113 anni fa nasceva l'Opera Don Calabria

Il 26 novembre 1907 i primi ragazzi accolti da don Calabria si trasferivano nella casa di Vicolo Case Rotte, a Verona. Iniziava così ufficialmente l’Opera fondata dal sacerdote veronese, di cui fa parte anche il “Sacro Cuore”. In un video le antiche e rarissime foto di quei primi tempi

La sera del 26 novembre 1907 un gruppo di ragazzetti usciva dalla sacrestia della chiesa di San Benedetto al Monte, adiacente a Piazza Erbe nel centro di Verona. La serata era nebbiosa, così i ragazzi tutti intabarrati si incamminarono verso il quartiere di Veronetta. La destinazione era una casa in Vicolo Case Rotte, vicino alla chiesa di San Giovanni in Valle. Quel piccolo drappello era costituito dagli orfani che il sacerdote don Giovanni Calabria aveva iniziato ad accogliere alla spicciolata negli anni precedenti. Ormai erano troppi e non c’era più posto per loro nella rettoria di San Benedetto. Così si era trovata una nuova casa grazie all’impegno del conte Francesco Perez. I ragazzi ne presero possesso quella sera, accompagnati dallo stesso don Calabria, da don Bonometti e da don Desenzani. Quella di Vicolo Case Rotte diventava così la prima Casa Buoni Fanciulli. Era l’inizio dell’Opera Don Calabria.

Per ricordare il 113° anniversario di fondazione, tutta la Famiglia Calabriana nel mondo si unirà idealmente in una giornata di adorazione. Per maggiori informazioni è possibile consultare il sito http://www.doncalabria.org/
Qui sotto un video con alcune rarissime foto di quei primi tempi dell’Opera…


Un solo tampone distingue Covid, influenza e il virus della bronchiolite nei bimbi

Un solo tampone  per tre diagnosi: Covid 19, influenza e (RSV-A e B), causa della bronchiolite e della polmonite nei bambini. L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria è uno tra i primi ospedalie ad introdurre il triplice referto su tutte le richieste per test molecolare Covid. Finora sono stati eseguiti più di 4mila tamponi

Un solo tampone per la ricerca di tre virus. Un solo referto entro 24 ore per sapere se la tosse o la febbre è dovuta al Covid 19 o all’influenza (di tipo A e B) oppure al virus respiratorio sinciziale (RSV-A e B), causa della bronchiolite e della polmonite nei bambini.

E’ l’approccio diagnostico avviato dal Laboratorio di Microbiologia del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’ospedale di Negrar, che risponde all’esigenza di una diagnosi differenziale, fondamentale in questo periodo stagionale dove convivono il Covid 19 e l’influenza, patologie virali che hanno sintomi sovrapponibili, così come il virus respiratorio sinciziale.

Tra i primi ospedali in Italia a farlo, la metodica del “Sacro Cuore” prevede sempre di un tampone naso-faringeo (non rapido), sul cui campione prelevato viene effettuata un’analisi molecolare di tipo real time PCR in grado ricercare contestualmente l’acido nucleico (RNA) di tutti e tre i virus.

Il test viene effettuato con impegnativa del medico di medicina generale che prevede il pagamento del ticket o l’esenzione dello stesso (codice 5G1) secondo le indicazioni previste dalla Regione Veneto. Oppure privatamente. Il tampone multiplex viene eseguito dal Laboratorio di Negrar dal 4 novembre e da mercoledì 17 tutti i referti riportano le voci riguardanti le tre patologie. Sia per il Servizio Sanitario Nazionale sia per il cittadino non è previsto nessun costo aggiuntivo rispetto a un tampone solo Covid.

“La nostra scelta è stata dettata dal fatto che i sintomi del nuovo Coronavirus sono assolutamente sovrapponibili a quelli di un’influenza o di una polmonite”, spiega la dottoressa Francesca Perandin, biologa e responsabile del Laboratorio. “Dal punto di vista clinico quindi è impossibile discernere quale sia il virus che causa gli effetti patologici quali febbre, tosse, difficoltà respiratorie. A darci un aiuto da questo punto di vista è la tecnologia che offre sistemi multiplex PCR capaci di ricercare contemporaneamente l’RNA dei tre virus”.

“Un vantaggio notevole dal punto di vista clinico e di salute pubblica perché consente tempestivamente di discernere le persone colpite dall’infezione da SARS COV2, che devono sottoporsi a isolamento fiduciario e segnalare i contatti stretti, e coloro che invece hanno contratto l’influenza o il virus respiratorio sinciziale”, sottolinea Federico Gobbi, infettivologo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali dell’IRCCS di Negrar. “Inoltre il triplice risultato del tampone permette di avviare in tempi rapidi ulteriori indagini nel caso in cui il referto escludesse i tre virus”.

Dal 4 novembre sono stati effettuati 4.000 tamponi multiplex, in media 500 tamponi al giorno con punte anche di 700. La percentuale dei positivi Covid si aggira intorno al 12%, mentre nessun tampone ha rilevato la presenza del virus influenzale.

“Il tampone multiplex è entrato nella routine dell’Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. Si tratta di un servizio che limita innanzitutto i disagi del paziente e consente un risparmio di risorse, sia in termini di impiego professionale sia di carattere economico per addebito di una sola prestazione anziché di tre”, afferma il direttore amministrativo, Claudio Cracco.

Fin dalla prima ondata della pandemia l’ospedale di Negrar è in prima linea anche sul versante della diagnostica Covid 19. Infatti supporta l’Ulss 9 per l’analisi dei tamponi effettuati sul territorio e sono molti i privati cittadini che giornalmente si rivolgono al “Sacro Cuore Don Calabria” per effettuare il test molecolari così come le aziende per i loro dipendenti. Il referto è sempre disponibile anche in lingua inglese.

Al tampone si accede solo su appuntamento. In proposito è stato attivato un sistema di prenotazione on line tramite il sito www.sacrocuore.it bottone “Prenota senza coda”. Oppure i cittadini privati possono  telefonare al numero 045.6013081 (cittadini privati), mentre le aziende possono scrivere a liberaprofessione@sacrocuore.it.

Nella foto: in primo piano la dottoressa Francesca Perandin e il dottor Fabio Formenti, coordinatore della diagnostica molecolare 


La dottoressa Grazia Pertile protagonista del Festival del Futuro

Dalla retina artificiale alle cellule staminali per la cura delle gravi patologie dell’occhio. Con questo tema la dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS di Negrar e una tra i maggiori esperti internazionali della retina, sarà protagonista venerdì 20 novembre alle 14 al Festival del Futuro Digital Ediction. Ecco come seguire il suo intervento

Esistono diverse patologie della retina responsabili della degenerazione dei fotorecettori, le cellule retiniche in grado di convertire lo stimolo luminoso in un impulso che viene inviato al cervello, consentendo la visione di quanto ci circonda. Alcune di queste malattie sono geneticamente determinate. Altre sono acquisite, come ad esempio la degenerazione maculare senile. Per molte non esiste attualmente un trattamento efficace. In tutti questi casi il futuro si apre su terapie che coniugano medicina e alta tecnologia, come la retina artificiale planare e liquida che saranno protagoniste dell’intervento della dottoressa Grazia Pertile, direttore dell’Oculistica dell’IRCCS di Negrar. al Festival del Futuro Digital Ediction (www.festivaldelfuturo.eu). Il suo intervento è in programma questo venerdì 20 novembre alle ore 14. Per seguirlo:

Telearena
Telemantova
RadioVerona

www.festivaldelfuturo.eu
www.larena.it
www.ilgiornaledivicenza.it
www.bresciaoggi.it
www.ansa.it

e le rispettive pagine Facebook

Il Festival del Futuro si è  aperto giovedì 19 novembre e si concluderà sabato 21. Una tre giorni con oltre 40 ospiti e 20 tra dibattiti, keynote speech e interviste. Sarà un’edizione interamente digitale a causa della pandemia da Covid 19. «Disegnare il nuovo mondo»  è il titolo scelto dai promotori Gruppo editoriale Athesis, Eccellenze d’Impresa e Harvard Business Review.

Tra gli speaker la ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova, la direttrice di Telethon Francesca PasinelliEnrico Giovannini, portavoce di Asvis, Massimo Gaudina, capo della rappresentanza della Commissione Europea a Milano.


Il sostegno psicologico ai pazienti prosegue anche da remoto

Anche in emergenza Covid, prosegue in presenza o da remoto (on line o telefonicamente) il sostegno psicologico ai pazienti seguiti già dal Servizio di Psicologia Clinica che allarga la sua disponibilità anche agli altri pazienti che ne sentano la necessità

Il Servizio di Psicologia Clinica dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria prosegue l’attività di supporto psicologico, di psicoterapia e di valutazione psicologica in presenza e anche a distanza (on line o telefonicamente).

“Quindi invitiamo tutti i pazienti già seguiti dai nostri psicologi a non disdire gli appuntamenti già fissati e a chiamarci per poter comprendere meglio come poter proseguire con i percorsi avviati”, afferma il dottor Giuseppe Deledda, responsabile del Servizio di Psicologia Clinica.

“La mia équipe tratta prevalentemente pazienti oncologici o con malattie croniche. Comprendo perfettamente il timore di queste persone di recarsi in ospedale – prosegue -. Vorrei però innanzitutto rassicurarli: il “Sacro Cuore Don Calabria” ha messo in atto tutte le misure affinché l’ospedale sia un luogo più sicuro possibile. Tuttavia rimaniamo a disposizione anche per colloqui on line o telefonici. E’ importante proseguire un percorso già avviato, soprattutto in questo momento in cui la recrudescenza della pandemia, e il distanziamento fisico che impone, acuisce l’ansia di coloro che vivono già una malattia”.

Un invito rivolto soprattutto a chi si avvale già del Servizio di Psicologia clinica e ai pazienti dell’Irccs di Negrar, “ma anche a tutti i pazienti che sentono il bisogno di un supporto psicologico. Le modalità e i tempi verranno concordati di volta in volta”, sottolinea il dottor Deledda.

Il numero da contattare è lo 045.6013048 dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 13.00. Si può anche scrivere anche all’indirizzo e-mail: psicologia@sacrocuore.it e si verrà quanto prima contattati.


Covid 19: facciamo il punto sui farmaci oggi efficaci

Per il trattamento della Covid 10 non esistono farmaci specifici, ma alcuni farmaci usati per altri patologie si sono dimostrati efficaci. Quali sono? E il plasma autoimmune può essere veramente una soluzione? Il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto di Malattie Infettive e Tropicali, fa il punto sullo sviluppo medico-scientifico nella lotta contro il Coronavirus

La pandemia di COVID-19 ha come non mai messo in evidenza la fragilità dei sistemi socio-sanitari e del processo di produzione delle evidenze scientifiche sulle scelte diagnostiche e terapeutiche. Il tutto, condito con l’appiattimento e la disponibilità delle notizie e delle informazioni al pubblico, ha generato una crisi nella presa di decisioni da parte sia delle autorità di salute pubblica che da parte degli operatori sanitari alle prese con la difficile gestione dei malati di COVID-19.

Tuttavia pur in questo contesto o anzi forse grazie ad esso, vi sono stati degli enormi passi avanti nella diffusione delle informazioni scientifiche: per fare un esempio le riviste scientifiche che normalmente permettono la lettura degli articoli dietro pagamento di una quota, ora offrono gratuitamente la consultazione di qualsiasi articolo che riguardi la nuova pandemia. Inoltre la comunità scientifica si è mossa con straordinaria rapidità e costante sforzo per raccogliere evidenze che possano guidare i sanitari nella loro condotta e la salute pubblica nelle scelte di politica sanitaria.

LE CURE QUASI “MIRACOLOSE”

Abbiamo tutti sentito però parlare di cure efficacissime, se non miracolose durante la prima ondata della malattia, poi smentite. E abbiamo tutti idee discordanti sull’efficacia del plasma iperimmune o sull’immunità di gregge applicata alla pandemia di COVID-19.

TERAPIE CHE SI SONO DIMOSTRATE INEFFICACI

Idrossiclorochina, antiretrovirali (lopinavir ad esempio), azitromicina sono alcuni tra i farmaci utilizzati con tanta speranza nelle prime fasi, ma rivelatisi inefficaci alla prova dei fatti, ovvero quando hanno cominciato ad uscire i dati degli studi più rigorosi (i trials randomizzati controllati).

ALLORA PERCHE’ SONO STATE IMPIEGATE?

Allora perché i medici li hanno utilizzati inizialmente? Si deve sapere che la scelta di questi farmaci si è basata sulle evidenze allora disponibili ovvero sul fatto che in vitro (cioè in laboratorio) questi farmaci avevano dimostrato di essere in grado di inibire o uccidere il SARS-CoV-2 (l’agente patogeno causa di COVID-19) e inoltre vi era una esperienza pluriennale nel loro utilizzo per altre patologie, per cui la preoccupazione per eventuali eventi avversi era ridotta. Infine la conoscenza dello sviluppo della malattia COVID-19 (la patogenesi) confortava nella scelta di tali farmaci: gli antivirali bloccano la replicazione del virus, gli agenti immunomodulanti controllano la tempesta infiammatoria correlata all’azione virale che conduce alla difficoltà respiratoria eccetera.

I TRE FARMACI CHE HANNO DATO RISULTATI

Alla prova dei fatti però, come dicevo, è emerso che solamente tre farmaci, attualmente in uso, hanno degli effetti positivi: il remdesivir, un antivirale sviluppato per i virus a RNA, primo tra tutti l’Ebola-virus; l’eparina a basso peso molecolare che contrasta il rischio di formazione di coaguli tipico della malattia e il cortisone, che ha degli effetti benefici nel ridurre la mortalità da COVID-19 contrastando il processo di danno polmonare.

IL PLASMA AUTOIMMUNE

Il plasma iperimmune contiene anticorpi contro il virus, raccolti e concentrati da donatore e sviluppa la sua azione inibendo il virus. Ci sono due grossolane nozioni che però vanno condivise: la prima è che per trattare un caso di COVID-19 è necessario raccogliere plasma da più donatori, quindi non si può aspettare che questa terapia sia per tutti…; la seconda è che il contrasto all’azione virale è maggiormente esercitato nelle fasi iniziali di malattia che come tutti sanno cominciano con quadro asintomatico o poco sintomatico, ma perde di significato una volta che sono innescati i processi infiammatori che conducono all’espressione clinica più severa della patologia. La cura pertanto andrebbe somministrata per tempo e ciò non è così semplice come sembra. Detto questo, nonostante i tentativi fatti di utilizzare il plasma iperimmune e di collocarne l’uso quando si ritiene più giusto, le prove degli studi randomizzati controllati (tre pubblicati sinora) ci dicono che non è chiaro se causi un beneficio nel ridurre la mortalità e vi sono stati degli eventi avversi anche gravi che non è escluso possano essere correlati al plasma stesso. Insomma ancora non sappiamo, ma sono 138 gli studi clinici in corso.

GLI STUDI DELL’IRCCS DI NEGRAR

L’IRCCS Sacro Cuore è impegnato in vari studi che riguardano COVID-19 in particolare con l’obiettivo di definire l’accuratezza dei test diagnostici (per una diagnosi affidabile e sicura) e l’efficacia di alcuni farmaci (ivermectina, remdesivir). Lo studio COVER che mira a valutare la sicurezza dell’ivermectina (utilizzata a dosaggio antivirale nell’adulto con COVID-19 non ricoverato in ospedale) e la riduzione della carica virale, è attualmente in corso. Lo studio RCT-TCZ, coordinato dall’Azienda USL-IRCCS di Reggio Emilia si è invece recentemente concluso ed è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista JAMA Internal Medicine. Lo studio mirava a definire l’efficacia del farmaco tocilizumab, indicato come efficace anche nel ridurre la mortalità in precedenti studi metodologicamente meno rigorosi. L’indagine ha coinvolto 24 centri in Italia ed ha arruolato 126 pazienti. Purtroppo è stato interrotto anche prima del completamento degli arruolamenti perché le evidenze raccolte non hanno mostrato l’efficacia del tocilizumab somministrato precocemente (cioè appena il paziente mostrava di iniziare ad aggravarsi) nel prevenire la progressione della malattia rispetto alle cure classiche che non prevedono il farmaco.

Questo è un risultato negativo agli occhi dei più, ma è comunque importante perché ha permesso di evitare l’utilizzo in futuro di un farmaco non efficace (inizialmente raccomandato come miracoloso) e di definire ancora più precisamente quanto non si possa prescindere da un approccio rigoroso ad una patologia insidiosa come COVID-19.

Dr. Andrea Angheben
Responsabile del reparto di Malattie Infettive e Tropicali


Familiari dei pazienti Covid: orari per contattare i medici

Per i colloqui con i familiari, i medici del reparto Covid sono disponibili tutti i giorni dalle 12.30 alle 13. E’ premura dei medici contattare direttamente i familiari qualora le condizioni cliniche del loro caro subissero delle modifiche, richiedendo cure più intensive

L’intensificarsi dei ricoveri di pazienti affetti da Covid 19, costringe i medici che li hanno in cura a ridurre il tempo a disposizione per il colloquio con i familiari. E’ premura degli stessi medici avvisare i famigliari delle condizioni cliniche dei pazienti, soprattutto qualora queste si modifichino e siano richieste cure più intensive. I medici sono comunque contattabili tra le ore 12.30 e le ore 13.00 al numero 045.6013111 chiedendo il reparto di Malattie infettive e Tropicali

“Siamo consapevoli dei possibili disagi, ma chiediamo la comprensione di tutti i familiari affinché possiamo condurre il nostro lavoro nel migliore modo possibile”, afferma il dottor Andrea Angheben, responsabile del reparto del Dipartimento di Malattie infettive e tropicali


La gestione del drenaggio dopo l'intervento al seno

Le infermiere della Chirurgia Senologica mostrano in un video i corretti passaggi per effettuare lo svuotamento del serbatoio collegato al drenaggio, offrendo alle pazienti un supporto per una procedura che può tranquillamente essere eseguita autonomamente e a domicilio fino alla prima visita di controllo

Dopo la dimissione e il ritorno a casa, la donna operata al seno dovrà gestire il drenaggio della ferita fino alla prima visita di controllo. Il tubo di drenaggio fuoriesce da un piccolo foro a livello dell’ascella, dove è fissato con un punto che ne assicura l’ancoraggio. Tale tubo è connesso ad un serbatoio di raccolta, che sarà necessario svuotare giornalmente, al mattino, fino al giorno prima della visita. Lo svuotamento del drenaggio non è un’operazione complessa e la paziente può svolgerla autonomamente al proprio domicilio, seguendo l’apposita procedura.

Nel video qui sotto le infermiere della Chirurgia Senologica del “Sacro Cuore”, diretta dal dottor Alberto Massocco, mostrano in modo dettagliato i passaggi da effettuare per una corretta gestione del drenaggio.

Indicazioni e consigli a cura della Chirurgia Senologica si possono trovare anche nel libretto allegato qui sotto.

Dopo l'intervento: i consigli della Chirurgia Senologica

Pandemia: il "Sacro Cuore" passa da 14 a 40 posti letto Covid

In risposta all’evolversi della pandemia, il “Sacro Cuore Don Calabria” amplia il numero dei posti letto dedicati ai pazienti Covid 19. Si passa da 14 a 40. Così suddivisi: 30 di Malattie Infettive, 7 di terapia semintensiva e 3 di terapia intensiva

In risposta all’evolversi della pandemia, l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar si sta organizzando per l’ampliamento del numero dei posti letto dedicati ai pazienti Covid 19.

A partire da martedì 3 novembre, i posti letto passeranno dagli attuali 14 a 40. Così suddivisi: 30 di Malattie Infettive, 7 di terapia semintensiva e 3 di terapia intensiva. L’ampliamento è stato stabilito in accordo con l’assessore regionale alla Sanità, Manuela Lanzarin, e il direttore dell’Ulss 9, Pietro Girardi.

“Il ‘Sacro Cuore Don Calabria’, ospedale privato accreditato, fa parte integrante della rete ospedaliera veneta e come tale effettua un servizio pubblico – spiega l’amministratore delegato, Mario Piccinini -. Come è successo nella prima ondata della pandemia, anche in questo momento di recrudescenza siamo in prima linea per offrire risposte qualificate al territorio veronese e veneto”.

L’ospedale, pur incrementando i posti letto Covid, prosegue l’attività ordinaria medica, chirurgica, diagnostica, materno-infantile e ambulatoriale.

Dall’inizio della pandemia sono attive tutte le misure anti-contagio all’ingresso principale della struttura e ogni paziente prima del ricovero viene sottoposto a tampone molecolare. Al Pronto Soccorso sono stati predisposti percorsi separati per i pazienti sospetti Covid.

 “Stiamo facendo ogni sforzo per rendere l’ospedale il più sicuro possibile, affinché chi ha bisogno di accertamenti, terapie e controlli non rimandi per la paura di contrarre il virus. Per molte patologie, soprattutto quelle oncologiche e cardiologiche, il tempo fa la differenza”, conclude il dottor Piccinini.


La riabilitazione dopo l'intervento al seno: gli esercizi in un video

Una mobilizzazione precoce e l’esecuzione costante di alcuni semplici esercizi permettono un rapido recupero delle funzionalità dopo l’intervento al seno. Nel video vengono mostrati questi esercizi con alcuni utili consigli da seguire per le pazienti operate

Dopo l’intervento al seno è fondamentale iniziare precocemente il percorso di riabilitazione, così da recuperare in modo tempestivo le funzionalità temporaneamente compromesse dall’operazione. Si tratta di esercizi che le pazienti possono tranquillamente eseguire a casa, seguendo le istruzioni del medico.
In questo video promosso dall’Unità di Chirurgia Senologica del Sacro Cuore, diretta dal dottor Alberto Massocco, in collaborazione con i professionisti del dipartimento di Riabilitazione, vengono mostrati gli esercizi consigliati alle pazienti operate. Fanno eccezione le pazienti che si sono sottoposte a ricostruzione mammaria, per le quali prima di iniziare la riabilitazione è fondamentale un consulto con il chirurgo plastico di riferimento.

Indicazioni e consigli a cura della Chirurgia Senologica si possono trovare anche nel libretto allegato qui sotto.

Dopo l'intervento: i consigli della Chirurgia Senologica

Ricercatrici del Sacro Cuore indagano sul perché il Covid colpisce più gravemente gli uomini

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è centro coordinatore per l’Italia del Progetto di studio “Sex Difference”, ideato da Ilaria Capua, la nota virologa italiana. L’obiettivo? I protocolli di trattamento in base al sesso ed evidenze scientifiche per pianificare le misure di controllo dell’epidemia

L’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria è centro coordinatore per l’Italia del Progetto di studio “Sex Difference”, ideato da Ilaria Capua (nella foto allegata), la nota virologa italiana, direttore dell’One Health Center dell’Università della Florida. Lo studio multicentrico si pone come obiettivo di scoprire le ragioni per cui se, come è accaduto in Italia, quello femminile è stato il sesso maggiormente colpito dall’infezione Covid-19 (dei 209.013 casi diagnosticati entro il 30 aprile, il 53,3% sono donne- fonte dell’Istituto Superiore della Sanità), secondo le casistiche internazionali i casi più gravi e i decessi sono in prevalenza maschili. Un dato confermato anche nel nostro Paese dove il rapporto di mortalità per l’infezione da Coronavirus è di circa 3:1 a favore delle donne.

“Sex Difference” ideato da Ilaria Capua

“Sex Difference” rientra in un progetto più ampio chiamato “E-ellow Submarine”, un sottomarino elettronico di pensatori provenienti da tutto il mondo che già durante i momenti più critici della pandemia si sono riuniti virtualmente (via Zoom), per trovare nuove linee guida in grado di condurre a una migliore gestione e preparazione delle crisi sanitarie. Quindi sotto la lente di ingrandimento sono finiti non solo la differenza di genere, ma anche il clima, gli animali, la vaccinazione contro l’influenza… fattori che potrebbero aver contribuito all’andamento dell’infezione. I gruppi di studio non sono formati solo da medici, ma anche da biostatistici, matematici, analisti, biologi…

L’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria capofila per l’Italia

Per quanto riguarda l’Italia, allo studio hanno aderito per il momento anche l’Humanitas Ospedale di Milano e il Policlinico di Monza, ma il gruppo è aperto a nuove collaborazioni e progetti. All’ospedale di Negrar è stata assegnata anche una borsa di studio all’interno del “One Health Leonardo Followship program” dell’University of Florida per una biologa, la dottoressa Michela Deiana, che si dedicherà allo sviluppo del progetto.

Obiettivo: protocolli di trattamento in base al sesso

“Identificare le differenze con le quali il virus si manifesta (clinicamente e per quanto riguarda gli esiti) in base al sesso del paziente assume una importanza rilevante per definire i protocolli di trattamento e per pianificare le misure di controllo dell’epidemia”, spiega la dottoressa Anna Beltrame (nella foto a sinistra), infettivologa del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia e principale sperimentatore italiano dello studio a cui collabora anche la dottoressa Lucia Moro (nella foto a destra), sempre di Negrar. Non a caso più di una volta, in occasione dei numerosi interventi televisivi, la dottoressa Capua ha proposto che le prime a ritornare al lavoro dopo il lockdown fossero proprio le donne.

Le donne si infettano di più, ma meno gravemente

“Sia il sesso che il ruolo sociale influiscono sulla patogenesi delle malattie virali – prosegue -. Le donne sono più esposte alla infezioni, perché in genere sono loro ad occuparsi dell’accudimento dei familiari e il numero di donne impegnate come operatore sanitario è superiore a quello degli uomini. Ma il sesso femminile sviluppa l’infezione con un grado di gravità minore rispetto agli uomini”.

Non solo genere, ma anche ruolo sociale e stili di vita

Un ruolo lo hanno anche gli stili di vita. “Il decorso del Covid 19 è influenzato dalla presenza di altre patologie, tra cui diabete di tipo 2, ipertensione, malattie cardiovascolari – prosegue –. Queste condizioni sono prevalenti negli uomini e sono collegate a stili di vita più prettamente maschili (tabagismo, consumo eccessivo di alcol, sovrappeso)”. A marcare ancora di più la differenza interviene la risposta immunitaria, sia innata che acquisita, più efficace nelle donne. Non a caso le malattie autoimmuni colpiscono maggiormente il sesso femminile. “Alla base di una diversa risposta immunitaria ci sono gli effetti degli ormoni sessuali che variano nel corso della vita modificando la suscettibilità e la risposta clinica alle infezioni”.

Tuttavia poiché c’è ancora molta incertezza riguardo ai fattori rilevanti e ai potenziali meccanismi coinvolti nell’infezione SARS COV 2, “l’analisi di una corte di pazienti dal ricovero alle dimissioni (o al decesso) potrebbe fare chiarezza sull’argomento”, sottolinea Beltrame.

Studio retrospettivo con 1.600 pazienti

“Le strutture italiane arruoleranno 1.600 pazienti ricoverati per Covid 19 dal 20 febbraio al 30 maggio 2020 – continua l’infettivologa –. Trattandosi di uno studio retrospettivo, le informazioni sullo stato clinico al momento dell’ingresso in ospedale, sulle malattie in atto o pregresse, sugli stili di vita e sulla storia personale dei pazienti saranno tratte dalle loro cartelle cliniche. Il confronto sarà fatto su classi di età omogenee, avendo già osservato che le differenze sul decorso della malattia tra maschi e femmine sono più marcate nei giovani adulti”.

Degli oltre 1.600 pazienti arruolati, 400 saranno oggetto di studio anche per quanto riguarda i campioni sangue congelato donati dagli stessi pazienti a scopo di ricerca durante il ricovero. “Saranno testati il livello di alcuni ormoni (estradiolo, progesterone, testosterone e deidroepiandrosterone) per verificare quanto essi abbiano un ruolo protettivo nella donna in età fertile”, conclude la dottoressa Beltrame. I campioni di siero forniti da tutte le strutture aderenti allo studio saranno analizzati presso l’IRCCS di Negrar.