Antibiotico-resistenza: un nemico per la nostra salute

Le infezioni da germi resistenti agli antibiotici è un vero problema di salute pubblica, coinvolge le strutture sanitarie, ma anche ognuno di noi nel corretto uso di questi farmaci

Dagli scienziati e da chi si occupa di politiche sanitarie l’insorgenza di infezioni causate da germi resistenti agli antibiotici viene definita la sfida mondiale dei prossimi anni, anche se esse sono già responsabili di decine di migliaia di decessi in Europa.

 

Alla scoperta degli antibiotici l’umanità deve la sconfitta di molte infezioni altrimenti letali, ma oggi la medicina si trova in molti casi di fronte all’inefficacia di questi farmaci nel debellare infezioni provocate dagli stessi germi che invece solo alcuni anni fa riusciva a sconfiggere. Un dato su tutti: in Italia il 25% degli stafilococchi aurei – responsabili della maggior parte delle infezioni della pelle e dei tessuti molli e trasmissibili tramite contatto – è multiresistente.

 

“Significa che in questi casi per curare le infezioni da stafilococco aureo non possiamo più limitarci a prescrivere i vecchi antibiotici per via orale, siamo bensì costretti a ricorrere ad antibiotici che, il più delle volte, possono essere assunti solo per via endovenosa, costringendo i pazienti a un ricovero ospedaliero. Addirittura alcuni germi gram negativi hanno sviluppato una tale resistenza multipla da renderci disarmati rispetto alle conseguenze delle infezioni da essi causate”, sottolinea l’infettivologo, Giuseppe Marasca (Photo Gallery).

 

Dottor Marasca, come si è sviluppata l’antibiotico-resistenza?

I batteri sono microrganismi e, cosa che li accomuna a tutti gli esseri viventi, hanno come obiettivo ultimo quello di sopravvivere. Pertanto negli anni hanno sviluppato meccanismi di resistenza contro gli antibiotici, in particolare nella loro composizione cellulare sono comparsi degli enzimi in grado di digerire gli antibiotici stessi. E di renderli inefficaci.

 

E’ già quantificabile questo problema?

Nel novembre dello scorso anno, i ricercatori dell’European Center for Disease Prevention and Control, un’agenzia dell’Unione Europea con sede a Stoccolma, guidati da Alessandro Cassini, hanno pubblicato su Lancet Infectious Diseases uno studio sull’impatto delle infezioni causate da germi resistenti nella popolazione europea. In base ai dati disponibili del 2015, è emerso che sono state 700mila le infezioni di questo tipo di cui 500mila legate alla pratica sanitaria. Non solo: i decessi attribuibili a queste infezioni sono stati 30mila e ben 10mila di questi si sono verificati in Italia. Siamo difronte a numeri impressionanti: le patologie da germi multiresistenti nel nostro Paese provocano più morti degli incidenti stradali! Ma c’è un altro dato da prendere in considerazione: il cosiddetto DALY (Disability-Adjusted Life Years), l’indice di misura della gravità di una malattia, espressa come numero complessivo di anni persi per disabilità. Per le infezioni da germi multiresistenti l’indice di gravità per l’Italia è pari a 440 DALYs per 100.000 abitanti, contro una media europea di 131 DALYs per 100.000.

 

Cosa si sta facendo in Italia per invertire la rotta?

Nel novembre 2017 il ministero della Salute ha redatto il Piano nazionale di contrasto dell’antimicrobico resistenza (PNCAR), tradotto poi anche in programmi regionali, in cui vengono stabiliti degli obiettivi per affrontare e contrastare il problema. Il Piano agisce su sei ambiti d’intervento: sorveglianza, prevenzione e controllo delle infezioni, uso corretto degli antibiotici, formazione dei medici, comunicazione e informazione, ricerca ed innovazione. Per l’uso corretto degli antibiotici il Piano indica, tra l’altro, che tutti gli ospedali si dotino di un programma di stewardship antimicrobica, guidato, ove possibile, da un infettivologo con il sostegno attivo del farmacologo clinico, del microbiologo, della direzione sanitaria. Anche il nostro ospedale si sta rapidamente muovendo in questa direzione e grazie alle strutture del nostro IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali di concerto con l’Istituto di Malattie Infettive dell’Università di Verona, sarà a breve dotato del SANE (Stewardship Antimicrobica Negrar). Dall’inizio di gennaio ho iniziato il mio servizio a Negrar anche per aiutare a realizzare questo ambizioso progetto.

 


Quello della diffusione delle infezioni da germi multiresistenti è un problema che riguarda esclusivamente le strutture sanitarie?

No, anche se il numero maggiore di infezioni si sviluppa in questi ambiti perché è soprattutto negli ospedali o nelle lungodegenze che gli antibiotici vengono utilizzati, non sempre in modo ottimale, ed è in questi luoghi che si diffondono più facilmente le infezioni. Non potrà esserci una buona stewardship antimicrobica senza che si rafforzi contestualmente il controllo delle infezioni. Mettere in atto cioè tutte quelle misure e procedure atte ad evitare il diffondersi delle infezioni. Noi sappiamo che il 40% delle infezioni in ospedale potrebbe essere evitato semplicemente se gli operatori sanitari procedessero a lavarsi le mani ogni volta che iniziano ad assistere un nuovo paziente. Nel caso di pazienti colonizzati da germi multi resistenti, l’utilizzo di procedure di isolamento da contatto, per esempio usando camici e guanti a perdere ogni volta che si passa da un paziente all’altro, è in grado di abbattere l’incidenza di nuove infezioni. La stewardship si esercita anche e soprattutto tramite l’uso razionale degli antibiotici, condividendo il loro impiego tramite l’adozione di protocolli diagnostico-terapeutici, somministrando l’antibiotico soltanto per il tempo strettamente necessario, evitando di utilizzare “profilassi” per periodi prolungati, oltre l’indicazione delle linee guida.

 

L’assunzione non corretta degli antibiotici è un errore comune. Non c’è casa in cui non esista un armadietto dei farmaci con un antibiotico per le emergenze…

L’automedicazione con antibiotici è un’abitudine senza dubbio da disincentivare, non solo perché dannosa per il singolo, ma perché va ad alimentare anch’essa il fenomeno dei batteri multiresistenti.

 

Quali sono i punti di un uso corretto?

L’antibiotico va assunto solo quando serve, quindi quando è in atto un’infezione batterica e non virale, qual è per esempio l’influenza. Deve sempre essere prescritto dal medico e rispettato il dosaggio per il tempo necessario a debellare l’infezione. Una posologia fai da te, riducendo la dose e i giorni previsti di assunzione, significa non garantire nel sangue una quantità di farmaco sufficiente perché sia efficace. Facendo così si rischia che molti batteri siano eliminati, ma nello stesso tempo che altri continuino a prosperare e a sviluppare resistenze. D’altro canto se si aumenta il periodo di assunzione si va ad impattare sulla flora batterica dell’intestino che ha anche una funzione immunologica.

 

Quanto gli antibiotici nell’alimentazione degli animali che poi finiscono sulla nostra tavola influisce sull’antibiotico-resistenza?

Su 100 chili di antibiotico prodotto, si stima che tra 50 e 90 chilogrammi vengano impiegati nell’allevamento degli animali da carne, in quanto ne favoriscono la crescita. Ancorché tale pratica sia stata proibita nella UE, essa viene ancora utilizzata in moltissimi Paesi, anche nella itticoltura. Non esistono studi che dimostrino con certezza una correlazione tra le infezioni antibiotico-resistenti nell’uomo e la carne che noi mangiamo. Tuttavia si fa verso un concetto olistico di One-Health, che affronta il problema della antibiotico-resistenza a 360 gradi considerando anche il problema degli animali da allevamento. Tanto che il PNCAR comprende anche un parte veterinaria.

elena.zuppini@sacrocuore.it


La fisioterapia "sulle corde" per curare il mal di schiena

Il metodo è stato adottato dal Servizio di Riabilitazione di via San Marco per il trattamento del dolore muscolo-scheletrico di lunga durata: esercizi eseguiti in sospensione da terra, quindi in un ambiente instabile ma controllato

Si chiama “RedCord” l’innovativo trattamento per il dolore muscolo-scheletrico di lunga durata adottato recentemente dalla Riabilitazione Ortopedica Ospedale Sacro Cuore, di via San Marco 121.

 

Nato in Norvegia, si avvale di funi, fasce e corde grazie alle quali vengono eseguiti in sospensione esercizi personalizzati, in assenza di dolore o in stato di dolore inalterato. Studi scientifici evidenziano i benefici apportati dall’utilizzo di questo trattamento, in particolare per le persone affette da lombalgia, lombosciatalgia, cervicalgia, cervicobrachialgia, patologie della spalla, del ginocchio, della caviglia. È efficace anche nei casi di trattamento e prevenzione di lesioni muscolari e di riabilitazione post-intervento ortopedico. La tecnica riabilitativa “RedCord” è indicata non solo per persone adulte o anziane, ma anche per i bambini e gli adolescenti e gli sportivi.

 

«Si tratta di un approccio terapeutico che ha come protagonista attivo il paziente supportato dal fisioterapista. Le caratteristiche principali sono esercizi adattati a ogni caso e eseguiti in sospensione da terra, quindi in un ambiente instabile ma controllato grazie al sistema “Redcord Workstation”», spiega il dottor Roberto Filippini, responsabile medico del Centro. «Il trattamento si focalizza sull’ottimizzazione del controllo neuromuscolare, con un incremento graduale del carico di lavoro senza per questo intensificare lo stato doloroso, anzi in molti casi il dolore si attenua o sparisce, nonostante lo sforzo intenso».

 

Con questa metodica vengono rafforzati i muscoli locali e globali, vengono migliorati il controllo del distretto lombo pelvico, l’equilibrio e la flessibilità muscolo-scheletrica. “È un metodo con il quale fin dalle prime sedute si percepiscono dei benefici per quanto riguarda la forza e la qualità del movimento – sottolinea il dottor Filippini -. L’obiettivo tuttavia è quello di mantenere i miglioramenti nel tempo, di conservare le funzioni recuperate e di ridurre il rischio di recidive”.

 

RedCord” è stato oggetto di un corso riservato agli specialisti – fisioterapisti e laureati in scienze motorie – che si è tenuto recentemente presso il Servizio di Riabilitazione Ortopedica. Si tratta del primo di una serie di aggiornamenti anche per il prossimo anno. «Il dolore muscoloscheletrico è uno stato patologico sempre più diffuso, che, se non ben gestito, può limitare fortemente la mobilità di una persona fino a diventare invalidante – conclude il medico -. Il nostro scopo è quello di creare un team di fisiatri, fisioterapisti e laureati in scienze motorie che risponda alle esigenze delle persone affette da questo problema, offrendo loro un’ampia gamma di tecniche finalizzate a un trattamento personalizzato».

 

Il Servizio di Riabilitazione Ortopedica offre prestazioni per la prevenzione e il recupero di tutte le patologie traumatiche, croniche, degenerative, post-chirurgiche. Ad effettuarle sono i medici fisiatri e i fisioterapisti del nosocomio di Negrar, guidati dal dottor Filippini, che è anche direttore della Medicina dello Sport, e dal dottor Claudio Zorzi, direttore sanitario del Servizio di via San Marco e direttore dell’Ortopedia e Traumatologia dell’ospedale della Valpolicella. Il Servizio è aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 18; l’accesso alla palestra è invece possibile dalle ore 7 alle 19. Per informazioni e prenotazioni: tel. 045.6013980; email: riabilitazione. ortopedica@sacrocuore.it


Viva lo sci, ma con la giusta preparazione

“Un fisico allenato è alla base della prevenzione di qualsiasi tipo di infortunio”: le indicazioni del dottor Roberto Filippini, direttore della Medicina dello Sport, per affrontare al meglio la pratica sciistica

L’inverno è la stagione per eccellenza dello sci, dei week end sulle piste e, per i più fortunati, della settimana bianca. Ma anche il divertimento richiede buon senso e respinge l’improvvisazione, perché giornate piacevoli all’aria aperta non si trasformino in un arriverderci alle montagne innevate per lungo tempo. Ma come come prepararsi per affrontare al meglio le piste? Risponde il dottor Roberto Filippini (nella PhotoGallery), direttore della Medicina dello Sport dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria.

“La regola vale per lo sci ma anche per ogni altra disciplina: non si può intraprendere uno sport senza preparazione atletica. Questo perché un fisico allenato è alla base della prevenzione di qualsiasi tipo di infortunio. Lo sci è uno sport di potenza e la maggior parte degli incidenti accadono a causa delle cadute, provocate generalmente dalla stanchezza, che diminuisce le forze e il controllo muscolare. Una buona preparazione atletica – modulata in base all’intensità dello sforzo fisico che si vuole intraprendere – abbassa notevolmente il rischio di cadute”.

Quale preparazione consiglia?

La più indicata è la ginnastica presciistica. Consiste in una base di allenamento cardio-polmonare accompagnato da una serie di esercizi – alle macchine ma anche a corpo libero – per potenziare la forza degli arti inferiori e superiori, l’equilibrio e la coordinazione.

A quali infortuni va maggiormente incontro uno sciatore?

La tipologia di infortuni causati dalle cadute è cambiata nettamente da quando è stata modificata l’attrezzatura, in particolare gli scarponi. Pochi anni fa proprio perché lo scarpone era più basso, erano più frequenti le fratture della tibia e del perone. Con l’introduzione sul mercato della calzatura più alta, l’articolazione maggiormente interessata è diventata il ginocchio, con traumi distorsivi di gravità variabile. La caduta accidentale tuttavia non risparmia gli arti superiori. Per gli sciatori sono più a rischio le spalle (lussazioni e fratture dell’omero), mentre tra gli snowbordisti sono più frequenti le fratture del polso e delle dita delle mani. Grazie all’obbligatorietà dell’uso del casco, si registrano meno traumi cranici, causati non tanto dalle cadute ma dall’impatto contro un altro sciatore o contro ostacoli di varia natura, compresi gli alberi e i piloni della seggiovia.

Quali accorgimenti adottare se non si è sportivi e non si è fatta una preparazione specifica, ma si vuole sciare lo stesso?

Innanzitutto mai abusare di se stessi, magari sciando ininterrottamente dall’alba al tramonto. Ai primi segni di stanchezza, è bene fermarsi. Anche una corretta alimentazione è importante: è sconsigliato riprendere gli sci appena mangiato soprattutto se abbondantemente, come accade spesso in montagna.

Perché?

Per due ordini di ragioni. Con il freddo si può andare incontro a problemi di tipo gastrico. Inoltre l’assunzione di cibi pesanti in quantità abbondante comporta, per consentire il processo digestivo, un maggior afflusso di sangue verso l’apparato gastroenterico e un conseguente minor apporto ematico a livello dei muscoli, che perdono così forza e tonicità. Se poi si è abusato di bevande alcoliche, tutto questo è accompagnato da una riduzione delle capacità coordinative, che facilita la caduta.

C’è chi d’inverno non scia, ma continua a svolgere attività sportiva all’aperto, come la corsa. Qualche suggerimento in proposito per praticare questo sport anche alle basse temperature?

È bene scegliere le ore più calde della giornata, come la pausa pranzo. Anche un abbigliamento corretto è fondamentale: oggi possiamo disporre di maglie tecniche che tengono caldo, ma consentono un’ottima trasudazione. Quando le condizioni atmosferiche e delle strade sono proibitive, è meglio stare a casa oppure optare per la palestra. Il terreno ghiacciato, non permettendo un’aderenza ottimale del piede, espone non solo al rischio di cadute, ma sottopone le nostre articolazioni e i nostri muscoli a movimenti biomeccanici alterati che possono essere causa di lesioni di tipo distrattivo o di problemi muscolo-tendinei.

(da L’Altro Giornale-gennaio 2019)


Sconfiggere il tumore con attenzione alla salute del cuore

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Una percentuale di pazienti oncologici sviluppa patologie cardiache a causa delle cure anti-tumorali: come prevenire queste complicanze? Esperti nazionali di cardio-oncologia a confronto in un congresso al “Sacro Cuore Don Calabria”

Di cancro in Italia si muore meno. Trattamenti salvavita quali i farmaci anti-tumorali e la radioterapia, uniti alla chirurgia oncologica hanno fatto sì che in quindici anni (2001-2016) nel nostro Paese i decessi per neoplasia siano diminuiti del 17,6%. E che attualmente siano 3milioni e 400mila le persone che vivono dopo una diagnosi di tumoreRisultati assolutamente positivi, ma non senza un prezzo: a causa delle cure, una percentuale di pazienti può riportare delle tossicità a danno degli organi non colpiti dal tumore. Uno di questi è il cuore.

 

Proprio le complicanze cardiache dovute ai trattamenti oncologici saranno al centro del Congresso di cardio-oncologia che si terrà venerdì 25 e sabato 26 gennaio nella sala convegni dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona)Il meeting scientifico è organizzato dalla dottoressa Stefania Gori (nella photogallery) e dal professor Enrico Barbieri (nella photogallery), direttore rispettivamente dell’Oncologia Medica e della Cardiologia, e vedrà la presenza come relatori dei maggiori esperti italiani di cardio-oncologia, una disciplina nata recentemente per la gestione del paziente cardiologico in conseguenza di terapie oncologiche. (programma in allegato)

 

La dottoressa Gori, oltre ad essere presidente dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM), è dal 2011 coordinatore del progetto nazionale di cardio-oncologia di cui fa parte anche il professor Barbieri. Il progetto – che vede la collaborazione di AIOM e di altre otto società scientifiche tra cui ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri), AICO (Associazione Italiana di Cardio-Oncologia) e ICOS (International Cardioncology Society) – è finalizzato a trovare una strategia comune per la prevenzione e il trattamento delle patologie cardiache causate dalle cure oncologiche.

Il progetto pone una particolare attenzione anche alla cardiotossicità, per altro molto bassa, delle nuove terapie oncologiche come quelle a bersaglio molecolare e l’immunoterapia. E all’invecchiamento della popolazione italiana, con aumento di pazienti oncologici predisposti a patologie cardiache per età o per malattie, come il diabete o l’ipertensione, che sono di per sè fattori di rischio per il cuore.

 

“E’ fondamentale per gli oncologi non concentrarsi solo sul tumore da sconfiggere, ma considerare anche eventuali rischi cardiaci, prevenendoli e, quando si verificano, trattandoli adeguatamente in équipe con i cardiologi”, afferma la dottoressa Gori. A questo proposito l’ospedale di Negrar ha creato un ambulatorio di cardio-oncologia, dove ogni caso complesso viene discusso collegialmente dai cardiologi, dagli oncologi e dai medici radioterapisti. All’ambulatorio accedono i pazienti oncologici subito dopo la diagnosi e prima del trattamento per una verifica della condizione cardiovascolare e per controlli periodici durante le cure.

 

“Il riconoscimento precoce di una sofferenza cardiaca è ciò che ci permette di evitare danni più gravi valutando con gli oncologi un nuovo schema terapeutico o intervenendo con un supporto farmacologico – conclude il professor Barbieri – Non disponiamo di farmaci specifici per il paziente cardio-oncologico, ma utilizziamo i principi attivi che impieghiamo in cardiologia adattandoli a questo contesto, procedura la cui efficacia è stata dimostrata da studi internazionali”.

 

 

Ma quali potrebbero essere le complicanze cardiache dovute alle cure antitumorali? In relazione al tipo di farmaco indicato e alle dosi impiegate, il paziente potrebbe andare incontro a scompenso cardiaco, cardiopatie ischemiche (infarto o forme anginose), miocarditi, ipertensione arteriosa severa e ad anomalie del battito cardiaco (fibrillazione atriale fino alle aritmie maligne), trombosi a livello delle vene profonde, che possono portare all’embolia polmonare. Pericarditi, patologie ischemiche e valvolari, ‘effetti collaterali’ della radioterapia per il tumore della mammella o per i linfomi, sono diventate complicanze sempre più rare, grazie alle nuove tecnologie che consentono di irradiare con precisione il tessuto malato, risparmiando quello sano.


Prosegue lo studio clinico sul vaccino contro l'epatocarcinoma

Finora sono sette i pazienti sottoposti a vaccinazione. L’oncologo Alessandro Inno spiega in un’intervista-video la particolarità di questo vaccino e cosa ci si attende dalla sperimentazione internazionale di Fase I

Prosegue presso l’Oncologia Medica, diretta dalla dottoressa Stefania Gori, la sperimentazione di Fase 1 del vaccino contro l’epatocarcinoma, che se si dimostrasse efficace potrebbe segnare una svolta nella cura del tumore primitivo del fegato. (vedi articolo)

 

HEPAVAC- 101 – questo il nome della speriementazione è uno studio clinico internazionale – che coinvolge anche centri tedeschi, spagnoli, francesi, belgi ed inglesi. In Italia vi partecipa, oltre al “Sacro Cuore Don Calabria” in collaborazione con l’Università dell’Insubria, anche l’Istituto Nazionale Tumori “Pascale” di Napoli.

L’Ospedale di Negrar ha valutato in poco più di un anno 19 pazienti, di cui 7 sono stati arruolati per la vaccinazione.Due pazienti hanno già terminato la procedura vaccinale.

Nel video allegato l’oncologo Alessandro Inno spiega la particolarità del vaccino, da cosa è composto e l’obiettivo che ci si attende dalla sperimentazione.

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Il CRON ha un nuovo Consiglio direttivo

Si è costituito il nuovo Consiglio direttivo del CRON, il Circolo Ricreativo Ospedali Negrar nato nel 1980 per favorire lo “spirito di famiglia” tra i dipendenti del “Sacro Cuore Don Calabria” anche al di fuori dell’orario di lavoro.

Dopo le elezioni, si è costituito il nuovo Consiglio direttivo del CRON- Circolo Ricreativo Ospedali Negrar che rimarrà in carica nel triennio 2019-2021.

 

Il nuovo presidente è Luca Sandrini dell’Ingegneria Clinica; vicepresidentiGiancarlo Sgaggio (caposala dell’Endoscopia Digestiva) e Emanuele Degani (manutentore); segretariaMichela Arcozzi(segreteria di Endocrinologia); tesoriereFabio Filippo (infermiere di sala operatoria); consiglieri: dottor Stefano Rodella (medico radiologo) e Andrea Giacopuzzi (operatore del reparto di Oncologia).

 

Fondato ufficialmente nel 1980, il CRON, Circolo Ricreativo Ospedali di Negrar, raggruppa tutti i dipendenti dell’ospedale per favorire lo”spirito di famiglia” anche al di fuori dell’orario di lavoro. Nato con finalità prevalentemente sportive, attualmente offre agli iscritti anche un fitto calendario di proposte culturali, turistiche, formative nonché un nutrito elenco di convenzioni con vari tipi di aziende per godere di sconti e promozioni. (www.circolocron.com)

Nella foto da sinistra: Giancarlo Sgaggio, Emanuele Degani, Luca Sandrini, Andrea Giacopuzzi, Fabio Filippo e Michela Arcozzi. In Photo Gallery: il dottor Stefano Rodella


Metastasi cerebrali: da "HyperArc" risultati promettenti

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Pubblicati i primi risultati dei trattamenti con il sistema di Radiochirurgia, HyperArc utilizzato in Italia solo al “Sacro Cuore”: nel 99% dei casi si è manifestato un arresto della progressione e una remissione parziale o completa di ogni metastasi

Il sistema di Radiochirurgia “HyperArc”, utilizzato per la prima volta al mondo dall’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria nell’agosto del 2017, è un alleato molto promettente per la cura delle metastasi cerebrali multiple, trattandole contemporaneamente e in una sola seduta di pochi minuti.

 

A dimostralo sono i primi risultati del trattamento pubblicati dalla rivista internazionale Journal Research and Clinical Oncology e che riguardano lo studio condotto dall’équipe del professor Filippo Alongi, direttore della Radioterapia Oncologica, su 381 metastasi in 64 pazienti sottoposti a controllo Risonanza Magnetica a due mesi dalla cura radioterapica. Ogni paziente presentava in media 7 metastasi.

 


Lo studio ha rilevato nel 20% circa delle metastasi una risposta completa, con la distruzione totale della lesione secondaria; nei rimanenti casi, invece, si è verificato una remissione parziale o un arresto della progressione (Photo Gallery)

 

Altro dato molto significativo: nei pazienti in cura non sono emersi effetti collaterali, come radionecrosi o edema cerebrale massivo, sequele importanti che invece possono accadere con la radioterapia tradizionale, in particolare quando vengono colpiti diversi bersagli, contemporaneamente e con alte dosi di radiazioni.

“Questo grazie alla precisione millimetrica di irradiazione garantita dal sistema HyperArc – sottolinea Alongi, che è anche professore associato all’Università di Brescia -. Noi possiamo colpire con un’elevata dose di radiazioni solo focalmente e nello stesso momento le parti ‘malate’ dell’encefalo, preservando quelle sane. Andiamo così ad incidere positivamente non solo sulla sopravvivenza del paziente ma anche sulla qualità di vita dello stesso”.

 

 

Lo studio ha rilevato infine che la migliore risposta alla radioterapia si è verificata negli uomini con carcinoma polmonare e nelle donne con tumore alla mammella. “E’ un dato che dobbiamo ancora approfondire – sottolinea il professor Alongi – ma probabilmente è dovuto anche all’efficace interazione tra i farmaci che vengono utilizzati per via sistemica per queste neoplasie e la radiochirugia”.

Il software HyperArc aumenta le libertà di movimento dell’acceleratore lineare TrueBeam, la macchina erogatrice di radiazioni ionizzanti ad alta energia, consentendo ad essa di colpire contemporaneamente con estrema precisione diverse metastasi in una sola seduta della durata di pochi minuti. Un tempo molto ridotto rispetto ad altri trattamenti tradizionalmente utilizzati e dedicati specificamente alle lesioni cerebrali multiple, che spesso richiedono una seduta di circa un’ora per ciascuna delle metastasi.

 

Il fascio di radiazioni ionizzanti si comporta come il bisturi del neurochirurgo, da qui il nome di radiochirurgia – precisa il radio-oncologo – ma in maniera assolutamente non invasiva e senza il supporto dell’anestesia”. Dall’agosto del 2017 sono stati trattati a Negrar 114 pazienti per un totale di 585 lesioni.

 

L’innovativo sistema viene utilizzato in Italia solo dal “Sacro Cuore Don Calabria”. “Per apprendere il funzionamento di HyperArc e altre metodiche all’avanguardia che utilizziamo, vengono da noi colleghi da ogni parte del mondo – conclude Alongi -. Recentemente abbiamo avuto ospiti dalla Colombia e dalla Germania. Quando ero specializzando eravamo noi ad andare all’estero per imparare queste tecniche innovative…”.

Nella foto: l’équipe della Radioterapia Oncologica con al centro il professor Filippo Alongi

In allegato il testo dello studio pubblicato su Journal Research and Clinical Oncology

In PhotoGallery: un esame di Risonanza Magnetica che mostra la presenza delle metastasi prima della Radiochirurgia e la scomparsa dopo il trattamento

Per saperne di più: Metastasi cerebrali: il “Sacro Cuore” primo al mondo nell’uso di una nuova tecnica di Radiochirurgia


Ummi e Opera Don Calabria insieme per combattere l'AIDS in Angola

L’Unione Medico Missionaria Italiana è capofila di un progetto triennale che vede come partner anche il “Sacro Cuore”, il cui obiettivo è rafforzare i servizi di prevenzione e cura degli ammalati di AIDS a Kilamba Kiaxi, vicino alla capitale Luanda

67.500 persone alle quali somministrare il test per l’HIV, 10mila pazienti da trattare con i farmaci antiretrovirali, 35mila visite domiciliari da effettuare ad ammalati di AIDS che hanno abbandonato la terapia. Tutti nel municipio di Kilamba Kiaxi, agglomerato di quasi un milione e mezzo di abitanti a pochi chilometri dalla capitale angolana Luanda, dove l’Opera Don Calabria è presente da più di 20 anni con l’ospedale Divina Providência (foto 1) e una rete di 5 posti di salute periferici.

 

Sono numeri importanti quelli del Progetto triennale per la Protezione Integrale del Paziente Sieropositivo in Angola (PIPSA),avviato nel luglio 2018 e co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la cooperazione con un importo complessivo di oltre due milioni. Capofila del progetto è l’Unione Medico Missionaria Italiana – UMMI,organizzazione non governativa che dal 1940 ha la propria sede presso l’ospedale di Negrar. Proprio il “Sacro Cuore Don Calabria”, IRCCS per le Malattie Infettive e Tropicali, è tra gli enti partner del progetto insieme alla Delegazione angolana dei Poveri Servi della Divina Provvidenza e ad altre importanti organizzazioni quali il CUAMM di Padova, l’Università degli Studi di Trieste e varie realtà angolane.

 

Ma al di là dei numeri, l’iniziativa promossa dall’UMMI ha un obiettivo molto ambizioso: rafforzare la qualità dei servizi per la prevenzione e la cura dell’HIV a Kilamba Kiaxi, accompagnando i pazienti in modo integrale, sia a livello fisico che psicologico, e agendo sul contesto sociale per combattere i pregiudizi che tuttora permangono in Angola sul tema dell’AIDS. Per questo motivo il progetto agisce in tre diversi ambiti: area clinica, implementando un maggior numero di test diagnostici per l’HIV e potenziando le cure per chi risulta positivo; area formativa, con la realizzazione di corsi rivolti al personale sanitario del Distretto; area comunitaria, con iniziative di sensibilizzazione e prevenzione territoriale.

 

Negli ultimi mesi del 2018 sono stati messi in atto i primi interventi soprattutto in campo formativo. Ad esempio è partito un corso per formare dieci agenti comunitari che dovranno essere veri e propri attivisti sanitari, promuovendo incontri di sensibilizzazione sull’HIV negli ambienti sociali più frequentati del quartiere. In particolare dovranno aiutare le persone a capire l’importanza di fare il test e conoscere la propria situazione sierologica. Una questione cruciale, visto che nei primi nove mesi del 2018 solo 8.205 persone hanno fatto il test presso l’ospedale Divina Providência, pari ad un misero 0,54% della popolazione del quartiere. Un numero davvero piccolo a fronte di un tasso di sieropositività che tra gli adulti angolani si aggira sul 2,38% dell’intera popolazione (dati 2014). Altra questione centrale su cui si intende agire è quella dei pazienti che abbandonano la terapia. Infatti dall’analisi effettuata emerge che solo il 38% dei sieropositivi che iniziano la terapia all’ospedale Divina Providência la portano avanti in modo continuativo.

 

Come visto, molte delle azioni previste si svolgono con la fondamentale collaborazione dell’ospedale Divina Providência, che tra i suoi vari servizi gestisce anche un Centro per il trattamento dell’HIV e della tubercolosi (foto 2). L’ospedale, nato proprio dalla collaborazione tra Opera Don Calabria e UMMI, è attivo fin dal 1994 e collabora con il Sistema Nazionale di Salute Pubblica angolano. Oltre all’ospedale, gli interventi del Progetto PIPSA coinvolgeranno i cinque posti di salute periferici gestiti dall’Opera Don Calabria nel quartiere e altri tre posti di salute pubblici, in virtù del fatto che anche le autorità sanitarie locali sono partner.

 

Con questo progetto l’UMMI consolida il suo lavoro in Angola, dove è presente da molti anni operando in modo particolare nell’ambito della tutela delle mamme e dei bambini denutriti. Oltre all’Angola, l’organizzazione opera in molti altri Paesi con tre tipi di attività: elaborazione di “Progetti di sviluppo” nell’ambito della cooperazione internazionale, invio di aiuti medico-sanitari e Fondo Infanzia Bisognosa. I progetti, in particolare, spaziano dal campo sanitario e socio-sanitario a quello della formazione, dallo sviluppo agricolo a quello socio-economico.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it

 

Sull’argomento si veda anche: “Da Negrar a Luanda: 25 anni di cooperazione sanitaria in Angola”


Concorso presepi 2018: il primo premio all'Ortopedia

Una giuria di appassionati ha visitato tutti i presepi allestiti presso i reparti della Cittadella della Carità. Oltre al vincitore, sono stati premiati anche il presepio congiunto di Neurologia e Cardiologia e quello del terzo piano di Casa Nogarè

 

È il presepe dell’Ortopedia il vincitore del tradizionale concorso che vede in gara tutti i presepi realizzati all’interno della Cittadella della Carità (foto 1). Al secondo posto si è classificato il presepio congiunto di Neurologia e Cardiologia (foto 2) mentre sul terzo gradino del podio si è piazzato il presepio realizzato al 3° piano di Casa Nogarè (foto 3).

 

Le premiazioni, con tanto di consegna di un bel cesto gastronomico ad opera del CRON (Circolo Ricreativo Ospedali di Negrar), si sono svolte lunedì 31 dicembre dopo che una qualificata giuria di appassionati ha visitato tutti i presepi allestiti nei vari reparti dell’ospedale. Non è stata una scelta facile, visto l’altissimo livello della competizione, ma per tutti ci sarà la possibilità di rifarsi nel concorso già programmato per il Natale 2019.


Il dottor Ciaffoni lascia il Laboratorio: arriva il dottor Conti

Dopo 15 anni da direttore del Laboratorio di Analisi e di Medicina Trasfusionale, il dottor Stefano Ciaffoni va in pensione: “Lascio un Ospedale e un Laboratorio radicalmente trasformati. Se penso a come erano quando sono arrivato… mi sembra preistoria”

Verona è la sua città adottiva da quarant’anni, ma l’accento laziale il dottor Stefano Ciaffoni se lo tiene ben stretto. “Sono nato 67 anni fa a Frascati, terra del vino bianco, ma il destino ha voluto che finissi a Negrar, terra del vino rosso”, dice sorridendo.

 

Se a Verona ci è rimasto per amore – “ho conosciuto mia moglie Patrizia mentre facevo la naja alla caserma Duca di Montorio” – all’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria ci è giunto nell’agosto del 2003 come direttore del Laboratorio di Analisi e di Medicina Trasfusionale, rimanendovi per 15 anni: il 31 dicembre è l’ultimo giorno da camice bianco in servizio e il primo di una nuova vita. “Mi dedicherò a tante altre cose – racconta – ma principalmente farò il nonno di Arianna, la mia adorabile nipotina di sei mesi”. Sarà un nonno con la valigia in mano, perché Arianna abita in Gran Bretagna, dove il papà Luca, primogenito del dottor Ciaffoni, insegna chimica all’Università di Oxford. L’altro figlio, Nicola, è attore di teatro al “Piccolo” di Milano.

“Quando fu il momento di specializzarmi ero incerto se entrare nella scuola di Pediatria o di Ematologia – prosegue – . Alla fine non dovetti nemmeno fare la fatica di decidere: decise l’Università per me, perché non fui preso a Pediatria. Ma l’ematologia non fu un ripiego: il mondo delle cellule ematiche mi ha sempre affascinato e poi avevo una motivazione in più per esercitare la mia professione di medico in questo ambito avendo perso una cugina per leucemia di soli 15 anni”.

 

Il primo impiego del dottor Ciaffoni fu all’Ospedale di Borgo Trento dove rimase 12 anni, per trasferirsi poi in quello di Bussolengo, come responsabile della Medicina Trasfusionale. “Sentivo parlare del “Sacro Cuore Don Calabria” ma non avevo mai avuto l’occasione di andarvi – sottolinea – Fino al 1993 quando ricevetti l’invito a un incontro di pediatri come esperto di malattie ematologiche infantili, in particolare di piastrinopenia dei neonati prematuri”.

 

A volerlo a Negrar dieci anni dopo fu l’allora direttore sanitario, Gastone Orio. “Il nostro primo incontro è stato più uno scontro – scherza Ciaffoni -. Quando ero a Bussolengo abbiamo avuto, diciamo così, una divergenza di opinioni ma probabilmente, come accade spesso, questo ha rafforzato la stima reciproca”.

 

Come è cambiato il Laboratorio di Analisi in quindici anni? “Avrei voluto fare una foto quando sono arrivato per poterla confrontare con la realtà attuale – risponde -. In questo lasso di tempo la medicina in generale ha fatto passi da gigante e anche il nostro Ospedale si è radicalmente modificato, subendo una trasformazione incredibile. Così è stato anche per il Laboratorio. L’informatizzazione è stata la scelta decisiva. Basti pensare che quando sono arrivato i medici dei reparti compilavano a mano la richiesta di esami per ogni paziente e i dati venivano inseriti dalle nostre segretarie con gli inevitabili errori umani. Tutto questo adesso è preistoria”.

 

Oggi il dottor Ciaffoni lascia un Laboratorio con tecnologie di ultima generazione e un team di 50 persone tra cui quattro medici e 2 biologi. A prenderne il testimone sarà dal 1° gennaio 2019 il dottor Antonio Conti, già direttore del Laboratorio di Analisi Cliniche del “Mater Salutis” di Legnago.

 

“Non faccio nomi per non dimenticare nessuno, ma ringrazio proprio tutti coloro che hanno collaborato con me a realizzare progetti importanti e stimolanti – conclude il dottor Ciaffoni -. E‘ stata veramente una bella avventura. Ho svolto il lavoro che ho sempre desiderato fare in un ambiente che mi ha dato fiducia. Ma c’è un tempo per ogni cosa. Adesso è tempo di fare altro”.

 

 

elena.zuppini@sacrocuore.it