il suo know how, chirurgo al quale spetta sempre l’interpretazione delle informazioni ricevute dai vari supporti tecnologici”.
Festa del Sacro Cuore: taglio del nastro per la Risonanza Magnetica ad alto campo e la nuova Pet-Tc
In occasione della ricorrenza liturgica del Sacro Cuore, festa patronale dell’IRCCS di Negrar, sono state inaugurate due nuove macchine biomedicali: una Risonanza Magnetica ad alto campo (3Tesla) e una nuova Pet-Tc. Due macchine, dotate anche di intelligenza artificiale, che rilevano i più piccoli dettagli anatomici e funzionali, effettuando esami diagnostici più veloci e garantendo maggior confort per i pazienti. Le nuove dotazioni tecnologiche aumentano ulteriormente la qualità dell’attività diagnostica del “Sacro Cuore Don Calabria” a vantaggio della cura del paziente, soprattutto, ma non solo, nel campo oncologico.
Taglio del nastro per due nuove apparecchiature biomedicali questa mattina all’IRCCS di Negrar in occasione della ricorrenza liturgica del Sacro Cuore, festa patronale dell’Ospedale. Si tratta di una Risonanza Magnetica (RM) con elevato campo magnetico (3Tesla), collocata presso il Servizio di Diagnostica per Immagini, diretto dal dottor Giovanni Foti, e della nuova PET della Medicina Nucleare, diretta dal dottor Matteo Salgarello. Sono due nuove acquisizioni tecnologiche di ultima generazione, che vanno ad aumentare ulteriormente la qualità dell’attività diagnostica del “Sacro Cuore Don Calabria” a vantaggio della cura del paziente, soprattutto, ma non solo, nel campo oncologico.
La mattinata si è aperta con la Messa presieduta da mons. Roberto Campostrini, vicario generale della Diocesi di Verona. Erano presenti il presidente dell’IRCCS, fratel Gedovar Nazzari (leggi il suo intervento), l’amministratore delegato, Mario Piccinini, il direttore sanitario, dottor Fabrizio Nicolis, il direttore amministrativo Claudio Cracco, e tra gli ospiti il direttore generale dell’Università di Verona, Federico Gallo, il direttore generale dell’Ulss 9, Pietro Girardi, e il sindaco di Negrar, Roberto Grison.
Con le nuove apparecchiature, salgono così a cinque le Risonanze Magnetiche (quattro con campo magnetico di 1,5 Tesla: due in Diagnostica per immagini e altrettante in Radioterapia) in dotazione all’Ospedale di Negrar. Le PET sono due, con la nuova che si aggiunge a quella installata nel 2015.
La RM 3Tesla viene utilizzata per indagini su gran parte dei distretti anatomici: encefalo, addome superiore (fegato e pancreas) e inferiore (prostata e apparato ginecologico), ambito muscolo-scheletrico. Inoltre è particolarmente adatta per le angio-risonanze che comprendono encefalo, collo, torace, addome e arti inferiori. Gli esami PET sono indicati per le patologie oncologiche, neurologiche (decadimento cognitivo e malattia di Alzheimer) e ortopediche per quanto riguarda le infezioni. La finalità degli esami PET non è solo diagnostica, ma anche di follow up per verificare l’efficacia della terapia.
“L’acquisizione di tecnologie di ultima generazione ha un unico fine che è lo stesso del nostro fondatore: mantenere l’ospedale sempre all’altezza dei tempi”, ha detto l’Amministratore Delegato, Mario Piccinini. “Utilizzare macchinari per la diagnostica all’avanguardia, significa poter offrire le migliori cure al paziente. Naturalmente anche le tecnologie più innovative non potrebbero fare molto senza un personale preparato professionalmente e anche umanamente, come quello del “Sacro Cuore Don Calabria”.
Macchine complementari
Entrambe le macchine sono state realizzate della multinazionale United Imaging (con sede di sviluppo a Houston) e pur utilizzando metodiche di immagini differenti, sono complementari: la Risonanza Magnetica fornisce informazioni dettagliate su anomalie morfologiche di organi e tessuti grazie a un campo magnetico; la PET (con TAC integrata) rileva le alterazioni funzionali degli stessi, attraverso la somministrazione al paziente di radiofarmaci. Molti protocolli – per esempio per la Malattia di Alzheimer o per il tumore alla prostata – prevedono l’esecuzione di entrambi gli esami per il completamento della diagnosi.
Rilevano i più piccoli dettagli morfologici e funzionali
Si tratta di esami possibili anche con Risonanze Magnetiche a più basso campo (1 e 1,5 Tesla,) e da PET analogiche e non digitali come quella appena acquistata dal “Sacro Cuore Don Calabria”, ma l’upgrade tecnologico di entrambi i macchinari consente diagnosi più dettagliate, grazie a una maggiore risoluzione spaziale che rileva anche i più piccoli dettagli morfologici e funzionali, e riduce in modo rilevante i tempi degli esami aumentando il comfort per il paziente.
Comfort per il paziente ed esami più veloci
Comfort, che nel caso della RM è dato anche dalla maggiore ampiezza del tubo di scansione dove si posiziona il paziente, il cui diametro è di 75 cm, il più ampio a disposizione tra le macchine in commercio. Questo permette anche a coloro che soffrono di claustrofobia di affrontare e portare a termine l’esame e ai pazienti in generale di restare immobili per tutta la durata, riducendo così il rischio di artefatti (immagini non corrispondenti alla realtà anatomica) dovuti al movimento.
Mentre per quanto riguarda la PET la tecnologia digitale, rispetto a quella analogica, oltre a rilevare anche i più piccoli dettagli, garantisce maggiore sensibilità: si passa dai 15 minuti dell’esame standard agli 8 grazie alla nuova macchina e con una somministrazione inferiore di radiofarmaco. Anche in questo caso a vantaggio di un maggior comfort per il paziente (non deve restare a lungo nell’apparecchio senza muoversi) che viene inoltre sottoposto a una minore dose di radiazioni.
Entrambe le macchine sono dotate di programmi di intelligenza artificiale
Sia la PET che la RM sono dotate di programmi integrati di intelligenza artificiale (AI). Per quanto riguarda la PET sono già applicati e hanno l’obiettivo di dimezzare ulteriormente la tempistica degli esami: è possibile effettuare un esame whole-body (su tutto il corpo) in soli 4 minuti, la metà rispetto i tempi consentiti dalla sola tecnologia digitale.
Anche la RM è dotata di programmi di AI, per ora utilizzati solo a scopo di ricerca perché non ancora provvisti di marchio CE. Pure in questo caso agiscono sulla durata dell’esame, da sempre poco tollerato dai pazienti per la lunghezza. Una RM all’addome secondo il protocollo standard richiede dai 20 ai 25 minuti, con il supporto dell’intelligenza artificiale, quando sarà possibile applicarla, si scende a 10-15 minuti. La riduzione dei tempi di esame da una parte va a vantaggio di una diagnosi più completa, perché vi sono i margini per effettuare sequenze di scansioni particolari senza procurare troppo disagio al paziente; dall’altra riduce il rischio che il paziente si muova all’interno del tunnel. La velocità di scansione della RM 3Tesla, potenziata dai programmi di intelligenza artificiale, potrebbe rendere fattibili esami in grado di identificare con dettaglio anatomico le strutture in movimento, in particolare i tendini dell’apparato osteoarticolare o l’intestino. Un’ipotesi di applicazione della RM su cui stanno lavorando i medici e i tecnici del Servizio di Diagnostica per immagini in collaborazione con la casa produttrice United Imaging.
L’attività della Diagnostica per immagini e della Medicina Nucleare
La Diagnostica per immagini nel 2022 ha effettuato 127.198 prestazioni di carattere radiologico, di cui 20.233 risonanze magnetiche. Con la nuova RM 3Tesla, da gennaio, vengono eseguiti circa 25 esami al giorno.
Lo scorso anno al Servizio di Medicina Nucleare hanno avuto accesso 5.949 pazienti. Gli esami PET, con la presenza di due Tomografi, sono stati circa 6mila, con oltre il 29% di pazienti provenienti da fuori regione. Il 70% delle diagnosi sono oncologiche grazie alla disponibilità di una vasta gamma di radiofarmaci, alcuni dei quali prodotti direttamente dall’Officina Radiofarmaceutica dell’Ospedale.
Trattamento chirurgico dell'obesità: all’IRCCS di Negrar i primi interventi con il robot Da Vinci Xi
Ad utilizzarlo sono ancora pochi centri in Italia; minori complicanze operatorie, una ripresa più rapida dopo l’intervento e tempi di degenza più brevi sono i vantaggi del sistema robotico che l’Ospedale di Negrar impiega già dal 2015 per la chirurgia urologica, generale e ginecologica
Minori complicanze operatorie, una ripresa più rapida dopo l’intervento e tempi di degenza più brevi. Sono questi i vantaggi dell’impiego del robot chirurgico Da Vinci Xi nella chirurgia bariatrica, rispetto alla laparoscopia, la metodica maggiormente diffusa nel trattamento dell’obesità.
Sono infatti ancora pochi i centri in Italia ad utilizzare la robotica in ambito bariatrico: tra questi l’Irccs Sacro Cuore Don Calabria, che nelle scorse settimane ha effettuato i primi cinque interventi, “inaugurando” l’utilizzo del robot chirurgico Da Vinci Xi, in dotazione all’ospedale dal 2015, oltre l’ambito urologico, ginecologico e di chirurgia generale, dove è ampiamente utilizzato.
“Abbiamo eseguito un bypass gastrico e quattro mini bypass”, spiega il dottor Roberto Rossini, della Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo. “Entrambe le metodiche hanno lo stesso obiettivo: la perdita di circa il 70-75% del peso corporeo in eccesso, attraverso la riduzione dello stomaco in modo che il paziente raggiunga la sensazione di sazietà con l’introduzione di minor quantità di cibo, e l’isolamento di un ampio tratto di intestino – circa dai 150 ai 250 cm circa – al fine di limitare l’assorbimento delle proprietà nutritive. Il risultato viene ottenuto nel caso del bypass con due suture (la prima collega la tasca gastrica all’intestino tenue, mentre l’altra connette l’ansa intestinale a un’altra sezione dell’intestino); il mini bypass, invece, comporta una sola sutura per unire la porzione di stomaco rimasta e l’intestino”.
L’impiego del robot chirurgico in entrambe le metodiche rappresenta un valore aggiunto, perché permette di superare i limiti della tecnica laparoscopica. “L’utilizzo del robot consente di effettuare gli stessi movimenti della chirurgia open, anzi di andare oltre, perché i bracci robotici hanno la capacità di muoversi all’interno dell’addome del paziente a 360°, cosa che non può fare la mano dell’uomo”, sottolinea il chirurgo. “Inoltre la qualità delle anastomosi che devono essere effettuate dipende dalla prestazione della suturatrice automatica in laparoscopia, mentre con il robot a fare la differenza è la manualità del chirurgo. Questo si traduce in una riduzione delle complicanze post operatorie, come fistole e sanguinamenti, e quindi in una più rapida ripresa e in meno giorni di degenza”.
Dal 2015 la Chirurgia bariatrica del Sacro Cuore Don Calabria (centro accreditato SICOB- Società Italiana di Chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche) ha trattato più di 400 pazienti, tra questi il 20% proviene da fuori regione e una percentuale non irrilevante (il 10%) riguarda i cosiddetti Re-Do Surgery, cioè pazienti, giunti da altri ospedali, che si sono rivolti a Negrar per un secondo intervento, a causa di complicazioni dovute alla prima procedura chirurgica o per fallimento nella perdita di peso. La maggior parte dei pazienti in generale sono donne con un’età media di 39 anni e un indice di massa corporea (divisione del peso in Kg per il quadrato dell’altezza in m.) superiore a 40 oppure compreso tra 35 e 40 ma associato ad altre problematiche di salute relative all’obesità.
“L’intervento chirurgico non è fine a se stesso, è solo una tappa di un cambiamento totale di vita, che implica sana alimentazione, attività motoria costante e il superamento delle cause psicologiche per cui il cibo diventa dipendenza e compensazione”, sottolinea il dottor Rossini. “Per questo i nostri pazienti vengono presi in carico da un’équipe formata anche da gastroenterologi, nutrizionisti e psicologi che preparano il paziente all’intervento e lo seguono nel corso del follow up. Il 70% dei nostri pazienti effettua almeno fino al primo anno post intervento tutti i controlli periodici e registra un soddisfacente calo ponderale”.
Da Negrar a S. Zeno in Monte: il secondo turno del corso per i medici neoassunti
Circa trenta giovani medici del “Sacro Cuore” hanno partecipato sabato 10 giugno al secondo turno del corso “Natura e fini istituzionali” a San Zeno in Monte, presso la Casa Madre dell’Opera Don Calabria (il primo turno, con altri trenta medici, si era svolto il 27 maggio – vedi link).
Anche in questo caso si è trattato di un incontro molto intenso che ha permesso di conoscere meglio la figura di san Giovanni Calabria e i valori fondanti dell’Opera da lui fondata, di cui fa parte anche la Cittadella della Carità di Negrar. Nella foto il gruppo dei partecipanti sulla terrazza di San Zeno in Monte, sopra la città di Verona.
La giornata si è conclusa con la visita alle stanze e alla tomba del fondatore, che ha vissuto per oltre 40 anni a San Zeno in Monte, e con il pranzo conviviale.