Quando il colore è alterato: cause, sintomi e diagnosi del daltonismo
Il daltonismo, ovvero la difficoltà a percepire correttamente i colori, è una patologia assai comune che ha un’origine genetica e riguarda soprattutto la popolazione maschile. A causarlo è il malfunzionamento di alcuni fotorecettori dell’occhio, denominati coni e bastoncelli.
Ma quali sono le sue cause e le manifestazioni più frequenti? Come si procede alla diagnosi e quali sono le prospettive di cura? A rispondere è lo staff dell’Oculistica del “Sacro Cuore”, guidato dalla dottoressa Grazia Pertile, nel servizio andato in onda su Tg2 Medicina 33 che pubblichiamo qui sotto.
Giornata mondiale della malattia di Chagas: l'Irccs di Negrar centro di riferimento
Il 14 aprile si celebra la Giornata mondiale della malattia di Chagas, una patologia di cui soffrono nel mondo 6-7 milioni di persone, ma ancora troppo ignoranta sebbene sia un problema di salute pubblica anche per le zone non endemiche. L’IRCCS di Negrar è uno dei pochi centri in Italia che si occupa di diagnosi e cura di questa malattia: 600 i casi diagnosticati dal 1998
Il 14 aprile si celebra la Giornata mondiale della malattia di Chagas, una patologia parassitaria potenzialmente letale che colpisce al mondo 6-7 milioni persone, originarie dell’America Latina.
Il Dipartimento di Malattie Infettive Tropicali e Microbiologia (DITM) dell’IRCCS di Negrar, diretto dal professor Zeno Bisoffi, è un centro di riferimento per la diagnosi e la cura di questa malattia, avendo ad oggi diagnosticato la maggioranza dei casi conosciuti in Italia (circa 600 dal 1998) anche grazie a un lavoro decennale con le comunità di migranti latinoamericani e le associazioni di volontariato.
Per questa ragione anche il “Sacro Cuore Don Calabria” è coinvolto nelle varie iniziative di sensibilizzazione sulla patologia organizzate in occasione della Giornata del 14 aprile, istituita nel 2019 dall’Assemblea Mondiale della Sanità (https://www.who.int/news/item/24-05-2019-world-chagas-disease-day-raising-awareness-of-neglected-tropical-diseases).
Alle ore 18.00 il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto di malattie infettive e tropicali del DITM, sarà relatore in una diretta (in lingua inglese) sulla pagina Facebook (https://www.facebook.com/ComunitaVolontariMondo) della Comunità Volontari per il Mondo (vedi locandina allegata). Poche ore più tardi, alle 21, l’Associazione Italiana per la Lotta alla Malattia di Chagas (AILMAC), di cui vice-presidente lo stesso Angheben (nella foto), si fa promotrice di un’ulteriore diretta facebook sul tema “Chagas fattore di rischio COVID-19?” (https://www.facebook.com/Ailmac-Onlus-307489659439308/).
Che cos’è la malattia di Chagas
La malattia di Chagas è endemica in America Latina, dal Messico fino all’Argentina, in quanto in quelle zone è presente la cimice ematofaga capace, attraverso feci e urina, di trasmettere il protozoo parassita Trypanosoma cruzi, responsabile dell’infezione. Si tratta di una malattia per lo più cronica, che nel 30% dei casi può evolvere, se non diagnosticata e curata in tempo, in una forma complicata colpendo prevalentemente il cuore e/o l’esofago o il colon, organi nei quali può concentrarsi il protozoo ematico trasmesso dalla cimice infetta.
Diecimila morti all’anno e 6-7 milioni di infetti
Nei casi più gravi può condurre a morte. Sono infatti ancora 10mila gli uomini e le donne che ogni anno muoiono per la malattia di Chagas. Essedo inoltre una malattia cronica, in particolare a carico dell’adulto, costituisce fonte di povertà, stigma e sofferenza per oltre 70 milioni di persone che vivono nelle zone endemiche
Ma è una malattia tropicale dimenticata
Tuttavia quella di Chagas fa parte delle malattie tropicali dimenticate (NTD). La Global Chagas Coalition, l’organizzazione internazionale di cui fa parte anche il DITM di Negrar, stima che in tutto il mondo solo 1% delle persone affette abbia accesso alle cure sia perché non sanno di aver contratto la malattia sia perché sono pochi i centri che forniscono il trattamento e si occupano di ricerca attiva. La situazione in Italia è analoga: gli ospedali di riferimento per il Chagas sono solo lo “Spallanzani” di Roma, il “Careggi” di Firenze, il “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo e, appunto, il “Sacro Cuore Don Calabria”.
Perché è un problema di salute pubblica globale
E’ quindi importante mantenere alta l’attenzione sulla malattia di Chagas, che è sempre più problema di salute pubblica globale, dovuta alla migrazione nel Vecchio Continente di persone provenienti dalle aree endemiche. Il contagio infatti può avvenire anche per trasmissione da madre a neonato o attraverso trasfusioni oppure per trapianto di organi e tessuti. Nel 2009 in Europa sono stati diagnosticati 4.290 casi, nel 45% dei quali in migranti privi di documenti.
Le misure intraprese per arginare il contagio
Nei Paesi non endemici, dove sono presenti in grande numero migranti latino-americani (Spagna, Italia, Regno Unito, Giappone…), vengono attuate iniziative volte a far emergere i casi e impedire la trasmissione dell’infezione. In particolare, l’attenzione viene posta sulla trasmissione verticale, da mamma a bambino, poiché se la malattia è diagnosticata, in età pediatrica, può essere curata e guarita nel 100% dei casi. Inoltre se una donna affetta dalla malattia viene curata in età fertile, non trasmetterà in nessun modo l’infezione alla prole. Trasfusioni e trapianti di organi e tessuti sono sicuri grazie alla presenza di norme restrittive che abbattono il rischio per il ricevente.
La malattia di Chagas e il viaggiatore
Coloro che devono recarsi per vari motivi in area endemica (le zone rurali dell’America Latina o l’Amazzonia) è sufficiente tenere dei corretti comportamenti per evitare le punture dell’insetto vettore (dormire in strutture di muratura, possibilmente con una zanzariera che proteggerà anche da altre malattie infettive trasmesse da zanzara) e non consumare succhi di frutta o succo di canna da zucchero se questi non sono sottoposti a pasteurizzazione.
L'IRCCS di Negrar entra in Alleanza Contro il Cancro
L’Ospedale di Negrar entra nella più grande rete di ricerca oncologica italiana che comprende altri 27 Irccs. Il “Sacro Cuore Don Calabria” è riconosciuto come IRCCS per le malattie infettive e tropicali ed è entrato a far parte di Alleanza Contro il Cancro in quanto risponde a tutti i requisiti richiesti per gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico oncologici
L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria entra a far parte di Alleanza Contro il Cancro (ACC), la più grande organizzazione di ricerca oncologica italiana.
Fondata nel 2002 dal Ministero della Salute, ha come obiettivo quello di promuovere la collaborazione tra gli IRCCS oncologici allo scopo di incrementare la ricerca a fini diagnostici e terapeutici.
I soci fondatori sono stati l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma, il Policlinico San Martino di Genova, la Fondazione Pascale di Napoli, il Centro di Riferimento Oncologico di Aviano e l’Istituto Oncologico Giovanni Paolo II di Bari. Ad oggi fanno parte di ACC 27 Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), costituendo una rete che numericamente si traduce in 7.600 ricercatori, 5.100 pubblicazioni, 150mila ricoveri e 4.400 studi clinici all’anno.
“Entrare a far parte di Alleanza Contro il Cancro è una prestigiosa attestazione del valore dell’attività finora svolta dal nostro Ospedale come Cancer Care Center – afferma la dottoressa Stefania Gori, direttore del Dipartimento Oncologico -. Un riconoscimento che premia tutte le Unità Operative del “Sacro Cuore Don Calabria” impegnate nella diagnostica, nella cura e nella ricerca sui tumori. Nello stesso tempo è una grande opportunità di sviluppo in questi tre ambiti dell’attività oncologica, perché solo facendo rete e quindi mettendo in comune le conoscenze si possono curare con efficacia le persone con malattia oncologica”.
Il “Sacro Cuore Don Calabria” è riconosciuto come IRCCS per le malattie infettive e tropicali ed è entrato a far parte di Alleanza Contro il Cancro in quanto risponde a tutti i requisiti richiesti per gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico oncologici: dall’attività di ricovero alla dotazione tecnologica, dall’attività di ricerca alle pubblicazioni scientifiche.
Attualmente l’Ospedale di Negrar è coinvolto in “Health Big Data”, un progetto congiunto delle reti IRCCS di Alleanza Contro il Cancro, di Neuroscienze e Riabilitazione e di Cardiologia. Di durata decennale, esso si pone come obiettivo la creazione di una piattaforma tecnologica che consenta la raccolta, la condivisione e l’analisi di dati clinici e scientifici dei pazienti di ciascun IRCCS allo scopo di accelerare la transizione verso una medicina di precisione e personalizzata. Il che significa prevenzione delle malattie, personalizzazione delle cure e miglioramento della qualità di vita dei pazienti.
Con il 5x1000 alla ricerca sanitaria del "Sacro Cuore" il domani è più vicino
Grazie alla ricerca possiamo guardare con rinnovata speranza al futuro oltre la pandemia. Contribuire allo sviluppo della ricerca effettuata dal nostro Ospedale è facile e senza oneri, basta una firma nella dichiarazione dei redditi
Per un domani più vicino, fai la scelta giusta: sostieni la ricerca Sanitaria.
Il nostro Ospedale è in prima linea fin dall’esordio dell’emergenza Covid-19. Uno sforzo umano, tecnologico e organizzativo senza precedenti, reso possibile grazie alla dedizione del nostro personale sanitario, ma anche al supporto dei cittadini.
La lotta contro il Coronavirus continua nei laboratori dell’IRCCS Sacro Cuore-Don Calabria attraverso un’intensa attività di ricerca. Non abbiamo però trascurato le altre patologie, per le quali prosegue il nostro impegno medico-scientifico a servizio del paziente. Donare il 5xmille è una scelta volontaria e consapevole che non comporta spese.
Nella prossima dichiarazione dei redditi:
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Donare il 5xmille non costa nulla e se non devoluto sarà trattenuto dallo Stato.
Per maggiori informazioni è possibile consultare il nostro sito: https://5xmille.sacrocuore.it
Il ringraziamento e gli auguri di buona Pasqua da parte del Casante
Il Casante padre Miguel Tofful, superiore generale dell’Opera Don Calabria, in questo video-messaggio porta gli auguri di una buona e santa Pasqua a tutto il personale della Cittadella della Carità, agli ammalati e alle loro famiglie. Un messaggio di ringraziamento, speranza e incoraggiamento perchè in questa seconda Pasqua vissuta al tempo della pandemia possa nascere in ognuno il desiderio di rinnovare la propria vita ed essere lievito nel mondo così cambiato rispetto ad un anno fa.
Il Casante ha scritto anche una lettera a tutta la Famiglia Calabriana, dispoonibile sul sito dell’Opera (vedi link).
Endometriosi: una patologia al femminile di cui non si parla abbastanza
Quali sono i sintomi dell’endometriosi? A chi rivolgersi per una diagnosi accurata? Qual è il ruolo dei farmaci e degli stili di vita nella gestione della malattia? Quando serve intervenire con la chirurgia? Endometriosi è sinonimo di infertilità?
A conclusione del mese di marzo dedicato alla sensibilizzazione sull’endometriosi, patologia che tocca da vicino milioni di donne in Italia e nel mondo, pubblichiamo una interessante intervista al dottor Marcello Ceccaroni, direttore della Ginecologia del “Sacro Cuore”, reparto che rappresenta un punto di riferimento internazionale in questo campo. L’intervista è andata in onda sul programma “Dica 33” di Telearena.
Appendicite: sintomi, diagnosi e trattamento di una patologia comune tra i giovani
La dottoressa Gaia Masini, medico chirurgo, spiega i campanelli d’allarme che fanno pensare ad un’appendicite e descrive come si procede, in caso di necessità, al trattamento chirurgico in laparoscopia oppure a cielo aperto.
Dolore addominale, vomito, febbre, inappetenza, alterazioni dell’alvo. Sono tutti campanelli di allarme di una sospetta appendicopatia o appendicite, ovvero l’infiammazione dell’appendice cecale. Una condizione patologica molto comune, che si manifesta frequentemente nei giovani. Quando si presenta, la soluzione è l’intervento chirurgico, che richiede nei casi più semplici un paio di giorni di ricovero ospedaliero. Diversamente se il quadro clinico è più complicato: nel caso di appendicite perforata o peritonite l’intervento diventa più complesso e il ricovero può essere più prolungato.
Ne parliamo con la dottoressa Gaia Masini, medico chirurgo della Chirurgia generale, diretta dal dottor Giacomo Ruffo (vedi foto). “Nella nostra struttura gli interventi di appendicectomia sono dai 2 ai 3 a settimana, a cui si aggiungono le sospette appendicopatie, per le quali veniamo chiamati in consulenza chirurgica dal Pronto Soccorso o da altri reparti, ma che poi si rivelano gastroenteriti o un mal di pancia di altra origine”, spiega.
Dottoressa Masini, che cosa s’intende per appendicopatia o appendicite?
L’appendicopatia o appendicite è un’infiammazione dell’appendice cecale, una piccola struttura tubulare, a fondo cieco, che si trova nella parte iniziale del colon destro, il ceco. L’appendice è formata in buona parte da tessuto linfonoide, la cui caratteristica è di essere composto da cellule del nostro sistema immunitario: proprio per questa sua particolare composizione, questo organo è più soggetto ad infiammazione, in particolare nei soggetti più giovani il cui sistema immunitario è più reattivo.
Quali sono le cause dell’infiammazione? Può influire l’alimentazione?
Non esiste una sola causa. A volte l’infiammazione è dovuta alla presenza di un coprolita (una piccola formazione solida di feci) che va ad ostruire la parte iniziale dell’appendice, determinando una proliferazione di batteri e quindi favorendo l’infiammazione locale. In questo caso l’alimentazione e la motilità intestinale potrebbero avere un ruolo, nel senso che la stipsi facilita la formazione di coproliti.
Con quali esami viene diagnosticata un’appendicite?
Si eseguono esami del sangue che mostrino lo stato dell’infiammazione, come ad esempio un emocromo per quantificare i globuli bianchi e una PCR, proteina C reattiva, prodotta dal fegato e rilasciata nel sangue quando è presente un’infiammazione acuta. Inoltre è indicata l’esecuzione di un’ecografia dell’addome o, nei casi più dubbi o complicati, di una TC addome con mdc. Tutti questi esami sono importanti per effettuare la diagnosi, ma è la clinica a fare la differenza. E per clinica intendo i sintomi tipici dell’appendicite riscontrati all’esame obiettivo del paziente: un dolore che insorge in zona epigastrica e che migra in fossa iliaca destra, la dolorabilità alla palpazione dei punti appendicolari, come ad esempio il punto di Mc Burney (situato sulla linea che unisce l’ombelico alla spina iliaca anteriore superiore), l’inappetenza, il vomito o la febbre sono tutti segni di una probabile appendicite acuta.
Perché è importante intervenire tempestivamente?
L’infiammazione può causare la perforazione dell’appendicite e provocare una peritonite localizzata o diffusa, conseguente al versamento nella cavità addominale di liquido intestinale e quindi di batteri. Quando è in atto una peritonite il dolore è diffuso sull’intero addome, che alla palpazione risulta rigido e non trattabile, il cosiddetto “addome a tavola”.
L’intervento chirurgico avviene in laparoscopia?
Generalmente la laparoscopia è la prima scelta, ma è condizionata in primo luogo dall’età del paziente e dal quadro di gravità dell’appendicite, che può essere confermato solo dopo aver introdotto la telecamera nell’addome.
Se il paziente è un bambino piccolo, di età e soprattutto di “dimensioni”, si preferisce un approccio open. L’intervento può poi essere invece convertito da laparoscopico a cielo aperto se siamo in presenza di un’appendice perforata o di una peritonite: in questi casi può inoltre essere necessario allargare la resezione, che dovrà interessare tutta la parte “malata” nelle vicinanze dell’appendice. La peritonite poi richiede il lavaggio dell’addome e il posizionamento di drenaggi, per consentire l’evacuazione di eventuale versamento residuo.
Vaccinato il personale del Centro sanitario dell'Opera Don Calabria a Manila
Lunedì 22 marzo medici e infermieri della “Bro. Francisco Perez Clinic” hanno ricevuto il vaccino anti-Covid. La struttura fa parte del Sistema Calabriano di Sanità insieme all’IRCCS di Negrar e agli altri ospedali dell’Opera Don Calabria in Angola e in Brasile
E’ stata una giornata di “festa” ieri alla “Bro. Francisco Perez Clinic” di Manila, dove 13 operatori hanno ricevuto la prima dose di vaccino anti-Covid. Si tratta di personale impegnato in “prima linea”, vale a dire medici e infermieri che sono a più diretto contatto con i pazienti e quindi più esposti al virus. Il vaccino inoculato è quello di Oxford-AstraZeneca. Nei prossimi giorni si procederà anche alla vaccinazione del personale amministrativo (vedi foto in fondo).
La “Bro. Perez Clinic” nel sistema calabriano di sanità
La “Bro. Francisco Perez Clinic” è un centro sanitario situato nel municipio di Tay Tay – Rizal, all’estrema periferia della capitale filippina Manila. Fa parte del Sistema Calabriano di Sanità insieme agli altri ospedali dell’Opera Don Calabria nel mondo: l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar, il Divina Provvidenza di Luanda e il Divina Provvidenza di Marituba. Proprio l’ospedale di Negrar ha avuto un ruolo importante in questo anno di pandemia con incontri periodici online nei quali veniva offerto un supporto tecnico e organizzativo alle altre strutture ed anche a quella di Manila per affrontare la grave emergenza in atto.
Un centro per i più poveri
Il centro sanitario dell’Opera nelle Filippine svolge attività diurna, offrendo la possibilità di effettuare visite specialistiche ed esami diagnostici alla popolazione locale che è molto povera e difficilmente avrebbe accesso a servizi sanitari adeguati sul territorio. I servizi forniti includono visite mediche e dentistiche, radiografie, ecografie, esami di laboratorio, la profilassi per la cura della tubercolosi e un dispensario farmaceutico. Mediamente, il centro cura ogni anno 20.000 pazienti.
Anche la “Bro. Perez” è stata fortemente impegnata durante questo anno di pandemia, seppure in forma prevalentemente indiretta. Infatti i pazienti che vengono diagnosticati con positività al Covid sono indirizzati ai centri specializzati indicati dal governo. Qui continuano invece ad essere trattati i pazienti in cura per tubercolosi, dengue e infezioni varie. Ma naturalmente la pressione è grande, anche perchè quando il Covid si innesta su altre patologie risulta particolarmente grave.
Nuovo Servizio per i pazienti colpiti da IBD: sempre in linea con i loro medici
Un filo diretto tra il Centro per le Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino e i suoi pazienti. E’ ciò che si propone il nuovo Servzio di telemedicina a cui si può accedere tramite il sito www.sacrocuore.it
Il Centro per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI o IBD secondo l’acronimo inglese di Infiammatory Bowel Disease) del “Sacro Cuore Don Calabria” apre un filo diretto con i suoi pazienti tramite un nuovo servizio di telemedicina. Nel sito dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria (www.sacrocuore) è stato infatti ricervato uno “spazio” che consente un dialogo “a distanza” con l’équipe medica del Centro.
“Con questa iniziativa – spiega l’équipe guidata dal dottor Andrea Geccerle – abbiamo voluto offrire ai nostri pazienti uno strumento telematico più completo della semplice mail (helpibd@sacrocuore.it), garantire un più sicuro e puntuale supporto alla loro cura ed essere più vicini alle loro esigenze. La telemedicina svolge un ruolo fondamentale in questo particolare periodo storico, a causa dell’emergenza sanitaria di COVID-19 attualmente in corso, e si sta acquisendo la consapevolezza del vero valore aggiunto di questa opportunità.
Con questo portale vogliamo intervenire tempestivamente in caso di emergenza e seguire l’evoluzione della malattia dei pazienti nel corso del tempo, avendo la possibilità di individuare i periodi di benessere o di cronicizzazione studiando i risultati dei questionari proposti e cercando di ridurre la frequenza di ospedalizzazione”.
E’ possibile collegarsi al Servizio tramite questo link:
https://web2.sacrocuore.it/infoibd/
Serve solo il Codice Fiscale
Addio a don Mario Gadili, biografo ufficiale di san Giovanni Calabria
Don Mario Gadili è deceduto stamattina a Casa Clero, dove risiedeva nella comunità calabriana fin dal 1998. Prete di frontiera nella periferia romana negli anni Settanta, da oltre 20 anni si era dedicato alla storia dell’Opera Don Calabria pubblicando importanti studi e portando avanti la rivista dell’Apostolato Infermi.
Stamattina a Casa Clero è deceduto improvvisamente don Mario Gadili, Povero Servo della Divina Provvidenza e biografo ufficiale di san Giovanni Calabria. Aveva 87 anni e risiedeva alla Cittadella della Carità di Negrar fin dal 1998.
Il rito funebre si terrà lunedì 22 marzo alle 15.30 presso la chiesa parrocchiale di Negrar.
Don Gadili è autore di numerosi e importanti studi sulla storia e sul Carisma dell’Opera. Oltre alla biografia ufficiale di don Calabria, scritta per le edizioni San Paolo in occasione della canonizzazione nel 1999, ha realizzato un importante profilo di fratel Francesco Perez (2010). Ha scritto anche una storia delle missioni dell’Opera e numerosi opuscoli per approfondire illustri figure di religiosi calabriani del passato, tra i quali alcuni che hanno segnato la storia della Cittadella della Carità, come fratel Pietro Nogarè, fratel Rino Nordera, fratel Attilio Riccardi ed altri. Tra i suoi studi c’è anche un libretto del 2012 che ripercorre la storia della Cittadella fin dalle sue origini. Fino a qualche mese fa era inoltre il redattore che curava la rivista “Apostolato Infermi” dedicata agli ammalati.
Don Gadili era nato a Tivoli nel 1933 ed era entrato come studente nella Casa calabriana di Maguzzano nel 1946. La sua prima professione religiosa risale al 1956. Nella sua lunga e intensa vita di servizio ha trascorso molto tempo a Roma, soprattutto nel quartiere di Primavalle, dove è stato in prima linea con iniziative sociali ed educative di frontiera soprattutto negli anni Settanta per aiutare i più poveri ed emarginati nella periferia della capitale. Nel suo passato anche un’esperienza missionaria in Uruguay, dal 1963 al 1967. Poi dalla fine degli anni Ottanta è arrivato a Verona, dapprima a San Zeno in Monte e a Casa San Giuseppe, poi a Negrar dal 1998. Proprio in questo ultimo lungo e intenso periodo della sua vita, si dedicò alla formazione spirituale degli operatori e allo studio, sfruttando la sua grande vena di narratore e scrittore, mantenendo sempre stretti legami con i suoi ragazzi di un tempo.
Maggiori informazioni su don Mario Gadili si possono trovare sul sito dell’Opera (vedi link)