Coronavirus: i numeri ci impongono di stare allerta
Se confrontati con i numeri dei mesi più duri ovviamente il confronto non regge, ma dobbiamo stare molto allertati poiché potremmo essere difronte ad un nuovo inizio: i segnali, dovuti anche alla ripresa a pieni ritmi di scuola, lavoro ed attività del tempo libero, vanno in questa direzione. Tuttavia grazie alle conoscenze accumulate possiamo scongiurare il ripresentarsi di una stagione così sofferta.
A livello mondiale, dai dati diffusi dal Coronavirus Resource Center della Johns Hopkins University & Medicine, alla data dell’11 settembre 2020 i casi cumulativi di SARS-CoV-2 sono poco più di 28 milioni con quasi 910mila morti. In questo triste primato l’Italia risulta essere attualmente al sesto posto con circa 36mila decessi preceduta dal Regno Unito a quota 42mila morti e seguita dalla Francia che sfiora i 31mila.
In Italia in questi ultimi giorni si è tornati pesantemente a parlare di Covid19 sia a causa di una ripresa del numero dei contagi sia perché i periodi vacanzieri sono ormai alle spalle.
Chiariamo subito che dal punto di vista epidemiologico i numeri che stiamo osservando sono da ritenersi del tutto “normali” e non allarmanti se consideriamo la ripresa di una vita sociale quasi normale, per molti, e del tutto normale per altri – per fortuna pochi e sostanzialmente giovani.
Se confrontati con i numeri dei mesi più duri ovviamente il confronto non regge (si veda il grafico temporale relativo alla provincia di Verona) ma dobbiamo stare molto allertati poiché potremmo essere difronte ad un nuovo inizio: i segnali, dovuti anche alla ripresa a pieni ritmi di scuola, lavoro ed attività del tempo libero, vanno in questa direzione. Tuttavia grazie alle conoscenze accumulate possiamo scongiurare il ripresentarsi di una stagione così sofferta.
LA MASCHERINA… QUELLA IRRINUNCIABILE ALLEATA
Ricordando infatti che i meccanismi principali di trasmissione del SARS-CoV-2 sono per via aerea (saliva e aerosol) e per contatto diretto ravvicinato (con le mani) si capisce perché non possiamo ancora abbandonare le misure di distanziamento sociale e di protezione individuale (mascherine e detersione frequente delle mani).
Inoltre la carica virale presente in un individuo positivo al virus gioca un ruolo fondamentale poiché maggiore è la carica tanto maggiore sarà la probabilità che tale individuo divenga un diffusore. I cosiddetti cluster di malattia, cioè gruppi di persone positive a SARS-CoV-2, possono essere causati anche da una singola persona, specie se possiede una carica virale molto elevata. Ciò ormai è stato ampiamente dimostrato dalla distribuzione spaziale del virus per nulla omogenea nei territori a differenza, ad esempio, dei virus influenzali.
L’utilizzo delle mascherine diviene quindi fondamentale: limitando la “quantità di virus” che viene emessa da un soggetto positivo si limita anche la probabilità di contagio. Si tratta di una barriera meccanica fondamentale. Similmente per la detersione delle mani. E ancor più se si considera che in questa particolare fase dell’epidemia in Italia i contagi riguardano generalmente soggetti giovani e asintomatici cioè che non presentano segni di malattia. Questi soggetti, ignorando il loro stato di positivi al virus, credono di non essere contagiosi e di potersi quindi permettere qualche “libertà” in più con conseguenze ben note a tutti.
IL VIRUS E’ MUTATO?
Non ci sono evidenze scientifiche che il virus sia mutato e permangono casi di soggetti positivi sia ad alta che a bassa carica virale. Sono mutati piuttosto i nostri comportamenti e un immediato ritorno ad un maggior rigore è auspicabile visto che il tanto sofferto periodo di lockdown ha insegnato chiaramente a tutti noi come tenere sotto controllo la diffusione del virus.
I VACCINI
Sul fronte dei vaccini la situazione è in forte evoluzione; ve ne sono moltissimi in sperimentazione ma prima della prossima estate 2021 sarà difficile pensare ad una vaccinazione di massa efficace e sicura. Interessante sarà conoscere se gli anticorpi generati dalla vaccinazione avranno una durata nell’organismo di almeno 6 mesi.
L’ARMA DELLA VACCINAZIONE ANTINFLUENZALE
Per ora l’unica vera arma che abbiamo è quella del vaccino antiinfluenzale che ci aiuterebbe ad escludere, almeno in via preliminare, la presenza di influenza stagionale in un soggetto con tipici sintomi di Covid19. Un unico seppur preliminare studio scientifico americano ha però fornito alcune interessanti informazioni circa i sintomi da Covid19. In una vastissima casistica – poco meno di 60.000 soggetti – applicando avanzati modelli statistici – è stato dimostrato che la febbre è certamente il sintomo più ricorrente ma soprattutto quello iniziale. Questo fornisce un’indicazione molto interessante dal punto di vista della gestione della nostra quotidianità poiché i sintomi come tosse, dispnea, diarrea, astenia, anosmia e ageusia in presenza di Covid19 dovrebbero intervenire in un secondo momento. Fermo restando che il soggetto in questione sia sintomatico.
LA SICUREZZA NON E’ SOLO A SCUOLA
Tema molto caldo in questi giorni. Ci stiamo molto interrogando sui comportamenti da tenere nelle nostre scuole ma il vero problema sono i comportamenti in generale. Poco servirà infatti organizzare le scuole con misure di sicurezza simili a quelle delle sale operatorie ospedaliere se poi nel tempo non scolastico i nostri ragazzi non si proteggeranno da comportamenti a rischio. Cercare di tenere il virus quanto più possibile fuori dalle nostre scuole è un difficile obiettivo ma va perseguito ricordando che generalmente il primo sintomo di Covid19 è la febbre ancor più se in presenza di soggetto vaccinato per l’influenza stagionale.
I NUMERI A VERONA
Tornando alla questione statistica è importante capire che il numero dei contagi nel singolo giorno non è informativo, specie in questa fase in cui ogni giorno si vedono importanti fluttuazioni su numeri di casi piuttosto contenuti, se paragonati a quelli visti nei mesi di marzo e aprile 2020. Meglio è considerare i dati di contagi su base settimanale anche in ragione del numero di tamponi effettuati che su base giornaliera è molto variabile.
I ricoveri in terapia semi intensiva ed intensiva sono molto limitati così come il numero di vittime. Ed è su questa scia che dobbiamo restare e cioè permettere ai nostri sanitari di riuscire a curarci in uno stato non emergenziale.
UNA POSSIBILE SOLUZIONE
Ci attendavamo che il virus sparisse durante l’estate, ma ciò non è avvenuto. Ora ci attende la fase più delicata poiché non saremo più presi di sorpresa e abbiamo accumulato molte conoscenze. Ora non possiamo sbagliare. Non possiamo permettercelo in termini economici, sociali e psicologici. Sarebbe una sconfitta sia come cittadini che come scienziati dopo aver pagato un altissimo conto in termini di vittime e di memoria collettiva.
Poiché dobbiamo convivere con il virus sino all’arrivo di un vaccino e di cure più efficaci, oltre alle più volte richiamate misure di contenimento, dovremmo concentrarci particolarmente nel difendere le persone più fragili nei confronti di SARS-CoV-2: anziani, immunodepressi, pluri patologici cronici, specie cardiovascolari ed oncologici. Per difendere questo gruppo di persone sarà necessario un netto distanziamento, una sorta di isolamento “soft”; emblematico, per il suo potere mediatico, è il caso della famiglia Berlusconi che conferma quanto le relazioni sociali portate in casa possano essere pericolose per chi ci sta vicino, soprattutto per i nostri nonni.
Come desideriamo il nostro prossimo futuro è tutto nelle nostre mani… e nel nostro respiro!
Massimo Guerriero
Epidemiologo e biostatistico
Consulente del Nucleo di Ricerca Clinica dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria
Una nuova sala infusionale per le malattie infiammatorie croniche dell'intestino
Al piano interrato dei Poliambulatori, è stata creata una stanza per le terapie infusionali dedicata esclusivamente ai pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino. “E’ uno spazio che risponde ai canoni di sicurezza, distanziamento e confort per il paziente”, spiega la dottoressa Angela Variola, gastroenterologa dell’Unità IBD.
I pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche dell’intestino (MICI) seguiti dall’ospedale di Negrar da oggi possono effettuare le infusioni dei farmaci in una stanza esclusivamente dedicata e dotata di 5 postazioni. La nuova location – che si trova al piano interrato dei Poliambulatori – non garantisce solo maggior confort a chi vi accede per la terapia con farmaci biologici, ma è stata pensata con tre obiettivi: sicurezza, distanziamento e flessibilità per i circa 180 i pazienti che si sottopongono alle infusioni, su un totale di circa 2mila affetti da colite ulcerosa e malattia di Crohn curati al “Sacro Cuore Don Calabria”.
“Per questione di spazi, l’Unità IBD (Inflammatory Bowel Disease-MICI in italiano) del Centro per le malattie retto intestinali aveva a disposizione la stanza per le infusioni solo un giorno alla settimana e un altro, a seconda della necessità, in condivisione con il Servizio di Reumatologia”, spiega la dottoressa Angela Variola, gastroenterologa del Centro, di cui è responsabile il dottor Andrea Geccherle. “Questo comportava un disagio per il paziente, che da oggi non deve più adattarsi al giorno prefissato per la terapia, ma ha più opzioni di scelta, in base anche ai suoi impegni lavorativi o scolastici – prosegue -. Inoltre con la creazione di una nuova stanza, possiamo garantire il distanziamento necessario per l’emergenza Covid”. Ma è la sicurezza che ha animato la creazione di nuovi spazi. “L’infusione di terapie eterogenee in una stessa stanza (in questo caso i farmaci per le MICI e quelli per le patologie reumatiche) – spiega ancora la dottoressa Variola – favorisce l’errore umano nell’allestimento dei farmaci e nella gestione dei protocolli infusionali. Una stanza ad hoc risponde soprattutto a criteri di sicurezza”.
Con le postazioni dedicate, arriva all’Unità per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino anche l’IBD nurse. Si tratta di una figura infermieristica, molto diffusa nei Paesi anglosassoni, che, grazie a una specifica formazione, diventa punto di riferimento del paziente per quanto riguarda le terapie e tutti gli aspetti collaterali della malattia. Quello di Negrar sarà uno dei primi centri italiani ad avvalersi di questo tipo di infermiera con prerogative previste dalla ECCO (European Crohn Colitis Organisation). Tra i suoi compiti anche quello di istruire i pazienti su come effettuare la somministrazione sottocutanea dei farmaci.
“I farmaci biologici possono essere assunti, a seconda delle indicazioni, tramite infusione endovenosa una volta al mese o una ogni due mesi oppure con un’iniezione sottocutanea che si può effettuare tranquillamente a domicilio – afferma Variola -. Sono farmaci, frutto dell’ingegneria biotecnologica, che hanno impresso una vera e propria svolta alle malattie infiammatorie croniche dell’intestino. Grazie a queste molecole i pazienti con colite ulcerosa e malattia di Crohn, moderate o gravi, hanno raggiunto la remissione completa, cioè clinica, radiologica ed endoscopica della patologia”. Questo significa un deciso miglioramento della qualità di vita oltre alle riduzione del rischio di complicanze a lungo termine e di interventi chirurgici. La ricerca in questo campo è sempre attiva: l’Unità IBD ha in corso una ventina di studi clinici per la sperimentazione di fase 2 e di fase 3 di nuovi farmaci biologici
La malattia di Crohn e la colite ulcerosa sono infatti patologie tipiche delle età giovanile: il picco più importante si concentra tra i 15 e i 45 anni, tuttavia si rileva negli ultimi tempi un aumento dell’incidenza in età pediatrica e adolescenziale. In Italia colpisce circa 200mila persone.
Alla benedizione della nuova stanza, impartita da don Waldemar Longo, vicepresidente dell’ospedale, erano presenti, oltre alla direzione dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria e all’équipe del Centro, anche Salvo Leone e Nadia Lippa, rispettivamente direttore generale nazionale e segretaria provinciale di AMICI- Associazione Malattie Infiammatorie Croniche dell’Intestino. Ha portato un breve saluto Luca Coletto, assessore alla Sanità della Regione Umbria, già con lo stesso ruolo nel Veneto e già sottosegretario alla Sanità.
Acne: come si cura la patologia "dell'adolescenza"
E’ la malattia per eccellenza dell’età puberale, sebbene possa colpire improvvisamente perfino gli adulti. L’acne non ha risvolti solo sulla pelle ma anche psicologici, in una fase della vita, l’adolescenza, già complessa. Come trattarla, grazie ai farmaci a disposizione, efficaci anche nelle forme più gravi, ce lo spiega la dermatologa Federica Tomelleri
E’ l’incubo dell’età adolescenziale, quando lo sviluppo ormonale può manifestarsi anche con l’acne, la malattia della pelle che da sola somma il 20% del totale dei casi di patologia infiammatoria visti da un dermatologo nel suo ambulatorio nell’arco di un anno.
L’acne colpisce indifferentemente maschi e femmine. Di solito può esordire nell’età puberale, intorno ai 12 anni, per andare scemando verso i 25, con un picco tra i 18 e i 20 anni. Esiste tuttavia una forma di acne che compare improvvisamente nell’adulto anche se non ne ha sofferto in età giovanile. La patologia origini genetiche e ormonali e in genere si manifesta soprattutto sul viso (nelle parti in cui sono più numerose le ghiandole sebacee come la fronte e il mento, la classica “zona T”) e può presentarsi anche sul dorso e sul décolleté.
“Oggi disponiamo di farmaci con i quali possiamo ottenere ottimi risultati terapeutici, ma si tratta di una patologia con pesanti risvolti psicologici sui ragazzi che ne vengono colpiti”, afferma la dottoressa Federica Tomelleri (nella foto), responsabile del Servizio di Dermatologia dell’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria. “Esordisce in un’età già impegnativa dal punto di vista psicologico e dobbiamo tener conto che viviamo in una società attenta in modo esasperato all’immagine: il viso resta il nostro biglietto da visita”.
CHE COS’E’ L’ACNE
“L’acne si forma quando l’aumento della secrezione sebacea dovuta agli ormoni si associa a un ispessimento su base genetica del canale della ghiandola sebacea, causando l’ostruzione del follicolo con la comparsa del comedone, il classico punto nero – spiega la dottoressa Tomelleri -. Il sebo trattenuto viene aggredito dai naturali batteri della pelle causando infiammazione e infezione”. Esistono vari tipi di acne, classificati in base alla gravità.
- Forma lieve: caratterizzata da papule, rilievi della pelle rossastri, accompagnati dai comedoni
- Forma media: si manifesta con pustole, il cosiddetto brufolo con all’apice il puntino bianco-giallo che indica la presenza di materiale purulento
- Forma grave: compaiono noduli e cisti, formazioni solide, dure, sottocutanee, dolorose, che possono raggiungere anche alcuni centimetri.
- Acne fulminante: una forma molto rara, che comporta stati febbrili e richiede anche il ricovero. Spesso lascia esiti cicatriziali deturpanti.
QUANDO RIVOLGERSI A UNO SPECIALISTA
“Una pelle giovanile che presenta punti neri, non necessariamente evolve in acne vera e propria. Quando però in famiglia ci sono casi di acne e/o persistono per alcuni mesi lesioni infiammatorie pustolose, è consigliabile una visita specialistica dal dermatologo”, sottolinea Tomelleri
COME SI CURA
L’inquadramento terapeutico è determinato da due fattori: la gravità della patologia infiammatoria e l’età del paziente. Per quanto riguarda l’aspetto farmaceutico sono disponibili gel o creme a base di:
- Retinoidi topici come la Tretinoina e l’Adapalene che agiscono sui processi anormali di cheratinizzazione e sono anche antiinfiammatori, quindi funzionano in entrambi i casi di acne comedonica ed infiammatoria.
- Benzoil Perossido aiuta a prevenire l’ostruzione dei follicoli pilifieri da parte delle cellule morte e inoltre uccide i batteri che causano infezione.
- Antimicrobici topici (antibiotici topici) colpiscono i batteri della pelle che infettano i follicoli pilliferi ostruiti. Dovrebbero sempre essere abbinati al Benzoil Perossido per prevenire lo sviluppo di resistenza batterica.
“Questi trattamenti locali vengono associati a terapie sistemiche nelle forme medie e gravi – spiega ancora la dottoressa Tomelleri -. Tra i farmaci impiegati: le tetracicline (antibatterici) e l’isotretinoina che agisce sulle microcisti sebacee. Nelle donne è indicata anche la pillola anticoncezionale, in quanto i movimenti ormonali ciclici favoriscono la comparsa delle lesioni”. Come coadiuvante alla terapia medica sono utili il peeling (per esempio a base di acido salicidico) e il laser, che agiscono anche nel prevenire e migliorare l’esito cicratiaziale permanente”.
TRATTAMENTI DERMOESTETICI
“L’acne è una patologia e quando lo stato infiammatorio è importante, i trattamenti estetici nella migliore delle ipotesi sono inutili”, sottolinea la dermatologa. “Anzi se troppo aggressivi, come alcune pulizie del viso, possono peggiorare la situazione”.
DETERSIONE DELLA PELLE E COSMETICI: COSA USARE?
Chi soffre di acne tende a lavarsi spesso il viso usando il sapone, con l’obiettivo anche di togliere il “lucido” che caratterizza la cute seborroica. “Nulla di più sbagliato. Il sapone ha un’azione aggressiva sulle ghiandole sebacee che rispondono producendo più sebo – sottolinea -. I detergenti devono essere delicati e dedicati con un’azione sebomodulante e antisettica. Anche i maquillage deve essere adatto a pelli con queste caratteristiche. Il fondotinta, per esempio, deve essere oli-free. Purtroppo in commercio esistono prodotti cosmetici in crema coprenti di discutibile qualità. Sarebbero da evitare sempre, ma per le ragazze che soffrono di acne non devono essere presi nemmeno in considerazione. E’ meglio dirottare la scelta sulle linee specifiche delle case farmaceutiche, non prima di aver consultato il proprio dermatologo”.
Tamponi e test sierologici: come prenotare
Per facilitare l’accesso alla prenotazione dei tamponi e dei test sierologici Covid-19, sono state istituite due modalità di accesso distinte per le aziende e per i privati. Nell’articolo anche le indicazioni su dove andare per effettuare i prelievi e il costo degli esami
- AZIENDE: liberaprofessione@sacrocuore.it
- PRIVATI: 045.6013081 oppure www.sacrocuore.it clicca sul pulsante “Prelievo senza coda”
COSTI
- TAMPONI
Con impegnativa: il codice 5G1 consente l’esenzione del ticket
A pagamento: 70 euro - TEST SIEROLOGICI: solo a pagamento: 40 euro
LUOGO DEL PRELIEVO
L’ACCETTAZIONE si effettua al piano terra dell’ingresso unico dell’ospedale (viale Rizzardi)
- TAMPONI ingresso T dell’Ospedale Sacro Cuore seguendo il percorso rosso che parte dall’ingresso
- TEST SIEROLOGICI: piano 1 dell’ingresso unico dell’ospedale
REFERTI
Ernia iatale: quando intervenire curando anche il reflusso
L’intervento chirurgico per l’ernia iatale, quando indicato, facilita la soluzione della malattia da reflusso, ma non ne è la cura se non accompagnato da un cambiamento di stile di vita, cominciando dall’alimentazione e dall’attività fisica. Ne parliamo con la dottoressa Irene Gentile
Ernia iatale e reflusso gastroesofageo. Non si tratta sempre di un rapporto di causa-effetto, anche se l’ernia iatale viene il più delle volte diagnosticata occasionalmente con la gastroscopia a cui il paziente si sottopone perché lamenta bruciore di stomaco. Pertanto l’intervento chirurgico, quando indicato, facilita la soluzione della malattia da reflusso, ma non ne è la cura se non accompagnato da un cambiamento di stile di vita, cominciando dall’alimentazione e dall’attività fisica.
Sono queste le premesse necessarie per affrontare un intervento di “fundoplicatio di Nissen laparoscopica” per la riduzione dell’ernia iatale, un procedimento chirurgico indicato in casi selezionati e dopo accurata valutazione interdisciplinare. “Quando è al di sotto di 2 cm, l’ernia viene considerata parafisiologica, soprattutto nelle persone obese. Si stima che di ernia iatale soffra circa il 15% della popolazione italiana e nella maggior parte dei casi le dimensioni sono tali da non richiedere l’intervento, ma solo un trattamento medico della malattia da reflusso associata, se presente”, spiega la dottoressa Irene Gentile (nella foto allegata) della Chirurgia Generale che, insieme al dottor Claudio Zardini, esegue visite presso l’ambulatorio CHIES (Chirurgia ESofago-Stomaco). “In questo ambulatorio visitiamo e valutiamo i possibili pazienti candidabili all’intervento chirurgico per ernia iatale, ed eseguiamo anche i controlli delle neoplasie gastriche sottoposte ad intervento chirurgico”.
Dottoressa Gentile, che cos’è un’ernia iatale?
Si verifica un’ernia iatale quando una parte dello stomaco, la cui sede naturale è l’addome, si porta (si ernia) in torace attraverso lo iato diaframmatico, l’apertura del diaframma grazie al quale l’esofago attraversa il diaframma per portarsi in addome. Questo accade quando vi è un aumento della pressione endoaddominale che spinge lo stomaco verso l’alto – ed è il caso delle persone obese – o/e quando esiste una condizione di lassità muscolare del diaframma, oppure, più raramente, quando e è presente una condizione sottostante per cui l’esofago risulti più corto del normale tale da trascinare con sé lo stomaco in torace.
Come si presenta l’ernia iatale
Esistono diversi tipi di ernia. Nel 90-95% dei casi si tratta di ernie da scivolamento, cioè lo stomaco segue l’esofago in torace scivolando attraverso lo iato diaframmatico. Poi ci sono le ernie iatali paraesofagee, in cui una parte del fondo dello stomaco si incanala a fianco dell’esofago nella sua risalita. Questo ultima tipologia di ernia è più sintomatica in termini di reflusso e di dolori restrosternali.
Al fine dell’intervento, è importante la dimensione?
Per le ernie piccole (fino a 2 centimetri) che non danno sintomi di reflusso, generalmente si decide per la sorveglianza nel tempo. Per ernie iatali permagne (con un’erniazione di più di 2/3 dello stomaco nel torace) l’indicazione chirurgica è assoluta per l’evidente danno funzionale: la nuova posizione dello stomaco non consente il corretto svolgimento dellea funzione digestiva , ponendo anche lo stomaco a rischio di torsione. Il resto delle ernie richiede un attento studio del reflusso sottostante che ne confermi l’indicazione chirurgica.
Malattia da reflusso ed ernia iatale sono sempre associate?
L’ernia iatale nella maggior parte dei casi viene diagnosticata, spesso accidentalmente, perché il paziente lamenta i sintomi del reflusso. Dunque la sintomatologia tipica dell’ernia iatale è strettamente dipendente dal reflusso correlato. Esiste però una patologia da reflusso che non si associa ad ernia iatale e che richiede un inquadramentro diagnostico complesso.
Questo cosa comporta?
Questo fa del reflusso un problema non puramente meccanico, risolvibile con un intervento chirurgico, ma che richiede innanzitutto uno studio interdisciplinare che coinvolge chirurghi, endoscopisti, gastroenterologi e pneumologi. Ciò che viene valutato interdisciplinarmente è proprio il reflusso, che di per se è una patologia medica e in genere viene trattata farmacologicamente. Questo è fondamentale perché in genere chi non risponde bene alla terapia medica, anche dopo l’intervento chirurgico, può lamentare ancora problemi. Inoltre l’inquadramento generale è importante anche per un altro motivo.
Quale?
La diagnosi dell’ernia iatale si effettua attraverso una semplice radiografia con mezzo di contrasto (pasto baritato)* ed una EGDS (esofagogastroduodenoscopia). Una volta diagnosticata è tuttavia necessario procedere con un altro esame, la manometria esofagea**. Questo perché una piccola percentuale di pazienti con ernia iatale presentano disordini motori dell’esofago (discinesie), cioè il reflusso è facilitato dall’erniazione dello stomaco, ma è provocato da un’alterata contrazione dell’esofago durante l’ingestione del bolo alimentare. Conoscere o meno la presenza di queste anomalie è importante per la scelta della migliore procedura chirurgica. Infatti in questi casi una plastica antireflusso completa, andrebbe a creare un ulteriore ostacolo alla spinta dell’esofago.
Come avviene l’intervento?
L’intervento viene condotto in laparoscopia o con il robot Da Vinci: tramite i canonici buchetti nell’addome, lo stomaco viene riportato nella sua sede naturale, l’addome. Lo stesso fondo dello stomaco che abbiamo fatto scivolare in basso viene avvolto, come una morbida sciarpetta, intorno all’esofago distale a 360° creando così un nuovo sfintere, con l’obiettivo di evitare il sintomo dell’ernia iatale e della malattia da reflusso che è il reflusso stesso. Questa morbida sciarpetta viene calibrata in base al referto della manometria: un esofago con poca contrattilità o con una contrattilità anomala potrebbe risentire di una plastica troppo rigida, creando dunque dei problemi di rialimentazione nel postoperatorio. In tali casi si valuta la possibilità di eseguire una plastica parziale (180° o 90°).
L’intervento è risolutivo?
Per le ernie permagne nell’immediato vi è un buon contenimento del reflusso, ma le casistiche internazionali riportano tassi di recidive a 5 anni variabili dal 20% al 50% e una recidiva su una plastica è di difficile trattamento, quando sintomatica. Per questo è importante la selezione del paziente. Come è importante far comprendere al paziente stesso che l’intervento chirurgico è solo un tassello del percorso. L’altro tassello è il controllo del reflusso, che avviene farmacologicamente, ma soprattutto con un radicale cambiamento di stili di vita, che comprende l’alimentazione e l’attività motoria. Proseguire in abitudine errate mette a rischio l’efficacia dello stesso intervento.
*Si tratta di una radiografia esofago-stomaco-duodeno, per lo studio della morfologia e del funzionamento degli organi esame. La radiografia richiede la somministrazione per bocca con un mezzo di contrasto, il solfato di bario (pasto baritato).
** La manometria esofagea è un esame per la valutazione della motilità dell’esofago. Viene effettuato introducendo un sondino naso-esofageo, che ha il compito di valutare, come un manometro, la pressione all’interno dell’esofago sia a riposo sia durante la deglutizione.
Mascherina e bambini: occhio alle fake news
Inizia la scuola (o almeno tutti lo speriamo) e i nostri bambini e ragazzi dovranno indossare in alcuni casi e a lungo la mascherina. Nell’articolo sfatiamo con il pediatra Antonio Deganello i falsi miti su bambini e mascherina, un dispositivo fondamentale per arginare il contagio
Se sul Coronavirus non si hanno ancora delle conoscenze definitive, sull’utilità delle mascherine ci sono delle certezze: possono dare fastidio (sempre meno del virus e della quarantena, comunque), ma non sono nocive per la salute di grandi e piccoli. E’ bene ribadirlo ancora una volta, soprattutto a pochi giorni dall’inizio della scuola, con la necessità per i bambini e i ragazzi di indossarla là dove non è garantito il distanziamento di almeno di un metro. Come di regola dovrebbe avvenire sempre.
LA SCUOLA DEVE INIZIARE
“La scuola deve iniziare e lo dico come imperativo categorico”, afferma il direttore della Pediatria, Antonio Deganello. “In ballo non c’è solo la preparazione culturale dei nostri ragazzi, che da sola è già una priorità – sottolinea – ma anche la salute psicologica delle giovani generazioni. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di vivere in una comunità della loro età e di avere una giornata programmata con il tempo dedicato allo studio e quello riservato alle diverse attività. Non possiamo permetterci altri mesi come quelli già trascorsi. Il Coronavirus c’è, aumentano i casi, ma dobbiamo imparare a conviverci, mettendo in atto tutte le precauzioni necessarie. Tra queste l’uso della mascherina”.
TUTTI I FALSI MITI SULLA MASCHERINA
Mascherina diventata a suo malgrado protagonista delle fake news più gettonate, tanto che la Società Italiana di Pediatria (SIP) ha redatto un manifesto dal titolo: “Mascherine e bambini: i cinque falsi miti”. Vediamo perché falsi
- L’uso prolungato della mascherina nei bambini porta all’alcalosi? (incremento anomalo del pH dei tessuti nell’organismo, in particolare del sangue e quindi delle urine, ndr).
FALSO. La quantità della propria anidride carbonica respirata da un bambino sano che indossa la mascherina chirurgica è pressoché impercettibile. Infatti la mascherina non è a tenuta stagna, ma protegge il nostro interlocutore dal cosiddetto doplet, cioè le goccioline di saliva nebulizzate che emettiamo quando parliamo, e soprattutto quando tossiamo o starnutiamo.
- L’uso prolungato della mascherina nei bambi porta all’ipossia?
FALSO. I bambini sani che indossano la mascherina chirurgica per più ore al giorno non rischiano la carenza di ossigeno né la morte per ipossia.
- La mascherina può indebolire il sistema immunitario nei bambini?
La mascherina chirurgica previene in diffondersi delle infezioni e va portata dai bambini per evitare la trasmissione del coronavirus tra soggetti asintomatici. - La mascherina può causare un’alterazione della flora intestinale dei bambini?
FALSO. Non ci sono evidenze scientifiche in letteratura che documentino che un corretto utilizzo della mascherina possa comportare un’alterazione della flora batterica e/o intestinale.
- La mascherina è obbligatoria per tutti i bambini?
FALSO. Ci sono bambini che sono esentati dall’uso della mascherina e sono coloro che hanno meno di 6 anni e coloro che sono affetti da disabilità non compatibile con un uso prolungato del dispositivo.
POTREBBE ESSERE INDOSSATA GIA’ DAI DUE ANNI
Il limite dei sei anni è stato fissato dal Decreto del presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile, ma sia la SIP che l’Associazione Culturale Pediatri (ACP) e l’American Academy of Pediatrics (AAP) sono concordi nell’affermare che la mascherina può essere indossata dal bambino fin dai 2 anni di età, ad eccezione di coloro che hanno difficoltà respiratorie e/o non sono capaci di rimuovere la mascherina da soli.
“L’obbligo di indossare la mascherina dai sei anni (naturalmente in luoghi chiusi dove non è rispettato il distanziamento sociale) è dettato dal fatto che più i bambini sono piccoli, più si fa fatica a fare comprendere loro la necessità di tenerla – riprende il dottor Deganello -. Tuttavia con alcuni accorgimenti è possibile rendere meno fastidioso il dispositivo”.
OCCHIO ALLE DIMENSIONI
Innanzitutto attenzione alle dimensioni. Se la mascherina per un adulto ha una grandezza di 15X30 cm, quella di un bambino deve essere di 12X25 cm in media, affinché aderisca bene al volto e copra in sicurezza naso e bocca, anche grazie alla componente elastica del materiale. Inoltre deve essere composta da una fibra non allergizzante e con caratteristiche antisoffocamento.
PER I BAMBINI CON PATOLOGIE
Un’attenzione particolare meritano i bambini con malattie croniche e ad alto rischio. “Se per il bimbi sani è sufficiente la mascherina chirurgica o di stoffa – afferma il pediatra – i bambini fragili devono essere incoraggiati ad indossare la Ffp2 per proteggersi loro stessi dall’infezione”.
CARI ADULTI, DIAMO IL BUON ESEMPIO
“Ma se vogliamo che i bambini accettino di buon grado questo dispositivo, gli adulti devono dare il buon esempio. Indossando la mascherina e indossandola correttamente– sottolinea il pediatra -. E’ perfettamente inutile tenerla se si lascia fuori il naso… Per un bambino anche le cose più serie possono diventare un gioco. E in questo caso una mascherina con l’effige del super eroe o del cartone di turno può aiutare molto”.
Il nubifragio su Verona colpisce al cuore l'Opera Don Calabria
Il nubifragio, che ieri ha messo in ginocchio il centro di Verona, ha devastato anche l’area dove si trova la Casa Madre dell’Opera Don Calabria e altre Case, causando ingenti danni alle strutture. Illese le persone nonostante il pinnacolo del campanile abbia sfondato il tetto della chiesa durante la Messa
Anche l’Opera Don Calabria, a cui appartiene l’IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, è stata gravemente colpita dal violento nubifragio che ha messo in ginocchio ieri la città di Verona. Un colpo al cuore, perché a subire gravi danni è stata la Casa Madre dell’Opera, situata a San Zeno in Monte, sulla sommità di una collina che domina il centro scaligero. E oggi nel guardare la devastazione che circonda tutta l’area, molti vedono in quanto è successo un miracolo della Provvidenza, per intercessione di San Giovanni Calabria. Perché poteva essere veramente una tragedia.
Ieri alle 17, don Giuseppe Pasini stava celebrando la messa festiva sotto la tensostruttura – come avviene tutte le domeniche dall’inizio della pandemia – alla presenza di circa una quarantina di fedeli. Dopo la lettura del Vagelo, a causa del peggioramento del tempo, la celebrazione si è spostata in chiesa. Ma sono passati solo pochi secondi, quando a causa delle fortissime raffiche di vento il pinnacolo del campanile si è staccato abbattendosi sul tetto, bucandolo per poi precipitare sulla sedia del celebrante. Don Pasini è rimasto illeso perché in quel momento stava pronunciando l’omelia all’ambone. Sono seguiti momenti concitati, ma miracolosamente non si è fatto male nessuno, nnemmeno lievemente. La Messa è stata conclusa nella cappellina adiacente al chiostro
Ma il tremendo nubifragio non ha danneggiato solo la chiesa che ospita la tomba di San Giovanni Calabria. La tensostruttura esterna si è squarciata in due e sono caduti numerosi alberi, compresi i cipressi nel giardino davanti alla chiesa e vicino alla grotta della Madonna. Innumerevoli le tegole cadute dal tetto.
I DANNI NELLE ALTRE CASE
Il temporale ha investito con prepotenza le altre case dell’Opera che gravitano nell’area.
A Santa Toscana, Casa Madre delle Sorelle, il ramo femminile dell’Opera, sono stati caduti decine di alberi giganteschi nel giardino, mentre la casa non ha subito gravi danneggiamenti.
A San Benedetto, dove si svolgono attività socio-educative rivolte ai minori, altri alberi abbattuti hanno fatto crollare i muri di contenimento sulla strada e distrutto la recinzione e i lampioni del campo da calcetto. Un albero si è accasciato sul muro laterale della Casa, rompendo la staccionata. Il piano seminterrato è stato allagato e l’impianto elettrico è andato in cortocircuito. Rotta anche la tubatura del gas.
A Nazareth, antica residenza vescovile, sono stati divelti 21 alberi ultracentenari, insieme ai pali dell’illuminazione del campo da calcio e la rete di contenimento. Le radici hanno sollevato i marciapiedi e i muri di contenimento, alla casa sono stati strappati i canali di scolo e il tetto si trova letteralmente ridotto a brandelli con tantissime tegole della casa e della chiesa cadute. Allagato il garage e numerose le infiltrazioni d’acqua nella casa.
A San Giuseppe, che ospita persone adulte in condizioni di disagio, sono crollati numerosi alberi, tra i quali un enorme cedro secolare. Un albero ha colpito il tetto della casa.
“Ringraziamo il Signore e don Calabria perché nonostante i gravi danni materiali nelle nostre Case non ci sono stati feriti – afferma padre Miguel Tofful, Superiore Generale dell’Opera – Anche in questo momento difficile guardiamo con fiducia alla Divina Provvidenza come sempre ci ha manifestato il nostro fondatore. E ringraziamo tutti coloro che in queste ore hanno manifestato la loro vicinanza con il pensiero e con la preghiera per la nostra Opera”.
Nuova data per il Capitolo dell'Opera Don Calabria
Si terrà a febbraio 2021 il dodicesimo Capitolo Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza,Congregazione fondata da San Giovanni Calabria tra le cui attività c’è anche il “Sacro Cuore”. Lo svolgimento del Capitolo, già rinviato la scorsa primavera, dipenderà comunque dall’andamento della pandemia.
Il Capitolo Generale dei Poveri Servi della Divina Provvidenza si svolgerà nel mese di febbraio 2021, se la situazione della pandemia lo permetterà. A prendere questa decisione è stato il Consiglio Generale della Congregazione, guidato dal Casante padre Miguel Tofful, insieme ai responsabili di tutte le missioni dell’Opera Don Calabria. L’evento sarà dedicato al tema “La profezia della comunione” e vedrà la partecipazione di 38 religiosi e numerosi laici provenienti da 12 Paesi e 4 continenti nei quali l’Opera è presente. In contemporanea si svolgerà anche il Capitolo della Congregazione femminile dell’Opera, ovvero le Povere Serve della Divina Provvidenza.
Il Capitolo dei Poveri Servi originariamente doveva svolgersi nel maggio 2020, ma è stato rinviato a causa della pandemia di coronavirus che tuttora sta colpendo molti Paesi nel mondo. Qualora la situazione pandemica non dovesse risolversi nemmeno nei prossimi mesi, anche la nuova data prescelta potrà subire ulteriori rinvii, ma questo andrà valutato al momento opportuno e sempre con un’ampia condivisione all’interno dell’Opera e con gli organi preposti della Chiesa.
D’altra parte il Capitolo sicuramente non potrà svolgersi in via telematica, nemmeno in piccola parte, poiché Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita apostolica ha chiarito con una lettera indirizzata a tutti i religiosi che questo evento richiede la presenza fisica dei partecipanti per garantire una vera sinodalità e corresponsabilità nelle decisioni. Nemmeno la situazione eccezionale che stiamo vivendo permetterà dunque di derogare a questo principio.
L’auspicio espresso dai due Consigli e dai Delegati, approvato anche dalle Delegate e Responsabili di Missione delle Sorelle, è che i due Capitoli si possano svolgere a Verona nelle rispettive Case Madri, vale a dire San Zeno in Monte per i Fratelli e Santa Toscana per le Sorelle.
“Lo svolgimento in contemporanea dei due Capitoli, pur mantenendo le rispettive specificità delle due Congregazioni, rappresenterebbe un altro profetico segno di comunione e sarebbe la naturale conseguenza del cammino sinodale di preparazione nel quale tutta la Famiglia Calabriana è stata coinvolta fin dalla primavera del 2019 – dicono il Casante padre Miguel Tofful e la Madre Generale delle Povere Serve Lucia Bressan – ora in questo tempo di attesa ci auguriamo che tale tensione sinodale venga mantenuta e rafforzata in tutte le Delegazioni e Missioni dove l’Opera è presente. Noi siamo vicini alla Famiglia Calabriana e chiediamo a tutti di unirsi nella preghiera per le tante persone che sono duramente colpite dalla pandemia o che stanno soffrendo a causa di essa”.
Il Capitolo, nel diritto canonico, è un’assemblea di religiosi dotata di personalità giuridica e autorità normativa. Si tiene ogni sei anni ed è l’occasione per verificare l’andamento della Congregazione e programmare il futuro, rinnovando gli incarichi e dando le linee di sviluppo per il successivo sessennio.
In vacanza al tempo del virus: i consigli per un comportamento responsabile
L’infettivologo Federico Gobbi sottolinea che in questo tempo di convivenza con il CoVid è fondamentale non abbassare la guardia e prendere le dovute precauzioni nelle normali attività di ogni giorno. A maggior ragione se si va in vacanza in Paesi dove il tasso di diffusione è maggiore che in Italia
“Questa è la fase della consapevolezza e della responsabilità. Il virus circola ancora, perciò dobbiamo rispettare con il massimo scrupolo quelle norme di igiene e distanziamento sociale che ormai abbiamo imparato a conoscere, a maggior ragione se ci troviamo in vacanza in Italia o all’estero”. Il dottor Federico Gobbi, infettivologo del reparto di Malattie Infettive e Tropicali del “Sacro Cuore”, invita a non abbassare la guardia nella lotta alla pandemia che viene condotta prima di tutto attraverso i comportamenti quotidiani di ogni persona. “Dobbiamo continuare a usare il più possibile quelle precauzioni che proteggono noi stessi e gli altri, a cominciare dall’uso della mascherina e dall’igienizzazione delle mani. Questo vale ancora di più se viaggiamo su mezzi pubblici come treni, aerei e pullman, e se ci rechiamo in Paesi dove il tasso di diffusione del CoVid è maggiore che da noi”.
Niente allarmismi, dunque, ma nemmeno l’illusione che i rischi siano alle spalle. “In Italia ci sono diversi piccoli focolai del contagio, ma in questi mesi abbiamo lavorato bene e la situazione appare sotto controllo. Tuttavia il leggero aumento dei positivi nelle ultime settimane ci dice che dobbiamo convivere con il virus e c’è bisogno del contributo da parte di tutti con comportamenti responsabili, in modo da poter riprendere gradualmente dopo l’estate tutte le attività economiche e da permettere che bambini e ragazzi tornino a scuola in condizioni di sicurezza.
Qui sotto riportiamo l’intervista del dottor Gobbi a Telepace.
Nonostante le zanzare, è un'estate (per ora) senza West Nile
Le zanzare ci sono, e se ne registra un certo aumento, ma in Italia non sono segnalati casi di West Nile Virus, la febbre estiva che aveva suscitato preoccupazioni nelle scorse estati. E a causa della grande riduzione dei voli in Paesi Tropicali, è diminuito drasticamente il rischio di casi di importazione di Dengue, Chikungunya e Zikavirus.
Nonostante il caldo non eccessivo (almeno per ora), questa estate si presenta popolata di zanzare. La nostra percezione “fastidiosa e dolorosa” viene confermata anche dagli entomologi e dal sito “Meteo Zanzare”, realizzato da Vape Fondation in collaborazione con l’Istituto di Biometerologia del Cnr di Firenze. Secondo il bollettino di luglio, la regione più infestata è la Campania con aumento del 50% di questi insetti rispetto al periodo dello scorso anno. Per la Lombardia, il Piemonte e il Veneto si assesta al 27%.
La buona notizia è che nessuna specie di zanzare trasmette il SARS Cov2, il virus responsabile del Covid 19. L’altra buona notizia è che finora non si sono registrati casi né animali né umani di West Nile Virus, la febbre estiva del Nilo Occidentale trasmessa dalla puntura della zanzara più comune Aedes caspius o Culex, quella che punge prevalentemente nelle ore notturne.
L’anno scorso da giugno a novembre in Italia sono stati segnalati 56 casi umani confermati di infezione da WNV, di questi 25 si sono manifestati nella forma neuroinvasiva, di cui 5 deceduti, 24 casi con febbre confermata, 7 casi identificati in donatori di sangue. Ma è il 2018 l’anno che sarà ricordato per “l’emergenza West Nile” con 606 infezioni, di queste 239 si sono manifestate nella forma neuro-invasiva, 299 casi con febbre e 68 identificati in donatori di sangue asintomatici. I decessi sono stati in totale 49.
“Per ora il sistema di sorveglianza ha segnalato solo casi di positività per West Nile nelle zanzare nelle provincie di Lodi e di Cremona. Ma nessun caso animale (quasi sempre cavalli) e umano”, spiega il dottor Federico Gobbi, infettivologo del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali e Microbiologia. “Quest’anno la sorveglianza sulle febbri estive è particolarmente attenta – sottolinea – in quanto a causa della pandemia da Covid 19 le persone con sintomi febbrili fanno ricorso quasi sempre al Pronto Soccorso, mentre gli altri anni per poche linee restavano a casa”.
La guardia comunque resta sempre alta, anche se è bene ricordare che nonostante il termine esotico, dal circa 20 anni il West Nile Virus è endemico in Italia e che nell’80% dei casi le persone infettate non presentano nessun sintomo. I casi più gravi si registrano in persone anziane defedate o in immunodepressi o in chi soffre di gravi patologie.
Se il West Nile Virus è ormai diventato endemico in Italia, continua la sorveglianza per evitare casi autoctoni di Dengue, Chikungunya e Zikavirus. “A causa della pandemia di Covid-19 i viaggi all’estero sono sensibilmente diminuiti e quindi è drasticamente diminuito il rischio di importare in Italia casi di Dengue, Chikungunya e Zika. – sottolinea il dottor Gobbi -. Queste sono arbovirosi, trasmesse dalla zanzara Aedes albopictus, detta comunemente “tigre” presente anche da noi – sottolinea il dottor Gobbi –. Per queste patologie virali la sorveglianza assume cruciale importanza al fine di impedire la formazione di focolai endemici, anche perché, a differenza del West Nile, la zanzara diventa potenziale veicolo di infezione pungendo una persona infetta”.
Nel 2010 la Regione Veneto ha redatto, con la collaborazione scientifica del Dipartimento di Malattie Infettive e Tropicali di Negrar, un sistema di sorveglianza delle febbri estive. Non a caso questo sistema prevede che per ogni caso importato di Dengue, Chikungunya e Zika venga attivata l’autorità sanitaria locale per la disinfestazione dalle zanzare in un’area di circa 200 metri attorno all’abitazione della persona infetta.