"Il conte è morto": la straordinaria storia di Francesco Perez

Un video racconta la vita di questo grande personaggio che aiutò don Calabria nella fondazione della sua Opera. A lui oggi sono dedicati la sala convegni e una residenza socio-sanitaria all’interno della Cittadella della Carità

Chi era Francesco Perez? Come aveva conosciuto don Calabria? Perché alla figura del Perez sono dedicati alcuni ambienti all’interno della Cittadella della Carità di Negrar?

Quella del conte Francesco Perez è una storia senza tempo. Un uomo nobile, ricco e stimato, che all’inizio del Novecento vende tutti i suoi molti averi per seguire don Calabria nell’assistenza agli ammalati e ai fanciulli abbandonati. È il 1909 e da quel momento fratel Perez diventa povero tra i poveri. E sarà sempre un pilastro dell’Opera fondata da don Calabria fino alla morte nel 1937 (vedi video sulla vita di Francesco Perez).

 

Oggi a lui sono dedicati due importanti ambienti nella Cittadella della Carità. Si tratta della Sala Convegni “Francesco Perez” e della “Casa Perez”, una struttura socio-sanitaria che comprende una Casa di riposo per persone non autosufficienti con problemi sociali e psichiatrici cronici (con 85 posti letto) e una Residenza sanitaria assistenziale per persone con problemi sociali e psichiatrici che richiedono un alto impegno sanitario (24 posti letto).

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Vaccini: tra evidenze scientifiche e grandi leggende

Ai vaccini si deve l’estinzione o il controllo di malattie che solo pochi anni fa mietevano morti e menomazioni. Eppure in Italia è in pericolosa diminuzione la copertura vaccinale. Perché tanta paura? Rispondono il pediatra, l’infettivologo e la geriatra

Hanno cambiato con gli antibiotici i destini dell’umanità, eppure sui vaccini è calata una coltre di diffidenza. Il Veneto (dove dal 2008 è stato sospeso l’obbligo) è passato in pochi anni da una copertura vaccinale del 98% ad appena il 91% (in Italia la media è del 93.4%). Percentuale al di sotto di quel 95% che garantisce la cosiddetta “immunità di gregge”, cioè la situazione che si verifica quando la vaccinazione di una parte significativa della popolazione tutela anche coloro che, a causa di particolari patologie, non possono sottoporsi al vaccino. Se la soglia di copertura dovesse diminuire fino all’85% o meno alcune malattie come la polio, il tetano e la difterite, di cui da anni non si registrano o si registrano solo pochi casi in Italia, ritornerebbero anche nel nostro Paese. La diffidenza non colpisce solo i vaccini che vengono somministrati nei primi anni di vita. Per quanto riguarda la vaccinazione antinfluenzale (avviata in questi giorni sul territorio nazionale) la copertura in Veneto nella passata stagione ha interessato solo il 14,6% della popolazione.

 

Ma perché i vaccini fanno così paura?

 

Il pediatra

“Poiché molte malattie infettive per cui si moriva un tempo non ci sono più, il timore che provocavano si è spostato sulle complicanze da vaccino, dimenticando che a sconfiggere quelle malattie è stata proprio la vaccinazione di massa avviata tra gli anni Cinquanta e Sessanta”, afferma il dottor Antonio Deganello (foto 1), direttore dell’Unità Operativa di Pediatria del “Sacro Cuore Don Calabria”.

Complicanze, sottolinea ancora il medico, che “non si possono negare. Ma se noi andiamo ad analizzare i dati della Regione Veneto negli ultimi 20 anni sono stati somministrati circa 29milioni e 200mila vaccini. Alla luce di questi numeri si sono verificate 400 complicanze, di cui circa 80 locali (cioè ascessi). Le altre consistono in shock anafilattici (che si sono risolti immediatamente in quanto si consiglia di restare in sala d’aspetto per 15-20 minuti dopo la somministrazione del vaccino) e purtroppo in problemi neurologici”.

Sono proprio gli effetti collaterali a danno del sistema neurologico che suscitano i maggiori timori. Come la millantata correlazione tra il vaccino contro il morbillo (patologia infettiva che può provocare anche polmoniti ed encefaliti letali) e l’autismo. “Non vi è nessuna evidenza scientifica che attesti una correlazione tra questo tipo di vaccino e l’autismo – chiarisce il dottor Deganello -. Lo studio di Jeremy Wakefild che voleva provarla si è dimostrato un falso scientifico e il dottore è stato radiato dall’Ordine dei medici britannico. La correlazione è stata negata anche dalla Cassazione italiana nel 2002 nell’ambito di un procedimento di risarcimento”.

 

Molti studi scientifici hanno poi dimostrato l’inesistente legame tra il mercurio, contenuto fino al 2002 in alcuni tipi di vaccino, e l’autismo.

“E’ dimostrato scientificamente che i benefici introdotti dai vaccini sono enormemente più rilevanti delle complicanze legate ad essi – conclude il pediatra -. Come medico sono favorevole a tutti i vaccini in particolare a quelli che proteggono da malattie molto gravi come la polio, il tetano, la difterite, il morbillo, la meningite, di cui solo qualche anno fa vedevamo anche qui a Negrar due casi al mese. Se per mantenere una copertura vaccinale efficace fosse necessario rintrodurre l’obbligatorietà, torniamo ad essa”.

 

L’infettivologo

“Negli ultimi decenni vi è stato un cambiamento epocale in sanità – afferma il dottor Andrea Angheben (foto 2), medico infettivologo del Centro per le Malattie Tropicali di Negrar -. Si è passati da un concetto di salute che privilegiava l’aspetto comunitario a un concetto che invece pone l’accento solo sul singolo, anche se questo può avere ripercussioni sulla comunità. Il sempre più diffuso timore per i vaccini è l’esempio emblematico di questo passaggio”.

Secondo il medico, “il vaccino va considerato come un farmaco, nell’accezione che comunemente diamo a questo termine. Come è assurdo essere contrari ai farmaci in senso generale solo perché possono avere degli effetti collaterali, è altrettanto superficiale dichiararsi contrari a tutti i vaccini. Perché ci sono vaccini e vaccini. Alcuni possono avere degli avventi avversi banali, altri più significativi pur nell’estrema rarità”.

Non dimentichiamo poi che alcuni vaccini hanno cambiato i destini dell’umanità come quello contro il tetano, la polio o la difterite, “per i quali io sono per l’obbligatorietà, come nel caso del vaccino per l’epatite B. La vaccinazione contro quest’ultima malattia è stata introdotta negli anni Ottanta e oggi abbiamo alcune generazioni immuni al virus così come alcune categorie (per esempio gli operatori sanitari) a cui è offerta la vaccinazione per il rischio professionale. Arrivando a una copertura vaccinale elevata – prosegue il dottor Angheben – otterremo la scomparsa di questo virus che è una delle cause del carcinoma epatico. Noi del Centro per la Malattie Tropicali non di rado ci troviamo a curare ragazzi africani colpiti da tumore al fegato dovuto all’epatite B, contratta per contatto sessuale o più frequentemente per trasmissione materno-fetale”.

Quello contro l’epatite B è inserito in Veneto tra i vaccini “raccomandabili” (ex obbligatori) assieme all’antipolio, l’antitetanica e l’antidifterite. Mentre la Regione ha posto tra i consigliati i vaccini contro la pertosse, l’Haemophilus influenzae B, il morbillo, la parotite, la rosolia, la varicella, il meningococco C e lo pneumococco.

“Non obbligherei tout court una mamma a sottoporre il suo bambino ad una vaccinazione come ad esempio quella contro il morbillo – sottolinea l’infettivologo – ma le farei comprendere però che suo figlio avrà meno probabilità di essere infettato dal virus, perché tante altre madri hanno accettato di far vaccinare i loro figli. Dobbiamo capire che oltre alla protezione di noi stessi, qualcosa dobbiamo dare anche alla comunità…”.

E sulla diffidenza contro i vaccini il dottor Angheben aggiunge: “Purtroppo si sta accreditando una visione complottista che vedrebbe un accordo tra gli operatori e i dirigenti del “Sistema salute” e le multinazionali farmaceutiche per l’organizzazione di remunerative campagne vaccinali, a scapito della sicurezza del cittadino. Visione subito smentita – conclude – se si approfondisce l’argomento perché c’è piena conformità tra i programmi vaccinali delle Regioni e le evidenze accumulate da decenni nella letteratura scientifica”.

 

La geriatra

Un vaccino che viene sottovalutato riguardo alla sua efficacia è quello contro l’influenza. In base al Piano sanitario nazionale e al Piano nazionale prevenzione vaccinale 2012-2014, l’obiettivo è il raggiungimento di una copertura vaccinale della popolazione anziana del 75%. In Veneto nella stagione 2015-2016 è stata del 54% , una percentuale simile alla stagione precedente, con un calo progressivo a partire dal 2010-2011 dove il tasso era del 68,9%.

“Non hanno di certo aiutato le notizie nel 2014 di presunti decessi dovuti al vaccino. Morti per le quali non è stata mai provata una correlazione diretta con il vaccino stesso – spiega la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità operativa di Geriatriadell’ospedale calabriano (foto 3) -. È inevitabile che nell’ambito di una popolazione anziana si verifichino dei decessi, il vaccino non c’entra”.

Molti non hanno fiducia in questa pratica preventiva, “perché dopo la somministrazione a volte subentra una piccola sindrome influenzale, che può durare anche tre giorni. Ecco allora la classica frase: ‘Prima del vaccino stavo bene’. Ma quella insorta è una condizione ben definita, breve e sopportabile, non paragonabile all’influenza vera e propria che può sfociare in complicanze a volte gravi”.

In Veneto dalla stagione 2009-2010 a quella 2015-2016 si sono verificati complessivamente 87 decessi, 124 casi gravi e 502 ricoveri in ospedale riconducibili all’influenza. A rischio sono soprattutto “gli anziani con comorbilità, importanti malattie cardiache, respiratorie e quelli affetti da diabete, in particolare se vivono a contatto con i bambini o frequentano luoghi affollati. Ma è una vaccinazione necessaria anche per i bambini e gli adulti con qualche patologia e le donne gravide (www.salute.gov.it)”. Il vaccino è anche raccomandato a tutti coloro che lavorano in strutture sanitarie, per evitare di trasmettere il virus ai malati e garantire la presenza sul posto di lavoro in caso di epidemia. Ma resta una raccomandazione poco ascoltata…

“Tutti gli anziani dovrebbero vaccinarsi e farlo al più presto – conclude la dottoressa Turcato – e dovrebbe richiedere al medico di base anche la vaccinazione antipneumococcica contro la polmonite che si deve effettuare ogni cinque anni. Mai vaccinarsi quando è in atto una patologia acuta, anche un banale raffreddore o poche linee di febbre”.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Giornata mondiale dell'ictus: lo Stroke Center del "Sacro Cuore"

Il 29 ottobre è dedicato alla grave patologia dell’ictus. Lo Stroke Center di Negrar è un’organizzazione intraospedaliera per la presa in carico tempestiva ed adeguata del paziente, ma si occupa anche di prevenzione

Il 29 ottobre si celebra in tutto il mondo la Giornata dell’ictus, che colpisce solo in Italia 200mila persone all’anno, 9mila nel Veneto.Terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e i tumori, l’ictus rimane la maggior causa di disabilità: su circa 1 milione di persone sopravvissute all’evento acuto, il 30%, sempre nel nostro Paese, presenta una qualità di vita gravemente compromessa che incide, anche economicamente, sulle famiglie e sulla comunità.

 

Lo Stroke Center del Sacro Cuore

Nel 2001 l’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria ha creato lo Stroke Center, un’organizzazione pluridisciplinare dedicata al trattamento dei pazienti colpiti da ischemia cerebrale. Grazie al coordinamento tra i reparti di Neurologia, Terapia Intensiva, Medicina e Geriatria – dove sono stati riservati letti dedicati – il Pronto Soccorso, la Radiologia, il Laboratorio analisi, la Cardiologia e la Chirurgia vascolare il paziente viene preso in carico fino alla riabilitazione con un approccio tempestivo ed adeguato. Secondo un protocollo che prevede l’esame Tac entro 20 minuti dall’arrivo del paziente al Pronto Soccorso. In presenza di indicazioni, viene poi eseguita la trombolisi, conclusa la quale il paziente viene ricoverato in Terapia Intensiva. Se non ci sono indicazioni per la somministrazione del farmaco la destinazione del paziente è la Neurologia o un reparto di area internistica. Lo Stroke Center, che tratta ogni anno 200 pazienti, è molto attivo anche sul fronte della prevenzione dell’evento ischemico, grazie a una stretta collaborazione con la Cardiologia per la diagnosi e la terapia della fibrillazione atriale, una delle principali cause dell’ictus.

 

Lo stroke

Ma cos’è l’ictus? “Si tratta di un danno vascolare che si ripercuote sul cervello – spiega il neurologo Alessandro Adami, responsabile scientifico dello Stroke Center – La causa è spesso riconducibile a un trombo, che nel 30-40% dei casi si forma nel cuore per embolizzare in seguito nel cervello, provocando l’arresto improvviso della circolazione sanguigna e creando, di conseguenza, gravi danni nel tessuto cerebrale interessato. Nei restanti casi, l’origine non è determinata. Questi sono pazienti che hanno un’alta percentuale di recidiva, ma sui quali si sta focalizzando la ricerca farmacologica, in quanto l’Aspirina non sembra più sufficiente”.

 

La terapia

Ad oggi la terapia d’elezione per ridurre i danni dello stroke resta la trombolisi sistemica, un trattamento farmacologico somministrato per via endovenosa che ha lo scopo di sciogliere l’embolo. In Veneto si pratica solo nel centri di primo e secondo livello attivi 24 ore su 24, tra cui quello di Negrar. “L’arco temporale ideale nel quale intervenire con la trombolisi è entro le quattro ore e mezza dall’intervento – sottolinea il dottor Adami -. Per questo è fondamentale che già al Pronto Soccorso sia presente personale sanitario preparato a formulare una prima diagnosi, caratteristica questa di uno Stroke Center“. Quando la trombolisi non è indicata, il paziente viene sottoposto a una terapia di sostegno e in casi selezionati alla trombectomia, cioè all’inserimento di un catetere nell’arteria cerebrale interessata al fine di eliminare “meccanicamente” il trombo. Una procedura praticata in Italia a “macchia di leopardo”, che è stata al centro della tavola rotonda del II Convegno neurovascolare del Garda per la prevenzione del cardioembolismo cerebrale, organizzato a Desenzano, il 14 ottobre, dallo stesso dottor Adami e dal dottor Giorgio Silvestrelli, direttore della Stroke Unit del “Carlo Poma” di Mantova. Un confronto tra tre differenti regioni, anche dal punto di vista della configurazione territoriale (Veneto, Lombardia e Trentino Alto Adige), da cui è emerso che il trattamento dell’ictus richiede una risposta specialistica e organizzativa che non può non rientrare nella programmazione sanitaria delle Regioni.

 

La prevenzione

L’ictus non è sempre un evento ineluttabile. Una delle cause principali è la fibrillazione atriale, un disturbo del ritmo cardiaco nella maggior parte dei casi purtroppo asintomatico. “Nei pazienti anziani con ipertensione arteriosa, diabete o insufficienza cardiaca la fibrillazione atriale provoca all’interno del cuore coaguli di sangue che possono essere causa di ictus cerebrali”, spiega il dottor Guido Canali, responsabile del Servizio di Emodinamica del “Sacro Cuore Don Calabria”. Per evitarlo si ricorre alla somministrazione di anticoagulanti, ma non sempre è possibile per la presenza di controindicazioni. “In questi casi procediamo con la chiusura dell’auricola sinistra, quella parte del cuore in cui si forma il 90% dei trombi. Il follow up dei pazienti trattati dimostra che l’intervento è una valida alternativa ai farmaci anticoagulanti“. Dal 2012 l’équipe formata dal dottor Canali, dalla cardiologa Laura Lanzoni e dal dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia ed Elettrostimolazione, hanno eseguito 60 interventi, numeri che fanno di Negrar uno dei centri leader in Italia. La stessa équipe è stata chiamata nelle scorse settimane a tenere un corso regionale organizzato dal Centro di simulazione Practice che ha sede nell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona. “La parte finale del corso si è tenuta a Negrar, dove i partecipanti hanno assistito alla procedura su due pazienti – conclude il dottor Canali -. Si tratta di un intervento in anestesia generale e sotto controllo ecocardiografico trans esofageo. Con la puntura di una vena dell’inguine attraverso il sistema venoso si arriva nell’atrio destro e quindi, mediante puntura transettale, cioè praticando un piccolo foro a livello del setto interatriale, viene posizionata un dispositivo occlusore nell’auricola sinistra“.

 

elena.zuppini@sacrocuore.it


Colite ulcerosa e Morbo di Crohn: incontro tra medici e pazienti

Sabato 29 ottobre il “Sacro Cuore Don Calabria” ospiterà l’incontro autunnale promosso dal Centro per le malattie retto-intestinali e l’associazione AMICI. Tra i temi affrontati la sostenibilità economica per il Ssn dei farmaci biologici

Si tiene questo sabato 29 ottobre l’appuntamento autunnale che vede insieme il Centro multispecialistico per le malattie retto-intestinali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, il cui responsabile è il dottor Andrea Geccherle, e l‘Associazione Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino (AMICI).

Nella sala convegni Fr. Perez, a partire dalle 9.30, medici e farmacisti faranno il punto sul trattamento delle malattie infiammatorie croniche intestinali (colite ulcerosa e morbo di Crohnche colpiscono in Italia circa 200mila persone, duemila solo nel Veronese con un’incidenza annua di 80 nuovi casi ogni milione di abitanti.

Si tratta soprattutto di pazienti molto giovani (dai 15 ai 45 anni) che a causa della patologia intestinale vedono compromessa pesantemente la loro vita personale e professionale con risvolti sul piano sociale e sul Sistema sanitario nazionale.

Sia la colite ulcerosa che il morbo di Crohn si manifestano con diarrea, forti dolori addominali, febbre, anemia, malassorbimento e quindi dimagrimento. Tutti sintomi di un’abnorme reazione immunologica da parte dell’intestino nei confronti di antigeni, come per esempio i batteri normalmente presenti nell’intestino stesso. Tuttavia la causa di questa reazione è ancora sconosciuta.

A migliorare la vita dei pazienti sono intervenuti negli ultimi anni i farmaci biologici, ottenuti dall’ingegneria genetica, che saranno al centro dell’incontro di sabato. “Stiamo vivendo un paradosso – commenta Nadia Lippa, delegata provinciale di AMICI, che aprirà il convegno in sala Perez -. Da una parte aumentano i pazienti che necessitano di un trattamento biologico. Ma dall’altra a causa dell’alto costo dei farmaci, i Centri veneti autorizzati al trattamento si trovano a fronteggiare con fatica un tetto di spesa fissato dalla Regione che rischia di non garantire le cure adeguate ad ogni paziente“. Tutto questo, mentre sul mercato stanno arrivando nuovi farmaci che potrebbero migliorare ulteriormente la vita di coloro che sono affetti dalle patologie croniche intestinali, come spiegheranno durante l’incontro le specialiste in Gastroenterologia Angela Variola e Arianna Massella.

Un’alternativa meno costosa sono i biosimilari, cioè farmaci che hanno la stessa sicurezza e la stessa efficacia del farmaco biologico originatore precedentemente brevettato e messo in commercio. Il brevetto ha una durata di 20 anni, dopo di che tutte le conoscenze sono a disposizione di altri produttori per realizzare, appunto, i biosimilari. Di questi farmaci parlerà la dottoressa Teresa Zuppini, direttore della Farmacia dell’ospedale di Negrar.

Seguirà l’intervento del dottor Antonio Marchetta, responsabile del Servizio di Reumatologia, che tratterà del tema delle malattie reumatiche come una delle conseguenze delle patologie infiammatorie croniche dell’intestino che spesso oltre a colpire l’apparato gastrointestinale interessano altri distretti.

Infatti quello multidisciplinare resta l’approccio vincente per la diagnosi e la cura di queste malattie. Il Centro di Negrar, che segue circa 1.300 pazienti, vede la collaborazione di un gastroenterologo, di un chirurgo, di un reumatologo, di un oculista e di un dermatologo.


Cancro al seno: quando è un test genetico a prevenirlo

Abbiamo imparato il loro nome dopo il caso di Angelina Jolie. Alle alterazioni dei geni BRCA1 e BRCA2 sono imputabili i due terzi delle forme di tumore mammario ereditario. Al Sacro Cuore è possibile sottoporsi al test genetico: ecco per chi è indicato

Il mese di ottobre è tradizionalmente dedicato alla prevenzione del tumore al seno, che nei Paesi occidentali è la neoplasia più frequente nel sesso femminile. In Italia colpisce circa una donna su dieci (si stima che siano 50mila i nuovi casi in Italia per il 2016).

Prevenzione significa stile di vita sano e adesione ai programmi di screening (dai 50 ai 69 anni) o esami periodici nelle fascia di età giovanile. Ma prevenzione significa anche test genetico, là dove vi siano indicazioni che il tumore non è frutto della casualità, ma deriva da una storia familiare.

Presso il Dipartimento di Oncologia dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria, diretto dalla dottoressa Stefania Gori, è operativo un Servizio di consulenza genetica oncologica, la cui responsabile è il medico genetista Silvia Mazzola.

Il Servizio di counseling genetico

Lo scopo del Servizio è quello di individuare l’eventuale natura ereditaria del tumore e quindi di proporre il test alla paziente al fine, se dovesse risultare positivo, di pianificare il trattamento futuro della neoplasia e di considerare la possibilità di estendere l’indagine ad altri membri della famiglia. Il Servizio si avvale, nel caso di richiesta da parte della paziente, della consulenza del Servizio di Psicologia clinica, diretto dal dottor Giuseppe Deledda.

I geni BRCA1 e BRCA2

Si valuta che circa il 5-7% di tutti i casi di cancro mammario siano ereditari, cioè dovuti a mutazioni ereditate da uno o da entrambi i genitori. Gli studi finora condotti hanno portato alla conoscenza che l’alterazione dei geni BRCA1 e BRCA2 sono responsabili dei due terzi delle forme di tumore mammario ereditario. E’ nota la vicenda dell’attrice Angelina Jolie, la quale essendo portatrice di questa mutazione si è sottoposta annessectomia bilaterale (cioè all’asportazione di tube ed ovaie) e a mastectomia bilaterale, pur essendo sana, per non ammalarsi di tumore in queste sedi come era avvenuto ad alcune donne della sua famiglia.

Cosa comporta la mutazione di questi geni

Una donna sana con la mutazione di questi geni ha il rischio stimato del 50-80% di sviluppare cancro mammario e del 20-40% di ammalarsi di tumore alle ovaie durante la sua vita. Da questo rischio non sono esenti gli uomini portatori della mutazione, sebbene l’incidenza del cancro mammario maschile sia molto bassa. Anche gli uomini, però, possono trasmette l’alterazione genetica alle figlie femmine. Avere una mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2 significa avere un rischio aumentato di ammalarsi durante la propria vita, ma NON la certezza di ammalarsi: questo concetto deve essere ben chiaro.

A chi è rivolta l’indagine genetica

Il test genetico viene effettuato su un campione di sangue della paziente affetta da carcinoma mammario, di cui viene analizzato il DNA. L’indagine è indicata per le pazienti che appartengono a una famiglia in cui sono numerosi i casi di cancro mammario oppure in cui siano stati diagnosticati carcinomi mammari in giovane età. Se il test evidenzia una mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2, allora viene esteso anche ai familiari sani. L’indagine è sempre preceduta da un colloquio con il medico genetista, che informa la paziente sull’utilità di eseguire il test sia per lei sia per le sue familiari al fine di raggiungere una decisione del tutto consapevole.

Se il test identifica la mutazione

In pazienti con diagnosi di carcinoma mammario oppure in donne sane con mutazione dei geni BRCA1 e/o BRCA2, vengono proposti percorsi adeguati per la gestione del singolo caso. Può essere indicato un programma di stretta sorveglianza, con una serie di esami periodici, per identificare l’eventuale insorgere del tumore in fase precoce. Oppure la chirurgia profilattica con l’asportazione degli organi che potrebbero essere colpiti (mammella e ovaie).

Per ulteriori informazioni è disponibile il numero verde del Cancer Care Center: 800 143 143.

elena.zuppini@sacrocuore.it

 


Non solo Zika: le sfide della medicina per chi viaggia

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Gli aggiornamenti sul virus Zika e sul vaccino contro la Dengue saranno al centro del corso di Medicina dei Viaggiatori in programma dal 24 al 28 ottobre, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali

Quali sono i reali rischi che corrono i viaggiatori recandosi nei Paesi dove è presente il virus Zika? A che punto siamo con i vaccini contro malattie che stanno provocando vere e proprie pandemie come la dengue o la West Nile? E ancora, come seguire a livello sanitario i migranti che tornano in patria a visitare amici e parenti dopo molto tempo trascorso in Italia?

 

Sono questi alcuni dei temi che verranno affrontati nel corso di Medicina dei Viaggi e dei Viaggiatori, rivolto a chi lavora in questo settore, che si terrà dal 24 al 28 ottobre all’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar. Il corso, organizzato dal Centro per le Malattie Tropicali diretto dal dottor Zeno Bisoffi, è giunto alla nona edizione e vedrà la partecipazione tra gli altri di Leo Visser, presidente eletto della prestigiosa “International Society of Travel Medicine” (vedi programma corso).

 

Sul virus Zika l’attenzione resta molto alta – dice il dottor Andrea Rossanese, coordinatore scientifico del corso e responsabile dell’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Sacro Cuore -. In particolare si è scoperto che questo virus, dopo aver contagiato un uomo, può restare nel suo liquido seminale per due mesi. Ciò significa che un viaggiatore, dopo essere tornato da una zona a rischio, può contagiare la sua compagna anche dopo molte settimane e questo rappresenta un problema se la donna resta incinta perché Zika può provocare gravi danni al feto”. Gli studi hanno stabilito infatti una correlazione tra il virus e la microcefalia nei neonati.

 

Il problema, sottolinea il dottor Rossanese, richiede ancora più attenzione perché nella maggioranza dei casi la persona contagiata da Zika resta asintomatica. “Per tale motivo l’OMS consiglia di attendere sei mesi per un eventuale concepimento dopo un’esposizione al virus da parte dell’uomo, mentre la donna si libera del virus in tempi un po’ più rapidi e due mesi sono sufficienti”.

 

Per quanto riguarda il tema dei vaccini, l’attenzione sarà puntata sulla dengue. Il dottor Visser parlerà infatti dei risultati dell’utilizzo su larga scala del vaccino contro questa malattia, attuato per la prima volta in Messico.

 

Nei cinque giorni di corso saranno affrontati molti altri temi legati alla medicina dei viaggi. Si parlerà ad esempio di quali attenzioni mediche vanno dedicate a particolari categorie di viaggiatori, come gli sportivi di alto livello che si spostano per una competizione, le donne in gravidanza e allattamento o i soggetti immunodepressi. Una sorta di medicina dei viaggiatori “su misura”, in linea con l’esigenza di rispondere a bisogni sempre più precisi e specifici a seconda del viaggio che si va a intraprendere.

 

Proprio l’attenzione “personalizzata” al viaggiatore e al tipo di viaggio è al centro del lavoro effettuato dall’ambulatorio di Medicina dei Viaggiatori del Sacro Cuore, che ogni anno fornisce circa mille consulenze a viaggiatori di vario tipo: turisti, lavoratori, missionari, cooperanti, studenti in partenza per un periodo all’estero, migranti che tornano temporaneamente in patria.

 

Al corso saranno presenti anche i rappresentanti della Società Italiana di Medicina dei Viaggi e della Faculty of Travel Medicine di Glasgow. “Dobbiamo puntare ad un dialogo in rete sempre più efficace tra gli enti scientifici che operano in questo settore – conclude il dott. Rossanese – e questo corso è un’occasione in tal senso. Anche perché la sfida, nella medicina dei viaggiatori come in altri settori, è avere un approccio definito “One Health”, ovvero una visione complessiva sul tema della salute, capace di mettere in relazione la persona con la società, il clima e l’ambiente nel quale si trova a vivere e interagire”.

 

matteo.cavejari@sacrocuore.it


Nascere al Sacro Cuore: Open Day di Ostetricia

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Sabato 22 ottobre al Centro diagnostico-terapeutico Ospedale Sacro Cuore (Verona) le ostetriche del Punto Nascita di Negrar saranno a disposizione delle future e neomamme per un’intera giornata dedicata al meraviglioso evento della nascita

Sarà una giornata dedicata al meraviglioso evento della nascita e alle prime settimane di vita del bambino quello che si svolgerà sabato 22 ottobre dalle 10-17 al Centro diagnostico terapeutico Ospedale Sacro Cuore di via San Marco 121, a Verona.

Le ostetriche dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria saranno a disposizione dei futuri e dei neogenitori per illustrare i servizi del Centro dedicati alla mamma e al neonato e il Punto Nascita di Negrar, dove all’anno vengono alla luce circa mille bambini.

L’Unità operativa di Ginecologia e Ostetricia, diretta dal dottor Marcello Ceccaroni, dispone di quattro accoglienti sale travaglio-parto, di cui una dotata della vasca per il travaglio e il parto in acqua. Durante l’assistenza viene posta particolare attenzione alle posizioni preferite dalla partoriente e si può effettuare, gratuitamente, 24 ore su 24, per tutto l’arco dell’anno, il parto indolore (anestesia epidurale). Adiacenti al reparto si trovano le sale operatorie di cui una dedicata al parto cesareo.

Durante l’Open Day di Ostetricia, sarà possibile visitare gli spazi allestiti in via San Marco dove si svolgono i corsi di accompagnamento alla nascita, i gruppi e la ginnastica dopo-parto e il massaggio infantile.

La maternità protagonista anche dell’arte. Il percorso dei visitatori sarà accompagnato dalla mostra fotografica di Livia Salviati e dall’esibizione, a fine giornata, delle ballerine Camilla Ferrarese, Michela Oldin e Ginetta Mercati della compagnia di danza Sisina Augusta.

Sarà offerto un buffet.

Per informazioni: 045.6014844; e-mail: ostetriche.sanmarco@sacrocuore.it


Inaugurate le nuove degenze di Geriatria e Malattie Tropicali

Questa mattina in occasione della festa di S. Giovanni Calabria sono stati inaugurati i lavori di ristrutturazione del quarto piano dello stabile dedicato al Santo veronese. La Medicina Tropicale è stata dotata di stanze a medio e alto isolamento

Due reparti completamente rinnovati, pensati per il benessere e per il comfort del paziente e dotati di tutti i dispositivi tecnologici necessari per il tipo di assistenza a cui sono dedicati. E’ questo il risultato della ristrutturazione del quarto piano dell’ospedale Don Calabria di Negrar, che ospita l’Unità Operativa di Geriatria e le degenze del Centro per le Malattie Tropicali.

Ad inaugurarli questa mattina è stata la benedizione del superiore generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, padre Miguel Tofful, in occasione della tradizionale Festa di San Giovanni Calabria fondatore della Cittadella della Carità, di cui fa parte l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria (vedi video dell’inaugurazione e interviste).

“Credo che questo piano, dove ci troviamo, sarebbe stato particolarmente caro a don Calabria – ha detto il presidente dell’ospedale, fratel Gedovar Nazzari -. La Medicina Tropicale si occupa delle malattie originarie dei Paesi in via di sviluppo, quindi dei poveri del mondo e dei migranti. Le cosiddette malattie dimenticate dall’opinione pubblica e dagli investimenti della scienza e dell’industria farmaceutica. La Geriatria tratta altre povertà: la fragilità dei nostri anziani che spesso, oltre a essere colpiti dai mali della vecchiaia, soffrono di un’altra brutta malattia, la solitudine. Vengono anche loro dimenticati, anche se potrebbero dare ancora molto alla nostra comunità”.

Ad illustrare i contenuti della ristrutturazione è stato l’amministrazione delegato Mario Piccinini, che ha sottolineato in particolare la realizzazione di un reparto di Malattie Tropicali dotato di stanze a medio e alto isolamento. “Le nove stanze sono predisposte per l’isolamento respiratorio, cioè possono diventare a pressione negativa, ovvero più bassa rispetto ai locali adiacenti, impedendo così all’agente patogeno di diffondersi all’esterno della stanza stessa – ha illustrato – Inoltre è stata realizzata per ogni stanza di degenza un’anticamera-filtro che separa l’esterno dal locale dove si trova il paziente”. Due stanze singole sono riservate per l’alto isolamento, cioè predisposte per malattie virali ad elevata contagiosità anche da contatto. Si differenziano per l’ampia anticamera-filtro che dispone di un’entrata e di un’uscita separate. L’operatore entra nello “spazio pulito” per le procedure igieniche e per la vestizione. Uscito dalla stanza del paziente, il medico o l’infermiere entra nello “spazio sporco” dove si sveste prima di ritornare in reparto.

La maggior parte dei casi che trattiamo non sono contagiosi – ha detto il dottor Zeno Bisoffidirettore del Centro delle Malattie Tropicali, una delle eccellenze italiane in questo campo -. Allora qualcuno potrebbe chiedersi perché un investimento simile nel nostro ospedale. La spiegazione si trova nel fatto che esiste un rischio, seppur remoto di infezioni gravi ad alta contagiosità. Ebola ci ha insegnato che malattie simili possono arrivare anche in Europa. Magari non si presenteranno mai da noi, ma è necessario essere preparati a questa evenienza. E ritengo che questo investimento qualifichi ulteriormente il “Sacro Cuore Don Calabria” come servizio pubblico”.

Per il reparto di Geriatria la ristrutturazione ha realizzato 14 stanze completamente rinnovate (una sola da tre letti) e alcuni spazi comuni, come un soggiorno dove i familiari possono incontrare i degenti e aiutarli a camminare, grazie alla presenza di attrezzature dedicate. “Voglio pensare questi nuovi ambienti ha affermato la dottoressa Emanuela Turcato, responsabile dell’Unità Operativa – come l’immagine di una geriatria, in senso di specialità medica, rinnovata. Oggi il geriatra non è più il “medico dei vecchi”, che si prende cura esclusivamente del paziente fragile arrivato nella fase finale della sua vita. Con l’aumento della vita media e con una chirurgia che interviene con successo anche su coloro che un tempo erano considerati i grandi vecchi, il geriatra assume, con la sua peculiarità di saper valutare in modo multidimensionale il paziente, un ruolo di stretto collaboratore di altri specialisti per supportali nel processo di cura dell’anziano e aiutarlo a recuperare il benessere e l’autonomia che aveva prima della malattia”.

All’inaugurazione è intervenuto anche Pietro Girardi, direttore generale dell’Ulss 20 e commissario straordinario della Ulss 21 e 22. “Ringrazio questo ospedale come dirigente sanitario per l’attività che svolge, ma anche come cittadino. Perché questi due reparti rappresentano il futuro dell’assistenza sanitaria. La nostra società sta invecchiando e con le migrazioni è inevitabile dover trattare anche malattie non endemiche”.


Un convegno e visite gratuite per l'Obesity Day 2016

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Anche l’ospedale di Negrar aderisce alla Giornata di sensibilizzazione e informazione sull’obesità promossa dall’ADI il 10 ottobre. Due gli eventi: un convegno sulla chirurgia bariatrica e visite gratuite su prenotazione

Anche l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar aderisce con due eventi all’Obesity Day 2016, un’iniziativa di sensibilizzazione e di informazione sull’obesità promossa ogni anno il 10 ottobre dall’Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica (ADI).

E’ ormai opinione generale che l’obesità abbia assunto i caratteri di una vera pandemia, che sta preoccupando anche i responsabili della salute pubblica. Si stima che solo in Italia siano circa 6 milioni le persone affette da obesità, il 10% della popolazione. Un dato che ci pone tra i Paesi con il maggior numero di abitanti che superano di almeno il 40% il proprio peso ideale. Si calcola, sempre in Italia, che i costi diretti dell’obesità ammontino a oltre 22 miliardi di euro all’anno, il 64% dovuti all’ospedalizzazione.

L‘obesità non è una questione estetica, ma una vera e propria patologia cronica: la persona obesa ha un’aspettativa di vita inferiore di almeno dieci anni rispetto a un coetaneo con peso normale e ha, per esempio, un rischio maggiore di ammalarsi delle più gravi patologie. Per questo l’obesità deve essere trattata con interventi mirati effettuati da team specialistici.

Alimentazione corretta e movimento sono le regole fondamentali per abbattere i chili in accesso. Ma quando le “regole d’oro” non bastano, seppur accompagnate da una terapia farmacologica e psicologica, può essere risolutiva la chirurgia.

Proprio di obesità e chirurgia si parlerà in sala Perez sabato 8 ottobre (a partire dalle 9) in un convegno aperto alla cittadinanza.Nel corso della mattinata interverrà il team di specialisti sull’obesità dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria. L’intervento fine a se stesso, infatti, non è risolutivo, ma deve essere accompagnato da uno studio multidisciplinare. Psicologo, dietista, chirurgo, ed eventuali altri specialisti a seconda delle comorbilità che si presentano, verificano l’idoneità del paziente prima e successivamente all’intervento, e accompagnano la persona verso il raggiungimento del proprio obiettivo.

Al convegno è stato invitato anche il dottor Riccardo Dalla Grave,responsabile dell’Unità funzionale di Riabilitazione Nutrizionale della Casa di Cura Villa Garda. La struttura è leader a livello nazionale per quanto riguarda la riabilitazione dei disturbi dell’alimentazione e collabora con l’ospedale di Negrar. Sarà presente anche il dottor Mirto Foletto, docente di Chirurgia all’Università di Padova e responsabile della rete dei centri del Veneto che si occupano di chirurgia bariatrica.

Lunedì 10 ottobre, giornata dell’Obesity day, la gastroenterologa Manuela Fortuna, la psicologa Eleonora Geccherle, il chirurgo Roberto Rossini e la dietista Federica Scali incontrano al Centro di Formazione e Solidarietà (vicino ai Poliambulatori) le persone affette da obesità, ma anche medici di medicina generale e tutti coloro che sono interessati a maggiori informazioni sul problema.

Le visite, che avranno inizio alle 9 e si concluderanno alle 17, sono gratuite. Non è richiesta l’impegnativa medica, ma è obbligatoria la prenotazione che si può effettuare al numero 045.6013493, dal lunedì al venerdì dalle 8.30 alle 15.

All’ospedale Sacro Cuore-Don Calabria vengono effettuati due tipi d’interventoIl bypass gastrico condotto tramite il robot Da Vinci, consiste nella creazione di una piccola sacca gastrica collegata direttamente al piccolo intestino. Riducendosi drasticamente l’ampiezza dello stomaco, il paziente avverte subito una sensazione di sazietà e contemporaneamente viene ridotto anche l’assorbimento del cibo. In laparoscopia viene invece eseguita la sleeve gastrectomy che consiste nell’asportazione di gran parte dello stomaco. Questo assume la forma di un tubo collegato al duodeno. Anche la sleeve gastrectomy ha come risultato maggior senso di sazietà, non solo per la riduzione dello spazio di contenimento del cibo, ma anche perché viene asportata quella parte dello stomaco deputata alla produzione di un ormone che favorisce l’appetito. Entrambi gli interventi sono indicati per pazienti con Indice di Massa Corporea (BMI, il rapporto tra peso e altezza) superiore a 40, ma anche per le persone con BMI superiore a 35 in presenza di altre patologie.


La fibrillazione atriale la scopre un... bastoncino

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Impugnando un sensore il paziente può sapere in pochi minuti se è affetto da fibrillazione atriale, una patologia asintomatica ma che può avere gravi conseguenze. Il cardiologo Giulio Molon avvia uno screening con i medici di famiglia

Ad un primo sguardo sembra un manubrio, di quelli che si usano, senza tante pretese, per allenare e rinforzare i muscoli delle braccia. Invece è un sensore che in pochi istanti è in grado di rilevare nei pazienti la fibrillazione atrialeun disturbo del ritmo che se trascurato può essere causa di ictus, quindi di grave invalidità o addirittura di morte.

La caratteristica principale della maggior parte delle fibrillazioni atriali è quella di essere asintomatichequindi diagnosticabili solo intraprendendo progetti di screening su larga scala e per lunghi periodi. A dare un aiuto in questo è stato progettato Mydiagnostick, un dispositivo molto semplice, già sul mercato, in corso di utilizzo per lo screening promosso dal dottor Giulio Molon, responsabile della Struttura semplice di Elettrofisiologia e Cardiostimolazione dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria in collaborazione con sei medici di medicina generale del territorio dell’Ulss 22.

Il paziente deve solo rilassarsi ed afferrare il Mydiagnostick dalle impugnature per circa un minuto – spiega il dottor Molon -. In questo arco di tempo il sensore registra il ritmo cardiaco e contemporaneamente un algoritmo, confrontando le distanze tra battito e battito, riesce a stabilire se siamo in presenza di un’aritmia atriale (luce rossa) o se tutto è nella norma (luce verde). Nel caso di responso positivo, il test viene ripetuto una seconda volta e se il risultato è lo stesso si invita il paziente a sottoporsi ad un elettrocardiogramma. Il margine di errore del dispositivo è veramente basso”. Mydiagnostick è in grado di registrare in modo del tutto anonimo, rimangono registrati solamente giorno ed ora, fino a 100 test.

Lo screening proseguirà fino al 15 ottobre e saranno sottoposti alla prova i pazienti con un’età superiore ai 40 anni. “Non faremo grandi numeri – sottolinea il cardiologo – ma è un buon inizio per sensibilizzare i medici e la popolazione su una patologia che può veramente avere dei risvolti drammatici senza che il paziente si renda conto di esserne affetto”.

Le aritmie cardiache sono tra i fattori di rischio cardiovascolare più importanti. Vi sono le aritmie di origine ventricolare che generalmente sono associate a cardiopatie già note. Possono infatti essere diagnosticate dopo un infarto.
Quelle atriali, invece, possono avere come fattori di rischio l’ipertensione o il diabete e in circa il 60% dei casi non presentano sintomi specifici, che potrebbero essere individuati solo attraverso un elettrocardiogramma (eventualmente ripetuto più volte) o un monitoraggio elettrocardiografico di lunga durata.

“L’atrio contraendosi in maniera irregolare – prosegue il medico – provoca un ristagno di sangue soprattutto nell’auricola sinistra (l’appendice cieca dell’atrio, ndr) che può evolversi nella formazione di trombi. I coaguli, una volta entrati in circolo, possono occludere un vaso arterioso cerebrale dando luogo ad ictus. Per questo è importante che l’aritmia venga diagnosticata in tempi rapidi”.

Un ruolo chiave nella diagnosi lo hanno i medici di medicina generale, che conoscendo la storia clinica del paziente e vedendolo frequentemente possono sensibilizzare l’attenzione del loro assistito verso queste aritmie e i sintomi correlati. “Ma soprattutto – conclude Molon – diagnosticare le aritmie, sottoponendo il paziente agli esami indicati in collaborazione con lo specialista aritmologo”.
elena.zuppini@sacrocuore.it