Il "Sacro Cuore" unico ospedale veneto con "casa" a Bruxelles
Nei mesi scorsi è stata rinnovata la domiciliazione tra l’ospedale di Negrar e la sede di Bruxelles della Regione Veneto mediante la stipula della apposita convenzione. Ecco cosa consente una “casa” nel cuore dell’Unione Europea
Il “Sacro Cuore Don Calabria” si riconferma la prima ed unica struttura sanitaria del Veneto domiciliata presso la sede regionale europea. E’ stata rinnovata la domiciliazione tra il nosocomio valpolicellese e la sede di Bruxelles della Regione Veneto mediante la stipula della apposita convenzione.
La domiciliazione permette all’Ospedale uno specifico appoggio logistico e tecnico ed un supporto qualificato in merito a tutte le opportunità presentate dall’Unione Europea mediante l’Ufficio regionale presente in terra belga.
In altre parole fornisce consulenza per la partecipazione ai bandi della Commissione Europea relativi ai programmi continentali di finanziamento in campo sanitario, come Horizon 2020 (l’8° Programma Quadro Europeo sulla Ricerca ed Innovazione) e il Programma Salute Pubblica.
Quali sono nello specifico i vantaggi per l’Ospedale? Il servizio Helpdesk ed Europrogettazione, finalizzato al monitoraggio della pubblicazione dei bandi e nella assistenza tecnica sulla redazione dei progetti, un database pubblico, ove viene raccolta la integralità dei bandi europei ed un ‘portafoglio partner’, vale a dire un archivio di contatti con enti europei interessati nella costituzione di partenariati.
Inoltre informative periodiche, un’agenda sulle politiche europee con gli appuntamenti di rilievo sulla scena di Bruxelles e l’organizzazione di eventi di informazione in territorio veneto in merito alle opportunità europee.
La Sede di Bruxelles è membro nel Comitato delle Regioni e partecipa a network interregionali, riguardanti l’ambiente, il sociale e la ricerca ed innovazione. La domiciliazione consente in più la partecipazione agli Open Days, la settimana europea delle Regioni: un’occasione per confrontarsi sulle sfide comunitarie e il ricorso all’Osservatorio europeo sugli aiuti di Stato, uno strumento di informazione sulla normativa del Vecchio Continente.
Enrico Andreoli
Non solo diagnosi: i tanti ruoli del patologo nelle MICI
Video-intervista al professor Robert Riddell, il più illustre patologo a livello internazionale per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI) a margine di un convegno organizzato dal “Sacro Cuore Don Calabria”
Dalla diagnosi al follow up, dal rischio di ricadute alla prevenzione delle complicanze, prima fra tutte il cancro al colon: l’analisi delle biopsie è di fondamentale importanza in molte fasi del percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti affetti da Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (in inglese Inflammatory Bowel Desease – IBD).
Un approfondimento sul ruolo del patologo e sull’importanza delle biopsie nei pazienti con IBD si può trovare nella video-intervista qui sotto al professor Robert Riddell, di Toronto, il più illustre patologo a livello internazionale per le IBD e in particolare per il morbo di Crohn e la colite ulcerosa (a destra in copertina, insieme al prof. Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica a Negrar). L’intervista è stata raccolta a margine del convegno “Focus on IBD 2017”, organizzato lo scorso 20 ottobre a Verona dal Centro per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino del “Sacro Cuore-Don Calabria”, diretto dal dottor Andrea Geccherle (vedi articolo di approfondimento).
Video-intervista a cura di
matteo.cavejari@sacrocuore.it
Nella foto di copertina, il prof. Riddell insieme al prof. Zamboni
In Photo Gallery: da sinistra il dottor Mattia Barbareschi, direttore dell’Anatomia Patologica di Trento, il professor Riddel, la dottoressa Paola Castelli, patologa di Negrar, il dottor Guido Mazzoleni, direttore dell’Anatomia Patologica di Bolzano, e il professor Zamboni. I dottori Barabareschi e Mazzoleni sono intervenuti al congresso “Focus on IBD 2017”
Stefania Gori presidente nazionale degli oncologi italiani
La direttrice dell’Oncologia Medica del “Sacro Cuore Don Calabria” è la prima donna ai vertici dell’Associazione Italiana Oncologia Medica (AIOM) che ha una storia di oltre quarant’anni e conta 2.500 soci
Stefania Gori, direttore dell’Oncologia Medica del “Sacro Cuore Don Calabria”, è la prima donna al vertice dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM).
Presidente eletto dall’ottobre del 2015, è’ entrata in carica come presidente nazionale al termine del XIX Congresso della Società scientifica, che si è tenuto a Roma dal 27 al 29 ottobre. Al suo fianco avrà Giordano Beretta, come presidente eletto, Roberto Bordonaro, segretario nazionale, e Saverio Cinieri, riconfermato Tesoriere. Il Consiglio direttivo nazionale 2017/2019 è composto da Giuseppe Procopio, Nicla La Verde, Sergio Bracarda, Silvia Novello, Antonio Russo, Giuseppe Aprile, Lucia Del Mastro, Daniele Farci.
Stefania Gori, dopo aver lavorato nell’Oncologia Medica di Perugia, dirige dal 2013 il Dipartimento oncologico della struttura sanitaria veronese. Dal 2007 è componente del Consiglio direttivo nazionale AIOM.
“Nell’ultimo decennio abbiamo ottenuto risultati che inizialmente sembravano irraggiungibili – afferma la Presidente – . I sette obiettivi della società scientifica per i prossimi anni saranno: ridurre il carico di malattia tumorale, puntando ad un accesso sempre più ampio alle nuove terapie per tutti i pazienti su tutto il territorio; aumentare il confronto e la collaborazione con le Istituzioni sanitarie; identificare in maniera sempre più chiara e condivisa con la Società Europea di Oncologia (ESMO) del profilo dell’oncologo medico; rafforzare la posizione dell’oncologia all’interno di un Servizio Sanitario Nazionale che sta cambiando (vedi implementazione delle Reti Oncologiche Regionali); supportare la ricerca oncologica no profit; fornire adeguata informazione ai pazienti e ai cittadini (sito AIOM, sito Fondazione AIOM, media e social); rafforzare la collaborazione con le altre società scientifiche nazionali e internazionali”.
“Voglio anche intensificare e valorizzare il contributo delle colleghe– aggiunge la dottoressa Gori -. Le oncologhe nell’AIOM sono oltre mille, eppure è la prima volta che una donna diventa presidente della nostra società scientifica. È un fatto significativo“. Un impegno importante e prioritario, sottolineato dal Presidente AIOM, sarà con i soci (oltre 2.500) che rappresentano la vera forza di AIOM, e con i coordinatori regionali: con tutti loro andrà aumentato il confronto e la collaborazione.
Endometriosi: nove anni per una diagnosi, ma spesso basta un'ecografia
Al “Sacro Cuore” si tiene, per la prima volta a livello internazionale, un corso monotematico sull’ecografia pelvica transvaginale nella diagnosi e nella gestione dell’endometriosi severa, esame di cui molto spesso si sottovalutano le grandi potenzialità
Sono nove gli anni che, secondo le stime, intercorrono dal primo momento in cui una donna si reca dal medico lamentando dolori invalidanti durante il ciclo mestruale o difficoltà ad iniziare una gravidanza e una diagnosi di endometriosi.
Un lungo arco di tempo che molte delle 3 milioni di donne in Italia (150 nel mondo) colpite dalla malattia vivono in un peregrinare da un medico all’altro e da un esame all’altro: clismi opachi, risonanze magnetiche, cistoscopie, colonscopie, fino alle laparoscopie esplorative.
Una lunga lista di accertamenti (dolorosi e costosi) che spesso sottovaluta le grandi potenzialità dell’ecografia pelvicatransvaginale, esame che negli ultimi decenni ha letteralmente rivoluzionato la diagnosila gestione (chirurgica o medica) delle pazienti affette da endometriosi ovarica e profonda. Cioè quella forma di malattia che si verifica quando l’endometrio (il tessuto che si sfalda durante le mestruazioni) è presente al di fuori della sua sede naturale, l’utero, intaccando organi quali l’intestino, l’apparato urinario e i fasci nervosi pelvici.
Proprio sulla diagnostica ecografica dell’endometriosi pelvica, venerdì 27 ottobre all’ospedale “Sacro Cuore Don Calabria” si terrà, per la prima volta a livello internazionale, un corso avanzatomonotematico (programma in allegato).
Ad organizzarlo il dottor Marcello Ceccaroni, direttore del Dipartimento per la tutela della salute e della qualità di vita della donna, Unità Operativa Complessa di Ginecologia e Ostetricia, dell’ospedale di Negrar, e il dottor Luca Savelli, medico presso il Pronto Soccorso Ostetrico-Ginecologico, dell’Azienda ospedaliera universitaria, Policlinico Sant’Orsola-Malpighi di Bologna (nella foto da destra).
“Il ‘Sacro Cuore Don Calabria’ è il luogo perfetto dove svolgere un corso su questo tema – afferma il dottor Savelli – essendo da tempo tra i Centri al mondo per numero di interventi chirurgici per endometriosi severa (circa 1.500 casi all’anno). Qui si sono sviluppate tecniche chirurgiche di grande rilievo e, nello stesso tempo, competenze diagnostiche che poche realtà internazionali possiedono“.
Al corso interverranno oltre ai ginecologi di Negrar e dell’Università di Bologna, anche esperti provenienti dall’Ateneo di Siena.
“L’ecografia transvaginale è un esame non invasivo, indolore, ripetibile più volte e dai costi contenuti per il sistema sanitario – spiega il dottor Ceccaroni -. Ma non di banale esecuzione, richiedendo da parte dell’operatore la capacità di non limitarsi all’accertamento di cisti ovariche, ma di andare oltre. Cioè di identificare quegli elementi che fanno presagire la presenza sotto il peritoneo di noduli di endometriosi molto aggressivi, tali da intaccare altri organi. Spesso, purtroppo, questi noduli non vengono visti e di conseguenza viene esclusa la malattia, anche se la paziente lamenta dolori e sintomi ben precisi. Con questo corso vorremmo fornire agli specialisti interessati quelle conoscenze di base di diagnostica ecografica dell’endometriosi profonda in modo che le pazienti, identificata la patologia, siano inviate il prima possibile ai Centri specializzati per il trattamento“.
Il numero dei partecipanti all’evento (150) è intenzionalmente limitato in quanto il corso avrà carattere interattivo, con una parte teorica e una pratica. Nel pomeriggio, infatti, si terranno sessioni live di esami ecografici e contemporaneamente, dalle sale operatorie dell’ospedale, di interventi chirurgici laparoscopici su pazienti con endometriosi, per dare il modo ai partecipanti di correlare gli aspetti ecografici con quelli anatomici.
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Al ritmo di "Staying Alive" si impara a salvare una vita
Gli specialisti del Centro IRC (Italian Resuscitation Council) del Sacro Cuore insegnano le tecniche di base per la rianimazione cardio-polmonare ai ragazzi delle medie di Negrar durante la settimana di sensibilizzazione promossa dal Parlamento Europeo
Una palestra affollata di ragazzi e ragazze tredicenni che fanno il massaggio cardiaco su appositi manichini al ritmo di Staying Alive, intramontabile canzone dei Bee Gees. Sarà più o meno questa la scena che si presenterà stamattina alle scuole medie Emilio Salgari di Negrar, in occasione di un corso sulle manovre rianimatorie di base promosso dal Pronto Soccorso dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, diretto dal dottor Flavio Stefanini, che è anche Centro di Riferimento Didattico e Formativo IRC (Italian Resuscitation Council).
L’evento fa parte della settimana “Viva!”, un’iniziativa voluta dal Parlamento Europeo per sensibilizzare la popolazione sul tema dell’arresto cardiaco. Si calcola infatti che in Europa ogni anno circa 400 mila persone siano colpite dal “cortocircuito elettrico” del cuore, di cui 60 mila in Italia. Nel 70% dei casi è presente almeno un testimone all’evento, ma solo in poche occasioni i testimoni sono in grado di iniziare le manovre di rianimazione in attesa che arrivino i soccorsi (15%).
Eppure i primi momenti, dopo un arresto, sono decisivi per salvare la persona colpita e per impedire danni cerebrali irreversibili. “In seguito ad un arresto cardio-respiratorio il sangue smette di essere pompato ai vari organi e in particolare al cervello che ne risente prima di tutti gli altri poiché ha una limitata riserva di zuccheri e ossigeno. Per questo è fondamentale eseguire il massaggio cardiaco nei primi momenti, perché se il cervello rimane senza sangue per più di 3-4 minuti aumenta fortemente il rischio di danni permanenti – dice il dottor Marco Boni, medico del Pronto Soccorso e responsabile del Centro IRC del nosocomio di Negrar – fortunatamente le manovre rianimatorie di base non sono difficili e con un po’ di formazione possono essere messe in atto da tutti“.
La lezione ai ragazzi e alle ragazze delle scuole “Salgari” prevede una prima parte teorica, durante la quale sarà spiegato cosa avviene in caso di arresto cardiaco. Seguirà la parte pratica con le manovre rianimatorie sui manichini. Il tutto al ritmo di musica… “Un buon massaggio non deve mai interrompersi e deve prevedere tra le 100 e le 120 compressioni al minuto“, sottolinea Boni. Proprio come il numero di battute della batteria in “Staying Alive”…
Il Centro IRC del Sacro Cuore è operativo dal 2009 con corsi e iniziative di sensibilizzazione sulle manovre rianimatorie sia sugli adulti sia a livello pediatrico. Ne fanno parte circa venti sanitari tra medici e infermieri. In questi anni il Centro ha promosso, in collaborazione con l’Ufficio Formazione dell’ospedale, più di 250 corsi BLSD/BLSD pediatrico sulle manovre rianimatorie di base per tutto il personale del “Sacro Cuore” con un numero totale di circa 2500 allievi formati. In tale periodo inoltre ha progressivamente introdotto corsi di rianimazione avanzata dell’adulto (50 corsi e circa 500 allievi formati) e del bambino, con il sostegno del Centro di Formazione Pediatrico Scaligero diretto dal prof. Paolo Biban.
Inoltre gli istruttori IRC tengono corsi per altre strutture sanitarie, per aziende, asili nido, scuole dell’infanzia e genitori (sul primo soccorso nel bambino) nonché per società sportive, includendo la formazione sull’uso del defibrillatore e le manovre di disostruzione in seguito a inalazione di corpi estranei. Infine c’è il lavoro divulgativo a titolo del tutto volontario che si sviluppa annualmente nei locali dell’Ospedale Sacro Cuore, nelle hall di casa Nogarè, del centro prelievi e dei poliambulatori. Infine ma non da ultimo il progetto divulgativo sempre a titolo volontario nelle scuole della Valpolicella e di Verona, che rappresenta una grande sfida, con la collaborazione di altri centri di formazione IRC come il C.d.F “Valpolicella Cuore”.
“I ragazzi sono molto ricettivi su questi temi e c’è uno studio, in Danimarca, che dimostra come dopo un’attività di formazione capillare fatta nelle scuole, a distanza di 9-10 anni sia nettamente aumentata la percentuale di persone che sopravvivono ad un arresto cardiaco con prognosi favorevole, con un raddoppio nel numero di persone che hanno ricevuto la rianimazione cardio-polmonare da personale non sanitario. Anche per questo l’European Resuscitation Council, società scientifica europea collegata all’ Italian Resuscitation Council, di cui noi siamo parte, sta promuovendo la campagna Kids Save Lives che ha come obbiettivo la divulgazione della formazione su questi temi nelle scuole”, conclude il dottor Boni.
matteo.cavejari@sacrocuore.i
Buon compleanno Cardiologia! 25 anni fa nasceva il reparto
Era il 19 ottobre del 1992. I protagonisti di allora (e di oggi) raccontano quel momento storico dell’ospedale Sacro Cuore, tra cui il primo primario, il dottor Giancarlo Salazzari: “Qualche timore, ma tanto entusiasmo e gioco di squadra”
Solo un piccolo disguido organizzativo ha impedito che l’inaugurazione della Cardiologia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria coincidesse con i 500 anni esatti della scoperta dell’America, il 12 ottobre del 1992. Il taglio del nastro è avvenuto una settimana dopo, il 19 ottobre, ma dalla memoria dei protagonisti di quel momento storico affiorano timore ed entusiasmo, le stesse sensazioni di chi si inoltra in una “nuova” terra.
La storia comunque riporta che il “Sacro Cuore Don Calabria”, 25 anni fa, non era del tutto a digiuno in Cardiologia, intesa come specialità. Il “cuore” del reparto ha iniziato a pulsare come Servizio agli inizi degli anni Ottanta. Si effettuavano tutta la diagnostica di base (“con standard elevati per quell’epoca”, raccontano i testimoni): visite ed esami come l’Elettrocardiogramma, l’Holter, il Cicloergometro ed Ecocardiogramma. Vi operavano tre medici: i dottori Herman Guilarte e Salvatore Longo, attualmente in pensione, e il dottor Edoardo Adamo, allora giovane cardiologo e ancora operativo a Negrar.
“Il Servizio di Cardiologia – racconta Adamo – era aggregato alla Divisione di Medicina, dove sei letti erano riservati ai pazienti con problemi di cuore. Il primario, dottor Oreste Ghidini, era un gastroenterologo ma guardava con favore l’espansione della Cardiologia e ci stimolava all’impegno. Iniziai a frequentare il Servizio su base volontaria nel 1983 e venni assunto definitivamente nel 1987. Se mi guardo indietro sembrano passati secoli – prosegue -. Basta pensare che la reperibilità notturna si basava… sull’amicizia: tra i medici dell’ospedale ci conoscevamo un po’ tutti e quando era necessario un consulto, lo specialista di un altro reparto chiamava il cardiologo con cui aveva più confidenza!”.
Gli anni Ottanta furono un periodo di intenso lavoro che pose le basi per l’apertura del reparto. La svolta avvenne il 1° settembre del 1991 quando giunse al “Sacro Cuore Don Calabria” il dottor Giancarlo Salazzari con il compito di aprire il reparto e di diventarne il primario. “Ricordo che il direttore sanitario Gastone Orio venne all’ospedale di Borgo Trento, dove lavoravo, illustrandomi la proposta – ricorda Salazzari -. Non dovetti pensarci a lungo. Quando si lavora per molti anni nello stesso posto, si rischia di adagiarsi sulla quotidianità perdendo quell’entusiasmo che si dovrebbe avere in qualsiasi professione e ancora di più quando ci si occupa della salute delle persone. Fondare una Cardiologia e aiutarla a crescere mi apparvero subito degli stimoli a cui non poter rinunciare. E ho avuto ragione”.
Il dottor Salazzari si dette subito da fare per “arruolare” nuovi medici. “Il primario venne un giorno a cercarmi in ospedale a Verona – racconta il dottor Giulio Molon, responsabile del Servizio di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione -. Mi propose di trasferirmi a Negrar, dove dal 1991 ero consulente, tre volte alla settimana, per la lettura e la refertazione degli esami Holter. Gli risposi che la sua proposta mi rendeva felice, poiché al “Sacro Cuore” mi trovavo molto bene. In particolare mi aveva colpito l’ottimo clima tra tutto il personale e la gentilezza verso i pazienti. Inoltre conoscevo molto bene Salazzari e il suo grande valore professionale e umano. Negrar era il posto ideale per iniziare la mia professione come ospedaliero”.
Il fatidico taglio del nastro avvenne il 19 ottobre del 1992. Non senza l’inconveniente dell’ultimo momento, racconta Enzo Dalle Pezze, primo caposala del reparto e oggi con lo stesso ruolo presso la Speciale Unità di Accoglienza Permanente per gli stati vegetativi e la Casa di Riposo Nogarè. “Era stata fissata la data del 12 ottobre – racconta – ma ad una settimana mancavano buona parte degli arredi, pertanto l’inaugurazione fu slittata di altri sette giorni”.
Per la Cardiologia fu scelto il secondo piano del “Sacro Cuore” (la stessa collocazione di adesso), dove furono riservati 16 posti letto, che divennero 22 quando i cardiologi “conquistarono” anche il reparto di Malattie Tropicali, trasferito al “Don Calabria”.
“Abbiamo iniziato dal nulla e siamo cresciuti assieme”. Lo ripete più di una volta Dalle Pezze, al quale fa eco Alessandra Renzi, una delle prime infermiere, oggi caposala del Servizio di Cardiologia, ed Enzo Righetti, che lavora ancora in reparto.
“E’ il caso di dirlo: la Cardiologia mi è rimasta nel cuore – dice Dalle Pezze -. Eravamo una vera e propria squadra, molto affiatata, non solo tra noi infermieri ma anche con i medici. Provenendo dalla Riabilitazione, non conoscevo nulla della gestione del paziente cardiologico. Per entrare nel contesto, venni inviato presso la Cardiologia e l’Unità Coronarica di Borgo Trento per un’esperienza di venti giorni. Posso dire di essermi formato sul campo, confrontandomi di continuo con i colleghi e con i cardiologi”.
“Io provenivo dalla Divisione di Medicina – interviene Renzi – ma non ero preparata per un reparto come quello di Cardiologia. E al reparto di allora, quando nei primi anni di notte era presente solo un infermiere professionale e un operatore. Non c’era il supporto dell’attuale tecnologia. Un esempio? Non esisteva la telemetria: giorno e notte, a brevi intervalli di tempo, andavamo al letto del paziente per controllare i monitor. Ma affrontavamo le difficoltà con coraggio e la disponibilità di tutti, in primo luogo il primario”.
“Venivo da 15 anni di Ortopedia – afferma Righetti -. Qualche timore era inevitabile, perché l’ambito era totalmente differente, ma c’era la voglia di imparare cose nuove, di crescere professionalmente. Ricordo i primi monitoraggi, le prime somministrazioni dei farmaci con le pompe, le tante difficoltà ma anche le tante soddisfazioni. E’ stata una sfida e un’avventura”.
In questa avventura il professor Enrico Barbieri, l’attuale primario, fece la sua prima comparsa il 14 settembre del 1999, chiamato da Salazzari come consulente per le coronarografie. Fu la prima pietra per l’attività di emodinamica e la svolta della Cardiologia di Negrar. “Ero ricercatore presso l’Università di Verona – ricorda Barbieri – e mi chiamarono per svolgere le coronarografie in sede, prima i pazienti venivano inviati in Borgo Trento. L’esame avveniva al primo piano del “Sacro Cuore” dove ora c’è la Radiologia. Divenni primario il 1° settembre del 2001, quando Salazzari andò in pensione, e poco più di un anno dopo venne fatta la prima angioplastica”.
Il resto è cronaca. Dalla prima angioplastica si è passati a 310 interventi all’anno, di cui 150 in urgenza (dati 2016). L’U.O.C. di Cardiologia con le due sale di Emodinamica e i 4 posti di Terapia Intensiva Cardiologica dall’ottobre del 2016 è un Centro HUB della Rete Veneta per l’infarto miocardico, con operatività h24 per tutto l’arco dell’anno.
Dagli impianti di pacemaker effettuati ancora sotto la guida di Salazzari si è sviluppata invece l’attività di Elettrofisiolologia e di impiantistica. Nel 1999 i dottori Guido Canali (oggi responsabile del Servizio di Emodinamica) e Paolo Girardi (attualmente all’ospedale di San Bonifacio) fecero il primo impianto di pacemaker definitivo. Attualmente i pacemaker hanno la forma di un proiettile e stanno tutti dentro al cuore e anche i defibrillatori sono sempre più sofisticati. Infine, il Laboratorio di Ecocardiografia che mosse i primi passi negli anni Ottanta, oggi vanta la certificazione europea e si distingue nell’ambito dello studio delle patologie cardiache congenite, anche a livello fetale.
Che cosa è rimasto di quell’avventura di 25 anni fa? La risposta dei protagonisti della Cardiologia di ieri e di oggi è all’unisono: “La nostra Unità Operativa è diventata sempre più interventistica, ora forniamo prestazioni di altissimo livello professionale e tecnologico. Ma quello che non è cambiato è l’atteggiamento di disponibilità e di comprensione verso i pazienti. Rimane il cardine della nostra attività quotidiana”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
MICI e cancro al colon: quei campanelli d'allarme chiamati displasie
l professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica, parla del ruolo del patologo nella presa in carico di pazienti con Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (MICI), ruolo che è al Centro della prima edizione di “Focus On IBD 2017”
Sono 200mila le persone in Italia affette da morbo di Crohn e da colite ulcerosa, le due forme di Infiammatory Bowel Disease (IBD) – in italiano MICI (Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali) – che richiedono per la loro complessità la presa in carico del paziente fin dalla diagnosi da parte di un team di specialisti. Un approccio che caratterizza le più importanti realtà cliniche dedicate a queste patologie, tra cui il Centro dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, che segue circa 1.500 pazienti con 80 nuovi casi all’anno.
A Negrar ogni settimana gastroenterologi, radiologi, patologi, endoscopisti, chirurghi digestivi e, quando è necessario, oncologi si siedono attorno a un tavolo per discutere in modo collegiale la situazione di ogni paziente.
Un po’ quello che avverrà venerdì 20 ottobre all’Hotel Leon D’Oro di Verona nell’ambito del “Focus On IBD – 2017”, organizzato dal Centro MICI del “Sacro Cuore Don Calabria”, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle (in allegato il programma). Specialisti provenienti da varie realtà internazionali e nazionali faranno il punto sulle strategie di diagnosi e di gestione dei pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino.
“Vorremmo che questo diventasse un appuntamento annuale – afferma il professor Giuseppe Zamboni, direttore dell’Anatomia Patologica di Negrar e uno dei responsabili scentifici dell’evento (nella foto) -. Quest’anno abbiamo voluto che al centro del simposio ci fosse la figura del patologo. Questo grazie alla presenza del professor Robert Riddell, di Toronto, il più illustre patologo a livello internazionale per il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Il professore Riddell terrà due lezioni magistrali: la prima sul ruolo del patologo nella diagnosi delle IBD. La seconda verterà su displasia e cancro nelle IBD”.
Professor Zamboni, perché è importante il ruolo del patologo per quanto riguarda le MICI?
“La diagnosi precisa di queste patologie è fondamentale per avviare il paziente a un corretto percorso terapeutico. Non sempre è possibile stabilire con certezza se si tratta di morbo di Crohn o di colite ulcerosa, perché le due malattie possono presentare delle caratteristiche trasversali. L’approccio multidisciplinare fin dal momento della diagnosi con il contributo professionale di tutti gli specialisti riduce il numero dei casi “indeterminati”. Per contenere al minimo questi casi di difficile interpretazione, il “Sacro Cuore Don Calabria” partecipa ad un progetto interaziendale di controllo di qualità con i patologi delle Anatomie Patologiche di Trento e Bolzano. I colleghi dei rispettivi ospedali saranno tra i relatori del Congresso”.
Il patologo interviene solo in fase di diagnosi?
“No. Il suo contributo è fondamentale anche per verificare se il paziente risponde ai farmaci e sulle conseguenze a lungo termine della malattia, in quanto questi pazienti hanno una maggiore predisposizione a sviluppare il cancro al colon”.
A cosa è dovuta questa maggiore predisposizione?
“Ad oggi non si conoscono le cause delle MICI, ma è stato provato che sono una reazione abnorme del sistema immunitario a un ‘nemico’ per ora sconosciuto. Reazione che provoca un’infiammazione a livello del colon. Si tratta di malattie croniche, che possono insorgere in età pediatrica o giovanile. Pertanto un’infiammazione prolungata per 10-15 anni obbliga la mucosa a un’anomala proliferazione cellulare, aumentando il rischio di formazione di cellule neoplastiche”.
E’ possibile prevenire il cancro al colon di questi pazienti?
“Sì. Prima di tutto somministrando la terapia appropriata. I farmaci biologici, da alcuni anni in commercio, migliorano in modo decisivo la qualità di vita dei pazienti, in quanto controllano i sintomi: diarrea, sanguinamento nell’evacuazione e occlusione intestinale. Ma non solo: riducendo l’infiammazione, diminuiscono il rischio di insorgenza di cancro. Tuttavia questo non basta per prevenire la neoplasia. E’ necessario sottoporre il paziente a periodici esami endoscopici con biopsie mirate, per capire se è iniziata la trasformazione neoplastica dell’epitelio colico. Il campanello d’allarme è dato dalla presenza di displasia – lesione neoplastica allo stadio iniziale identificabile con l’esame istologico – che fanno passare la condizione del paziente dalla semplice predisposizione alla concreta possibilità di sviluppare il carcinoma del colon”.
Una volta diagnosticata la displasia come si procede?
“Proprio il professor Riddell ha sviluppato la classificazione della displasia nelle malattie infiammatorie croniche intestinali, distinguendola in alto grado e basso grado. A partire da questo momento, il ruolo dell’equipe multidisciplinare consiste nell’identificare la terapia più opportuna. Storicamente un paziente con displasia di alto grado, o con displasia di basso grado in più settori del colon, veniva sottoposto a colectomia totale. Attualmente, grazie alle nuove tecniche di endoscopia interventistica di cui dispone il Servizio di Endoscopia dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dal dottor Paolo Bocus, qualora la lesione sia identificata macroscopicamente e giudicata localmente resecabile, il paziente può avvalersi di una resezione endoscopica ed evitare l’asportazione dell’intero colon”.
Senza colon il paziente è costretto a vivere per sempre con la colostomia?
“No, solo per tre mesi. L’intervento avviene in due fasi: una fase demolitiva e una fase ricostruttiva, dopo circa 90 giorni, per consentire al paziente di non avere problemi di incontinenza. Grazie all’abilità e all’esperienza dei chirurghi diretti dal dottor Giacomo Ruffo, a Negrar le due fasi avvengono in laparoscopia, il che significa una ripresa più rapida del paziente e meno giorni di ospedalizzazione”.
elena.zuppini@sacrocuore.it
"Vi racconto la collaborazione con il Sacro Cuore per la 'mia' Ucraina"
Il nunzio apostolico in Ucraina giovedì 19 ottobre sarà ospite di un incontro alla Società Letteraria di Verona durante il quale parlerà anche dei progetti sanitari scelti e monitorati dall’ospedale di Negrar su richiesta del Papa
“Ucraina, limbo d’Europa” è il tema dell’incontro di giovedì 19 ottobre alla Società Letteraria (via Scalette Rubiani, 1 a Verona) che vedrà come relatore d’eccezione mons. Claudio Gugerotti (nella foto), nunzio apostolico nella ex Repubblica dell’Unione Sovietica.
L’appuntamento, con inizio alle 17.30, è stato promosso oltre che dalla Società Letteraria, anche dalla Fondazione Masi, dall’ospedale Sacro Cuore Don Calabria e dall’Associazione Malve di Ucraina.
Il Vescovo veronese parlerà della drammatica situazione della parte meridionale del Paese, teatro di un conflitto che perdura dal 2014 nel silenzio totale del mondo. Un silenzio assordante, squarciato solo da Papa Francesco che ha stanziato ingenti finanziamenti finalizzati a progetti umanitari per la popolazione. In particolare, le iniziative sanitarie stanno coinvolgendo l’ospedale di Negrar che ha scelto i progetti e sta monitorando la loro realizzazione (vedi: Il Sacro Cuore consulente del Papa per i progetti sanitari in Ucrania e “Il Papa per l’Ucraina: sono realtà i progetti vagliati dal “Sacro Cuore”).
Ad aprire l’incontro sarà il vicepresidente della Fondazione Masi. Porteranno i saluti il vescovo di Verona, mons. Giuseppe Zenti, il sindaco della città, Federico Sboarina, e la presidente della Società Letteraria, Daniela Brunelli. Interverrà anche il dottor Claudio Bianconi, direttore della Neurologia di Negrar, che ha svolto due missioni in Ucraina, prima con un’équipe di colleghi (i dottori Zeno Bisoffi e Carlo Lorenzi e la dottoressa Teresa Zuppini, accompagnati da don Ivo Pasa, delegato per l’Europa dell’Opera Don Calabria), per acquisire informazioni dirette sulla situazione del Paese, e poi per verificare l’avanzamento dello stato dei progetti.
Con la nuova TAC esami più veloci e meno radiazioni erogate
E’ l’ultima acquisizione tecnologica della Diagnostica per Immagini: una TAC a doppia energia di ultima generazione, particolarmente indicata in ambito oncologico e cardiologico
La Diagnostica per Immagini dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretta dal dottor Giovanni Carbognin, amplia il suo “parco tecnologico” con l’acquisizione di una nuova TAC a doppia energia, che va ad affiancarsi ad un’altra presente a Negrar dal 2012. Il nuovo macchinario è stato mostrato al presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia, ospite d’onore, mercoledì 4 ottobre, in occasione delle celebrazioni per la Festa di Don Calabria.
La nuova Tomografia Assiale Computerizzata è dotata di due tubi radiogeni ad alta efficienza con energia differenziata e due sistemi di rilevazione (detettori) per l’acquisizione delle immagini.
Le innovazioni tecnologiche rispetto ai modelli precedenti assicurano molti vantaggi: i principali sono una migliore definizione delle immagini in un tempo di acquisizione inferiore e, soprattutto, una marcata riduzione della dose radiante.
La nuova TAC, infatti, è in grado di acquisire 192 strati in 0,25 secondi e, dal volume acquisito, generare immagini diagnostiche su tutti i piani dello spazio, con risoluzione submillimetrica. In questo modo diventano visibili anche lesioni che con strati di maggiore spessore avrebbero avuto scarsa definizione o, addirittura, sarebbero sfuggiti alla diagnosi.
Inoltre, la macchina è in grado di bilanciare la dose di raggi X erogata al paziente sulla base del volume e del distretto anatomico da studiare, garantendo una riduzione della dose fino al 40% rispetto ad altri sistemi TC multistrato.
In ambito oncologico, oltre alla netta riduzione della dose, particolarmente importante per i pazienti che devono sottoporsi a ripetuti controlli, la doppia energia consente anche una riduzione della quantità di mezzo di contrasto, in quanto l’energia di 1 dei due tubi è particolarmente efficace nel rilevarne minime quantità: ciò, tra gli altri vantaggi, comporta minor “carico” sulla funzionalità renale, particolarmente rilevante se si considera le delicate condizioni dei pazienti.
Oltre che per le tradizionali applicazioni diagnostiche il nuovo apparecchio è particolarmente indicato per lo studio del cuore e di tutto il sistema cardiovascolare. Il gantry (la struttura circolare ruotante della TAC) è infatti in grado di compiere la rotazione a 360° nel tempo di 0,25 secondi. Questo permette di “fotografare” un solo battito cardiaco nella sua interezza senza somministrare farmaci betabloccanti al paziente per rallentare la frequenza cardiaca. Un notevole valore aggiunto nella diagnostica cardiologica, in quanto finora la velocità di acquisizione delle immagini dei precedenti modelli TAC era sempre inferiore rispetto a quella del flusso del sangue e del battito cardiaco, non consentendo di fatto uno studio completo del sistema cardiovascolare.
Per l’estrema velocità di esecuzione dell’esame oltre che per la netta riduzione della dose radiante, la nuova TAC è particolarmente adatta anche ai Pazienti pediatrici, senza la necessità di ricorrere alla sedazione per impedire movimenti durante l’esame.
Appropriatezza: una "terapia" che fa bene alla salute e alla Sanità
Si parlerà di appropriatezza clinica e farmacologica venerdì 13 ottobre al “Sacro Cuore”: il rispetto delle indicazioni di prescrizione del farmaco ha come unico obiettivo la salute del paziente
Appropriatezza e razionalizzazione delle risorse, insieme a lotta agli sprechi, sono termini entrati ormai nel lessico della politica e dell’informazione quando il tema è la sanità, sempre più costosa e sempre con meno finanziamenti a disposizione. Spesso sono parole che vengono interpretate come “tagli”, soprattutto quando il cittadino di fronte alla richiesta di un esame o di un farmaco, si sente rispondere: “Non è indicato”, ovvero non è appropriato.
Di appropriatezza clinica e farmacologica si parlerà venerdì 13 ottobre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, in un convegno organizzato dal Servizio di Farmacia, diretto dalla dottoressa Teresa Zuppini, e rivolto a medici, farmacisti e infermieri (in allegato il programma).
Ma cosa significa appropriatezza? “Quando si parla di scelte appropriate nella terapia medica – risponde la farmacista Lorenza Cipriano, responsabile scientifico dell’incontro – abbiamo da un lato il paziente con le sue esigenze di salute e dall’altro il rispetto delle regole del Sistema Sanitario Nazionale che prevedono la prescrivibilità dei farmaci secondo precise indicazioni. In mezzo a questi due estremi ci sono i medici e i farmacisti, con un ruolo ben definito: quello di collaborare, ciascuno con la propria professionalità e competenza, per garantire l’efficacia e la sicurezza delle terapie prescritte al paziente”. Una “combinazione virtuosa” che determina la sostenibilità del sistema-Sanità.
“Se il farmaco è prescritto al di fuori delle indicazioni e dei dosaggi per i quali ne è stata valutata l’efficacia può indurre tossicità ed effetti avversi che vanno a gravare sulla salute del paziente stesso esponendolo a rischi ingiustificati – prosegue la dottoressa Cipriano -. Questo avviene soprattutto nel caso di assunzione di più farmaci che creano interazione tra di loro e con farmaci di facile accessibilità”.
Tra questi gli inibitori di pompa protonica (pantoprazolo, omeprazolo, lansoprazolo…) di cui si parlerà durante il convegno. Sono farmaci rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale per la cura/prevenzione di importanti patologie quali la gastropatia da FANS (Farmaci anti-infiammatori non Steroidei) e il trattamento delle patologie acido-correlate. La solida evidenza a supporto dell’efficacia degli inibitori di pompa protonica e il loro elevato profilo di sicurezza, almeno nel breve termine, hanno contribuito nel tempo ad un’eccessiva prescrizione di questi farmaci. Il loro impiego anche per diagnosi non documentate o non coerenti con le note dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) determinano annualmente rilevanti ricadute sul SSN.
“Per coniugare efficacia, sicurezza e sostenibilità del sistema – conclude la farmacista – rimane quindi fondamentale il rispetto delle linee guida prescrittive indicate da AIFA e dalla Regione Veneto. Ma anche la de-prescrizione e la Slow Medicine, cioè la condivisione del percorso di cura da parte di tutti gli attori in gioco: professionisti sanitari e lo stesso paziente, che deve aderire alla terapia affinché sia più efficace possibile”.